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Sottomarini e satelliti si spiano, si controllano: sale la psicosi dell’attacco a sorpresa

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Sottomarini e satelliti si spiano, si controllano: sale la psicosi dell’attacco a sorpresa

Pubblicato il 30 marzo 2018 by redazione

Decollo su allarme di un B52 C del S.A.C. dalla Fairchild Air Force Base.

Decollo su allarme di un B52 C del S.A.C. dalla Fairchild Air Force Base.

Nella prima metà degli anni ’80, il confronto fra gli apparati militari delle superpotenze nucleari, spesso a distanza ravvicinata, avvenne certamente nei mari. La tecnologia in rapido ascesa, specie quella informatica, aveva creato una specie di stallo nello sviluppo degli armamenti nucleari: USA, URSS (e di conseguenza i rispettivi alleati) possedevano o stavano sviluppando sistemi d’arma tali da neutralizzare gli arsenali d’attacco del rispettivo avversario. Questo vuol dire gli armamenti strategici trasportati da aerei o da missili.

Gli USA stavano lanciando il faraonico programma delle “Star Wars”, satelliti e mezzi missilistici operativi nell’orbita terrestre capaci di colpire le testate nucleari dei missili balistici intercontinentali prima che potessero entrare nel proprio spazio aereo, anche con lo sviluppo di sistemi laser. L’URSS, attirata dall’idea di creare una rete di satelliti di difesa, era conscia di non avere sufficienti risorse, per cui si affidò all’industria spaziale, per avere satelliti di sorveglianza più sofisticati, e a quella missilistica per dotarsi di armi capaci di colpire i mezzi offensivi nemici, per lo più missili antiaerei e relativi sistemi di controllo.

Restava però difficile avere sotto i mari il controllo al 100% delle mosse dell’avversario: in caso di guerra un sottomarino poteva avvicinarsi inosservato al territorio dell’avversario, specie grazie a sistemi di propulsione sempre più silenziosi e colpire con il lancio subacqueo di missili a testata nucleare, lasciando all’avversario solo pochi minuti di tempo prima delle detonazioni. I sottomarini lanciamissili, quasi tutti con propulsione nucleare, furono i mezzi su cui puntarono le maggiori potenze nucleari, in particolare l’Unione Sovietica, in una gara che rese però sempre più sospettosi e nervosi governi ed apparati militari.

A che punto è arrivato l’avversario nello sviluppo dei sottomarini da attacco? Ha raggiunto tecnologie in grado di garantire un attacco a sorpresa? I miei mezzi aerei e marini saranno all’altezza di coprire la minaccia? Queste erano le domande che tormentavano i vertici di Mosca e Washington, mentre in tutto il mondo cresceva di nuovo la paura dell’olocausto nucleare. In questo panorama di crescente tensione internazionale, i militari continuavano a combattere davvero la guerra fredda, spiandosi e sfidandosi reciprocamente nel dominio del campo di battaglia ormai più importante, sotto la superficie dei mari. Questa è la storia degli incidenti che sono accaduti e dei rischi che ancora gravano sull’umanità per colpa degli avvenimenti di quegli anni.

1982

22 marzo il sottomarino lanciamissili nucleari americano USS Jacksonville, della classe Los Angeles,  entrò in collisione con il mercantile turco General Z. Dogan, mentre navigava in superficie a circa 25 miglia est di Cape Charles, in Virginia, senza che alcuno dei due natanti subisse danni rilevanti.

Immagine 3 sottomarini nucleari da attacco sovietici classe Alpha all'attracco in una base nell'Artico o nel Baltico

Figura 1: sottomarini nucleari sovietici appartenenti alla Classe Alfa all’attracco in una base della Marina, probabilmente nel Mar baltico o Artico. Si noti come tutti i sottomarini siano collegati con tubazioni che portano costantemente vapore, necessario per mantenere allo stato liquido il metallo (piombo e bismuto) usato in questi sottomarini per raffreddare i reattori nucleari , al posto dei sistemi tradizionali a base di acqua mantenuta ad alta pressione (oltre 300 atmosfere).

8 agosto (vedi fonti generali nelle note) la marina russa “ricambiò il favore” quando il sottomarino K 123 , appartenente alla classe Alpha (figura 1) in codice NATO, emerse  durante un pattugliamento nel mare di Barents con una perdita grave nel sistema di raffreddamento. Gli Alfa, cacciasommergibili capaci di velocità massime intorno ai 40 nodi in immersione (circa 74 chilometri all’ora), basavano le loro prestazioni sull’uso esteso di titanio ed altri materiali di eccellenza e su reattori raffreddati a metallo liquido (LMC, Liquid Metal Cooled), costituito al 44% da Piombo e al 56% circa da Bismuto, con una temperatura di ebollizione alta, intorno ai 1670° gradi. Ma questo sistema ha anche un tallone di Achille: se la temperatura del liquido scende sotto i 123° il metallo solidifica nelle tubazioni, lasciando il reattore privo di raffreddamento, completamente dipendente  della rapidità con cui il sistema di sicurezza riesca acalare  le barre neutrone-assorbenti tra quelle di Uranio U235 del combustibile… Quindi il sistema a vapore di preriscaldamento doveva restare sempre acceso, sia in navigazione che in attracco in porto,  con problemi tecnici e logistici  enormi. Nell’incidente dell’8 agosto, il metallo liquido invase la camera del reattore da una perdita nel generatore di vapore, solidificandosi attorno alla camera del reattore in un blocco unico che lo rese irreparabile. Nonostante questi sottomarini fossero dotati di RRCU (Removable Reactor Core Unit), cioè di moduli contenenti il reattore removibili autonomamente dal resto del battello. Tuttavia l’avaria fu talmente grave (risultarono sversate oltre 2 tonnellate di metallo) che il comparto reattore, altamente contaminato, dovette essere tagliato via e posto in custodia in un deposito per rifiuti nucleari, in attesa di capire come separare il Piombo dall’Uranio. Ci vollero ben nove anni di lavori (e di sicuro una spesa elevatissima)eseguiti presso i cantieri SevMash di Severodinsk prima che il K 123 potesse rientrare in servizio.

19 agosto (nota 1), l’HMS Revenge, sottomarino lanciamissili al servizio di Sua Maestà Britannica ed appartenente alla classe Resolution, subì un danno grave agli ingranaggi di trasmissione all’elica per la presenza i detriti metallici (sabotaggio o negligenza?), come una commissione tecnica appurò. L’unità aveva passato quasi 2 anni e mezzo al porto militare di Rosyth, sottoposto a un programma di profonda revisione del battello. Il sottomarino dovette passare ancora alcuni mesi in porto per riparare i danni.

21 settembre, secondo fonti del Dipartimento della Difesa americano la nave da pesca  Howard M. , mentre era impegnata in una battuta di pesca ai gamberi a largo delle coste dello stato di Washington, nell’Oceano Pacifico, fu trascinata per oltre un miglio e mezzo da un oggetto rimasto intrappolato nelle sue reti, identificato probabilmente in un sottomarino nucleare Sovietico impegnato in una crociera di sorveglianza. Solo il cedimento di un cavo delle reti evitò peggiori conseguenze sia per il peschereccio che per il sottomarino.

28 (nota 2) ancora un incidente durante lavori di manutenzione orinaria per un sottomarino americano, questa volta l’USS Sam Houston (SSN609):  mentre è ancorato nel Puget Sound Naval Shipyard, nello stato di Washington,  subisce una perdita di acqua dell’impianto di raffreddamento, circa 50 galloni (circa 190 litri) di liquido a bassa radioattività. L’incidente irradia in maniera lieve due addetti alla manutenzione, mentre il liquido viene recuperato prima che uscisse dallo scafo del sottomarino. Le autorità si affrettarono a dichiarare che il reattore al momento era spento.

29 novembre (nota 3) l’USS Thomas A. Edison (SSBN 610) venne investito mentre si trovava a quota periscopica dal destroyer USS Leftwich (DD-984) mentre si trovavano nel Mar Cinese Meridionale per esercitazioni antisommergibili. Il battello era in fase di emersione e la nave di superficie non rispettò le distanze previste. Seppure con la torre e i timoni di profondità danneggiati, il battello riemerse e navigò in superficie fino alla base di Subic Bay nelle Filippine, per riparazioni urgenti. Il reattore nucleare venne tenuto sempre sotto controllo e non riportò danni dall’incidente. Poi il battello rientrò a Bremerton (nello stato di Washington) con una penosa  navigazione in superficie di 35 giorni. Il sottomarino venne radiato nel 1983, dopo un breve periodo di servizio, trasformato in sottomarino da attacco (SSN) e non più lanciamissili, per le norme del trattato di riduzione armamenti e vettori SALT 1, ma anche per i danni subiti durante l’incidente che ne compromisero definitivamente l’affidabilità.

12 dicembre è il sottomarino lanciamissili nucleare inglese HMS Spartan finisce nelle reti del peschereccio d’altura Algrie, a largo di Land’s End in Cornovaglia. Al prezzo delle preziose reti, che dovettero essere tagliate, il sottomarino riuscì a liberarsi e a proseguire la navigazione. Ma incidenti del genere potrebbero essere potenzialmente molto pericolosi, qualora rendessero inservibili le superfici di controllo e navigazione.

31 dicembre, ultimo giorno del 1982, l’USS Permit (SSN 594) mentre naviga in superficie entra in collisione con l’USS La Jolla (SSN701) altro sottomarino nucleare della US Navy, che naviga invece in immersione a quota periscopica. L’incidente avviene ad appena 30 miglia dalla città di san Francisco, per fortuna si risolse in danni non gravi per entrambe le unità, per quanto il Permit riportò uno squarcio di alcuni metri sulla parte inferiore dello scafo.

1983

17 febbraio la militarizzazione e l’atomizzazione dello spazio esterno al pianeta ritornò alla ribalta quando i centri spaziali russi persero il controllo di un altro satellite – spia, il Cosmos 1402 (nota 4). Come per altri casi citati nelle precedenti parti, il problema consisteva nell’ampio uso di piccoli reattori nucleari per garantire l’energia elettrica ai sistemi operativi del satellite. Una volta ultimata la vita operativa dello stesso ed esaurito il combustibile nucleare, il reattore doveva essere semplicemente “parcheggiato” su un’orbita superiore ai 500 km dall’atmosfera, in quarantena eterna,  lontano a sufficienza perché la forza di gravità non finisse per risucchiarlo indietro nell’atmosfera. Ma non sempre, come in questo caso, l’ottimismo dei tecnici riuscì ad evitare l’opera sabotatrice del caso, dimostrando quanto sia irresponsabile lanciare delle palle di metallo piene di Uranio o Plutonio sopra le nostre teste…. Come dicevamo, per il Cosmos 1402 sin dall’inizio le cose non andarono per il verso giusto. Lanciato dal territorio sovietico, molto probabilmente dal grande centro aerospaziale di Baikonur, il 23 agosto del 1982, incominciò ben presto a dare problemi ai tecnici sovietici, tanto da programmare il lancio del reattore verso l’orbita “di stoccaggio”. Lì avrebbe dovuto restare per almeno 2000 anni, al sicuro per la salute umana e in attesa del naturale decadimento dell’Uranio U235, presente a bordo in ben 50 chilogrammi. Ma il comando di lancio non funzionò a dovere, così che prima il satellite rientrò a bruciare nell’atmosfera il 23 gennaio, poi fu la volta del reattore con i suoi 50 chili di Uranio a polverizzarsi sopra l’Oceano Atlantico meridionale. Il problema enorme è che nessuno pteva prevedere dove l’Uranio sarebbe caduto, ormai ridotto in pulviscolo finissimo ma ancora radioattivo come lo era quando si presentava in forma di barre combustibili. Avrebbe potuto concentrarsi in un’area particolare della superficie terrestre, come accadde al Cosmos 954, oppure resterà sospeso negli strati alti dell’atmosfera, in balia delle correnti. Il Dipartimento dell’Energia statunitense diede il via ad una ricerca approfondita attraverso l’uso di spettrometri di massa spediti negli strati-limite dell’atmosfera con palloni sonda metereologici. I dati dei micro filtri in carta e delle registrazioni degli spettrometri vennero studiati dall’Enviromental Measurement Laboratory di New York e dal National Bureau of Standards di Gaithersburg: ben oltre un anno dopo il rientro l’Uranio 235 era presente negli strati superiori dell’atmosfera in concentrazioni superiori alla radioattività di fondo naturale. Così come quantità di uranio arricchito U238 chiaramente eccedenti il normale furono evidenziate in almeno uno dei filtri di uno spettrometro. La domanda terribile è come e quando entreranno nella catena alimentare, verranno respirate da esseri viventi o comunque come si concentreranno nell’ambiente queste polveri. Secondo una valutazione fatta dalla Martin Marietta (colosso aerospaziale americano che produceva satelliti e testate nucleari) sulla base di analoghe dispersioni avvenute in precedenza, la quantità di Uranio nel reattore del Cosmos poteva esser sufficiente a causare la morte di almeno 40.000 persone per cancro al polmone, oltre che entrare stabilmente nella catena alimentare attraverso le piogge ed i venti. A trent’anni di distanza esatti, nessuno può dire dove sia quell’Uranio, nemmeno escludere che una parte di esso si trovi ancora nell’atmosfera sopra di noi.

28 aprile  la più grande (e longeva, con i suoi oltre 50 anni di servizio) nave da guerra di tutti i tempi, la portaerei nucleare USS Enterprise (CVN 65) al rientro  dopo una crociera di 8 mesi nel Pacifico, si arenò su alcune rocce all’ingresso del porto di San Francisco. Dopo 5 ore di incessante lavoro, grazie alla marea e a numerosi rimorchiatori intervenuti riuscì a disincagliarsi e a entrare nella baia. Ufficialmente nessuno dei ben 8 reattori che potenziano ancora oggi la nave subì alcun danno dall’impatto. (nota 5)

1 e il 23 giugno In un giorno qualsiasi di questo periodo, a sud della penisola della Kamchatka, un sottomarino a propulsione nucleare classe Charlie I (probabilmente il K 429) appartenente alla Flotta Sovietica del Pacifico, andò a fondo poco dopo aver lasciato la base navale di Petropavlovsk. Secondo fonti dell’ “intelligence” occidentale, l’incidente causò la morte di tutto l’equipaggio (90/100 uomini circa) o almeno della maggior parte di esso. Il battello venne recuperato dai Sovietici nel mese di agosto, essendo adagiato su un fondale di solo 50 metri, mentre le osservazioni della US Navy statunitense sui lavori di recupero assieme a prelievi ambientali effettuati nei pressi del relitto confermarono che non vi era stata alcuna contaminazione. Ancora oggi non sono note le cause dell’incidente, probabilmente un guasto meccanico o un incendio, piuttosto frequenti sui battelli russi. Ironia della sorte, il K 429 andò di nuovo a fondo poco tempo dopo, mentre era ormeggiato in porto, per un errore umano.

19 luglio il rischio di incidente nucleare viene corso dalla USS Texas (CGN 39) (nota 6) incrociatore lanciamissili da crociera classe Virginia, che rimase danneggiata nello scafo sotto alla linea di galleggiamento per l’urto con una banchina, mentre salpava dal porto di Brisbane, in Australia. La nave era spinta da due reattori D2G e armata con missili da crociera Tomahawk , equipaggiabili con testate nucleari. L’incidente rende bene l’idea di quanto sia pericoloso, anche per gli equipaggi più addestrati, manovrare grandi navi con presenza nucleare a bordo, anche in situazioni di pace e relativa calma.

Agosto, in Scozia, vicino alla città di Glasgow, mentre un trasporto della Royal Air Force sta portando due testate per missili Polaris, venne coinvolto in un incidente stradale con una auto. Il mezzo restò danneggiato, ma lo “shelter” corazzato resse e le testate non subirono alcun danno. Dell’incidente non si conosce molto altro, resta lo sconcerto di come alcuni degli oggetti più pericolosi al mondo possano essere esposti a rischi di questo tipo.

18 settembre (nota 7) il sottomarino da attacco inglese HMS Conqueror (S48), appartenente alla classe Churchill, fu vittima di un incendio mentre si trovava in secca in bacino di carenaggio a Devonport, per lavori di aggiornamento. Secondo il report ufficiale, l’incendio fu posto rapidamente sotto controllo e in nessun momento vi è stato rischio per il reattore nucleare. Il Conqueror divenne famoso poiché fu il primo sottomarino nucleare a vedere  un impiego bellico, durante la guerra delle Falkland/Malvinas, avendo silurato il 1 maggio 1982 l’incrociatore argentino General Belgrano. I

31 ottobre un altro contatto ravvicinato fra i grandi contendenti della guerra fredda portò vicino ad una catastrofe ambientale: la fregata della US Navy USS McCloy (FF-1038) (nota 8) mentre trainava a largo delle Bermuda un trasmettitore sonar, perse improvvisamente l’apparecchio. Il giorno dopo un aereo pattugliatore P3C della marina individuò un sottomarino nucleare russo classe Viktor III in superficie, a 282 miglia marine dall’isola di Bermuda, in evidente difficoltà. Secondo fonti ufficiali della marina il sottomarino stava seguendo le esercitazioni per testare le prestazioni dei sistemi antisom americani, quando il traino del McCloy lo ha colpito all’elica. Il 5 novembre una nave appoggio sovietica prese al traino il sottomarino fino al porto cubano di Cienfuegos. L’assenza di radioattività attorno al battello confermò l’ipotesi che per fortuna fu solo il sistema di trasmissione finale della propulsione a restare danneggiato. L’anno si chiude con l’incidente occorso al sottomarino lanciamissili strategici USS Florida (SSBN / SSGN 728).

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Figura 2: la camera di controllo immersione, durante la navigazione subacquea sul sottomarino lanciamissili statunitense USS Florida (SSBN/SSGN 728).

19 dicembre (nota 9). Il sottomarino (figura 2), inizialmente appartenente alla classe Trident, poi trasformato in un classe Ohio armato con 154 missili tattici guidati Tomahawk, restò lievemente danneggiato dalla collisione con un oggetto sommerso mentre navigava nel Long Island Sound, ma fu in grado di raggiungere la base di partenza. Fonti della US Navy non furono in grado di fare ipotesi sulla collisione.

1984

10 gennaio l’US Air Force rischiò di rivivere un incubo da cui era già passata nel settembre del 1980 : questa volta siamo nella Warren Air Force Base, in Wyoming, dove dal 1963 ha sede il 90th Missile Wing (attualmente rinominato 90th Space Wing), con le sue sotto – unità 319th, 320th e 321st Missile Squadron. Ogni  Squadronè responsabile del controllo di 50 silos sotterranei, sparsi su una superficie di centinaia di chilometri quadrati nelle campagne tra gli stati del Wyoming, del Nebraska e del Colorado, ognuno contenente un missile balistico intercontinentale Minuteman III,  per un totale di 150 missili. Ogni gruppo di 10 silos fa capo ad una struttura di controllo lancio, che a sua volta fa riferimento al comando di Squadron, il tutto controllato a sua volta dal comando del 90th Wing, a sua volta sotto il comando del NORAD, il centro di comando strategico di difesa del Nord America. Quel 10 gennaio  tutto sembra procedere come al solito nel turno del personale di controllo: non si può non notare il senso dell’humour dei militari, che hanno dato un nomignolo a ciascuno dei silo sotterranei: basta dare un occhio al sito http://asuwlink.uwyo.edu/~jimkirk/warren-mm.html , che pubblica una foto satellitare di ogni installazione con il suo soprannome. Accanto a dediche a personaggi o luoghi geografici  ci sono anche nomignoli come  Life’s End (fine della vita), Armageddon, Doomsday (giorno del giudizio universale), Pestilence (pestilenza), Worldwide Winter (inverno globale), Starving Children (bambini affamati), Hunts Humans (grossomodo, cacciatore di umani, n.d.r.), Blood and Ashes (sangue e ceneri), Genocide (genocidio), Apocalypse, Agony (agonia), Fire Storm (tempesta di fuoco) e così via…probabilmente è un modo di reagire  al fatto di avere in mano le chiavi della distruzione di massa e di passare buona parte del proprio tempo sottoterra, accanto alle cose più letali che l’uomo abbia mai creato…. dal silo H 10, soprannome “Damned” (dannato, mledetto) al centro di controllo arriva un segnale che il missile Minuteman III custodito nelle sue viscere si sta preparando alla sequenza di lancio. Gli uomini  nel silo H 10 evidentemente non erano responsabili di questa attività non autorizzata, ma comunque il sistema computerizzato indicava chiaramente che la procedura di riscaldamento motori e check-up sistemi era iniziata. Possiamo solo immaginare lo stupore, la crescente ansia dei tecnici e della catena di comando quando fu chiaro che ogni tentativo fatto per esautorare il controllo elettronico risultava inutile, il sistema stava procedendo a un lancio reale, verso un obbiettivo già registrato nella guida elettronica della testata, nel cuore dell’Unione Sovietica. Anche se teoricamente per l’attivazione della testata i cervelli elettronici richiedono il codice di lancio in possesso solo del Presidente, custodito nella cosiddetta ‘valigetta atomica’, la situazione stava diventando così paradossale che nulla poteva esser dato più per scontato, l’impossibile stava accadendo…. Se il portello a prova di esplosione atomica fosse rimasto chiuso, con le sue 110 tonnellate di peso sarebbe stato sufficiente a fermare il missile, intrappolato nel silo. Ma le possibili conseguenze della deflagrazione di migliaia di chili di combustibile ad altissima resa con in cima, come ciliegina sulla torta, una testata termonucleare sono sufficienti a far venire un attacco di cuore…mentre in tutti i modi gli avieri cercavano di strappare il controllo del missile al computer, sull’uscita del silo venne parcheggiato addirittura un mezzo corazzato, a prova dello stato di disperazione totale in cui si trovavano gli uomini dell’USAF. In una maniera o nell’altra i tecnici riuscirono a riprendere il controllo dell’arma. L’incidente fu naturalmente classificato come segreto (avrebbe clamorosamente smentito la spavalda sicumera ufficiale delle autorità sul controllo assoluto delle armi atomiche) per 4 anni, fino a che la cosa arrivò ad un reporter, che con una serie di indagini riuscì a fare ammettere al Dipartimento della Difesa l’accaduto.

15 febbraio l’unità di addestramento armi nucleari – Atlantico della US Navy lancia il codice “ OPREP 3 Navy”  bent spear”, ovvero  nel codice  del pentagono, un incidente che comporti la perdita di un’arma nucleare o di materiale fissile, con contaminazione ambientale. L’incidente sarebbe occorso durante operazioni su una testata W80T (trainer), cioè sulla  versione da addestramento del missile da crociera BGM 109 Tomahawk, con perdita della stessa o di materiale radioattivo. Né le coordinate, la nave o le conseguenze finali dell’incidente sono note. Resta curioso che su una testata da addestramento vi fosse materiale altamente pericoloso come su un ordigno operativo.

