Chi siamo e cosa facciamo

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Questa rivista nasce come progetto culturale indipendente per esplorare le criticità del pianeta, le pratiche in atto e cosa si stia facendo per rendere più o meno vivibile questo nostro mondo.

Prendendo a prestito dalla fisica il termine Massa Critica, la quantità di materiale fissile necessaria affinché una reazione nucleare a catena possa autosostenersi, pensiamo che alimentare la libera informazione sul web, sia un modo per allargare il più possibile la libera discussione, che oggi trova sempre meno spazi fisici e sempre più spazi virtuali, spazi che vanno quindi presi in considerazione per la loro potenziale capacità di diffusione, ma anche per presidiare un’informazione basata su fonti attendibili, oggi sempre meno decifrabili e tracciabili.

Gli argomenti e gli articoli pubblicati su questo mensile web, sono un contributo all’approfondimento e all’aggiornamento. La società non prevede che si continui a studiare né ad “aggiornare” la propria cultura generale.

Così, società sempre più complesse si ritrovano ad affrontare quesiti spinosi, che riguardano il bene del pianeta e di tutte le risorse e forme di vita che vi sono a bordo, senza disporre di strumenti cognitivi sufficienti a decodificare i processi in atto, ne le direzioni che questi prenderanno.

“Come possiamo orientarci senza capire. Come possiamo capire se non disponiamo di informazioni. Una società senza cultura è come un uomo senza testa, senza mani e senza gambe. Resta solo il tronco svilito di un manichino che qualche burattinaio dirigerà”.

L’invenzione della stampa ha permesso di fare parecchia strada, ma oggi molti sono i media che distorcono o minimizzano l’informazione, più preoccupati di influenzare l’opinione pubblica e meno di fornire l’approfondimento. Il rischio è di precipitare in una dilagante ignoranza.

Nella nuova era, l’accesso all’informazione passa ancora dalla carta, ma attraverso linguaggi sempre più esperti e meno decodificabili per la maggior parte delle persone, che si affidano allora a conduttori televisivi, guru, social-blogger e una svariata costellazione di costruttori, interpreti e profeti della realtà, che non si è in grado di valutare, se non spannometricamente.

L’era digitale e l’incredibile potenza dei nuovi mezzi tecnologici, oltre alla crescente disponibilità di big data, rendono oggi disponibili sul web eccezionali opportunità e strumenti di approfondimento, ma l’accesso è sbarrato subito all’ingresso dal grado di alfabetizzazione di ciascuno, sia di capacità di utilizzo dei nuovi media sia di proprietà di linguaggio, che permetta di decodificarne il contenuto. Questo gap investe sia gli strati meno abbienti sia quelli più elittari delle società occidentali e spesso esclude a priori interi paesi del pianeta, per ragioni culturali, digitali, politiche ed economiche.

Un’importante e rivoluzionaria risorsa, che potrebbe offrire opportunità di crescita personale e di osmosi e confronto sociale tra popoli e individui, rischia di diventare un’ulteriore strumento di esclusione per cospicue masse di persone, che non possono partecipare ai dibattiti in corso sui possibili destini del pianeta.

Come alcuni economisti scrivevano nel 1973 : “Dobbiamo inventare una nuova economia il cui scopo sia la gestione delle risorse e il controllo razionale del progresso e delle applicazioni della tecnica, per servire i reali bisogni umani, invece che l’aumento dei profitti o del prestigio nazionale o le crudeltà della guerra. Dobbiamo elaborare una economia della sopravvivenza, anzi della speranza, la teoria di un’economia globale basata sulla giustizia, che consenta l’equa distribuzione delle ricchezze della Terra fra i suoi abitanti, attuali e futuri. È ormai evidente che non possiamo più considerare le economie nazionali come separate, isolate dal più vasto sistema globale (Nicholas Georgescu-Roegen, Kenneth Boulding e Herman Daly)”. Ma meno le persone saranno capaci di decodificare i punti dell’agenda all’ordine del giorno, maggiormente questo mondo cambierà senza poter avere voce in capitolo.

Uno studio del 1979, sulla condizione del sapere nelle società più sviluppate postmoderne, di Lyotard J.F. designa lo stato della cultura dopo le trasformazioni avvenute nella scienza, nella letteratura e nelle arti a partire dalla fine del XIX secolo: “Il sistema decisionale gestisce le nebulose sociali attraverso matrici di input/output, secondo una logica che implica la commensurabilità degli elementi e la determinabilità del tutto. La nostra vita è così votata all’accrescimento della potenza. La sua legittimazione di giustizia sociale e di verità scientifica consiste nell’ottimizzazione delle prestazioni del sistema, nell’efficacia. L’applicazione di questo criterio è: siate operativi, cioè commensurabili o sparite. (La condizione postmoderna, rapporto sul sapere, Lyotard J.F., 1979, pp. 6,7)

Nel 2000, il premio Nobel per la Chimica Paul Crutzen, durante un incontro a Cuernavaca in Messico sui cambiamenti globali, l’International Geosphere Biosphere Programme (IGBP), parlando dell’attuale dominazione della specie umana sulla biosfera, definì la nostra era geologica con il nome di Antropocene. Crutzen scriveva: “A differenza del Pleistocene, dell’Olocene e di tutte le epoche precedenti, essa è caratterizzata anzitutto dall’impatto dell’uomo sull’ambiente. La forza nuova […] siamo noi, capaci di spostare più materia di quanto facciano i vulcani e il vento messi insieme, di far degradare interi continenti, di alterare il ciclo dell’acqua, dell’azoto, del carbonio e di produrre l’impennata più brusca e marcata della quantità di gas serra in atmosfera negli ultimi 15 milioni di anni. […] Ma abbiamo una certezza: il nostro impatto sull’ambiente crescerà. […] Non possiamo tornare indietro. Possiamo però studiare il processo di trasformazione in atto, imparare a controllarlo e tentare di gestirlo.”

Ian Hacking, in Making People, scrive: “La persona che noi siamo è determinata dalle nostre proprie azioni e dalle nostre scelte. Conduciamo le nostre vite attraverso boschi, in cui i tronchi solidi del determinismo sono catturati dai rami sinuosi del caso. Pertanto noi possiamo scegliere ciò che possiamo fare in circostanze date. Le scelte che facciamo nel cuore di quei boschi, sono quelle che ci hanno formato e che continuano a formarci. Essere responsabili è in parte addossarsi la responsabilità di essere quelli che noi diveniamo conseguentemente alle nostre scelte. Le aspirazioni più alte suppongono responsabilità non solo di ciò che si fa, ma di ciò che si fa di sé. I modi in cui noi concettualiziamo e realizziamo chi siamo noi e chi noi possiamo essere, qui e ora. Ciò che fa di noi la persona che noi siamo, non è solamente quello che noi abbiamo fatto, quello che noi facciamo e faremo, ma anche quello che noi avremmo potuto fare e quello che noi potremmo fare.

Adriana Paolini

 

n°135 – Agosto- 2023

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