12 marzo avviene una collisione notturna fra la portaerei statunitense USS Kitty Hawk (CV 63) (nota 10) ed un sottomarino da attacco nucleare sovietico appartenente alla classe Viktor I, il K 314. La collisione avvenne nel mar del Giappone, a circa 100 miglia nautiche dalle coste nipponiche, mentre la flotta americana procedeva verso il Mar Giallo meridionale, dove avrebbe partecipato all’esercitazione “Team Spirit 84” assieme alla Marina Sud-Coreana. Il sottomarino russo a propulsione nucleare  era stato individuato dalle unità di scorta da molte ore, tanto che le stesse avevano simulato l’aggancio e la distruzione dello stesso almeno una quindicina di volte. Quando però al tallonamento delle unità americane si aggiunsero anche unità di superficie russe provenienti dalla base di Vladivostock, il comandante della Kitty Hawk decise che ne aveva abbastanza ed iniziò una manovra per “seminare” la flotta russa. In quel momento il K 314 stava riemergendo a quota periscopica per localizzare la portaerei americana e riprendere l’inseguimento, ma la sua posizione era troppo a ridosso dell’unità americana, che lo speronò.  Il sottomarino effettuò un’emersione di emergenza e rimase immobile in superficie, privo di controllo, con i segni evidenti della collisione sul ponte. Immediatamente affiancato dall’incrociatore Petropavlovsk, nelle ore successive venne preso al traino da una nave – appoggio e riportato alla sua base di partenza.  La Kitty Hawk subì un danno allo scafo, con danneggiamento di uno dei serbatoi di carburante per aerei, che però non le impedì di proseguire e partecipare alle manovre. In seguito, una volta raggiunta la base di Subic Bay nelle Filippine per  le riparazioni, nella parte prodiera dello scafo venne  trovata incastrata l’intera elica del sottomarino! Inoltre parte del rivestimento antisonar dello stesso era rimasto anche questo attaccato alle paratie della nave americana, a testimonianza della durezza della collisione. La Kitty Hawk aveva propulsori convenzionali, ma sicuramente come tutte le grandi unità aveva diverse decine di armi nucleari destinate ai velivoli imbarcati, mentre il sottomarino russo, oltre il suo reattore  ad alta pressione, aveva almeno 2 siluri a testata nucleare a bordo, come da dotazione standard. Un incidente del tutto simile era avvenuto nel Mediterraneo nell’agosto 1976.

2 aprile successivo il giornale The Glasow Herald pubblicò la notizia secondo cui sul sottomarino lanciamissili a propulsione nucleare USS Sam Rayburn (SSBN 635) al suo rientro da una crociera oceanica nella base scozzese di Holy Loch, sarebbe stato trovata radioattività diffusa su tutto lo scafo (nota 11). La notizia sarebbe stata tenuta riservata dalla US Navy e dalla Royal Navy britannica in quanto sarebbe stato il risultato della collisione in navigazione con un altro sottomarino avvenuta alla fine del 1983, che avrebbe causato una perdita nel sistema di raffreddamento (problema mai del tutto risolto evidentemente), con la conseguente contaminazione del sottomarino e delle acque in cui questo stazionava. La US Navy rispose ufficialmente che la radioattività, tanto lieve da non essere rilevabile con i normali rilevatori Geiger, era dovuta a una leggera perdita nel sistema secondario di raffreddamento. Ma la politica ufficialmente seguita dalla Marina Americana di “non negare, né confermare” altre notizie delicate non fece che aumentare la controversia già aperta da tempo con le comunità attorno alla base.

23 aprile (nota 12): mentre si appresta a lasciare il porto militare di Norfolk, l’anziano battello appoggio USS Kittiwake (ASR 13) investì il sottomarino nucleare d’attacco USS Bergall (SSN 667), provocandone la rottura dell’alloggiamento sonar. Il Kittiwake ebbe l’elica danneggiata e dovette rientrare in bacino per le riparazioni. La causa dell’incidente (che poteva avere conseguenze peggiori) fu individuata in un tragicomico errore di manutenzione da parte del personale della base, per cui i comandi motore della nave appoggio risultarono in posizione invertita: la USS Kittiwake quindi partì macchine indietro invece che in avanti, come l’equipaggio si aspettava… Secondo L’Oxburgh report del 1992 (nota 13).

Immagine-5-una-bomba-termonucleare-tattica-inglese-WE-177-sul-suo-carrello13 maggio (alcune fonti citano il giorno 14) in una non identificata base della RAF in Germania durante il trasferimento di alcuni ordigni nucleari WE177 (figura 3), uno dei contenitori di protezione in cui venivano trasportate cadde dal carrello per un errato aggancio. All’impatto uno degli attrezzi necessari al montaggio e manutenzione dell’arma (attrezzi che erano sistemati all’interno del contenitore assieme alla bomba) si liberò e danneggiò esternamente l’involucro della bomba stessa. Da allora gli attrezzi non vennero più custoditi assieme alle armi nucleari.

11 agosto il sottomarino a propulsione nucleare lanciamissili USS Nathanael Greene (SSBN 636) della classe James Madison  avrebbe perso l’elica mentre è in navigazione nel Mare d’Irlanda (nota 14). Sarebbe poi rientrato alla base scozzese di Holy Loch usando un sistema di propulsione secondario. Non potendo ricevere le riparazioni necessarie e la sostituzione dell’elica, il sottomarino fu trainato fino alla base dei sottomarini di Sua Maestà britannica a Faslane. Qui mentre il battello era in secca nel bacino di carenaggio, 18 agosto fu vittima di un incendio scoppiato nelle attrezzature del bacino. Ma l’incendio venne prontamente domato prima che potesse intaccare il sottomarino. Le fonti ufficiali della marina statunitense e di quella inglese negarono la presenza di armi nucleari sull’unità o la possibilità di rischi corsi dal reattore.

18 settembre successivo fu il giorno nero della flotta sottomarina sovietica e uno dei peggiori per i rischi corsi di incidenti nucleari in mare (vedi fonti generali). Nello stretto di Gibilterra, un sottomarino nucleare classe Viktor I fu gravemente danneggiato nella collisione con la poppa di una petroliera, anch’essa russa. Il sottomarino, secondo una pratica molto usata dai sottomarini, stava sfruttando la scia sonora del grande natante per passare nel Mediterraneo inosservato dai mezzi antisom inglesi e spagnoli, in pattuglia nello stretto. Secondo la rivista specializzata nel settore difesa Jane’s Defense Weekly il sottomarino probabilmente è incappato nello scorrimento fra correnti calde del Mediterraneo e correnti fredde provenienti dall’Atlantico. La corrente più calda, come un enorme fiume, è stata talmente forte da non permettere alcuna correzione da parte dell’equipaggio del sottomarino, che è stato trascinato verso la superficie dalle acque più calde. Il sottomarino ebbe il doppio scafo a prua squarciato, l’alloggiamento del sonar e i tubi di lancio prodieri devastati, tuttavia riuscì a guadagnare l’approdo amico di Hammamet in Tunisia per le riparazioni più urgenti, prima di tornare alla propria base nella penisola di Kola. Lo stesso giorno, nel Mar del Giappone,  mentre sta procedendo a una battuta di pesca al gambero il peschereccio d’altura Sumyoshi Maru intrappolò nelle sue reti un sottomarino lanciamissili nucleari russo classe Golf II. Per più di 3 ore il natante venne trascinato finché il pesante cavo d’acciaio delle reti cedette. Due giorni dopo pattugliatori oceanici di stanza in Giappone individuarono il sottomarino in superficie mentre veniva assistito da altre navi sovietiche, con chiari segni di un incendio a bordo. Con tutta probabilità lo sforzo di liberarsi dalle reti ha causato un sovraccarico nell’impianto elettrico del sottomarino, che è andato in corto circuito. Di seguito, il battello ha ripreso la navigazione rientrando alla base di Petropavlovsk. Lo stesso giorno (anche se per alcune fonti l’incidente sarebbe avvenuto il precedente 18 giugno) sul sottomarino lanciamissili da crociera russo K 131, classe Echo II, si sviluppa un incendio catastrofico nel compartimento numero 8. Un quadro interruttori andò in corto circuito mentre si stavano svolgendo dei lavori di manutenzione, probabilmente per l’inosservanza delle misure di sicurezza. I vestiti di un elettricista presero fuoco e l’incendio si propagò velocemente attraverso le linee elettriche fino al 7°  compartimento. Prima che si riuscisse nello spegnimento, tredici marinai persero la vita. Il rischio di perdere l’unità con il reattore e le armi nucleari a bordo fu concreto.

21 settembre (nota 15) è di nuovo il sottomarino da attacco USS Jacksonville della US Navy protagonista di un incidente: dopo quello del 1982 con un cargo Turco, due anni dopo, mentre sta navigando in superficie nella baia di Norfolk, in Virginia, speronò una grossa chiatta della marina, centrandola quasi perfettamente su una fiancata. La dinamica dell’incidente e le condizioni  metereologi che nella baia in quel momento non sono note.  Tranne alcuni danni superficiali alla prua, anche questa volta il sottomarino fu fortunato. Ma nello sfortunato caso i natanti fossero rimasti incastrati, l’eventuale affondamento della chiatta probabilmente avrebbe trascinato con se anche il sottomarino.

IM88DA~112 novembre quattro attivisti pacifisti appartenenti al gruppo Silo Pruning Hook (da un verso del profeta Isaia che incitava a trasformare le spade in vomeri e le lance in falci) Padre Paul Kabat, il fratello Karl Kabat (anch’egli era un religioso), Larry Cloud Morgan e Helen Woodson (figura 4) riuscirono ad eludere la sorveglianza della U.S. Air Force  attorno al silo sotterraneo N5, contenente un missile intercontinentale Minuteman II, sul territorio della Whiteman Air Force Base, in Missouri. Una volta entrati, danneggiarono la copertura del silo con mazze ferrate ed un martello pneumatico, poi Paul Kabat celebrò la messa con eucarestia e gli assalitori lasciarono un documento con passi della Bibbia e della tradizione dei Nativi americani (a una tribù delle quali apparteneva Larry Cloud Morgan) contro il governo americano, accusato di violare la legge divina ponendo sotto la spada di Damocle nucleare la terra e tutto il creato. Immediatamente dopo furono arrestati dalla polizia militare e consegnati alle autorità del Missouri. Vennero processati da una corte federale con l’accusa di cospirazione contro gli Stati Uniti e per danneggiamento di proprietà pubblica federale. Vennero condannati a pene molto pesanti, tra gli 8 e i 18 anni. Le pene vennero ridotte in seguito  a multe, periodi di libertà vigilata e residenza obbligata, ma non fermarono i membri dall’organizzare altre azioni dimostrative o dal parteciparvi violando le disposizioni dei giudici. Helen Woodson ad esempio fu incarcerata successivamente per ben 27 anni e rilasciata solamente nel 2011. In realtà i movimenti pacifisti nel decennio 1970/1980 avevano intrapreso forme anche più radicali che in passato (sit in, incatenamenti collettivi a cancelli di basi, blocchi stradali), sentendo sempre più la minaccia che la corsa all’atomo militare poneva sull’umanità. Film come “the day after”, sulle terribili conseguenze per l’umanità in caso di guerra nucleare globale, davano voce all’inquietudine delle opinioni pubbliche verso un sistema di distruzione totale, che si sentiva ogni giorno meno sotto il controllo dalla politica e sempre più influenzante gli atteggiamenti e le decisioni dei governanti….

Ma non sono solo pacifisti ed ambientalisti combattivi (altre associazioni nonviolente verso le persone, ma decise a colpire le rami di distruzione di massa, avevano già messo a segno altre azioni di sabotaggio): in realtà sempre più l’atomo militare entrò nelle mire di terroristi. Nel 1983 in Germania tre militanti di un gruppo  vicino a movimenti eversivi di sinistra entrarono in un sito di missili Pershing e cercarono di forzare un bunker dove venivano custodite le testate dei missili per danneggiarle. Mitomani, approfittatori, trafficanti venivano calamitati sempre più da questi oggetti di morte assoluta, tanto che le misure di sicurezza e le procedure di spostamento subirono una drastica revisione restrittiva…. La paura di un caso di “empty quiver (faretra vuota)”, ovvero nel codice del pentagono il furto di un’arma nucleare, diventa sempre più uno scenario realistico.

di Davide Migliore

 

Riferimenti e bibliografia

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intrusione russa sulle coste svedesi, sottomarino K 363

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Gruppi di azione pacifista e sabotaggio delle armi nucleari

Fonti:

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o potenzialmente nucleari dal 1971 ad oggi

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informazioni aggiornate sulla produziione di armamenti, sulle conseguenze mediche e ambientali della produzione di armi, iniziative pacifiste e di eliminazione degli armamenti nucleari.

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blog con liste dei principali pericoli e situazione attuale della strategia atomica

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incidenti navali con vittime durante la Guerra Fredda, registro di fonte U.S.A.

Documenti

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P.L. Olgaard “Nuclear ship accidents, description and analysis”,  Technical University of Denmark, May 1993, DK-2800 Lyngby, Denmark

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Canada’s claim against Soviet Union for compensation of damage caused by Cosmos 954 satellite

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U.S. Department of Defense (D.o.D.), declassified report on Cosmos 954 satellite decay, by Dr. Gus W. Weiss

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State University of Colorado: Rocky Flats Colorado Nuclear Weapons Production Facility 1952 – 1988

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IAEA (International Atomic Energy Agency) Inventory of accidents and losses at sea involving radioactive materials, IAEA – TECDOC  – 1242

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Nuova vita operativa per la vecchia bomba B61

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Nuova vita operativa per la vecchia bomba B61

Pubblicato il 29 febbraio 2016 by redazione

Gli Stati Uniti hanno lanciato un programma da 1000 miliardi di Dollari per aggiornare l’arsenale nucleare, compreso quello tattico schierato in Europa.

 

Immagine di apertura

Caccia F35A Lightning II mostra agganciati nei vani di carico due prototipi della bomba termonucleare B61-12.

 

Il presidente statunitense Barak Obama ha recentemente smentito le voci secondo cui il programma di ammodernamento dell’arsenale nucleare americano attualmente in corso possa subire variazioni o ridimensionamenti, confermando che nei prossimi 30 anni verrà aggiornata la capacità delle armi a disposizione, in modo da renderle pienamente compatibili con gli scenari di impiego attuali e i mezzi di nuova generazione.

Le prime armi a essere oggetto del Life Exstension Program saranno le armi termonucleari tattiche B61 per impiego aereo, le ultime a caduta libera ancora in servizio in numero consistente: già schierate da molti anni in Europa e oggetto del controverso programma di nuclear sharing con le forze armate di alcuni Paesi della NATO, erano considerate come superate nell’era delle cosiddette armi intelligenti, un relitto degli anni del confronto con l’Unione Sovietica e i suoi alleati.

La fine della guerra fredda ha però provocato una frammentazione dei centri di potere e una ripresa delle tensioni politico – economiche tra Paesi e all’interno stesso di molti Stati.

Il nuovo disordine mondiale ha creato anche una ripresa della corsa all’atomo militare: governi ritenuti poco stabili o non affidabili (le vicende di Iran e Nord Corea sono protagoniste della cronaca internazionale) guardano all’arma atomica come un mezzo per accrescere il proprio peso internazionale.

Inoltre in molti Paesi del campo occidentale, che fino a oggi hanno rinunciato a sviluppare programmi atomici aderendo ai trattati internazionali di non proliferazione, si sta timidamente riaprendo il dibattito sulla necessità di dotarsi dell’arma totale.

Non è certo una prospettiva incoraggiante, come osserva la Federation of Atomic Scientists, l’organizzazione di scienziati che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale controlla e informa l’opinione pubblica sulla situazione delle armi nucleari, attraverso la pubblicazione del Bullettin of Atomic Scientist.

Lo scienziato danese Hans Kristensen, che appartiene alla federazionne di scienziati e dirige il Nuclear Research Project, ha sottolineato che il mondo si trova in una situazione di crisi molto pericolosa, la probabilità di una catastrofe nucleare ha raggiunto livelli simili ai momenti più bui della guerra fredda.

Il Doomsday Clock, l’orologio simbolico creato dalla Federazione, segna oggi solo tre minuti prima della mezzanotte, l’ora dello scatenarsi di un conflitto nucleare globale, che cancellerebbe forse ogni forma di vita superiore sul pianeta.

Quindi è stata solo un’illusione che la fine della guerra fredda potesse allontanare il rischio di un conflitto combattuto con le armi di distruzione di massa.

La decisione di rinnovare e adeguare il deterrente nucleare al mutato teatro geopolitico internazionale risponde proprio alla necessità di mantenere il suo potere dissuasivo, secondo la motivazione ufficiale esposta dal governo americano.

Una risoluzione certo amara per l’amministrazione del Presidente Obama, che nel 2009 ha ricevuto il premio Nobel per pace per i suoi sforzi sulla cooperazione internazionale e che aveva firmato nel 2010 con il Primo Ministro russo Dimitry Medvedev il trattato New START di limitazione delle armi nucleari.

Il Presidente russo Vladimir Putin non ha nascosto la sua irritazione per l’avvio questo programma, che aggrava la situazione di stallo già esistente nei rapporti fra i due Paesi, dopo l’espansione della NATO a Est e la missione di assistenza militare nelle Repubbliche Baltiche, (Estonia, Lettonia e Lituania), la cui indipendenza non è mai stata ben digerita da Mosca.

Il disappunto dei russi è stato sottolineato da una massiccia ripresa dei voli a ridosso dello spazio aereo dei Paesi occidentali, in particolare di Gran Bretagna e Norvegia, degli aerei da caccia, da ricognizione e dei bombardieri strategici dell’aviazione della Federazione russa, come non si vedeva dagli anni del confronto diretto con l’URSS.

D’altro canto, la decisa condanna USA dell’ingerenza russa nella crisi ucraina e dell’intervento nel calderone mediorientale a fianco della Siria ufficialmente contro l’ISIS, ma in realtà contro ogni opposizione al presidente Bashar al Assad, hanno aumentato la divergenza fra i governi di Washington e Mosca, riportando a un clima di guerra fredda tra le due superpotenze.

Putin ha fatto riferimenti inquietanti all’uso eventuale delle armi atomiche non solo per reagire a un attacco strategico portato con armi di distruzione di massa, ma per ogni situazione che veda le forze russe sottoposte a una grave minaccia.

Peraltro negli anni scorsi anche la Russia ha annunciato una decisa ripresa degli investimenti nel sistema militare, giustificata come reazione alla aggressiva politica estera occidentale.

In realtà, anche il sistema nucleare russo ha bisogno di essere rinnovato e razionalizzato, dopo anni di stallo negli investimenti.

Anche il governo cinese ha espresso preoccupazione per il programma americano, per quanto a sua volta, sia ancora difficile capire quale sia la reale consistenza dell’arsenale atomico attivo di Pechino.

Gli Stati Uniti continuano però a respingere le accuse di favorire un clima da nuova corsa agli armamenti nucleari, sostenendo che il programma in corso rispetta le linee dettate nei trattati internazionali di non proliferazione e di limitazione degli arsenali a cui ha aderito.

Lo schieramento della versione 12 della bomba B61, ritenuta una arma sostanzialmente nuova, viene considerata da Mosca una grave violazione degli equilibri nucleari nel settore europeo, a cui la Russia non potrà che rispondere, probabilmente con il rischieramento di missili da crociera e altre armi tattiche, per lo più sul Mar Baltico e nel quadrante nord – ovest del territorio russo.

 

La bomba non va in pensione

Immagine 1

Esploso di una bomba termonucleare tattica B61. Anche se si tratta di una foto relativa a una versione precedente, punto di forza della B 61 è la semplicità dell’arma, con numero di componenti base abbastanza standardizzato per tutte le versioni. Il cuore fissile è contenuto nel cilindro metallico, posto a sinistra tra i componenti esposti.

 

Nel corso dei prossimi 5 anni gli Stati Uniti schiereanno la nuova versione B 61–12 dell’ultimo tipo di ordigno termonucleare a caduta libera ancora ampiamente presente negli arsenali areonautici.

Queste armi sostituiranno le versioni B61-7, 10 e 11 attualmente operative e verranno sostanzialmente ottenute modificando armi già esistenti.

Il Pentagono conta di arrivare a ricostruire circa 500 ordigni, dei quali 180 saranno dispiegati direttamente in Europa nelle basi aeree NATO. L’arrivo del nuovo equipaggiamento non interesserà solo le unità di attacco dell’USAF, ma anche le areonautiche di quei Paesi dell’Alleanza Atlantica che da oltre 50 anni praticano il concetto di nuclear sharing, la politica di condivisione di armi nucleari tra gli alleati.

Tale politica, che ha ampliato la deterrenza tattica dello schieramento occidentale, si è rivelata valida verso la minaccia dall’Est durante il confronto della guerra fredda, permettendo ai reparti di punta della NATO di addestrarsi al nuclear strike, mentre le armi formalmente restavano di proprietà statuinitense, continuando a essere assistite dai reparti speciali di manutenzione americani e venendo sottoposte alle rigide regole di impiego stabilite in sede NATO.

L’aggiornamento di questo arsenale ha rilanciato la polemica vivace che divide coloro che sostengono il nuclear sharing e coloro che sottolineano come sia giuridicamente in contrasto con l’adesione dei Paesi NATO al Trattato di non proliferazione (TNP) del 1970, il quale impegna gli stati aderenti non solo a rinunciare a sviluppare propri programmi militari atomici, ma anche a non custodire, gestire e utilizzare armi appartenenti ad altri.

La bomba modello B61 a testata termonuclare all’idrogeno fa parte di una serie di armi concepite tra gli anni ’50 e ’60 per equipaggiare la nuova generazione di velivoli supersonici che stavano entrando in servizio in quegli anni. Venne progettata nel 1963 dai Los Alamos National Laboratory e fu introdotta in servizio nel 1968, frutto di una intensa ricerca nella miniaturizzazione dei dispositivi, in modo da poter essere installate in armi dalle dimensioni contenute, dotate di una aerodinamica esterna idonea al trasporto e allo sgancio a velocità oltre il muro del suono. La sua importanza è stata tale che è rimasta cllassificata come segreta per molti anni, indicata genericamente con i termini carico esterno o pallottola d’argento (le prime versioni avevano finitura in metallo naturale, senza alcuna verniciatura).

Oggi è l’ultima arma nucleare americana a essere permanentemente schierata al di fuori del territorio statunitense.

Nel corso degli anni numerose versioni sono state prodotte e la testata ha è stata sottoposta a continue modifiche per aumentarne la sicurezza e la semplicità di gestione.

Il corpo dell’ordigno è lungo circa 3 metri e mezzo, il diametro è di circa 33 centimetri nel punto di maggior larghezza, per un peso totale attorno ai circa 320 chili, a seconda della versione.

Cuore concettuale dell’arma è la su capacità variable yeld, ovvero la possibilità di decidere la potenza sviluppabile dalla testata agendo sulla quantità di materiale fissile coinvolto nella reazione fissione-fusione, sul tipo di generatore di neutroni e sul sistema elettronico di innesco, quindi un ordigno dotato di notevole flessibilità di impiego.

La potenza esplosiva della versione B61-11, attualmente la più diffusa in servizio, può variare da 0,3 fino a 80 kilotoni, cioè da 300 a 80mila tonnellate di tritolo, con quattro diverse opzioni di potenza, selezionabili direttamente al momento del montaggio dell’arma sul velivolo lanciatore.

L’arma è stata prodotta in nove versioni diverse, talvolta con paracadute – freno e sistemi di ritardo di innesco. Il campo proncipale di impiego è contro concentrazioni di truppe, depositi, centri di comando avanzati situati in fortificazioni o altro tipo di sito protetto.

La capacità bunker buster per colpire bersagli pesantemente protetti e ground piercing di penetrazione al suolo è quella principalmente sviluppata nella nuova versione B61-12 in quanto più adatta alle necessità di impiego moderne ed è questo che ha determinato la decisione di modernizzarne il sistema d’arma.

 

Immagine 2

Diagramma della nuova B61 – 12. con indicazione delle parti e degli apparati aggiornati.

 

La versione 11 è già dotata di una ogiva rinforzata, tale da agevolare una penetrazione di circa 6-8 metri in un terreno di media durezza, ma le B 61-12 sono state pensate per migliorare questa prestazione e per indirizzare maggiormente la forza d’urto dell’esplosione nucleare verso il sottosuolo.

La tecnologia costruttiva di bunker sotterranei negli anni ha raggiunto un livello molto elevato. Spesso tali edifici si sviluppano per più piani, totalmente interrati, costruiti nel cuore di montagne, per aggiungere ulteriore capacità di resistenza in caso di attacco con armi nucleari. Anche il Centro di Comando strategico statunitense, il famoso NORAD, è costruito sotto il massiccio della Cheyenne Mountain in Colorado.

L’uso di armi capaci di un basso margine di errore può limitare, secondo i calcoli dei tecnici, i danni collaterali a strutture eventualmente vicine e alle popolazioni, contenendo (sempre teoricamente) il fallout radioattivo nell’aria.

A conferma della migliorata precisione dell’arma, la potenza massima della versione B61-12 non supererà i 50 kilotoni.

Tali rassicurazioni non possono essere del tutto soddisfacenti, perchè dipendono moltissimo dalla caratteristche del suolo dove l’arma viene impiegata.

Inoltre, se il bunker da colpire non si trovasse in una zona isolata, ma sotto una città densamente popolata?

Quello che preoccupa non solo il governo russo, ma in generale gli esperti è che la bomba B 61-12 avrà la capacità di colpire entro il raggio di 30 metri dall’epicentro dell’obbiettivo, rispetto ai 100 metri della versione 11, come hanno evidenziato i test di sviluppo eseguiti nel poligono Tonopah Test Range in Nevada.

L’aumento della capacità di precisione dell’arma è alla base di buona parte delle critiche contro il programma: le modifiche infatti sono mirate a renderla, di fatto, una guided bomb, un’arma controllabile a distanza.

La Boeing, impresa a cui è stato affidato lo sviluppo della versione, ha dotato il corpo della bomba di superfici di coda mobili e di un nuovo sistema informatico, capace di scambiare informazioni non solo coi sistemi dell’aereo lanciatore, ma anche di ottenere dati in tempo reale sull’area del bersaglio da colpire da satelliti. Questo vuol dire che l’arma potrà essere sganciata tenendo l’aereo lontano dal bersaglio, anche oltre 100 chilometri, al sicuro dalla prossibile intercettazione avversaria. Una volta che avrà acquisito definitivamente il bersaglio, guidata dal computer e dai sistemi radar installati, si dirigerà autonomamente verso l’obbiettivo.

 

La nuova tentazione di usare la ‘bomba’

Di fatto la B61-12 è passata dalla categoria delle iron bombs o stupid bombs, del tutto prive di guida, per passare appieno a quella delle smart bomb, le armi intelligenti, con tutta una serie di potenziali conseguenze.

Queste armi rischiano di sfuggire alla precisa classificazione a cui sono sottoposte dai trattati di limitazione internazionali, quindi anche la certezza del conteggio delle testate a disposizione può essere messo in discussione, con il risultato di rendere meno trasparente la situazione, accrescere la diffidenza reciproca fra gli Stati e mettere in pericolo la credibilità dei trattati stessi.

L’amministrazione americana subito dopo la firma del trattato New START nel 2010 aveva ribadito, sia con dichiarazioni dirette del Presidente Obama, sia con quelle contenute nel Nuclear Posture Review Report, l’impegno degli Stati Uniti a non sviluppare nuovi tipi di testate nucleari oppure nuove capacità per le armi già prodotte, limitando nei programmi di estensione della vita operativa (Life Exstension Programs, LEP) l’uso di componenti basati su progetti già esistenti.

Tuttavia, anche quando la testata di guerra resti sostanzialmente la stessa delle prime versioni, se l’arma viene resa controllabile dopo lo sgancio, la capacità di penetrazione del bersaglio viene aumentata, allora senza alcun dubbio siamo in presenza di nuove capacità militari.

Quindi nel caso della B61-12 ci si troverà davanti all’introduzione di un’arma sostanzialmente diversa e nuova: questa è l’accusa, che sembra basata su solidi argomenti, mossa da molte parti al programma, con buona pace delle dichiarazioni della National Nuclear Security Administration.

Già nel 2011 la Federation of Atomic Scientists aveva inviato una lettera preoccupata alla Presidenza degli Stati Uniti e al Segretrario alla Difesa per sottolineare i rischi di destabilizzazione legati ai programmi di aggiornamento della B61 e delle altre armi nucleari.

Il governo americano però non ha mai risposto.

Alcune riflessioni fatte durante una conferenza stampa dal generale Norton Schwartz, capo di stato maggiore dell’areonautica statunitense, hanno aggiunto un ulteriore motivo di preoccupazione. Schwartz ha ammesso che avere a disposizione un’arma di relativamente basso impatto ambientale e elevata precisione può cambiare il modo in cui i politici e i comandanti militari considerino il ricorso all’arma atomica, rendendolo più appetibile che in passato.

Specie in teatri di guerra circoscritti, dove le situazioni sul campo possono divenire molto complesse, il ricorso ad una arma estremamente potente e dotata di precisione chiurgica potrebbe colpire al cuore la capacità organizzativa dell’avversario, evitando prolungati e rischiosi interventi sul campo.

D’altro canto, i programmi di update sono preziose occasioni di lavoro sia per i laboratori di ricerca e sviluppo (come il Sandia National Laboratory o il Los Alamos National Laboratory), sia per i grandi colossi dell’industria aerospaziale.

L’arma è stata infatti pensata per equipaggiare i cacciabombardieri di quinta generazione, in primis il Lockheed- Martin F 35A Lightning II, che sarà in dotazione a molti paesi della Nato e i cui test di sviluppo da parte dell’USAF proseguono a pieno ritmo.

Intanto, sarà già resa operativa, per quanto con minore efficienza, sui mezzi già in linea, quali i Panavia Tornado IDS per Germania e Italia, gli F 16 Fighting Falcon per Olanda, Belgio e Turchia. Oltre 700 milioni di dollari sono già stati stanziati dal D.oD. (Department of Defence, Dipartimento della Difesa USA) nel triennio dal 2014 al 2017 per sviluppare il software degli aerei, le strutture delle basi destinate a custodire le armi (Weapons Storage and Security System, WS3), per aggiornare la preparazione di piloti e personale di terra.

Per l’areonautica americana, l’arma sarà utilizzabile sia dagli F16C/D (nella base di Aviano, in Friuli, ad esempio, sugli aerei del 31st Fighter Wing), dagli F15E Strike Eagle, dai venerandi B52H Stratofortress, dai B1B Lancer e dai B2A Spirit, mentre la US Navy adeguerà i propri F/A 18 Super Hornet imbarcati sulle portaerei.

Secondo la Federation of Atomic Scientists, alcune foto satellitari mostrano che i lavori sono già iniziati, a partire dalla base della Luftwaffe di Buchel in Germania, dove andranno venti di questi nuovi ordigni.

Una quantità uguale verrà stoccata in ciascuna delle basi di Volkel in Olanda, Kleine Brogel in Belgio, Ghedi-Torre in Italia, mentre ad Adana-Incirlik in Turchia andranno 50 ordigni.

L’Italia resterà il Paese con più testate di tutta l’Alleanza Atlantica: se contiamo che alla base di Aviano andranno circa 50/70 bombe, sommate alle 20 destinate a Ghedi avremo un totale di 70/90 armi termonucleari.

di Davide Migliore

 

Linkografia:

Le lancette del Doomsday Clock vanno avanti

https://it.wikipedia.org/wiki/B61

https://it.wikipedia.org/wiki/Condivisione_nucleare

https://www.youtube.com/watch?v=FBm74WiCL1g

http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/01/20/news/ecco-la-nuova-bomba-h-che-arrivera-in-italia-1.247276?refresh_ce

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/armi-nucleari-segrete-italia-1215307.html

http://www.webalice.it/imc2004/files_arms/nuclear/B-61.htm

http://www.difesaonline.it/mondo-militare/difesa-nato-gli-usa-inviano-20-nuove-bombe-nucleari-germania-italia-dalle-30-alle-50

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/obama-e-i-mille-miliardi-dollari-nuovo-arsenale-nucleare-1214785.html

http://nukewatch.org/B61.html

http://www.globalresearch.ca/o-k-per-logiva-nucleare-b61-12-andra-ad-aviano/5466784?print=1

http://www.pddnet.com/news/2015/05/photos-day-mock-b61-12-nuclear-bomb-tested

http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/07/01/news/ecco-le-bombe-nucleari-di-brescia-1.171372
http://www.globalresearch.ca/in-italia-bombe-nucleari-a-potenza-variabile/5501986

http://www.wired.it/attualita/tech/2016/01/12/armi-nucleari-usa-miniatura/

http://nnsa.energy.gov/mediaroom/pressreleases/b61-b61-12-lep-life-extension-program-snl-lanl-sandia-national-laboratory

http://fas.org/blogs/security/2016/01/b61-12_earth-penetration/

https://www.whitehouse.gov/the-press-office/statement-president-barack-obama-release-nuclear-posture-review

http://www.defense.gov/Portals/1/features/defenseReviews/NPR/2010_Nuclear_Posture_Review_Report.pdf

https://luisspersenzatomica.wordpress.com/2015/03/23/intervista-hans-m-kristensen-presidente-nuclear-information-project-federazione-degli-scienziati-americani/comment-page-1/

http://thebulletin.org/press-release/doomsday-clock-hands-remain-unchanged-despite-iran-deal-and-paris-talks9122

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Tzar bomb, il più potente ordigno termonucleare generato dalla Guerra Fredda

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Tzar bomb, il più potente ordigno termonucleare generato dalla Guerra Fredda

Pubblicato il 24 ottobre 2015 by redazione

Immagine di apertura
L’esplosione della bomba Tsar, ripresa da un punto di osservazione ad alcune centinaia di chilometri di distanza.

 

 

Sono le 8.32 del mattino del 30 Ottobre 1961: nella baia di Mitjushika, braccio del Mar Artico che separa l’arcipelago di Novaja Zemlja, Terra Nuova in lingua russa, dalla costa russa il gelo che avvolge per buona parte dell’anno queste lande inospitali in un milionesimo di secondo viene sostituito da un inferno di calore e vento rovente che non ha precedenti sulla Terra.

E’ l’effetto del più terrificante esperimento nucleare militare. L’Unione Sovietica ha fatto esplodere la bomba Tzar, l’ordigno termonucleare più potente mai costruito.

Da quel momento fu chiaramente dimostrato che non vi è alcun limite alla potenza raggiungibile dalle armi atomiche. Sopratutto, rese evidente, per la prima volta dall’inizio dell’era atomica, che una guerra nucleare non può avere né vinti, né vincitori, ma solo vittime.

La corsa alla bomba

La realizzazione della bomba Tzar, come venne soprannominata in via non ufficiale, avvenne in uno dei momenti più difficili di quel periodo storico conosciuto come la Guerra Fredda, in cui il mondo era sostanzialmente diviso in due blocchi contrapposti, dominati dalle due più grandi potenze militari e economiche, gli Stati Uniti d’America e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

Il confronto era iniziato al termine del Secondo Conflitto Mondiale, che le aveva viste alleate, facendo temere l’inizio di una nuova e ancor più terribile guerra planetaria.

Dopo la morte di Josif Stalin nacque la speranza che il dialogo e la comprensione fra i Paesi appartenenti al blocco comunista e quelli appartenenti all’area occidentale fossero possibili.

Nel 1959 Nikita Sergeevič Chruščëv, il nuovo segretario generale del Partito Comunista sovietico intraprese una serie di viaggi in Occidente, che lo portarono anche negli U.S.A., ospite del presidente Dwight Eisenhower.

I sogni di distensione e di pace però furono interrotti bruscamente da una serie di incidenti internazionali. L’abbattimento sopra l’Unione Sovietica di un aereo spia Lockheed U2 e la cattura del pilota, il maggiore americano Gary Powers, aprì un nuovo teso confronto fra le due superpotenze. La notte del 13 agosto 1961 venne iniziata la costruzione del tristemente famoso muro di Berlino, che avrebbe diviso la città tedesca e i suoi abitanti tra settori sotto influenza sovietica e settori occidentali fino al 1989, divenendo il simbolo più forte della Guerra Fredda.

E’ in questo clima di diffidenza reciproca che il governo sovietico decise un’azione dimostrativa nei confronti degli occidentali, ma anche della vicina Cina comunista di Mao, con la quale i rapporti diplomatici si erano interrotti nel 1960.

Il 10 luglio 1961 il segretario generale sovietico Chruščëv, appoggiato dall’estabilishment militare, presentò al politburo il programma Grande Ivan, che prevedeva la costruzione di un ordigno termonucleare di potenza inaudita, fino a 100 megatoni, ovvero l’quivalente di cento milioni di tonnellate di tritolo.

Il 9 agosto 1961, sedicesimo anniversario del bombardamento nucleare di Nagasaky, Chruščëv colse altrettanto di sorpresa l’opinione pubblica e i governi di tutto il mondo annunciando che l’URSS avrebbe realizzato e sperimentato l’ordigno entro la fine di quell’anno, suscitando lo sdegno dei pacifisti e dividendo la comunità scientifica internazionale fra chi sosteneva la realizzabilità dell’arma e chi non ne era affatto convinto.

Tutti però erano uniti dalla paura degli effetti collaterali di un’esplosione così grande: il fall out di materiale radioattivo sarebbe stato immenso, teoricamente nessun angolo del pianeta sarebbe stato al sicuro dalla ricaduta di materiale altamente radioattivo, tipico delle armi all’idrogeno.

Immagine 1
Andrej Dmitrevic Sakharov.

 

Altrettanti dubbi affliggevano i fisici chiamati a studiare l’ordigno.

A capo dell’equipe, che riuniva alcuni dei nomi più prestigiosi dell’Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica (tra i quali vi erano, Juli Borisovich Khaliton, Victor Adamskii, Yuri Babaev, Yuri Smirnov, Yuri Trutnev, Viktor Davidenko) fu chiamato Andrej Dmitrevic Sakharov, considerato tra i padri della bomba all’Idrogeno russa. Nella città segreta di Arzamas 16 (oggi Sarov), uno dei tanti centri in cui veniva portata avanti la ricerca militare russa, Sakharov e gli altri scienziati lavorarono freneticamente sui calcoli matematici.

Quando Sakharov all’inizio di Ottobre potè tornare a Mosca per presentare i risultati, nemmeno lui si sentiva però sicuro di riuscire a controllare la reazione nucleare, mentre Evsej Rabinovich era apertamente convinto che il programma si sarebbe risolto in un fiasco.

Pochi anni prima si era verificato un incidente molto inquietante. Il 1 Marzo 1954 sull’atollo di Bikini nell’Oceano Pacifico, durante il test americano denominato Castle Bravo, un errore di calcolo provocò un’esplosione molto più potente, che irradiò un’area più vasta di quella prevista. Gli atolli di Rongrik e Rongelap nelle isole Marshall furono evacuati di urgenza e le popolazioni locali, nonostante le assicurazioni dei militari, non poterono più farvi ritorno.

Tracce della radioattività immessa in atmosfera raggiunsero anche l’Australia, il Giappone, l’India, l’Europa e gli Stati Uniti sulla costa occidentale. Anche un peschereccio giapponese d’altura venne ricoperto dal vapore acqueo radioattivo e un membro dell’equipaggio morì per avvelenamento da radiazioni.

In ogni caso, le posizioni a favore o contrarie all’esperimento si basavano su ipotesi e statistiche, per cui nessuna delle due poteva essere sostenuta da dati scientificamente certi.

Tuttavia il programma non poteva essere più fermato, l’Unione Sovietica aveva lanciato la sfida e aveva gli occhi di tutto il mondo puntati addosso. In una fabbrica militare segreta i tecnici stavano realizzando i sistemi operativi complessi dell’arma, sulla base dei risultati dei calcoli che man mano giungevano dagli scienziati al lavoro a Arzamas 16. Nel momento in cui Sakharov giunse nella capitale russa con la relazione finale, l’arma, registrata nell’arsenale sovietico con la sigla RDS 220, era già pronta al 90%.

L’unico punto sui cui Sakharov riuscì a spuntarla sulla volontà dei dirigenti sovietici, fu il depotenziamento della bomba a 50 megatoni grazie all’eliminazione di uno dei tre stadi della testata, che permise di abbattere del 97% le emissioni di radionuclidi pesanti.

Così che l’ordigno risultò in effetti relativamente pulito rispetto all’inquinamento radioattivo che avrebbe potuto provocare, per quanto comunque da solo ne produsse una quantità pari al 25% di quello prodotto dalle due esplosioni avvenute su Hiroshima e Nagasaky nella Seconda Guerra Mondiale.

Il 24 Ottobre la relazione finale venne messa a disposizione dei vertici politici sovietici e dei tecnici costruttori della bomba, che ultimarono l’ordigno a soli 6 giorni dalla data prevista del test.

Il morso della belva

L’arma venne progettata secondo lo schema Teller – Ulam, dal nome dei fisici Edward Teller e Stanislaw Ulam che avevano messo a punto il primo ordigno all’idrogeno. La bomba era concepita con due stadi a fissione nucleare e uno a fusione: il primo stadio è costituito da una bomba atomica a fissione classica a base di Uranio 238, che viene posizionata con uno scudo fatto dello stesso metallo, per indirizzare verso l’interno la reazione a catena. Nello scudo è anche contenuto il deuterio di Litio, una molecola contenente l’Idrogeno in forma solida, responsabile dell’innesco della seconda reazione di fusione nucleare e delle temperature elevatissime, che possono arrivare a venti milioni di gradi.

Al centro di tutto il dispositivo è posizionato un altro cilindro, cavo al suo interno, costituito da Plutonio 239, protetto da schiume particolari che, iniettate nel corpo della bomba, raggiungono ogni anfratto separando i componenti fissili.

I raggi X generati dalla prima reazione di fissione riscaldano il nucleo. La pressione della detonazione comprime il deuterio di Litio, mentre anche nella canna centrale di Plutonio inizia la seconda reazione di fissione.

L’emissione in grande quantità di neutroni e radiazioni innesca a sua volta la fusione vera e propria, che si unisce e potenzia le reazioni di fissione iniziali, permettendo così di raggiungere potenze dell’ordine di megatoni. L’intero processo ha una durata stimata di 600 nanosecondi.

Nella bomba preparata per il test, lo stadio esterno del mantello di Uranio 238 venne sostituito con uno in Piombo, così da rallentare la fusione e permettere di abbattere la potenza massima raggiungibile.

Nella notte tra il 29 e il 30 Ottobre, una volta confermato il via libera al test, l’arma venne portata in un areoporto militare, nel più stretto segreto. Il laboratorio in cui fu assemblata venne smantellato e il vagone ferroviario su cui si trovava inserito in un anonimo convoglio merci.

La bomba aveva dimensioni veramente impressionanti. Raggiungeva gli 8 metri di lunghezza e oltre 2 metri di diametro, nel suo punto di maggior larghezza.

Immagine 2
Una copia inerte della RDS 220 è oggi esposta al Museo russo dell’Atomo, a Mosca.

 

Nel suo aspetto esteriore l’areodinamica richiamava quella classica di una bomba a caduta libera, ma le numerose antenne dei sistemi di rilevazione dati e controllo, oltre che le dimensioni eccezionali, ne rivelavano la natura del tutto particolare. Il peso totale dell’arma superava le 27 tonnellate.

Gli avieri la agganciarono alla stiva di un bombardiere strategico quadriturbina Tupolev Tu 95, uno dei modelli più diffusi nell’arsenale sovietico e l’unico in grado di sollevare l’enorme ordigno. In ogni caso, il velivolo dovette essere modificato asportando i portelloni della stiva bombe principale e smontando parte dei serbatoi della fusoliera.

Ad accompagnare l’aereo lanciatore vi era un altro bombardiere a reazione Tupolev 16, modificato come punto di osservazione volante, riempito di telecamere, sensori e registratori di dati.

Entrambi i velivoli erano dipinti sulle superfici inferiori con una speciale vernice termoriflettente bianca lucida, simile a quella usata dall’aviazione statunitense sui bombardieri nucleari, per minimizzare il rischio che i velivoli fossero incendiati dalla potente onda di calore.

Ai comandi del Tu 95 vi era il maggiore Andrei E. Durnotsev, uno dei piloti con maggior esperienza su quel velivolo.

Alle 11.32, secondo il fuso orario di Mosca, in perfetto orario di marcia, la coppia di aerei raggiunse la verticale sopra l’isola maggiore dell’arcipelago di Novaja Zemlja, a una quota di circa 10.000 metri. Le isole sin dai primi anni cinquanta erano diventate uno dei principali poligoni nucleari sovietici, per la loro distanza da centri abitati e perchè praticamente disabitate e inospitali, fatta salva la guarnigione di tecnici e militari coinvolti negli esperimenti.

Il controllo missione diede il segnale e la bomba venne sganciata, mentre i velivoli effettuavano una secca virata di disimpegno per allontanarsi dall’epicentro dell’esplosione.

Un temporizzatore fece aprire un paracadute freno che rallentò e stabilizzò la caduta, dando ulteriore tempo agli aerei di portarsi in zona sicura. Dopo una discesa di 3 minuti e 13 secondi, a 4.000 metri dal suolo, gli altimetri automatici azionarono i detonatori.

Un lampo di luce potentissimo, che avrebbe accecato chiunque non avesse indossato occhiali protettivi, fu avvistato fino a 1000 chilometri, seguito da una palla di fuoco di ben 8 chilometri di diametro. In pochi istanti l’enorme sfera, nel cui centro era stata raggiunta la temperatura di venti milioni di gradi centigradi, raggiunse il suolo, poi si diresse rapidissima verso l’alto, arrivando a 64 chilometri di altezza, dove si stabilizzò nella tipica forma del fungo atomico.

Fu calcolato che circa 80 milioni di tonnellate di roccia e ghiaccio vennero disintegrate, risucchiate nella fornace nucleare, per poi ricadere sotto forma di polvere radioattiva.

Mentre la sfera infuocata saliva verso gli strati estremi dell’atmosfera, le nuvole attorno all’esplosione si ritirarono, vaporizzate, con un effetto simile agli anelli che si formano quando si lancia un oggetto su uno specchio d’acqua ferma.

Uno degli osservatori raccontò di essere rimasto abbagliato a lungo e di avere sentito un calore insopportabile sulle parti di pelle non protette, nonostante si trovasse a 270 chilometri dall’esplosione.

I dati registrati furono terrificanti: nel raggio di 32 chilometri dal punto della detonazione tutta la superficie dell’isola fu incenerita, aprendo un cratere largo quasi 2 chilometri e profondo in media 75 metri.

Immagine 3
Schema comparativo tra esplosioni termonucleari, secondo la dimensione dell’esplosione.

 

La pressione dell’onda d’urto raggiunse i 21 BAR, cioè 21 volte la pressione atmosferica a livello del mare, sei volte quella provocata dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaky, sufficienti a scarnificare vivo chiunque si trovasse sulla sua strada. Sull’isola di Severnji a 55 chilometri dall’epicentro tutti gli edifici vennero rasi al suolo, ma si registrarono danni a tetti e imposte fino in Finlandia orientale e in Norvegia.

La successiva ondata di calore sarebbe stata in grado di provocare ustioni di terzo grado fino a 100 chilometri.

L’onda di energia si propagò anche nel sottosuolo e la vibrazione fece il giro del mondo per tre volte prima di dissolversi. L’US Geological Survey americano valutò l’effetto sismico tra i 5 e i 5,25 gradi di magnitudo, nonostante l’esplosione fosse avvenuta in atmosfera.

Un altro osservatore descrisse l’eco dell’esplosione come un rumore profondo e crescente, quasi che la Terra fosse stata uccisa e stesse esalando l’ultimo respiro…

Pochi istanti dopo il lampo atomico, il maggiore Durnotsev ebbe giusto il tempo di comunicare al controllo missione sulla penisola di Kola, il successo del test, prima che il fortissimo effetto EMP, cioè l’impulso elettromagnetico generato dalla reazione nucleare, interrompesse ogni comunicazione.

Solo dopo un silenzio durato 40 lunghissimi minuti il collegamento potè essere ristabilito e Mosca ebbe la conferma del successo dell’esperimento.

Il maggiore Durnotsev al suo ritorno venne promosso sul campo tenente colonnello e proclamato Eroe dell’Unione Sovietica, la massima delle onorificenze.

Curiosamente, i russi non furono gli unici a osservare l’esplosione e i suoi effetti, anche gli statunitensi raccolsero dati importanti.

Grazie alla inusuale pubblicità data all’evento, gli americani avevano avuto il tempo di lanciare l’operzione Speedlight. Una cisterna volante Boeing KC 135 dell’USAF venne estesamente modificata nella base aerea di Wright – Patterson come centro di raccolta dati volante, in modo simile a quanto i russi avevano fatto con il loro Tupolev 16.

L’aereo fu pronto il 27 Ottobre, così che tre giorni dopo orecchie e occhi elettronici indiscreti poterono registrare dati preziosi sull’esplosione, volando comunque a debita distanza dallo spazio aereo russo e dal mostro nucleare.

Immagine 4
Un bombardiere Tupolev Tu 95 dell’aviazione sovietica.

 

 

Niente può essere come prima

L’apocalisse scatenata su Novaja Zemlja lasciò conseguenze in molte persone, a partire dallo stesso Andrei Sakharov. Lo scienziato russo aveva concluso la relazione preparatoria del progetto Grande Ivan con questa frase : «Un risultato positivo del test apre la possibilità di creare un dispositivo di potenza praticamente illimitata.»

Facendo parte della più alta nomenklatura sovietica, sicuramente ebbe modo di vedere il film propagandistico di circa 25 minuti, creato col montaggio delle immagini riprese durante il test e riservato alla classe dirigente del Paese. Le immagini probabilmente contribuirono a provocare nello scienziato un ripensamento sul suo lavoro per il sistema militare sovietico.

Nel 1963 il segretario generale Nikita Chruščëv annunciò ufficialmente che la RD 220 era pronta per la produzione di serie e stava per entrare a far parte dell’arsenale sovietico.

Poco dopo quei fatti, Sakharov iniziò a impegnarsi contro la proliferazione degli armamenti nucleari, il che ne provocò l’allontanamento dai progetti militari, l’emarginazione dagli ambienti scientifici ufficiali, fino all’arresto avvenuto nel 1980 per attività contro lo Stato e la condanna al confino in Siberia.

La sua lotta nonostante le persecuzioni subite gli valsero il premio Nobel per la pace nel 1975.

Nel resto del mondo, l’esperienza della bomba Tsar contribuì a diffondere l’opinione che la strada del riarmo nucleare fosse in realtà un vicolo senza uscita, una follia che avrebbe condotto l’umanità al suicidio: il movimento internazionale pacifista ne fece uno dei simboli più significativi dell’impegno contro le armi nucleari.

In realtà, la bomba Tsar ebbe sin dall’inizio soli scopi propagandistici, servì a dismostrare che l’URSS poteva arrivare a qualsiasi risultato volesse raggiungere.

Proprio in quegli anni la ricerca militare su entrambi i lati della cortina di ferro si stava concentrando sui missili balistici intercontinentali e sulle testate multiple, che puntava sulla miniaturizzazione dei componenti bellici.

L’esatto contrario della RD 220, che era enorme, pesante, aveva bisogno della guida dell’uomo per arrivare sul bersaglio. Insomma concettualmente apparteneva già al passato.

Alla bomba Tsar probabilmente almeno un merito può essere riconosciuto: nel 1963 l’URSS, sottoscrisse il trattato internazionale che metteva al bando gli esperimenti nucleari in atmosfera e nello spazio esterno, il primo vero trattato di limitazione alla corsa agli armamenti su cui formò il consenso della maggioranza dei Paesi del mondo.

di Davide Migliore

 

Linkografia

https://it.wikipedia.org/wiki/Bomba_Zar

http://nuclearweaponarchive.org/Russia/TsarBomba.html

https://www.youtube.com/watch?v=Xk8g9M0Anac

http://www.tsarbomba.org/

https://it.wikipedia.org/wiki/Bomba_all’idrogeno#Bombe_di_tipo_Teller-Ulam

http://nuclearweaponarchive.org/Russia/TsarBomba.html

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La lunga evoluzione dei Droni, i famigerati UAV della storia

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La lunga evoluzione dei Droni, i famigerati UAV della storia

Pubblicato il 20 novembre 2013 by redazione

Sin dalle origini un uso  prevalente militare e strategico

La storia dei velivoli a controllo remoto (in inglese Remote Piloted Vehicles, RPV o conosciuti anche come UAV, Unmanned Arieal Vehicles, velivoli senza pilota) è vecchia almeno quanto quella del volo umano: da quando sono stati realizzati i primi oggetti volanti più pesanti dell’aria, quasi contemporaneamente si è iniziato a pensare a come controllarli a distanza. E come spesso accade nella storia dell’uomo, il loro primo impiego è stato militare. Il primato nell’utilizzo di mezzi aerei controllati spetta all’esercito Austro-Ungarico che impiegò alcuni  palloni aerostatici lanciati dalla nave Vulcano per colpire Venezia durante l’assedio del 1849, senza esporsi al fuoco dei cannoni della difesa. Nel momento in cui il vento soffiava verso la città, i palloni pieni di aria calda venivano liberati. Ciascun pallone trasportava una carica esplosiva e era controllato attraverso un sistema di funi. Raggiunta la verticale, attraverso un lungo filo di rame collegato a batterie galvaniche incendiavano il pallone che cadeva, o per meglio dire, sarebbe dovuto cadere con il suo ordigno sui veneziani: il primo uso di veicoli remoti e di bombardamento terroristico dall’aria. Ma i venti capricciosi delle lagune riportarono sulle truppe austriache buona parte dei palloni causando quasi una tragedia fra gli austriaci.

Immagine 1

Disegno tecnico dell’Aerial Target, costruito nella Royal Aircraft Factory.

I primi esempi seri di studio di veicoli volanti teleguidati nacquero però durante la prima guerra mondiale, con l’impiego diretto dei primi aerei e della radio, invenzioni di recentissima realizzazione. Il professor Archibald Low, eclettico ingegnere arruolato come capitano nei Royal Flying Corps, con una squadra di 30 tecnici mise a punto il progetto “Aerial Target” (AT), bersaglio aereo: il primo velivolo a motore con testata bellica e sistema di pilotaggio attuato via impulsi radio, in realtà portava questo nome per sviare le attenzioni dello spionaggio tedesco. Il 21 marzo e il  6 luglio 1917 dimostrò di fronte a molti alti ufficiali alleati la validità delle sue teorie, nonostante l’arretratezza della tecnologia dell’epoca, portando in volo un piccolo monoplano, con pattini al posto del carrello,  lanciato da una catapulta ad aria compressa. Entrambi i voli si risolsero con la caduta dei velivoli per guai vari, ma il concetto era dimostrato. La fine del conflitto fece anche venire meno l’interesse per  il progetto.

1917 circa, una rara fotografia di un prototipo dell’Aerial Target in un hangar del Royal Fliyng Corps.

1917 circa, una rara fotografia di un prototipo dell’Aerial Target in un hangar del Royal Fliyng Corps.

Ma orecchie attente oltremare avevano colto il messaggio. Negli Stati Uniti Elmer Sperry, fondatore della Sperry Giroscope Company, già nei primi anni  del secolo, dopo il volo di Wilbur e Orville Wright sulla spiaggia di Kitty Hawk aveva progettato sistemi di giroscopi  per stabilizzare il volo , altimetri e attuatori meccanici comandati via radio da terra, per realizzare siluri e bombe volanti da proporre all’U.S. Army. Fu più interessata la marina americana, preoccupata dalla minaccia dei primi U-Boot tedeschi. Assieme alla indirti Curtiss disegnò la Curtiss-Sperry Flying Bomb. Nel 1917 gli Stati Uniti entrarono nel conflitto e l’interesse della marina crebbe. Dopo una serie di lanci falliti per problemi aerodinamici, gli esperimenti continuarono su 6 idrovolanti Curtiss N9 forniti dalla marina. Il 17 ottobre 1917 un N9 dotato di sistemi di controllo Sperry venne lanciato da una catapulta disegnata dall’ingegnere Carl Norden (padre del primo calcolatore di puntamento e sgancio bombe adottato su tutti i bombardieri americani durante la seconda guerra mondiale).

Ripreso su una catapulta a rotaia, uno velivolo sperimentale radiocomandato “Sperry Flying Torpedo” della US navy.

Ripreso su una catapulta a rotaia, uno velivolo sperimentale radiocomandato “Sperry Flying Torpedo” della US navy.

Era previsto un volo di 13 chilometri ed un ammaraggio, ma dopo alcune evoluzioni l’aereo uscì dal raggio d’azione dei segnali radio, si allontanò dalla Bayshore Air Station e si perse nell’Atlantico. L’armistizio dell’11 novembre 1918 pose termine ai finanziamenti. La marina acquisì il progetto, che continuò a fasi alterne, fino all’abbandono negli anni 20. Solo alla fine degli anni 30, l’avvicinarsi del secondo conflitto mondiale e i progressi fatti da altre nazioni riaprirono le ricerche americane nel campo degli aerei teleguidati.

Lo sviluppo delle armi teleguidate

In Germania l’apparato militare continuò gli studi strategici sulle esperienze della prima guerra mondiale e promosse la ricerca scientifica sui sistemi di teleguida prima in incognito, per le ristrettezze economiche e le imposizioni del trattato di Versailles, poi apertamente con il riarmo Hitleriano. I tedeschi si avviarono sul filone delle telearmi lanciabili da terra, da navi, sganciabili da bombardieri: quindi svilupparono  per primi il filone dei “droni da attacco”. Ad esempio,  la Ruhrstal 1400X, conosciuta come Fritz X : si trattava di una bomba perforante con superfici telecomandate via impulsi radio a onde ultracorte costruita attorno ad una bomba convenzionale SC250, con capacità accresciuta  a 1.400 chili. Il sistema di comando sull’aereo madre consisteva di una impugnatura a cloche collegata a dei sensori di direzione: praticamente l’antenato del joystick moderno. La sua vittima più celebre fu la corazzata Roma della Regia Marina italiana, affondata tra il golfo dell’Asinara e le bocche di Bonifacio il 9 settembre 1943, mentre navigava assieme alla IX Divisione navale verso Malta per consegnarsi agli alleati, secondo le clausole dell’armistizio di Cassibile. Due telearmi lanciate da bimotori Dornier 217K che volavano a quota ben superiore al raggio di azione delle batterie antiaeree, perforarono i ponti corazzati, una centrò la santabarbara con precisione millimetrica causando l’esplosione della nave. Perirono 1.352 marinai. Era stata provata l’efficacia del radio controllo su oggetti capaci di una qualche portanza, quindi velivoli veri e propri. In realtà sia per limitazioni strategiche nell’uso volute da Hitler stesso, sia per deficienze nella tecnologia, le vittime furono poche lungo la guerra e l’ultimo utilizzo della Frtiz X fu contro i ponti sul Reno nel 1945 per impedirne la cattura da parte degli alleati.

Un fotogramma di un raro filmato della seconda guerra mondiale immortala il lancio di prova di un’arma teleguidata HS 293 da un bombardiere Heinkel 111 H6. Ancora pochi istanti e l’accensione del razzo propulsore renderà il velivolo comodamente controllabile dall’operatore d’arma sull’aereo madre.

Un fotogramma di un raro filmato della seconda guerra mondiale immortala il lancio di prova di un’arma teleguidata HS 293 da un bombardiere Heinkel 111 H6. Ancora pochi istanti e l’accensione del razzo propulsore renderà il velivolo comodamente controllabile dall’operatore d’arma sull’aereo madre.

Ancora più vicino all’idea che abbiamo oggi di velivolo radiocomandato fu la Henschel 293/294, dotata di un motore a razzo Walter 705, era radiocomandata dall’aereo lanciatore o da altro velivolo accompagnatore. Il raggio di azione era di ben 11 chilometri, fu l’antesignana dei missili guidati di oggi. Avrebbe dovuto equipaggiare estesamente i reparti antinave della Luftwaffe, ma la sua efficacia trovò grandi limiti nella tecnologia di radio controllo e nelle tattiche di combattimento. Interessò soprattutto gli alleati, che la studiarono e la sperimentarono a fondo dopo la fine della guerra: gli ingegneri tedeschi infatti avevano tentato lo sviluppo di versioni con guida acustica o addirittura televisiva. La sua struttura era simile alle V1, una delle “armi della vendetta” di Hitler e antenata dei missili da crociera attuali, i famosi Cruise, capace di lunghe navigazioni, fino a colpire l’obbiettivo a cui è stata indirizzata. Anche della Fieseler Fi 103, come tecnicamente si chiamava la V1, era stata ipotizzata una versione radioguidabile, ma i limiti delle possibilità tecnologiche del tempo ne resero obbligato lo sviluppo come arma autopilotata da un sistema di giroscopi e reostati autonomi. Nel pulsoreattore, una via di mezzo fra il turboreattore ed il razzo, la miscela carburante – ossigeno arriva nella camera di combustione non arriva in continuità a singoli getti sotto comando di valvole. Ne deriva che il motore produce un rumore che ricorda il ronzio cupo di un calabrone. Da cui il nomignolo drone, che in inglese indica l’esemplare maschio dell’ape. In realtà, altre fonti indicano l’origine di tale nomignolo nel rumore lamentoso dei piccoli motori a scoppio, impiegati  sui primi modelli di inizio secolo. Comunque, furono gli americani, impressionati dalle ricerche tedesche, a realizzare il progetto più interessante degli anni ‘40. La Swod Mk 9 Bat (pipistrello) fu impiegata alla fine del conflitto nel Pacifico. Di fatto era un piccolo aliante che veniva sganciato da un aereo madre, la cui guida era, in gergo tecnico, semiattiva. Ovvero per parte della discesa verso il bersaglio era controllata da un operatore sull’aereo madre, fino a che un piccolo radar nel muso del velivolo, vera originalità del progetto, agganciava il bersaglio e guidava l’arma fino all’impatto. Utilizzato fin ai primi anni 50, non fu particolarmente efficiente perché il radar veniva spesso ingannato dal profilo del suolo, ma fu utilissima per affinare I sistemi di doppio controllo remoto.

Un pattugliatore Consolidated PB4Y-2 Privateer della U.S. Navy in atterraggio su una base nel Pacifico mostra due velivoli da attacco teleguidati Bat appesi sotto le ali.

Un pattugliatore Consolidated PB4Y-2 Privateer della U.S. Navy in atterraggio su una base nel Pacifico mostra due velivoli da attacco teleguidati Bat appesi sotto le ali.

Bersagli per l’artiglieria

In Inghilterra dopo il primo conflitto mondiale si preferì accantonare l’esperienza sui velivoli teleguidati da attacco (o telearmi) per tornare a concentrarsi sui velivoli telecomandati per l’addestramento al tiro di artiglieri e mitraglieri, attività fondamentale ma particolarmente rischiosa: anche se I bersagli venivano trainati da una certa distanza e gli aerei erano dipinti con livree molto visibili, spesso si verificavano incidenti gravi. Il progresso nella riduzione delle dimensioni dei circuiti nei radio controlli permisero di sviluppare aerei totalmente controllati da terra, con ingombri contenuti e sistemi abbastanza facilmente trasportabili. In particolare, venne estesamente utilizzata una versione del biplano da addestramento De Havilland Tiger Moth, chiamata DH 28 Queen Bee (ape regina), acquistato da Royal Air Force e Royal Navy in 380 esemplari fin quasi all’inizio della seconda guerra mondiale. La manovrabilità dei velivoli e la relativa sicurezza dei sistemi radio permetteva un addestramento realistico dei militari, e gli aerei finalmente decollavano ed atterravano regolarmente in modalità telecomandata.

Inghilterra, metà degli anni ’30. Militari della Royal Air Force guidano un bersaglio volante “Queen Bee” a pochi metri dal suolo.

Inghilterra, metà degli anni ’30. Militari della Royal Air Force guidano un bersaglio volante “Queen Bee” a pochi metri dal suolo.

Negli Stati Uniti, lungo gli anni ’20 e ’30 la fine del primo conflitto mondiale e la grande crisi economica del 1929 di fatto limitarono l’interesse delle forze armate per I velivoli radiocomandati. A ravvivare l’interesse per queste tecnologie fu senza dubbio l’opera di Reginald Denny, anche lui inglese e reduce dei Royal Flying Corps della prima guerra mondiale. Emigrato negli Stati Uniti per cercar fortuna come attore, la trovò senza dubbio nella sua vecchia passione per i sistemi di controllo radio a distanza. Dapprima aprì un negozio dedicato ai primi appassionati di aeromodellismo dinamico, poi fondò la Radioplane Company, che proponeva bersagli guidati per le forze armate. I suoi sforzi si concretizzarono negli anni immediatamente prima del secondo conflitto mondiale, quando l’America si stava preparando a una guerra ormai  da molti considerata inevitabile, nonostante l’isolazionismo diffuso nella pubblica opinione. Il governo americano aveva deciso di dividere per sigle I velivoli a guida remota: posto che la lettera Q sarebbe stata presente nel codice di qualsiasi aereo non pilotato direttamente dall’uomo, OQ sarebbero stati i velivoli teleguidati puri, utilizzati per l’addestramento al tiro antiaereo o per gli operatori radar, come il piccolo aereo OQ 2, che Reginald Denny costruì per le forze armate americane in 15.000 esemplari e che di fatto era un modello in scala di un normale monoplano leggero da turismo. PQ avrebbe indicato velivoli che era possibile pilotare sia in maniera convenzionale, sia a distanza con radioriceventi e attuatori meccanici. La sigla AQ sarebbe stata riservata ai droni da attacco, come lo Swod Mk 9 Bat che abbiamo visto prima. Una definizione di ruoli e, di conseguenza, di linee di sviluppo delle macchine che ha sostanzialmente retto fino ad oggi nel panorama internazionale. Dopo la seconda guerra mondiale, il vertiginoso progresso nell’elettronica e nell’ingegneria aeronautica ha permesso di creare droni in questo settore appartenenti a tutte le categorie, da quelli più simili a un modellino di aereo, ai veri e propri aviogetti propulsi da motori a reazione e capaci di prestazioni simili a un jet da combattimento. Diecine di modelli e centinaia di sottoversioni, con costi di acquisizione e gestione sempre più convenienti, che si sono succeduti in servizio nelle forze armate di moltissimi Paesi.

La guerra fredda e il ruolo “Sigint”, fino ai ruoli di combattimento attivo odierni.

Gli anni della guerra fredda videro l’ampliamento dell’uso dei droni anche nella ricerca aeronautica e nella sperimentazione di volo. Numerosi degli X plane statunitensi, ad esempio, sviluppati  assieme alla NASA per la ricerca sul volo ad altissima velocità e quota sono telecomandati. Tuttavia è l’abbattimento il 1 giugno 1960 di un aereo spia  Lockheed U2 e la cattura del pilota Gary Powers, ex militare dell’USAF arruolato nella CIA, a segnare un passaggio fondamentale. Il blocco sovietico aveva sistemi radar e telearmi (il missile antiaereo radar guidato SA2 Guideline) di efficienza impensabile e tutto rendeva prevedibile che ne stesse sviluppando parecchi altri. Sistemi d’arma tanto efficienti da rendere insicuro l’uso dei velivoli convenzionali per ricognizione strategica e….spionaggio vero e proprio. Lo sviluppo di un drone con queste capacità si rese al quel punto necessario: del resto anche dall’altra parte della cortina di ferro stanno facendo le stesse esperienze e le stesse riflessioni. La guerra del Vietnam e l’impegno nel sud est asiatico servirono come insostituibile campo di prova per l’ampliamento dei ruoli affidati ai velivoli senza pilota. L’industria statunitense Teledyne Ryan, specializzata nella produzione di drone da ricerca o bersagli volanti, sviluppò dall’AQM 34 Firebee (in inglese ape di fuoco…di nuovo gli insetti protagonisti) tutta una famiglia di velivoli lanciabili da terra o sganciabili dalle ali di un aereo madre, di solito un aereo da trasporto Lockheed DC 130 Hercules, con compiti di ricognizione strategica o di guerra elettronica (Signal Intelligence): questi velivoli difatti erano riempiti di apparecchiature per analizzare e disturbare le emissioni radio e radar del nemico, oppure per effettuare ricognizioni fotografiche. Il primo ciclo di queste missioni delicate fu svolto sulla Cina nel 1964, con ottimi risultati, ma anche con la perdita per abbattimento o avaria di numerosi esemplari. Così vennero sviluppate versioni via via più performanti. L’impegno americano nel conflitto del Vietnam vide un esteso uso degli UAV sul territorio Nordvietnamita e sul quello contiguo cinese. Tra il 1965 ed il 1973 USAF e US Navy svolsero oltre 34.000 ore di volo con i loro Ryan Firebee, portati a uno stadio sempre più avanzato e in grado di compiere missioni con le stesse prestazioni di un moderno jet da combattimento, anzi addirittura superiori. Alla fine del conflitto  l’AQM 34 e il velivolo trisonico Lockheed SR 71 erano gli unici aerei americani a poter violare lo spazio aereo comunista praticamente indisturbati.

In una foto dei primi anni 70, un Teledyne Ryan AQM 34 Firebee viene sganciato dall’ala di un DC 130 Hercules per iniziare un’altra missione di ricognizione profonda sul Vietnam del Nord.

In una foto dei primi anni 70, un Teledyne Ryan AQM 34 Firebee viene sganciato dall’ala di un DC 130 Hercules per iniziare un’altra missione di ricognizione profonda sul Vietnam del Nord.

Una sala di pilotaggio per RPV in una base militare americana. Da qui si possono condurre azioni di guerra potenzialmente su  tutta la superficie terrestre, senza alcun pericolo per i piloti.

Una sala di pilotaggio per RPV in una base militare americana. Da qui si possono condurre azioni di guerra potenzialmente su tutta la superficie terrestre, senza alcun pericolo per i piloti.

Le pesantissime perdite subite dalle forze aeree statunitensi, in termini di aerei abbattuti e di uomini uccisi o catturati in quasi dieci anni di combattimenti, raffrontati con le prestazioni sempre più spinte dei drone e i dati di perdite in continua diminuzione fecero sorgere spontanea a Washington la considerazione di affidare ai velivoli senza pilota anche una parte delle missioni di combattimento, dotandoli di armamenti e sistemi di puntamento adatti. Se contiamo che proprio durante quel conflitto apparvero per la prima volta le armi stand-off ad alta precisione, quali le Paveway a guida laser e le GBU 15 a guida televisiva, l’idea ha portato fino alle generazioni attuali di drone, impegnati estesamente nei conflitti cosiddetti “a bassa intensità”, contro un bersaglio sfuggente come il terrorismo internazionale: dopo l’11 settembre 2001 fu chiaro che gli scenari di un conflitto armato, nell’ambito della globalizzazione, erano del tutto cambiati. I drone odierni, con tutta la loro dotazione di apparati elettronici, la loro flessibilità di uso e la loro economicità di gestione, costituiscono sistemi d’arma competitivi contro le attività di guerriglia, come sperimentato in Iraq e Afghanistan. Per la prima volta, un pilota, seduto in una stanza a migliaia di chilometri dal velivolo che sta pilotando, con a sua disposizione le stesse avanzate strumentazioni di controllo (anche satellitare) che potrebbe avere su un jet da guerra e le armi di precisione più letali degli arsenali moderni, può colpire praticamente chiunque e dovunque sul globo terrestre. Un drone come il Global Hawk può volare ininterrottamente per più di 30 ore, il che addirittura permette di avvicendare nella missione più piloti che potranno godere così di turni di riposo. L’immensa capacità bellica, con un minimo carico, raggiunta da questi aerei però pone anche questioni di tipo morale e relative anche alle leggi di guerra internazionali. Ad esempio, un uomo che vede l’azione a cui sta partecipando, ma senza esserne coinvolto fisicamente, potrebbe esser tentato ad eccedere nell’uso del potere di distruzione che ha a disposizione? La sua posizione psicologica può portarlo spersonalizzare il suo ruolo, come se avesse a che fare semplicemente con un qualche tipo di gioco elettronico. Ed inoltre, il fatto che questi velivoli siano gestiti talvolta direttamente da agenzie governative non militari come la CIA (che può ordinarne l’impiego in azioni di precisione per l’uccisione di capi terroristici) come si pone circa la responsabilità nei frequenti “danni collaterali”, cioè la morte o il ferimento accidentale di persone estranee coinvolte in queste operazioni di controguerriglia? O nel caso vengano adoperati da governi senza troppi scrupoli? Il drone può essere il mezzo perfetto per compiere azioni al di fuori delle leggi internazionali minimizzando la possibilità di essere scoperti perché spesso si agisce in zone remote di un territorio. Molte organizzazioni umanitarie stanno denunciando le migliaia di vittime che questo tipo di operazioni militari stanno provocando. Ma non c’è solo la guerra in Afghanistan: lo stato di Israele è diventato uno dei primi produttori al mondo di drone ad uso militare, che utilizza esso stesso nelle azioni contro le milizie armate che lo tengono sotto assedio. E i drone oramai non sono più solo aerei: esistono ormai veicoli a controllo remoto anche terrestri e subacquei, costituiscono uno dei campi maggiormente in espansione per le aziende che producono mezzi in questo campo.

di Davide Migliore

 

Linkografia:

http://it.wikipedia.org/wiki/Aeromobile_a_pilotaggio_remoto

http://en.wikipedia.org/wiki/History_of_unmanned_aerial_vehicles

Pagine Wikipedia in italiano e inglese dedicate ai velivoli a pilotaggio remoto o automatico.

http://en.wikipedia.org/wiki/Archibald_Low

Archibald Montogomery Low, pioniere del telecontrollo dei velivoli.

http://temi.repubblica.it/limes/breve-storia-dei-droni/48678

Articolo di Alfredo Roma sulla rivista Limes, edizione online, 9.07.2013.

https://sites.google.com/site/uavuni/1910-s

Sito dedicato al mondo degli UAV-RPV.

http://flyingmachines.ru

Sito con archivio fotografico degli albori della rivoluzione aeronautica.

http://www.ausairpower.net/WW2-PGMs.html

http://www.ctie.monash.edu.au/hargrave/rpav_germany_hr.html

Siti tecnici con storia dei droni da attacco e delle “smart bomb”.

http://laguerradeidroni.it/

http://www.imerica.it/

Giovanni Colloni, Nicolas Lozito, Patricia Ventimiglia, Federico Petroni, sito ed e-book (gratuito) curati da quattro giovani ricercatori italiani.

http://ngm.nationalgeographic.com/2013/03/unmanned-flight/horgan-text

“Unmanned flight”, the National Geographic Society, march 2013.

http://gnosis.aisi.gov.it/Gnosis/Rivista20.nsf/servnavig/23

“Con  I droni ed iI soldato digitale”, di Guido Olimpio, Gnosis Online, rivista italiana di intelligence, n. 3/2009.

http://www.rivistastudio.com/editoriali/politica-societa/guerra-playstation-droni/

“Ma i droni sognano civili elettrici’: la sindrome da playstation tra i piloti di velivoli a controllo remoto, articolo di Pietro Minto su Studio 9.

Bibliografia:

“Mach 1 – enciclopedia dell’aeronautica”, Volume 3°, p. 270 – 274 “aerei senza pilota”

EDIPEM Novara 1978, Copyright of Orbish Publishing Ltd, London.

Clashes, Air Combat Over North Vietnam 1965-1972.

Michael Marshall III, Naval Institute Press,1997. ISBN 978-1-59114-519-6

History of Radio-Controlled Aircraft and Guided Missiles

Delmer S. Fahrney (R. Admiral retired, U.S. Navy).

Robot Warriors. The Top Secret History of the Pilotless Plane

Hugh McDaid, Oliver David, Orion Media, 1997.

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Burt Rutan

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Burt Rutan

Pubblicato il 15 febbraio 2013 by redazione

Burt_Rutan1° parte

Elbert Leander Rutan, per gli amici ed estimatori, semplicemente Burt: un nome abbastanza anonimo per uno degli ingengneri areonautici più eclettici e prolifici della storia.

Nato il 17 giugno 1943 nello stato americano dell’Oregon, ad Estacada, pochi chilometri da Portland, cresce in California, a Dinuba, dove sin da piccolo si appassiona a veivoli aerei.

Pare che già a 10 anni disegnasse macchine volanti e, nel 1959, a soli 16 anni riuscì persino a prendere il brevetto di volo. Naturalmente si iscrisse alla facoltà di ingegneria aeronautica alla California Polytechnich State University, da cui brillantemente uscì laureato nel 1965, terzo di tutto il suo corso.

Forse sarà stato il fatto di esser nato nello stesso giorno in cui un altro genio dell’aeronautica, Clarence “Kelly” Johnson fondava gli “shunk works”, i laboratori segreti dell’industria Lockheed, fucina di progetti ed esperienze rivoluzionarie sia in campo militare sia civile, a partire dai bollenti giorni della Seconda Guerra Mondiale fino a quelli degli anni della guerra fredda.

O forse fu la fortuna di crescere in uno degli stati più effervescenti della ricerca aeronautica e sede di alcune tra le maggiori industrie del “più pesante dell’aria” di tutto il mondo.

Fino al 1972 lavorò per l’aeronautica Statunitense, la U.S. Air Force, nella Edwards Air Force Base, dove tutta la sua ecletticità e il suo modo controcorrente di pensare aerei e materiali ebbe la possibilità di svilupparsi al massimo. Venne, infatti, coinvolto assieme alla compagnia  Ling-Temco-Vought nello sviluppo dell’XC142, una velivolo VSTOL, ovvero Vertical Short Take Off and Landing, cioè un aereo che, grazie all’ala rotante sul proprio asse, poteva rapidamente divenire simile a un elicottero, permettendo l’atterraggio e il decollo in verticale, in uno spazio di pochi metri. In realtà le difficoltà tecniche portarono all’abbandono del progetto, che rinacque però anni dopo e portò alla realizzazione del V22 Osprey, attualmente in linea con le forze armate statunitensi.

L’esperienza su progetti del genere non fecero che aumentare la convinzione che si potessero progettare macchine volanti usando materiali e formule ben diverse dai “canoni classici” che si insegnavano nelle facoltà universitarie o si seguivano nelle industrie aerospaziali.

Conclusa l’esperienza con l’USAF, assunse fino al 1974 la carica di responsabile collaudi per la Bede Aircraft in Kansas, dove maturò anche la decisione di mettersi in proprio e investire nelle idee che stava sviluppando. Si trasferisce così nel bel mezzo del deserto del Mojave, dove fonda la Rutan Aircraft Factory, assieme ad alcuni altri ‘pazzi visionari’.

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Il Rutan VariEze nella galleria del vento del centro di ricerca aeronautica della Nasa a Langley.

Model 27VariViggen

La prima realizzazione fu il Rutan Model 27VariViggen: già nell’aspetto questo piccolo velivolo manifestava tutto l’approccio alternativo della progettazione Rutan. Nato già negli anni successivi all’università, il primo prototipo (ispirato al caccia supersonico svedese SAAB J 37 Viggen) iniziò ad essere assemblato nel garage di casa Rutan nel 1968, nel più classico stile ‘do it yourself’ americano, ma Burt ci stava lavorando sin dal 1963, mentre studiava ancora ingegneria.

L’idea era di fornire al mercato un velivolo semplice da diporto, facile da costruire e mantenere, dalle prestazioni estremamente avanzate. Rutan credeva nell’idea di un’aviazione per tutti, una “motorizzazione” dell’aria facile ed economica.

Lungo solo 5,12 metri, con un’apertura alare di 5,79 metri, per una superficie di soli 11,40 metri quadri e un peso di 772 chili in ordine di volo, questo biposto era sostenuto da un piccolo motore a scoppio Lycoming, con elica spingente: praticamente un’alternativa all’auto, “parcheggiabile agevolmente nel garage di una casa di periferia”. Il motore era posizionato in fusoliera dietro all’abitacolo e non davanti come si è soliti vedere… questa scelta implicava però la rinuncia ai comandi classici di coda, timoni di direzione e profondità sdoppiati, per far posto all’elica e in parte compresi nell’ala a delta, ovvero dal disegno in pianta che ricorda la metà di un triangolo. Parte sono invece posti in un’aletta davanti all’abitacolo, secondo una soluzione detta ‘Canard’ (anatra in francese) oggi piuttosto comune anche nei velivoli militari ad alte prestazioni, ma allora… questo rendeva un aereo sicuro per il turismo e il diporto, difficile da far entrare in stallo (cioè perdere la portanza, il sostegno del flusso di aria che spinge verso l’alto il velivolo) e nelle cadute a vite, le più pericolose. Ma soprattutto sono i materiali: esteso l’uso del legno ma soprattutto delle fibre di vetro. Rutan sin da allora ha sempre mostrato fiducia nei materiali alternativi, una visione lungimirante come vedremo in seguito.

Il prototipo del VariViggen oggi è conservato nel Ventura Air Museum. Ne furono costruiti solo 5 esemplari, ma il VariEze da cui fu sviluppato venne estesamente costruito e venduto fin al 1985, anche come kit montabile in casa.

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Un esemplare di Model 33 VariEze in volo mostra le dimensioni compatte e le linee anticonvenzionali del progetto di Burt Rutan.

Model 33 VariEze

Lo stesso Rutan dimostrò le possibilità della sua formula impegna dosi con il Model 33 VariEze, evoluzione del VariViggen in produzione dal 1976,  a polverizzare vari record , tra cui quello stabilito al raduno areonautico di Oshkosh, con una distanza coperta di ben 2.636 chilometri di volo! E con un consumo di carburante irrisorio, meno di un’automobile… Niente male per un aereo appartenente alla classe di peso inferiore ai 500 chili… il pilota Gary Hertzler vinse con un VariEze il premio CAFE (Challenge Aircraft Efficiency Prize) per la sicurezza. In effetti, di tutte le varianti del variEze (seguito dal più grande Long-Eze) furono costruiti più di 2000 esemplari, venduti in tutto il mondo addirittura in scatola di montaggio … gli incidenti registrati per questo velivolo, tra il 1976 e il 2005, furono solo 130, 46 dei quali con vittime, a fronte di un incalcolabile monte di ore di volo. Praticamente molto più sicuro di una qualsiasi automobile utilitaria. Al 2005 risultavano solo negli States ancora 800 VariEze iscritti al registro areonautico e in condizioni di volo. Per un piccolo produttore indipendente è assolutamente un miracolo.

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Il Model 54 Quickie e le sue evoluzioni hanno segnato forse il vero primo successo dell’industria fondata da Burt Rutan e delle sue convinzioni. Nella foto, un biposto Quickie Q2 ripreso ad Arlington nel 2003.

Model 54 Quickie

Altrettanto fece il Model 54 Quickie: piccolo aereo da turismo, propulso da un motore bicilindrico raffreddato ad aria della Onan Industries, da appena 18 cavalli, con una struttura timoni-ali a x, che richiamava più un caccia interstellare appena uscito da Guerre Stellari che un normale velivolo da  diporto. Addirittura ne fu studiata una versione che poteva montare un motore da automobile Wolkswagen !!! Nato nel 1977 sull’onda del successo del VariEze, segnò la definitva affermazione delle idee di Burt Rutan e della sua impresa commerciale. Alla fine della produzione, più di 3000 kit di Quickie.

Nel 1982 Burt Rutan fonda la Scaled Composites

Altra genialità di Rutan fu proprio di puntare decisamente su “scatole di montaggio”, come i modellini in scala, contenendo così il costo del velivolo e della produzione, dimostrando anche che qualsiasi cliente era in grado di costruirsi un aereo in garage o in un prato davanti a casa. Non c’è bisogno di essere degli ingegneri!

Nella sua azienda-abitazione nel deserto del Mojave questo tipico ragazzo americano continuava a sfornare idee e progetti senza soluzione di continuità. Ma soprattutto è nella chimica e nella fisica dei materiali, nell’immensamente piccolo, che Rutan cercava i segreti per poter viaggiare sempre meglio nell’“immensamente grande”.

Nel 1982 si sentì abbastanza pronto per fondare la Scaled Composites, azienda che  attualmente costituisce ancora il cuore delle imprese di Burt Rutan.

Il concetto è semplice: se voglio creare aerei e strutture alternative, c’è bisogno di materiali altrettanto anticonvenzionali. Allora perché non crearmeli da solo? Simbolo di quella ingenuità e genialità, che talvolta contraddistingue le imprese americane, Burt Rutan decise di creare un luogo dove si creassero gli aerei dal nulla: progettare, sperimentare il materiale e la struttura, costruire e testare il prototipo, infine iniziare la produzione. Tutto all’insegna della ricerca, del risparmio di materie prime e peso, per un risultato di massime prestazioni.

Nella compagnia sarebbero stati presenti tutti i profili di professionalità necessari: ingegneri, operai, chimici, piloti, tutti animati dalla fede nel realizzare l’impossibile. E il mondo aveva iniziato a credere  nelle capacità di quel simpatico geniaccio californiano, compreso il governo  americano e quegli stessi militari con cui Rutan aveva iniziato il suo percorso.

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Il prototipo dell’assaltatore “ARES” con un’accattivante colorazione notturna.

Infatti alla Rutan Aircraft Factory prima e alla Scaled Composites poi, viene chiesto di partecipare ad un concorso del ministero della difesa per un piccolo jet da osservazione e attacco al suolo, per cui Rutan ed i suoi progettisti creano l’ARES, un monoplano monomotore dalle prestazioni assolutamente incredibili per  la fine degli anni ‘80. Il progetto non venne poi più sviluppato, ma il prototipo dell’ARES continua ad essere impiegato per testare soluzioni e c’è stato anche più di un interessamento per produrlo come una “fuoriserie dell’aria”, per clienti amanti delle alte prestazioni.

Viene anche ricordato per esser stato impiegato in alcuni film di avventura e fantascienza. Ma anche i grandi colossi come la Northrop Grumman commissionano progetti a Burt Rutan: ad esempio l’aereo-spia senza pilota (drone in gergo areonautico) X47A.

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L’aereo spia senza pilota X47A progettato per la Northrop Industries.

In ogni caso, il principale campo di ricerca per Rutan resta quello dei materiali ultraleggeri, le strutture originali da impiegarvi, e il loro utilizzo nel campo civile, anche se le commesse militari rimangono sempre una tentazione, per una piccola compagnia che punta il tutto per tutto sulla ricerca.

Ultralite, una show-car progettata da General Motors  e realizzata da Rutan.

La riprova di quanto Rutan e la sua compagnia siano andati avanti nella ricerca e nell’applicazione dei materiali cosiddetti alternativi, arriva con Ultralite, una show-car progettata da General Motors  e realizzata da Rutan.

Struttura completamente realizzata in grafite e in pannelli in fibra di carbonio alternata a PVC, per una leggerezza e una robustezza inimmaginabili, che usa le classiche lamiere in metallo, oltre che il comfort interno molto maggiore per gli spazi così risparmiati e la visibilità esterna assolutamente non confrontabile con altre berline ordinarie: la leggerezza e la duttilità di questi materiali permettono di aumentare del 50% le superfici trasparenti (realizzate anch’esse in materiali di sintesi). Consumi ridicoli e durata eccezionale dei materiali (che non arrugginiscono…), purtroppo altre politiche industriali e altri calcoli di costo produttivo non hanno permesso all’epoca di sviluppare questo concept vehicle, che però ha fatto scuola tra le altre industrie internazionali dell’automobile. In futuro potrebbe divenire una realtà, sotto la spinta dei costi sempre più pesanti delle materie prime e di smaltimento dei veicoli convenzionali…

Voyager

Tra aerei da trasporto, sperimentali, jet executive e altre centinaia di progetti partoriti dalla sua mente vulcanica e visionaria, Burt Rutan ha sempre continuato a credere che la sfida ai record fosse il modo migliore (oltre che il più eccitante) di dimostrare  agli altri la validità del suo inimitabile “design”.

Da parecchi anni stava pensando ad un’impresa pazzesca: la traversata della Terra in un solo volo, senza scali e senza alcun rifornimento. Una cosa da epoca dei pionieri del volo, ma non certo nel pieno dell’era dei satelliti e degli aviogetti. Tuttavia era qualcosa che non era mai stato tentato prima, una cosa da storia dell’aviazione, e della scienza. Come un tarlo ormai gli aveva  scavato nella mente e nel cuore.

Dick, fratello di Burt, ex pilota militare (la passione del volo è un punto in comune nella famiglia Rutan) e veterano del Viet-Nam, da tempo pilota capo collaudatore alla Rutan Aircraft Factory,  fu subito della partita, nutrendo la più grande fiducia nelle capacità progettuali del fratello minore. Nel 1981 iniziò, tra centinaia di impegni, a studiarne la fattibilità e a disegnare un aeroplano apposta per il record.

L’impegno richiese anni di prove, sviluppo di materiali (un grande uso di resine, epossidiche e fibra di carbonio) calcoli complicatissimi per il consumo di carburante e il tempo di volo, raccolta di fondi e ricerca di sponsor. Quest’ultimo aspetto fu fonte di amarezza, poiché nessuna banca, o altro grande sponsor, appoggiò l’impresa.

Addirittura il fatto che Dick e la sua compagna Jeanna Yeager non fossero sposati, negli anni dell’America Repubblicana e reaganiana, attirò loro l’antipatia dei conservatori radicali, … solo la grande e commovente generosità dei dipendenti di Rutan alla Scaled Composites (che lavorarono spesso senza compenso per quel progetto speciale) e di molti piccoli privati si riuscì ad avere i fondi necessari, oltre 2 milioni di dollari dell’epoca.

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Alle prime ore del 26 dicembre 1986, il Voyager viene fotografato da un “chase plane” alla fine del suo volo non stop attorno al globo, poche ore prima dell’atterraggio sulla pista della base aerea di Edwards, da dove era partito 9 giorni prima, il 14 dicembre.

Assemblato con pazienza per mesi e mesi in un hangar del Mojave airport, superando problemi che nessun altro aveva mai dovuto affrontare e lo scetticismo di buona parte del mondo scientifico e dell’aviazione, la mattina del 14 dicembre 1986, dalla pista della base militare di Edwards (dove nel 1965 Burt Rutan aveva iniziato la sua carriera dopo gli studi di ingegneria) il Voyager, com’era stato battezzato il velivolo, decollò. Solo poche ore prima aveva ricevuto le eliche ed i motori definitivi.

L’aereo aveva fatto un solo volo di collaudo, il 22 giugno di due anni prima, per di più con solo un quarto del carburante nei serbatoi. Un altro volo, per raggiungere la fiera annuale aerea di Oshkosh fu quasi essere interrotto perché l’aereo dimostrò di non essere controllabile in caso di pioggia. Ma l’aereo arrivò e quasi un milione di persone poté vedere la creatura di Rutan dal vivo: fu un colpo pubblicitario enorme.

Finalmente, tra l’8 e il 15 luglio 1985, pur con alcune tappe intermedie e affrontando avarie pericolose, il Voyager stracciò il record di distanza su unico volo in circuito detenuto dalla US Air Force da quasi 40 anni, percorrendo in 111 ore e 40 minuti 11.857 miglia. Il Voyager era pronto. Probabilmente fu il progetto più impegnativo e frustrante per Burt Rutan. Fino all’ultimo si dovettero affrontare avarie e malfunzionamenti potenzialmente letali. L’aereo era come sempre un grande Canard, con le superfici di controllo poste avanti alle ali, una fusoliera centrale pressurizzata, con uno spazio simile a quello di una cabina del telefono, in cui i due componenti dell’equipaggio, Dick Rutan e Jeana Yeager, avrebbero convissuto per lunghi 9 giorni, assieme a radio e provviste. Era sostenuto da due moderni motori Teledyne Continental, un IOL 200 raffreddato a liquido posto nella parte posteriore della fusoliera centrale, che sviluppava 130 cavalli/vapore massimi, e un IOL  0-240 posto anteriormente, con raffreddamento ad aria, capace di 11° cavalli/vapore.

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Le dimensioni del Voyager appaiono bene in questa foto scattata durante la presentazione al pubblico.

La lunga ala centrale, con un’apertura maggiore di quella di un Boeing 727, era costruita secondo una formula che le donava flessibilità e robustezza unici:  la struttura esterna era fatta di  numerosi fogli di carta sottilissima, impregnati di resine contenenti fibre di carbonio, mentre l’interno era costruito a celle a nido d’ape. Tutta la pannellatura esterna invece era formata da grafite, mentre per la struttura portante si era fatto largo uso di kevlar e fibre di vetro. Due semifusoliere partivano dal centro dell’ala, contenevano i carrelli d’atterraggio, strumentazione, celle del carburante e si ricongiungevano posteriormente con un unico piano di coda.

L’aereo era il primo di quelle dimensioni nella storia ad essere stato costruito interamente con materiali compositi e sintetici.

L’aero, senza attrezzature, carburante e motori, pesava soli 426 chili! Già al decollo i problemi non mancarono: sotto il peso di 3.180 chili  di carburante avio, le semiali si piegarono fino a urtare il suolo e due winglets, alette di controllo poste alle estremità delle ali, si staccarono. Ma Dick Rutan non se ne accorse, perché il microfono della radio era rimasto staccato e non sentì i disperati messaggi del fratello e dell’amico Mike Melvill, preso a controllare l’aereo che sembrava troppo lento rispetto ai calcoli. Nei 9 giorni Dick e Jeana, che non pilotava, ma svolgeva il fondamentale ruolo di supporto e controllo, dovettero affrontare di tutto: il motore anteriore si bloccò solo dopo poche ore di volo e ci volle parecchia inventiva per capire cosa l’aveva causato facendolo tornare miracolosamente in funzionamento. Durante il volo  di crociera, normalmente veniva tenuto in funzione solo uno dei due motori, utilizzandoli entrambi solo in caso di necessità. Successivamente l’impianto di pressurizzazione iniziò a non funzionare, quindi dovettero volare quasi sempre tra i 3 e i 4.000 metri. Questo voleva dire non poter sfuggire alle tempeste e alle correnti ascensionali, che sbattevano l’aereo come uno straccio.

Inoltre l’equipaggio dovette utilizzare giornalmente l’aspirina per tenere il sangue liquido e contrastare gli effetti della quota.

Non si poteva mai veramente riposare, c’erano sempre da controllare le temperature (un malfunzionamento alle ventole di raffreddamento teneva troppo elevata la temperatura dell’olio nei motori), sentire dal controllo missione a Mojave nell’hangar 77 la situazione meteo (Len Snellman, il metereologo volontario dell’equipe, fece del suo meglio per calcolare le rotte che li portassero lontani da tifoni e tempeste), continuare a travasare il carburante tra i serbatoi per mantenere l’equilibrio ed evitare torsioni eccessive alla struttura.

Oltre che a una serie di fortunali che sembrarono fare apposta a concentrarsi sulla loro rotta, si doveva lottare anche con le valvole del carburante, che tendevano a congelare. Sulla costa sudamericana una di queste smise di funzionare definitivamente. Assieme a tutto questo stress, anche il pilota automatico, che avrebbe dovuto affiancare Dick per buona parte del volo, sopra le Filippine mostrò funzionamenti anomali dei giroscopi, per cui non fu mai completamente affidabile.

Dick non poteva contare su turni di riposo finché non fosse stato riparato, per cui a Jeana toccò smontare e ricontrollare tutti i cablaggi delle strumentazioni, alla ricerca del guasto. Un errore di rotta di pochi decimi di grado avrebbe voluto dire perdersi su un oceano e la morte.

All’epoca il GPS era qualcosa che potevano permettersi i militari, e il governo americano non aveva patrocinato i Rutan… nonostante le autorità militari consentissero loro di appoggiarsi ai canali satellitari quando non occupati da traffico militare, alcuni danni alle antenne resero difficile il collegamento via UHF per tutto il volo.

Ma intanto l’impresa aveva calamitato l’attenzione nel pubblico mondiale, sembrando di rivivere i lontani 20 e 21 maggio 1927, giorni  in cui Charles Lindbergh, per primo e in solitaria, riuscì ad attraversare l’Atlantico a bordo del monoplano Ryan  “Spirit of St. Louis”.

Inoltre, gli ultimi 2 giorni di volo furono i più tesi, con l’equipaggio ormai stremato che dovette affrontare il pericolo più letale: i conteggi sul carburante non tornavano, per cui non si riusciva a capire  se vi fosse un consumo anomalo oppure se un serbatoio avesse una perdita… furono ore di frenetici colloqui col centro controllo e tentativi di far ragionare menti stanche e intorpidite dal rumore continuo dei motori.

Quando nella notte tra il 22 e il 23 dicembre il Voyager finalmente si stava avvicinando alla base di Edwards, Mike Mellvill e Burt Rutan saltarono sul bimotore Beechcraft Duchess (curiosamente per una volta Rutan non utilizzò un aereo di sua costruzione, ma della “concorrenza”) già utilizzato come aereo di supporto durante i collaudi, decollarono e raggiunsero il Voyager per scortarlo fino alla base, dove finalmente toccò terra sulla pista utilizzata dagli Space Shuttle al rientro dalle missioni spaziali,  alle 8.05 del 23 dicembre 1986.

Avevano volato per 40.210 chilometri e 969 metri, in nove giorni, tre minuti e 44 secondi, battendo il record stabilito nel 1952 da un bombardiere B 52 H dell’USAF nel 1952.

Nei serbatoi saranno trovati solo 32 litri di carburante residui.

Ad accoglierli  c’erano oltre 80.000 persone affluite nel deserto californiano, fin dentro la base, lungo la pista di atterraggio.

Vi era stato anche un’ulteriore grande sacrificio affrontato dall’equipaggio, di cui nessuno al di fuori dei partecipanti all’impresa era a conoscenza: la relazione tra Dick Rutan e Jeana Yeager non stava andando bene già prima che il viaggio cominciasse. Mesi di frenetici viaggi in giro per gli States, tra apparizioni in tv e conferenze stampa, per promuovere l’impresa avevano ulteriormente aggravato la situazione. Così che già qualche mese prima del decollo i due  avevano deciso di separarsi. Ma non avevano voluto renderlo pubblico per le conseguenze devastanti che avrebbero avuto sul progetto Voyager. Anzi, decisero di affrontare assieme il volo per il quale così a lungo si erano preparati assieme.

Poco tempo dopo la missione, il Voyager fu ritirato dal volo e donato alla Smithsonian Air and Space Museum, dove si trova esposto. A poca distanza dallo “Spirit of St. Louis” di Lindbergh.

Burt ce l’aveva fatta: a dispetto di tutte le previsioni ora davvero era entrato nella storia del volo. Ed aveva dimostrato che si può costruire un aereo di successo con materiali e linee ben diverse da quelli tradizionali. Aveva  indicato che una nuova via di sviluppo per l’aeronautica era possibile.

di Davide Migliore

 

Fonti generali

http://en.wikipedia.org/wiki/Burt_Rutan

http://it.wikipedia.org/wiki/Burt_Rutan 

biografie di Burt Rutan su Wikipedia

http://en.wikipedia.org/wiki/LTV_XC-142

gli anni con l’USAF alla Edwards AFB. Il progetto XC 142

http://en.wikipedia.org/wiki/Rutan_VariViggen

http://www.youtube.com/watch?v=sgbGpulUJdU

http://www.airventuremuseum.org/collection/aircraft/3Rutan%20VariViggen.asp

il primo progetto di Burt Rutan destinato alla produzione in serie

http://en.wikipedia.org/wiki/VariEze

il VariEze, primo grande successo di Burt Rutan.

http://airandspace.si.edu/collections/artifact.cfm?id=A19880548000

http://www.youtube.com/watch?v=jyRGNcbeS7o

l’aereo dei record : il Rutan Voyager

http://www.oshkosh365.org/saarchive/eaa_articles/1987_02_01.pdf

il viaggio del Voyager nelle parole del giornalista Jack Cox

http://www.youtube.com/watch?v=MYW6X46qWG0  

http://www.youtube.com/watch?v=OeO5xDfgRhs

http://www.youtube.com/watch?v=f9p0urF-Amc

http://www.youtube.com/watch?v=shlhQLw6jOg

Frontiers of Flight – the last great world record (1992), 4 parts vide

http://www.airportjournals.com/Display.cfm?varID=0612035

http://www.airportjournals.com/Display.cfm?varID=0701014

Airplane Journals, December 2006 I and II part, the story of the Voyager enterprise.

http://www.parabolicarc.com/2011/12/18/burt-rutan-recounts-emotional-voyager-flight/

Burt Rutan ricorda in un’intervista l’epopea del progetto Voyager

http://www.scaled.com/about/

Link al sito della Scaled Composites

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Anni Sessanta: ancora incidenti con armi nucleari e la lista si allunga!

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Anni Sessanta: ancora incidenti con armi nucleari e la lista si allunga!

Pubblicato il 18 marzo 2012 by redazione

Immagine apertura bomba czar

Bomba czar.

Eccoci arrivati ai “magici sixties”, gli anni sessanta, il decennio che divenne mitico a livello planetario per le grandi aspettative di progresso economico, di ideali, di cultura e costumi. Circa dieci anni, perché non si possono chiudere certi fenomeni in ristretti precisi recinti, che cambiarono il mondo in meglio, con la presa di coscienza dei movimenti d’opinione giovanili, la sensibilità pacifista, le controculture, la creatività artistica… un decennio anche di grandi contraddizioni, con il proseguire della guerra fredda (nonostante le grandi speranze del dialogo Khrushev – Kennedy), che divenne caldissima nel sud-est asiatico, con il conflitto in Vietnam che durerà dieci anni. Ma oltre alle delusioni, il decennio successivo ereditò una nuova sensibilità, la pretesa di conoscere i costi pagati dal mondo in termini di contaminazioni dovute agli esperimenti, alla produzione del materiale fissile e agli incidenti in cui incorsero (ed incorrono tuttora) coloro che si trovano a custodire (e potenzialmente utilizzare) una delle più grandi fonti di pericolo per l’umanità. Grazie anche ai dati che molti  scienziati mettono a disposizione dell’intera opinione pubblica mondiale, arriviamo al dunque: l’inquietante carrellata di incidenti degli anni ‘60, terribile (ed a giustificato sospetto, incompleto) racconto che ha coinvolto le armi nucleari da allora praticamente fino ad oggi.

1 Maggio 1960, un aereo spia Lockheed U2B, pilotato dal capitano Francis Gary Powers, venne abbattuto sopra Sverdlovsk, 1300 chilometri all’interno del territorio dell’Unione Sovietica e a oltre 20.000 metri di quota, da un missile terra aria SA 2 Guideline sulla base dei dati forniti dai radar da inseguimento e puntamento della difesa arerea. Buona parte del  velivolo e Powers stesso vennero recuperati e mostrati al mondo smentendo la versione ufficiale della Casa Bianca che negava l’accaduto. Il mondo entrò in una delle peggiori crisi dell’era nucleare compromettendo gravemente le timide prove di dialogo fra le due superpotenze, portate avanti dal presidente Eisenhower e dal Segretario Khrushev dopo dieci anni di durissimo confronto ideologico: da un lato gli Stati Uniti adoperavano aerei spia per controllare i progressi tecnici sovietici, dall’altro l’Unione Sovietica possedeva armamenti e tecnologie che aveva sempre negato di avere. La cattura e il processo a Powers, che dal 1956 aveva lasciato l’USAF e lavorava al programma di spionaggio della C.I.A., gettarono anche nello sconforto l’estabilishment militare occidentale perché la ricerca oltre la “cortina di ferro” provò di essere ben più avanzata di quanto si ritenesse. Come conseguenza, nel campo della corsa agli armamenti, nonostante il successivo trattato internazionale del 1962 che pose al bando gli esperimenti atomici in atmosfera e nello spazio esterno, segnò un’accelerazione enorme nello sviluppo delle armi di distruzione di massa basate sull’atomo (non a caso erano rimasti coscientemente esclusi o poco regolati dalla convenzione gli esperimenti sotto la superficie terrestre o dei fondali marini….) e proprio nel 1962 la crisi dovuta al dispiegamento di missili russi sul territorio di Cuba portò il mondo sull’orlo della terza guerra mondiale…

Ultima bomba all'idrofgeno B28RI recuperata dopo l'incidente di Palomares del 17 gennaio 1966.

L’ultima delle bombe H modello B28RI perdute durante il cosiddetto “incidente di Palomares” del 17 gennaio 1966, rimessa assieme per le foto ufficiali dopo il recupero in mare. L’ordigno è ancora agganciato ad una parte del travetto portabombe.

7 Giugno 1960 : questo è il primo incidente (di cui si abbia notizia certa) del decennio. Stati Uniti, base aerea McGuire di Trenton, nel New Jersey, uno degli impianti dove sono in servizio missili antiaerei a testata nucleare IM99 BOMARC. In uno di essi un contenitore a pressione di elio, che serve all’elettronica interna, cede distruggendo il serbatoio di carburante liquido, che a sua volta a contatto con l’aria si incendia. La temperatura nell’ordigno raggiunge qualche migliaio di gradi, il tritolo dell’innesco della testata atomica esplode, il magnesio e l’ossido di Torio contenuti nell’arma letteralmente si sciolgono e bruciano assieme al resto del missile. Alla fine metallo e ceneri sono solidificate in un’unica massa. Il pentagono ammetterà la contaminazione (ma senza rivelare l’entità) dell’area interessata sotto al missile per circa trenta metri quadri, per effetto dell’acqua del sistema antincendio che ha trascinato con se i resti del plutonio contenuto nella testata.

Il confronto si fa sempre più serrato e l’atomo inizia a scorrere anche sotto il mare. Il missile è il vettore del futuro, sfuggente, economico da costruire, una volta lanciato non ha bisogno di alcun altro intervento. La propulsione atomica consente di ampliare  quasi senza limite il raggio di azione dei sottomarini e di arrivare silenziosamente, non visti, a lanciare le armi atomiche fin quasi sotto casa dell’avversario, rendendo inutile qualsiasi sistema radar di sorveglianza e di reazione antiaerea. La competizione a qualunque costo inizia a mietere vittime sotto agli oceani ed a far pagare anche ad essi l’irresponsabilità umana. Pensate a una centrale sulla terraferma: è composta da un edificio imponente, gusci di protezione, barriere, chilometri di tubazioni, cavi, sistemi elettronici di controllo. Eppure le centinaia di incidenti, più o meno gravi che si sono succeduti indicano che ancora oggi nemmeno tutta questa complessità ci mette al riparo dalla pericolosità dell’atomo. Ora pensate a un sottomarino, con le sue esigenze di spazi limitati: è facile capire come tutto debba essere semplificato, quindi nessun sistema di propulsione nucleare installato su un sottomarino potrà garantire minimamente degli standard accettabili ! (2). Eppure i paesi dotati di armi atomiche hanno costruito, e programmano di costruire tutt’ora, battelli sempre più complessi e grandi. Solo la ex Unione Sovietica ha costruito tra gli anni 50 e gli anni 90 del secolo scorso quasi 300 sottomarini.  Cosa  potrebbe succedere se un sommergibile dovesse uscire dal controllo umano e sprofondare negli abissi, a pressioni per cui nessun battello è progettato per resistere…e per di più trascinando con sé numerose testate nucleari contenute nei missili e nei siluri? Quanto fosse facile un evento del genere lo si vide ben presto…

Un missile intercontinentale LGM 30 Minuteman I in manutenzione nel suo silos corazzato sotterraneo.

Un missile intercontinentale balistico a testata nucleare Minuteman riceve manutenzione direttamente nel suo silo corazzato sotterraneo (dal sito http://www.aerospaceweb.org/question/weapons/q0268.shtml).

13 Ottobre 1960 : durante una crociera di esercitazione nel mare di Barents, il sottomarino lanciamissili a propulsione nucleare K8 della marina sovietica subisce la rottura di un tubo a pressione, con un calo nella portata del sistema di refrigerazione tale quasi da raggiungere la fusione delle barre di Uranio arricchito U235. Solo la reazione pronta dell’equipaggio, che ha creato una sorta di sistema di raffreddamento d’emergenza con l’acqua di mare ha impedito il disastro. Tre membri dell’equipaggio subiranno gravi contaminazioni, mentre in tutto lo scafo si espanderà una nube di gas radioattivo. Il grado di irradiazione effettivo subito dai membri dell’equipaggio non è stato rilevato con certezza perché la contaminazione ha raggiunto livelli tali superiori alla taratura degli strumenti…

Una rara immagine d'epoca del sottomarino a propulsione nucleare sovietico K 19 in navigazione.

Una rara foto d’epoca del sottomarino a propulsione nucleare russo K 19, protagonista di un incidente tra i più gravi dell’era atomica.

24 Gennaio 1961 : un B52D appena decollato dalla Seymour-Johnson Air Force Base subisce un cedimento strutturale ad una ala che determina la rottura di un serbatoio di carburante con la successiva distruzione in aria del bombardiere che si incendiò e si disintegrò nei pressi della cittadina di  Goldsboro in North Carolina. L’equipaggio cercò di lanciarsi dall’aereo, ma su 5 uomini tre perirono nel tentativo. Le due bombe termonucleari M39 caddero nel vuoto. In una di esse tre dei sistemi di sicurezza su quattro fallirono per cui il computer della bomba durante la caduta proseguì le operazioni di attivazione come se fosse un lancio reale di guerra….Tra queste vi era l’apertura del paracadute freno che rallentava la caduta della bomba. Questo in realtà si rivelò un vantaggio perché  fece in modo che la bomba toccasse il suolo quasi del tutto intatta, mente la sicura della spoletta elettronica resistette e non vi fu alcuna esplosione. Ma la seconda bomba non fu così fortunata: precipitando da parecchie migliaia di metri la bomba impattò su un terreno argilloso frantumandosi e distribuendo rottami per una profondità fra i 6 e i 17 metri. L’esplosivo atomico di plutonio e la “bottiglia” di trizio (H3 l’isotopo dell’idrogeno che serve innescare la fusione nucleare) vennero recuperati sostanzialmente intatti, ma l’innesco in Uranio arricchito è rimasto nel terreno. Troppo alto il rischio di provocare una contaminazione con una falda acquifera quasi in superficie. L’U.S. Air Force ha espropriato la porzione di terreno coinvolta e da allora sottopone a monitoraggio continuato i resti della testata, senza per altro ancora oggi avere la soluzione definitiva del problema… A seguito dell’incidente, il Presidente americano Kennedy ordina un rapporto dettagliato sulla sicurezza dei dispositivi militari, al termine della quale il Dipartimento della difesa dovrà ammettere che dal 1945 si erano verificati più di 60 incidenti e in almeno due casi erano stati lanciati missili con testata operativa per errore… ed era solo il 1961….

14 Marzo 1961 : un altro B52 decollato dalla Mather Air Force Base subisce una decompressione violenta mentre è in volo con due bombe termonucleari a caduta nella stiva. Il pilota è costretto a abbassarsi di quota per evitare che la struttura dell’aereo esploda letteralmente per il differenziale di pressione e cerca di raggiungere la base più vicina che abbia una pista adatta all’atterraggio dell’enorme velivolo. Ma le condizioni strutturali ed il consumo enorme di carburante nel volo a bassa quota resero impossibile l’incontro con un velivolo cisterna per un rifornimento in volo, il pilota, dopo aver fatto eiettare il resto dell’equipaggio, governò l’aereo verso una zona disabitata prima di lanciarsi una volta esaurito il carburante. Le bombe vennero sbalzate fuori dal relitto al momento dell’impatto, avvenuto a circa 24 chilometri da Yuba City, ma le sicure funzionarono bene e il cuore nucleare di entrambe fu recuperato senza danni ambientali.

Boeing B-52D

Una classica scena che dagli anni 50 si ripete fino ad oggi. Un B52 sta per essere rifornito in volo da un aereo cisterna Kc 135. E’ durante una manovra delicata come questa che sono successi molti dei più drammatici incidenti di volo, compreso quello di Palomares, in Spagna.

Un Douglas C124 Globemaster II, uno dei cavalli di battaglia del trasporto aereo dell’USAF tra gli anni 50 e 60. Spesso fu coinvolto in incidenti mentre trasportava armi atomiche o parti di esse.

Un Douglas C124 Globemaster II, uno dei cavalli di battaglia del trasporto aereo dell’USAF tra gli anni 50 e 60. Spesso fu coinvolto in incidenti mentre trasportava armi atomiche o parti di esse.


4 luglio 1961 : la vicenda del sottomarino atomico K19 è forse una delle più tragiche ed esemplari del totale sacrificio di procedure e norme di sicurezza che veniva coscientemente perseguito in nome della competizione militare nella ‘guerra fredda’, specialmente nella Russia sovietica, anche se comportamenti simili non mancarono neppure schieramento occidentale.

Recentemente la storia di quella missione fatale ha ispirato un famoso film. Commissionato nel 1958 e varato nel 1960, il K 19, primo sottomarino SSBN (Submersible Ship Ballistic Nuclear, ovvero sottomarino nucleare lanciamissili balistici) della classe definita Hotel 1 nel codice NATO, per la fretta dei vertici politici di Mosca nel dotare la marina di tali mezzi d’attacco, fece almeno 10 vittime mentre era ancora nel bacino in allestimento: impressionante la fine di sei operaie che stavano applicando l’isolamento in gomma pesante tra i gusci del doppio scafo, morte soffocate da un principio di incendio e quello di due operai addetti alle saldature, arsi vivi in un compartimento. Da notare che, al momento della cerimonia del varo, la bottiglia lanciata tradizionalmente sul muso del battello scivolò sulla copertura in gomma di alcuni apparati invece di rompersi…i marinai di vecchio corso presenti, piuttosto superstiziosi, lo presero come un cattivo presagio,  ma nessuno poteva sapere quanto fosse stata fondata stavolta quella superstizione …

Scorpio

Sottomarino nucleare SSN 589 Scorpion a fianco della nave appoggio USS Tallahatchie County nella baia di Napoli, nell’aprile del 1968. Questa è forse l’ultima foto dello Scorpion , prima dell’affondamento avvenuto ad inizio maggio, mentre era in rotta per la base di Norfolk, in Virginia.

Nonostante numerose mancanze segnalate dal controllo tecnico, il battello venne consegnato in gran segreto alla marina sovietica e inviato alla sua prima crociera di addestramento. Mentre si trovava nell’Atlantico settentrionale, a largo dell’isola di Jan Mayen, il circuito di raffreddamento di uno dei due reattori a Uranio cedette e la temperatura raggiunse rapidamente gli 800 gradi centigradi, prossimi alla fusione catastrofica del nucleo di Uranio, nonostante il sistema di sicurezza automaticamente avesse spento il reattore e vi avesse calato le barre di controllo per fermare la reazione a catena. L’antenna per le trasmissioni radio in onde lunghe bassa frequenza, vitale per i contatti a lungo raggio, era rimasta danneggiata nel corso di un’immersione profonda, per cui il sottomarino rimase isolato, navigando a velocità ridotta. Grazie al sacrificio di otto uomini (a bordo per la fretta non erano state caricate tute protettive per rischio nucleare, ma solo quelle chimiche e antincendio, totalmente inutili) che si alternarono a coppie nel vano del reattore, a turni di 5 minuti, per riparare la tubazione e riattivare la circolazione dell’acqua di raffreddamento, il sottomarino riuscì a guadagnare tempo prima di essere rintracciato da un altro sommergibile della flotta del baltico, l’S270, e rimorchiato alla base di partenza. Gli otto uomini che ripararono il circuito morirono tra il 10 e il 25 luglio, tra atroci sofferenze, avendo assorbito radiazioni fra i 7 e i 54  Sievert. Stessa sorte toccò ad altri 30 marinai nei due anni successivi, avvelenati dagli isotopi della fissione che si erano diffusi col  vapore perso dal reattore, attraverso il sistema di areazione del sottomarino. La restante parte dei membri dell’equipaggio è stato afflitto per  il resto della vita da disturbi e malattie causate dall’energia assorbita, nessuno dei caduti ebbe riconoscimenti in quanto in missione segreta e non durante stato di guerra, mentre il comandante fu arrestato e processato al suo rientro in patria, per il sospetto che  l’incidente fosse solo una macchinazione per disertare e consegnare l’unità agli americani… solo la testimonianza in blocco dei sopravvissuti lo scagionò, ma non ebbe più alcun comando per il resto della sua carriera. Il sottomarino in seguito inquinò un’area di almeno 700 metri attorno al bacino durante la sostituzione del reattore e le riparazioni. Anche gli altri due missili a bordo dovettero essere rimossi, demoliti e stoccati in sicurezza. La causa del disastro fu individuata in scorie di elettrodo da saldatura cadute nel sistema di raffreddamento prima della sua sigillatura.  Una volta decontaminato e riparato, il K19 ritornò in linea, meritandosi tra i marinai il terribile soprannome di ‘Hiroshima’ . Infatti, prima della sua radiazione e demolizione, avvenute tra il 1991 ed il 2003, il K19 ebbe numerosi altri incidenti, tra cui il 24 febbraio 1972 un incendio in immersione a largo del Canada, che uccise altri 28 marinai… Ma gli incidenti non riguardano solo armi e mezzi in linea coi reparti militari, anche i test sperimentali hanno avuto la loro serie di coincidenze sfortunate e incredibili sottovalutazioni, le cui conseguenze furono altrettanto tragiche.

1 Maggio  1962 : siamo ad Ecker, nel Sahara algerino, dove la Francia sta sviluppando il proprio armamento nucleare, secondo la politica di indipendenza militare dai blocchi delle superpotenze seguita dal presidente De Gaulle. Il suolo di questa regione infatti è costituito da granito ritenuto adatto a resistere alle pressioni enormi di un’esplosione atomica. Ciascun test della serie era chiamato col nome di un elemento. Quello svolto quel giorno  era definito in codice “esperimento Berillio” ed ebbe come testimoni anche Pierre Mesmer, ministro della difesa francese e Gaston Palewski, ministro  della ricerca scientifica. L’ordigno era posto all’interno della montagna, in una galleria a forma di chiocciola che terminava in un rettilineo di circa un chilometro. Un tappo di cemento armato e quattro porte blindate di enorme spessore avrebbero dovuto contenere la reazione all’interno, ma così non fu. Per un errore di calcolo l’esplosione liberò non 20 chilotoni di potenza, ma ben 50. Se le rocce si vetrificarono sotto l’enorme calore, la volta della galleria non riuscì a crollare completamente, mentre il tappo di cemento e le quattro porte blindate vennero facilmente divelti. Una nube di detriti e gas altamente radioattivi fu espulsa e contaminò oltre 150 chilometri quadrati attorno al sito dell’esperimento. Nessuno dei tecnici o dei militari presenti aveva protezioni adatte o adottava procedure di sicurezza, per cui furono tutti irradiati. E In seguito molti soldati vennero inviati a riaprire la galleria e a prelevare campioni di materiale nel punto dove la montagna aveva ceduto. Non è solo incredibile negligenza, è il più totale disinteresse per la vita delle persone! Le conseguenze furono terribili. Buona parte dei presenti  morirono nel giro di pochi anni nonostante le immediate procedure di decontaminazione. Il pilota dell’elicottero inviato a prelevare campioni di aria sulla verticale dell’esplosione, il veterano Jacques Muller, all’epoca venticinquenne,  divenne cieco alcuni anni dopo. Sulla vicenda venne steso il segreto di stato, nonostante il dolore e le proteste dei parenti delle persone decedute, tanto che il numero esatto di coloro che pagarono con la vita ancora oggi non è certo. Lo stesso ministro Palewski morì di leucemia 22 anni dopo l’incidente, convinto che l’irradiazione subita quel giorno ne fosse la causa. Alcuni anni dopo Mesmer durante un’intervista televisiva ammise che era rimasto stupito dalla differenza di equipaggiamento dei dipendenti civili del ministero della ricerca scientifica e dei militari, così come dall’impreparazione alle emergenze, visto il panico che si scatenò fra i presenti subito dopo l’incidente…oggi alcune drammatiche fotografie scattate durante quegli istanti testimoniano quel terribile momento. Nel 2005 la tv France 2 produsse un film sulla vicenda dal titolo “Irradiati per la Francia”, sulla testimonianza di alcuni sopravissuti di quel giorno e di molti altri che operarono in Algeria ed in seguito, dopo l’indipendenza algerina, a Mururoa (nella Polinesia francese) nel corso del programma di sviluppo nucleare voluto dal governo di Parigi.

(7) 4 Giugno 1962 :  l’atollo di Johnston, parte di un piccolo arcipelago corallino nell’Oceano Pacifico sud – occidentale, è occupato dagli Stati Uniti sin dalla seconda metà del 1800, dal 1926 ospita anche un’oasi naturale protetta per gli uccelli migratori, in quanto praticamente deserto. Dopo la guerra con il Giappone le strutture militari vengono ampliate e l’atollo è utilizzato come base di lancio per test sperimentali nucleari tra il 1958 e il 1975, oltre che di un deposito di armi chimiche per un eventuale teatro di guerra nel Sud Pacifico, ma in alcune isole vicine sono presenti comunità di pescatori  di origini polinesiane, che hanno strutture d’appoggio temporanee per le battute di pesca. Quel giorno venne lanciato un missile a medio raggio Thor con motore a razzo a propellente solido e dotato di testata atomica della potenza di alcuni kilotoni. Lo scopo è misurare gli effetti di esplosioni in alta atmosfera o immediatamente al di fuori di essa, nell’ambito del programma militare “starfish prime”.  Durante il lancio però qualcosa va storto e il missile praticamente in uscita dall’atmosfera perde il sistema inerziale di autoguida, per cui il controllo da terra decide di azionare il comando di autodistruzione. Rottami piovono nell’Oceano ma la testata si è vaporizzata per attrito con l’atmosfera. Si ignora però se parte del plutonio sia anch’esso ricaduto in acqua sottoforma di polveri.

20 Giugno 1962 : altro lancio di un missile Thor per testare gli effetti degli impulsi elettromagnetici generati dal bang atomico sulle apparecchiature elettroniche. Un minuto dopo il lancio il razzo improvvisamente si spegne e il missile viene autodistrutto ad una quota di appena 10.600 metri. Questa volta i tecnici e i militari statunitensi non sono così fortunati: polveri di plutonio contaminano l’atollo e le altre isole dell’arcipelago, tanto da richiedere procedure di emergenza di decontaminazione per il personale di stanza, mentre i pescatori abitanti le isole vicine vengono spostati con giustificazioni vaghe….

13 Novembre 1963 : nella Medina Air Force Base in Texas, ben 120 chili di alto esplosivo convenzionale provenienti da testate nucleari obsolete in corso di demolizione esplosero per motivi non chiariti, provocando tre feriti tra il  personale addetto, ma non coinvolgendo le capsule di Uranio e Plutonio, custodite però  inspiegabilmente nello stesso edificio…

13 Gennaio 1964 :  un B52D decollato dalla Westover Air Force Base (AFB) nel Massachussets , si infilò in una fortissima turbolenza che strappò letteralmente dall’aereo lo stabilizzatore verticale di coda. Solo i due piloti sui 5 membri dell’equipaggio riuscirono a mettersi in salvo mentre le due bombe termonucleari nella stiva furono ritrovate quasi intatte tra i rottami dell’aereo. Fu quasi un miracolo che non vi fosse stata contaminazione radiologica, perché anche se gli ordigni erano in condizione “di trasferimento” e quindi inattivi, le testate contenevano comunque l’Uranio e il Plutonio necessari alla detonazione.

5 Dicembre 1964 : mentre un nuovissimo missile balistico intercontinentale LGM 30B Minuteman I veniva sottoposto a manutenzione nel suo silos corazzato sotterraneo, sulla Ellesworth AFB nello stato del South Dakota, uno dei retrorazzi del veicolo di rientro della testata si accese d’improvviso. La testata cadde dal missile, ma le batterie elettriche di alimentazione si staccarono e le sicure si attivarono automaticamente evitando in extremis la detonazione nucleare.

8 Dicembre 1964 :  un bombardiere ultrasonico Convair B58B sta rullando sulla pista della Bunker Hill AFB (stato dell’Indiana), ma per un  errore di manovra esce di pista e prende fuoco. Pilota e copilota riescono ad abbandonare l’aereo, il navigatore azionò il seggiolino eiettabile ma non sopravvisse al lancio. Sull’aereo erano presenti ben 5 armi nucleari a caduta, alcune di queste sicuramente si danneggiarono generando un inquinamento, definito peraltro “lieve” dalle autorità militari.

11 Ottobre 1965 :  mentre si sta rifornendo di carburante sulla pista della base Wright – Patterson , in Ohio, un aereo da trasporto C 124 Globemaster II prende fuoco. Nella stiva sono caricati un ordigno da esercitazione e diverse componenti per armi nucleari. L’incendio  subito avvolse l’aereo che andò perduto assieme al suo carico, determinando contaminazione da radiazioni attorno al velivolo.

(8) 2 Dicembre 1962 : un treno che trasporta componenti per testate nucleari e inneschi atomici, prodotti dalla grande industria aeronautica statunitense Martin, mentre è in viaggio dalla città di Marietta, in Georgia, verso Louisville e Nashville, deragliò, provocando tre feriti tra i tecnici che seguiva il pericoloso carico, ma non fughe radioattive, stando alle dichiarazioni delle autorità militari…

(9) 10 Aprile 1963 : il Tresher fu il capostipite della omonima classe di sottomarino da attacco antisommergibili a propulsione nucleare e alta velocità sviluppata a fine anni 50 per la marina statunitense come contromisura all’espansione della flotta di omologhi lanciamissili russi (vedi il caso del K19). Entrato in servizio nel 1961 però suo malgrado divenne più conosciuto per la sua tragica fine. Quel giorno il Tresher era alle prese con prove di immersione profonda, a350 chilometri a largo di Cape Cod in Massachussets,  assieme alla nave da ricerca Skylark . Dopo aver raggiunto la quota prevista, il Tresher chiamò lo Skylark col telefono subacqueo, ma la comunicazione era disturbata…a bordo capirono che il Tresher era in un qualche guaio…pochi istanti dopo sentirono come il suono di aria che entra a pressione in un contenitore, poi più nulla. Il Tresher era imploso schiacciato dalla differenza di pressione esterna  una volta che aveva raggiunto i 400-600 metri di profondità, uccidendo i 112 membri dell’equipaggio e i 17 tecnici civili coinvolti nelle prove quel giorno. Il batiscafo Trieste che raggiunse a 2600 metri di profondità il Tresher scattò foto desolanti dei suoi resti sparsi su oltre 134mila metri quadri di fondale oceanico. Le ricerche su cosa fosse accaduto hanno coinvolto la Marina, i tecnici dei cantieri costruttori e scienziati. Dopo molte simulazioni e test, la causa del disastro fu trovata in una serie di eventi: una tubazione nel comparto motori che era stata installata con sistema di brasatura e non di saldatura aveva presumibilmente ceduto, inondando i comparti e provocando un corto circuito nell’impianto elettrico. Come conseguenza, il sistema di sicurezza ha bloccato il reattore nucleare mettendolo in sicurezza, ma ha lasciato il sottomarino privo di energia elettrica. Per di più, l’ufficiale al reattore fece chiudere le valvole di vapore per conservare  la potenza massima possibile da usare per la riemersione rapida forzando l’espulsione dell’acqua dalle casse di zavorra. Ma la temperatura a quella profondità aveva congelato le valvole impedendo di spostare il vapore, che si era rapidamente raffreddato. Il Tresher a quel punto, privo di energia e di controllo meccanico era affondato come un masso verso morte sicura. Da quella dolorosa lezione la Marina americana sviluppò il programma SUBSAFE per la revisione di tutte le tecnologie applicate alla costrizione degli impianti e degli scafi dei sottomarini, sviluppando il sistema EMBT che consente in emergenza di controllare le valvole di sfiato e i comandi di manovra anche a reattore spento, quindi senza elettricità e spinta delle eliche. Il reattore S5W in ogni caso giace ancora là, con il suo carico di barre di Uranio ancora attivo…..

(10) 5 Dicembre 1965 :  a largo dell’arcipelago delle Ryukuyu,  circa 80 miglia dall’isola giapponese di Okinawa, il sottotenente Douglas M. Webster della U.S. Navy è nell’abitacolo di un assaltatore A4E Skyhawk, numero di matricola 151022, appartenente allo squadrone imbarcato VA56 e sta per essere portato dal grande ascensore sul ponte della portaerei USS Ticonderoga. La nave e la sua flotta d’appoggio si erano trovate pochi mesi prima coinvolte negli incidenti del Golfo del Tonchino, a largo delle coste del Vietnam del Nord, tra il 2 e il 4 agosto del 1964, che furono il casus belli (in buona parte inventato, come da recenti rivelazioni) per gli Stati Uniti per intervenire direttamente nella regione contro il Vietnam del Nord, a regime comunista, che appoggiava la guerriglia nel Vietnam del Sud, strettamente controllato da Washington . Era l’inizio della terribile guerra del Vietnam, costata in dieci anni 58mila soldati uccisi, migliaia di mezzi e 200 miliardi di dollari di spese belliche e finita con la più cocente sconfitta militare per gli U.S.A. . Ma tornando a quella mattina di Dicembre del 1965, l’A4E di Webster avrebbe dovuto essere lanciato in volo per un’esercitazione che sembrava di ordinaria amministrazione, ma che tanto ordinaria poi non era in quanto alla fusoliera del piccolo aviogetto era agganciata una bomba termonucleare tattica B43 da un megatone di potenza. Per motivi ancora oggi non chiari, l’aereo scivolò dal ponte e cadde in mare dove affondò assieme al pilota, senza lasciare tracce, su un  fondale di quasi 5mila metri…l’incidente, costituisce una classica ‘broken arrow’ (freccia spezzata) nel codice militare statunitense, ovvero lo smarrimento di una testata nucleare attiva con il rischio di detonazione e nei suoi particolari venne rivelato solo nel 1981, quando fu cancellato il segreto militare che l’aveva coperto per tutti quegli anni. Molti esperti hanno dubitato che a una tale profondità e pressione il pit corazzato che contiene l’Uranio, il Plutonio e l’innesco di Deuterio per la fusione nucleare possa resistere per molto tempo, prima di generare un gravissimo inquinamento radioattivo nelle correnti profonde dell’oceano. Queste notizie hanno ingenerato un’enorme e malcelata irritazione nel governo giapponese che dalla pesca e dall’Oceano in generale trae moltissime risorse alimentari ed industriali. Del resto, su un fondale cosi profondo e vasto, ancora oggi non si ha una precisa idea come smantellare e recuperare eventualmente l’ordigno, sempre che si riesca ad individuarlo…

(11) 17 Gennaio 1966: Palomares è un piccolo paese di agricoltori e pescatori dell’Almeria, sulla costa mediterranea nel Sud della Spagna. E’ un villaggio piuttosto povero, dalla terra arida, in un paese che è isolato dalla comunità internazionale dal colpo di stato fascista del generalissimo Francisco Franco. E in quel giorno uggioso d’inverno il caso ha voluto che si aggiungesse per gli abitanti alla difficoltà di vivere in quel luogo anche la paura nucleare. Sopra la verticale del villaggio, a circa 9.500 metri di quota un B52G diretto alla Seymour -Johnson Air Force Base, in North Carolina, intorno alle 10.30 del mattino sta per incontrarsi con un aereo cisterna Boeing Kc135 Stratotanker proveniente dalla base spagnola di Moròn, poco distante. L’aereo è impegnato in una delle lunghissime missioni dell’operazione “Chrome Dome”, in cui i bombardieri dello Strategic Air Command pattugliavano 24 ore su 24 i confini dell’Unione Sovietica, armati con ordigni nucleari, sempre pronti in caso arrivasse l’ordine in codice ad attivare le bombe ed entrare nel territorio nemico per assolvere la loro missione di morte. L’aereo appartenente al 68 Heavy Bombardament Wing era assegnato alla rotta sul Sud del Mediterraneo, aveva attraversato l’Atlantico, effettuato un primo rifornimento sulla Spagna, attraversato il Sud Italia facendo periplo sulle stazioni di navigazione radio in Puglia, sorvolato l’Adriatico per lunghe ore notturne, poi aveva riattraversato l’Italia diretto verso un’altra “stazione di servizio volante”, che gli avrebbe dato il carburante per passare di nuovo l’Atlantico e tornare alla base di partenza. Il tutto con 4 bombe all’idrogeno B28R.I. (Retarded Internal, ovvero adatte al trasporto all’interno degli aerei e dotate di paracadute freno per ritardare la caduta) da 1 megatone e mezzo ciascuna di potenza, nella sua stiva bombe. Durante l’approccio per il rifornimento in volo il bombardiere si avvicina troppo velocemente, ma probabilmente sulla cisterna volante l’addetto alla lunga asta che porta il carburante non si accorge in tempo e non avverte il pilota che si sta avvicinando sotto di lui…la collisione avviene in un istante,  l’asta squarcia il dorso del B52 come un apriscatole, l’ala sinistra cede alla giunzione con la fusoliera, i serbatoi si rompono ed entrambi gli aerei spariscono in una immensa palla di fuoco alimentata da decine di migliaia di litri di carburante.… la scena viene chiaramente vista da terra e dall’equipaggio di un altro B52 che sta attendendo il suo turno ad alcune miglia di distanza. Tutto l’equipaggio di 4 uomini del KC135 e 3 dei 7 a bordo del B52 muoiono, le 4 bombe precipitano  verso terra. Gli inneschi di due delle bombe esplosero nei campi coltivati attorno al paese, spargendo polveri di Uranio e Plutonio. I reparti anticontaminazione dell’aeronautica e della Marina americani che si precipitarono  sul posto rimossero ben 1400 tonnellate di terreno e incenerirono animali, piante, perfino vestiti che al controllo dei contatori geiger risultassero contaminati, impacchettando i resti per portarlo oltre oceano nel deposito di scorie nucleari di Savannah River. L’inquinamento in alcuni punti toccò gli 1.2 MegaBequerel al metro quadro, senza contare che di per sé come elemento chimico, il Plutonio è uno dei materiali più velenosi che si conoscano in natura. Gli abitanti all’inizio gradirono i risarcimenti che vennero immediatamente versati al comune e a loro per i danni, poco o nulla sapevano di radioattività. Ma in seguito impararono a conoscere  la paura atomica, quando appezzamenti interi vennero recintati e isolati per sempre. Loro stessi e i loro figli condannati a subire controlli periodici per il resto della loro vita… La terza bomba venne trovata praticamente intatta nel letto di un fiume. Ma la quarta? Il ritrovamento della coda dell’ordigno vicino al mare assieme al paracadute e la testimonianza di un pescatore confermarono il timore che l’ordigno fosse stato portato dal vento verso il mare. Venne immediatamente dichiarato il codice “broken arrow” e la marina americana per più di 80 giorni portò avanti una ricerca serrata che coinvolse oltre 20 navi e 4 batiscafi con centinaia di militari, una corsa contro il tempo non conoscendo lo stato di conservazione della testata. L’acqua di mare avrebbe potuto deteriorare l’innesco di deuterio e trizio provocando una reazione parziale ma sufficiente a innescare un’esplosione nucleare, inferiore a quella per cui era stato progettata certo, ma esistono forse esplosioni nucleari sopportabili? Dopo essere stata individuata su un fondale a 780 metri la B28 venne di nuovo persa durante il primo tentativo di recupero, poi finalmente rintracciata e trainata in acque meno profonde fino che  il 7 aprile la bomba poté esser orgogliosamente mostrata ai giornalisti sul ponte di una nave della Marina. L’incidente fu molto sentito dall’opinione pubblica internazionale, in un momento in cui il pacifismo e la sensibilità ambientale erano fortemente in crescita, provocando una crisi diplomatica col governo spagnolo che proibì già dal 27 gennaio di quell’anno il sorvolo o l’atterraggio a velivoli con armi nucleari a bordo. Molti Paesi seguirono lo stesso esempio.

(12) 21 Gennaio 1968 : forse dei peggiori incidenti di tutti i tempi, accadde quando durante una dei lunghissimi voli dell’operazione “Chrome Dome” (vedi l’incidente di Palomares) un B52G del 308 Strategic Bomb Wing proveniente dalla Plattsburg Air Force Base (New York State)era in volo di allerta alla quota di 11mila metri sulla baia di Buffin, a est della Groenlandia, sorvegliando l’importantissima stazione radar di Thule, a poca distanza in linea d’aria dal confine nord dell’Unione Sovietica. Nonostante lo sviluppo nei sistemi di comunicazione via satellite e nei missi balistici intercontinentali (nonché il costo astronomico di queste missioni), nei punti più “caldi” del globo, dove le forze strategiche degli schieramenti opposti sono più vicine, continuavano le sentinelle armate, con almeno 4 velivoli in volo 24 ore su 24, , come una spada di Damocle sulla testa dell’umanità intera, anche dopo alcuni gravissimi incidenti, l’ultimo per parte occidentale quello di Palomares. Le condizioni del volo quel giorno sono terribili, con temperature di oltre 60 gradi sotto lo zero a quella quota, il buio dei sei mesi di notte polare. Star fermi, legati ai seggiolini eiettabili per oltre 10/12 ore, impacciati da tute ed equipaggiamenti vuol dire soffrire terribilmente il freddo e la fatica,  nonostante i sistemi di condizionamento spinti al massimo. Il comandante fece aprire allora una delle valvole che spillano aria dai motori dell’aereo, destinata a prevenire formazioni di ghiaccio nelle linee idrauliche ed elettriche dell’aereo. Ma qualcosa non funzionò, la valvola non si regolò e ben presto l’aria divenne rovente. Nell’aria si spande l’odore forte di gomma e metallo bruciato. Febbrile parte la ricerca da parte dei membri dell’equipaggio, che trova un principio di incendio dietro a un quadro elettrico, ma nonostante l’uso degli estintori la situazione peggiora rapidamente. Sono le 15.22 quando il Capitano pilota John Haug chiama la torre di Thule e dichiara l’emergenza  per un atterraggio di fortuna, ma con l’aria ormai satura di fumi, le linee elettriche in corto circuito l’aereo è quasi ingovernabile, così non appena il radar indicò terraferma sotto l’aereo, diede il segnale e l’equipaggio si lanciò. Su sette uomini, vi fu una sola vittima ed i restanti membri vennero recuperati feriti e semi assiderati ma vivi. Il velivolo alle 15.39 si infranse sul pak ghiacciato, sfondandolo per una cinquantina di metri fino a raggiungere addirittura l’acqua dell’oceano sottostante. Il velivolo strisciò incendiandosi, l’esplosivo convenzionale  di innesco delle 4 bombe all’idrogeno B28F.I. (a caduta libera non frenata) da 1,1 megatoni ciascuna fece il suo lavoro, polverizzando gli ordigni. Il fuoco alimentato dal pieno  appena fatto da un aereo cisterna fece il resto. l’aereo  e tutto ciò che conteneva si ridusse in un mucchietto di cenere radioattiva. Per un raggio di 400 metri e per una lunghezza di circa 3 chilometri e mezzo dal punto di impatto tutto è contaminato dal Plutonio, dall’Uranio arricchito e dal carburante JP4: nell’area venne rilevata la presenza di ben 380 milligrammi di Plutonio per metro quadro mentre i contatori geiger andarono fuori scala. Subito fu lanciata l’operazione “Crested Ice” con quasi un migliaio di uomini, strutture prefabbricate, moduli di decontaminazione, catapultati sulla banchisa per prelevare 2.100 metri cubi di ghiaccio fortemente radioattivo e chimicamente inquinato, assieme ai pochi resti del mostro. Le squadre (rispettando strettamente il turno di lavoro per evitare di assorbire troppe radiazioni), protetti da tute e schermi, lavorarono 24 ore al giorno nella notte polare, a temperature sotto i 40 gradi, sferzati dal vento a oltre 100 chilometri orari, sciogliendo e chiudendo in cisterne di acciaio altre migliaia di tonnellate ghiaccio, trasportate via camion fino alla costa e poi in nave al solito impianto di Savannah River per lo stoccaggio, un’opera mastodontica che si concluderà solo a febbraio nella prima fase d’emergenza. Ma il peggio doveva ancora arrivare: con orrore le squadre di rimozione trovarono i cavi paracadute-freno congelati nella banchisa. Questo voleva dire solo una cosa, che il ghiaccio sotto la temperatura elevata dell’incendio si era sciolto in profondità e che una delle armi, evidentemente dotata di sistemi di frenata al contrario delle affermazioni ufficiali, era scivolata nell’acqua sottostante. Venne lanciato ancora una volta l’allarme “broken arrow”. Carotaggi e ispezioni con sottomarini da ricerca vennero effettuati nei mesi successivi sotto il ghiaccio e i rapporti calcolarono che venne recuperato nei materiali contaminati e nei detriti oltre l’85% per cento dei sistemi di innesco “primari” in Uranio di tutte e 4 le bombe e il 94% di quelli “secondari”, ma solo per 3 ordigni… in realtà la documentazione relativa è stata declassificata dal segreto militare solo di recente ma nessuno al momento può essere del tutto sicuro che sui fondali sabbiosi non siano sprofondate parti della testata del quarto ordigno. Nemmeno i rilievi svolti dai Danesi con regolarità negli anni hanno ad oggi rilevato aumenti rilevanti nei valori di Plutonio o isotopi derivati dal decadimento, per quanto  per precauzione non sia consigliabile ad oggi restare nell’area dell’incidente a lungo…I Danesi. Ma cosa c’entrano i Danesi? La Groenlandia è stata colonia e fa parte ancora oggi del territorio Danese. Già l’evento causò un mezzo incidente diplomatico , poiché già dal 1957 in sede NATO la Danimarca aveva ottenuto il non sorvolo ufficiale della Groenlandia da parte di aerei armati con armi non convenzionali, così come il divieto di stoccaggio delle stesse nella base di Thule.  E moltissimi furono  i lavoratori Danesi che sia nella prima parte della “Crested Ice”, sia nell’opera di rimozione più approfondita dei materiali contaminati hanno lavorato assieme al personale dell’USAF fino al 13 settembre 1968, data di partenza dell’ultima cisterna per gli Stati Uniti. Ed è sempre da parte Danese che si è pagato il prezzo più alto : anche se non lavorarono direttamente sul sito, operai e tecnici danesi vennero impiegati nello stoccaggio dei materiali rimossi, ed hanno lavorato al porto nel carico delle navi. Senza però le precauzioni, le protezioni e il controllo medico a cui erano sottoposti i loro omologhi americani. Per anni moltissimi di questi hanno sofferto problemi gravi di salute. Nel 1995 una ricerca dell’Università di Copenhagen rivelò che su 1.500 lavoratori ben 410 erano deceduti per forme di cancro, con un’incidenza di rischio del 50% maggiore del resto della popolazione groenlandese.

(13) Ma già nell’ 86 il governo danese aveva promosso un’indagine sanitaria sugli uomini coinvolti nell’operazione ed i dati di contaminazione erano stati desolanti (numerosi i casi di sterilità), tanto che 200 di questi avevano intentato una causa contro gli Stati Uniti, fallita in quanto fu negato l’accesso a buona parte della documentazione a carico in quanto coperta dal segreto militare. E neppure la Danimarca risarcì i propri lavoratori (a parte un indennizzo minimo pro capite nel 1995) né fu possibile condannare le autorità per negligenza, poiché la Danimarca entrò nell’Euratom solo nel 1973, per cui nel 1968 le sue normative in materia di rischio nucleare erano assai meno precise. Per questo motivo infatti decadde anche un’azione di fronte alla Corte Europea di Giustizia….Questa drammatica vicenda ha prodotto almeno una conseguenza positiva: davanti all’indignazione dell’opinione pubblica mondiale, finalmente l’operazione “Chrome Dome” venne chiusa e il trasporto di ordigni nucleari su velivoli sottoposto a regolamentazione e procedure strettissime.  Stati Uniti ed Unione Sovietica il 30 settembre 1971 firmarono un Protocollo d’Intesa sulla riduzione del rischio di una guerra nucleare”, in cui ognuna delle due parti ed i propri alleati si impegnavano a comunicare tempestivamente alle altre ogni incidente o avvenimento non previsto che coinvolga armi nucleari e possa essere erroneamente interpretato come l’inizio di un attacco nucleare verso l’altra parte. Venne anche istituita la linea diretta fra Washinghton e Mosca, il “telefono rosso” che è diventato famoso in molti film di azione e spionaggio.

(14) Marzo/Aprile 1968 : il sottomarino da attacco sovietico K 129, della classe Golf II scompare nell’Oceano Pacifico assieme ai 98 uomini del suo equipaggio ,dopo aver lasciato la sua base nella Kamchatka. L’ultimo segnale cifrato venne inviato al comando di divisione navale il 24 febbraio, poi il nulla. Immediatamente la flotta russa diede il via a un’operazione di ricerca enorme, che si concluse ad agosto con la dichiarazione di affondamento presunto. Ma quel che i Russi non potevano sapere è che i sottomarini che incrociavano davanti alle basi della marina russa in missione di sorveglianza notarono lo strano andirivieni, che in un primo momento creò il timore fossero preparativi per un attacco nucleare di sorpresa. Di seguito dall’intenso traffico radio in chiaro si comprese che cercavano un battello disperso. Grazie al sistema di sorveglianza SOUS, una enorme rete di ricevitori di suoni e segnali che la CIA e la US Navy avevano sparso per i fondali dei sette mari (una specie di Echelon subacquea della guerra fredda), analizzando le registrazioni di migliaia di suoni, fu ipotizzato che il sottomarino fosse andato perduto a circa 1500 miglia dalle Isole Hawaii, dove l’unità russa probabilmente avrebbe dovuto sostare a sorveglianza della base di Pearl Harbour, pronto a lanciare i suoi 3 missili balistici R26. Il K 129 era un sottomarino a propulsione “convenzionale” Diesel – elettrica, ma aveva armamento nucleare a bordo. La CIA vi intravide un’occasione di impadronirsi della tecnologia nucleare e dei codici di comunicazione Russi. Fu un vero capolavoro di “SIGINT”, ovvero di Signal Intelligence, ascolto e interpretazione di segnali radio, radar, sonar e rumori di fondo. Quando venne individuato e fotografato su un fondale ad oltre 4.900 metri di profondità fu subito chiaro che il recupero sarebbe stato un’impresa titanica. Il battello sicuramente era schiacciato dalla pressione e in condizioni disastrate, come molte foto dei batiscafi spia rivelarono. Tuttavia la CIA promosse il “Progetto Azorian” commissionando alale industrie del discusso miliardario Howard Hughes la costruzione di un’enorme nave da recupero, la Glomar Explorer, ufficialmente un mezzo per estrarre i noduli di manganese dal fondale oceanico. La nave, con un’enorme gru ed una pinza celata all’interno dello scafo, fu pronta nel 1974. L’idea era di sollevare il sottomarino sotto la nave e di calarlo dentro a una chiatta sottomarina con pareti amovibili, per poi portarlo via lontano da sguardi indiscreti: praticamente una cosa degna di un film di James Bond…. Tuttavia la struttura danneggiata del sottomarino non resse ed una parte importante di esso si sbriciolò spargendosi per centinaia di chilometri sul fondale oceanico. Ma che buona parte del sottomarino con i suoi segreti fosse stato recuperato, si può intuire dalle ipotesi sulle cause dell’affondamento contenute in molti rapporti, nonché dal fatto che vennero recuperati i corpi di sei marinai, che vennero sepolti in mare con tutti gli onori (forse perché quasi tutta la carcassa risultò pesantemente contaminata e radioattiva da isotopi di Plutonio?). Fu notato uno squarcio dietro la torre, all’altezza dei silos dei missili, due dei quali erano praticamente distrutti. Si fece l’ipotesi di una perdita delle batterie dei missili che sviluppò idrogeno incendiato dai contatti elettrici, altri ipotizzarono una collisione con il sottomarino da caccia ai sommergibili USS Swordfish, che nei giorni della perdita del K129 rientrò alla base americana di Yokosuka in Giappone per riparare evidenti danni allo scafo…per anni le due marine hanno giocato una partita a rimpiattino nei cieli e sotto la superficie degli Oceani ed i mezzi di entrambe le parti talvolta sono arrivati a collisioni…Seppure nessun rapporto fa menzione dell’inquinamento da Plutonio, è intuibile che vi fu e dovette essere anche grave, per il lungo tempo in cui le testate furono a diretto contatto con l’acqua.  In ogni caso, buona parte della documentazione, specie quella sui costi, in danaro ed in vite umane,  rimane ancora oggi coperta dal segreto militare.

(15) 24 maggio 1968 : il K27 è stato l’unico sottomarino russo costruito della classe Projekt 645, la cui peculiarità consisteva nell’installazione di un reattore nucleare raffreddato a metallo liquido (una lega di piombo e bismuto) e non ad acqua. La sua esperienza servì alla progettazione di altre classi di unità con reattori  di questo tipo. Ottenuto modificando uno scafo da attacco della classe November (in codice NATO) sin dall’inizio il sistema di raffreddamento aveva dato problemi di controllo. Durante una crociera sperimentale, in posizione ancora oggi segreta, il reattore ebbe un forte calo nella potenza. L’equipaggio non era addestrato a sufficienza per cui non riconobbe subito i segni di un surriscaldamento delle barre di Uranio. In realtà, una parte del mantello di protezione del nocciolo si ruppe esponendo il metallo liquido di raffreddamento a contatto con le barre di combustibile, generando gas radioattivi come Radon e forti irradiazioni di raggi gamma. I nove motoristi che restarono nella camera per tentare una riparazione furono mortalmente irradiati, mentre la contaminazione si sparse in tutto il sommergibile causando l’avvelenamento grave del resto dell’equipaggio. Il sottomarino dovette essere trainato in porto da altro battello. Dopo sporadiche uscite in mare il K 27 venne radiato il 1° febbraio 1979, non prima che durante il tentativo di sostituire il reattore a metallo con uno convenzionale ad acqua rimanessero contaminati numerosi operai in bacino di carenaggio…nel 1981 il vano reattore del sottomarino fu sigillato con un mastice speciale e la carcassa semplicemente affondata nella baia di Stepovoy, nel mar di Kara, a largo dell’isola di Novaya Zemlia, conosciuta come una delle peggiori pattumiere atomiche del pianeta… il peggio è che la marina russa, incurante delle raccomandazioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (A.I.E.A), affondò il battello su un fondale di soli 33 metri contro i non meno di 3mila raccomandati ! …praticamente una bomba a tempo, solo che ancora oggi la Russia non ha né le conoscenze scientifico-tecnologiche, né le finanze sufficienti a trovare una soluzione, mentre il mare corrode rapidamente lo scafo in titanio….

(16) Maggio-Giugno 1968 : ancora oggi non ci sono opinioni univoche su uno dei disastri più misteriosi del mare e che hanno coinvolto armi e dispositivi nucleari potenzialmente letali per l’ambiente. L’USS Scorpion , sottomarino nucleare di classe Skipjack , andò perduto nella notte tra il 21 e il 22 giugno 1968 a circa 740 chilometri dall’arcipelago delle Azzorre, mentre rientrava negli Stati Uniti da una crociera nel Mediterraneo sotto il comando della 6° Flotta in Italia.  Entrato in servizio nel 1960 fu uno dei più moderni battelli cacciasommergibili in servizio al mondo, ebbe un impiego intenso, tanto che nel 1967 avrebbe dovuto entrare in bacino per ricevere il programma di revisione SUBSAFE, sviluppato dopo la tragica perdita dell’USS Trasher nel 1963. In realtà, le pressioni per limitare il tempo in cui i battelli rimanessero  fuori servizio, i costi di una revisione che praticamente per gli scafi progettati prima del 1965 era una vera e propria ricostruzione da zero, fecero sì che il programma fosse limitatissimo e lo Scorpion fosse rimesso in mare dopo riparazioni e ispezioni sommarie. Che ci fosse a bordo malumore e il morale dell’equipaggio fosse molto basso è suggerito da una serie di incidenti e malfunzioni che afflissero quello che fu una punta di lancia della flotta americana e dell’alleanza occidentale negli ultimi mesi della sua vita, tanto che due membri dell’equipaggio tentarono di tutto pur di farsi esonerare e trasferire, ma solo uno di essi vi riuscì. In particolare, il sistema EMBT, che permetteva di mantenere la manovrabilità del sottomarino e di scaricare la zavorra di acqua dalle casse anche senza energia elettrica, non era stato installato o , quanto meno, per una polemica tra i cantieri costruttori e il dipartimento della difesa non era stato dichiarato utilizzabile. Tale sistema costituiva era frutto della lezione terribile appresa dall’affondamento del Trasher di qualche anno prima e il fatto che un sottomarino oceanico nucleare non lo avesse utilizzabile non rendeva certo tranquillo nessuno. Durante la notte del 21 maggio  lo Scorpion cercò di mettersi in contatto con la stazione radio radio di Rota in Spagna, ma riuscì solo a  stranamente ad essere  ricevuto da quella di Nea Makrì in Grecia. Quello fu l’ultimo segnale. Dopo il silenzio radio dei giorni successivi e il mancato arrivo a Norfolk, il 5 giugno venne dichiarato disperso e iniziarono le ricerche. Ancora una volta l’interpretazione dei dati  del SOUS, il sistema di ascolto sottomarino della US Navy , fu prezioso per circoscrivere l’area dove si pensava fosse avvenuto il disastro. Da notare che in quei giorni tra la primavera e l’autunno del 1968 la US Navy era già pesantemente impegnata nel Mediterraneo nella ricerca di una delle bombe all’idrogeno perse da un B52G nel famoso incidente di Palomares… Una volta individuato il relitto a 3mila metri di profondità, venne inviato il batiscafo Trieste a fotografare i resti, con il grande timore peraltro per il suo equipaggio: i rumori captati dal sistema SOUS, ma ancora di più da una stazione alle Canarie che monitorava il rientro delle capsule spaziali della NASA e il loro ammaraggio, erano compatibili con quelli di uno scafo che implodeva e si schiacciava, come prevedibile  essendo sottoposto a pressioni per cui non era stato costruito. Per cui nulla si sapeva sulla tenuta della camera del reattore nucleare e sulla camera siluri, in cui erano alloggiati tra gli altri armamenti due siluri a testata nucleare Mk45 Astor. In realtà le stese campagne fotografiche e di misurazione testimoniarono che il “pit” corazzato del reattore era sicuramente intatto, con le barre di controllo che erano sicuramente scese fra quelle del combustibile di Uranio azionate dal sistema di emergenza.  e la sezione di prua con i siluri aveva tenuto bene, benché nell’affondamento il battello avesse sbattuto di prua , incastrando le altre sezioni l’una sull’altra e sradicando la torre di comando.  Il fato ci aveva messo del suo, perché sotto allo Scorpion allagato che scendeva a velocità elevata, madre natura ci aveva messo un fondale di melma e sabbia, che assorbì in parte l’impatto. Si suppone che a provocare l’affondamento fu l’esplosione di una batteria di un siluro, che aveva sviluppato gas idrogeno sufficiente a una reazione. Se il siluro si fosse trovato nella camera di lancio, questo avrebbe potuto provocare la rottura dei porteli di sicurezza e l’allagamento traumatico delle sezioni prodiere del sottomarino, il collasso del sistema elettrico, l’incontrollabilità di tutti i comandi principali, mentre i marinai e gli ufficiali eventualmente sopravvissuti si rendevano conto atrocemente che quelli erano gli ultimi istanti della loro vita, intrappolati in una bara che cadeva veloce verso il fondo, aspettando da un secondo all’altro il cedimento dello scafo stritolato da migliaia di chili per centimetro quadro di pressione… Già, ma perché un siluro avrebbe dovuto essere nella camera di lancio, mentre il battello stava placidamente rientrando alla base, con uno stato di allerta minimo e in situazione di pace? Qui viene una seconda teoria, basata sull’interpretazione di suoni registrati dal sistema SOUS e dalla stazione delle Canarie prima dello “sciame” di  onde sonore che costituiva il canto di morte dello Scorpion. In realtà vi sono anche tracce di suoni compatibili con manovre evasive e il lancio di almeno un siluro, nonché tracce tali da far affermare che lo Scorpion sicuramente stava procedendo su rotta opposta a quella verso la propria base : cosa che fece ipotizzare ad alcuni ricercatori (vedi le note a piede dell’articolo, ndr) che lo Scorpion si fosse trovato nel mezzo di un duello con almeno un sottomarino, forse più di uno, sovietici che gli avevano teso una trappola. Pochi mesi prima infatti il sottomarino K129 della flotta del Pacifico era affondato a largo delle Hawaii (come raccontato poco più sopra) ed il comando russo in effetti fu per molto tempo convinto fosse stata opera americana, con la collisione con l’USS Swordfish o peggio, che fosse stato silurato. Del resto i russi mal sopportavano la sorveglianza sempre più stretta a cui la marina americana sottoponeva le basi della flotta russa: gli americani monitoravano le uscite e le rotte dei sottomarini lanciamissili sovietici, preoccupati del fatto che potessero apparire e lanciare un attacco a sorpresa vicino alle coste americane. Comportamenti, sospetti e reazioni  nervose che sono stati alla base del rischio corso giornalmente in decenni che la guerra fredda divenisse calda….lo Scorpion sarebbe diventato quindi vittima di una “lezione “ data alla Marina statunitense e al contempo di una vendetta per la perdita del K129. Molto più probabilmente, i suoni di manovra captata dalla stazione scientifica alle Canarie furono generati da un incidente con uno dei siluri Mk 37 a testata convenzionale in dotazione allo Scorpion. Talvolta è capitato che le batterie di questi si surriscaldassero per il cattivo mescolamento degli elementi chimici provocato dalle vibrazioni a cui erano sottoposti  sui battelli, per cui in emergenza l’unico modo di evitare che esplodessero era di lanciare il siluro. Questo vuol dire per il sottomarino lanciatore riemergere almeno a quota periscopica, controllare che non vi fossero navi attorno (il siluro ha guida acustica e se non programmato, si attiva subito dopo il lancio cercando una eco su cui dirigersi…) prima di liberarsi dell’ordigno. Poi eseguire una manovra evasiva per evitare che il siluro individuasse loro stessi come bersaglio… Nello specifico,  un incidente del genere si era verificato alcuni mesi prima proprio sullo Scorpion, quindi non è probabile (ma nemmeno impossibile), che l’evento si sia ripetuto e che questa volta i marinai americani non siano riusciti a lanciare il siluro o a evitare di diventarne essi stessi vittime. Per la cronaca, anche i siluri nucleari Mk45 Astor avevano un sistema di propulsione elettromeccanica simile a quella dei Mk37 (ritirati dal servizio definitivamente negli anni successivi), quindi il rischio corso è stato anche peggio… Il sito di affondamento dello Scorpion è tutt’oggi sorvegliato strettamente dalla US Navy per il rischio radiologico mentre gli atti dell’inchiesta e delle ricerche scientifiche continuano in buona parte ad essere riservati.

di Davide Migliore

 

Fonti Generali :

www.mongiello.it/chernobyl/elenco-incidenti-nucleari

Shaun Gregory – Alistair Edwards “A Handbook of Nuclear Weapons Accidents”, University of Bradford, Bradford 1986

AEREI – rivista aeronautica, n. 2 febbraio1991 “storia segreta degli incidenti nucleari”.

Legenda :

(1)http://ospiti.peacelink.it/qualevita/html/dossier_incubo_atomico.html dossier Incubo atomico

(2) SOMMERGIBILI NUCLEARI : PROBLEMI DI SICUREZZA ED IMPATTO AMBIENTALE , Politecnico di Torino, 2004 – F. IANNUZZELLI, V.F. POLCARO, M. ZUCCHETTI

(3)http://translate.google.it/translate?hl=it&langpair=en%7Cit&u=http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_military_nuclear_accidents : Incidente al sottomarino K8

(4)AEREI – rivista aeronautica, n. 2 febbraio1991 “storia segreta degli incidenti nucleari”.

(5) due link alla vicenda del K19 :

http://it.wikipedia.org/wiki/K-19_(sottomarino)  http://www.nationalgeographic.com/k19/k19_html_main.html

(6)http://www.jp-petit.org/Divers/Nucleaire_souterrain/in_ecker.htm incidente Beryl, Ecker Sahara algerino francese

http://www.aven.org/aven-accueil-presentation-temoignages-veuve-colonel-clavert

(7)http://www.aerospaceweb.org/question/weapons/q0268.shtml  incidenti missili Thor 1962 e altro

(8) http://www.codicenucleare.it/d2.htm Martin Marietta – treno

(9)http://it.m.wikipedia.org/wiki/USS_Thresher_(SSN-593) 1963 l’affondamento del USS Thresher

http://www.history.navy.mil/danfs/t/thresher.htm

(10) http://en.wikipedia.org/wiki/Douglas_M._Webster : broken arrow – l’incidente delle Ryukuyu

(11) http://en.wikipedia.org/wiki/1966_Palomares_B-52_crash e

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/04/17/bomba-palomares.html : Palomares, l’incubo nucleare è già in Europa

Moran, Barbara (2009). The Day We Lost the H-Bomb: Cold War, Hot Nukes, and the Worst Nuclear Weapons Disaster in History. Random House, Inc

(12) – (13)  http://en.wikipedia.org/wiki/1968_Thule_Air_Base_B-52_crash  il disastro di Thule

Christensen, Svend Aage (2009). The Marshal’s Baton. There is no bomb, there was no bomb, they were not looking for a bomb. Danish Institute for International Studies

Juel, Knud (1992). “The Thule Episode Epidemiological Followup After the Crash of a B-52 Bomber in Greenland: Registry Linkage, Mortality, Hospital Admissions”. Journal of Epidemiological and Community Health (Copenhagen: Danish Institute for Clinical Epidemiology)

(14) http://www.mikekemble.com/misc/k129.html the amazing story of the K129

http://it.wikipedia.org/wiki/K-129_(Golf_II)  l’affondamento del K129

http://www.gwu.edu/~nsarchiv/nukevault/ebb305/index.htm il Progetto Azorian, l’operazione più costosa della guerra fredda

(15)http://translate.google.it/translate?hl=it&langpair=en%7Cit&u=http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_military_nuclear_accidents : Incidente al sottomarino K27 24th may 1968,  Incidente al sottomarino K8 12th april 1970

(16) http://it.wikipedia.org/wiki/USS_Scorpion_(SSN-589) l’affondamento dell’USS Scorpion, may 1968

http://www.oneternalpatrol.com/uss-scorpion-589.htm On Eternal Patrol, tribute to the Us Navy submarine’s crew lost in service

http://it.wikibooks.org/wiki/Forze_armate_mondiali_dal_secondo_dopoguerra_al_XXI_secolo/USA-6

Bibliografia specifica sull’evento:

Stephen Johnson, Silent Steel: The Mysterious Death of the Nuclear Attack Sub USS Scorpion, January 6, 2006, Wiley Edit., pp. 304.

Christopher Drew, Blind Man’s Bluff: The Untold Story of American Submarine Espionage, 3 ottobre 2000, Harper Paperbacks, pp. 432.

Ed Offley, Scorpion Down: Sunk by the Soviets, Buried by the Pentagon: The Untold Story of the USS Scorpion, 20 aprile 2007, Perseus Books Group, pp. 480.

 

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