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Leoni per Agnelli

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Leoni per Agnelli

Pubblicato il 22 luglio 2015 by redazione

Immagine di apertura

Quando esce nel 2007, il film Lions for lambs, Leoni per agnelli nella traduzione italiana, provoca numerose discussioni sia nella critica cinematografica, sia nella società americana.

L’attore e regista Robert Redford, uno dei volti più importanti del cinema americano, riesce a mettere davanti agli occhi di tutta l’opinione pubblica le contraddizioni della società statunitense, che dopo l’attacco alle torri gemelle di New York, sente minacciati i valori fondanti della democrazia. Lo scollamento fra la società e la classe politica è ormai evidente, la prima troppo distratta e impaurita e la seconda fortemente cinica e detentrice di un potere così grande, che nemmeno il presidente Roosevelt, durante i drammatici anni della seconda guerra mondiale, aveva mai neppure immaginato di poter esercitare.

Il pesantissimo prezzo di questa paradossale situazione viene pagato dalle giovani generazioni americane, che credendo patrioticamente alle parole d’ordine dei loro leader politici, sulla necessità della guerra al terrore e agli Stati canaglia, si sacrificano sui campi della guerra in Iraq e in Afghanistan, dove trovano poi la morte. Si contano 21000 morti, fra civile e militari, di cui solo 2300 saranno soldati americani: il conflitto più lungo della storia americana!

Morti Afghanistan

Morti Afghanistan_2

Sicuramente Robert Redford vuole fare un film non di guerra, ma sulla guerra.

Non un film di denuncia o di sostegno aperto a una tesi politica, dunque, ma un film che mostri la situazione della società americana e in generale di quella occidentale, per stimolare ogni persona a riflettere liberamente, e prendere posizione, superando un’impasse morale che sembra, ormai, affliggere molti.

Redford, regista e attore, è affiancato da un cast di tutto rispetto, in cui figurano Meryl Streep e Tom Cruise, nell’interpretazione magistrale del giovane e arrogante politico in carriera.

Ritornato alla regia, dopo essere stato negli ultimi 7 anni solo davanti alla macchina da presa, Redford si guadagna il favore della critica più tecnica, che gli riconosce il merito di aver costruito una trama mirabilmente inanellata in cui risalta l’interpretazione degli attori, che in un solo giorno restituiscono tutto il senso del film.

Non viene, però, apprezzato il ruolo che Redford ritaglia per sé, quello del saggio professore universitario che si sforza di spronare un giovane studente talentuoso, ma disimpegnato, giudicato un pò scontato e frutto di un furbo calcolo.

È piaciuto anche poco come il film non “affondasse il colpo”, sostenendo apertamente una posizione contro la politica del’Amministrazione Bush.

Ma Robert Redford, da sempre tra i protagonisti di Hollywood più impegnati politicamente (basti pensare solo alla sua attività a favore del Sundance Festival, la festa più rappresentativa del cinema indipendente americano), accetta anche copioni non facili da digerire per l’opinione pubblica del suo Paese: il film I tre giorni del condor, è un’aperta denuncia del potere occulto dei servizi segreti ed è diventato uno tra i film più importanti della cinematografia moderna.

Matthew Michael Carnahan.

Matthew Michael Carnahan.

La costruzione del film e la sua trama

L’idea alla base del film viene allo sceneggiatore Matthew Michael Carnahan, durante una sera a casa, mentre distrattamente vaga tra i canali televisivi.

Colpito da come si possa passare da un servizio sulla guerra in Iraq alle notizie di gossip o di sport, senza alcuna differenza, come se le notizie avessero tutte lo stesso peso, Carnahan si pone delle domande, quelle che saranno poi alla base della sceneggiatura del film: se nessuno può negare che la sicurezza nazionale non sia importante, si può sostenere senza ombra di dubbio che le vite dei soldati siano davvero sacrificabili per salvarne delle altre?

La difesa della libertà può veramente passare attraverso una sua limitazione?

Che Robert Redford, così come Tom Cruise o Meryl Streep, fossero contrari alla strategia militare e alla visione politica del governo repubblicano lo si sa per certo, ma le domande che stanno dietro a questo film, la sete di risposte e di riflessione sono ben più importanti e vanno sicuramente al di là di facili conclusioni.

Probabilmente è questo che convince Redford, così come Tom Cruise, oggi uno degli azionisti di riferimento della compagnia che ha prodotto il film, la United Artists, tra le più antiche degli Stati Uniti (fondata nel 1919 da un gruppo di attori, tra i quali Charlie Chaplin e Douglas Fairbanks) e oggi parte del potente gruppo Metro Goldwin Mayer.

Il film si svolge, come dicevamo, in tre luoghi diversi, ma nella stessa giornata.

Unico filo conduttore la guerra, che ha conseguenze sulla vita di chiunque, che lo si voglia o meno.

Ognuna delle scene, in continua alternanza fra loro, ruota attorno alla vicenda di due ex studenti della facoltà di scienze politiche, Ernest Rodriguez (interpretato da Michael Peña) e Arian Finch (impersonato da Derek Luke) che, convinti della necessità di fare qualcosa per il proprio Paese, lasciano l’università e si arruolano volontari.

Lions For Lambs

Ernest Rodriguez ( Michael Peña) e Arian Finch (Derek Luke) sull’elicottero che li sta portando nella missione fatale.

Sono loro i leoni coraggiosi e speranzosi del titolo del film, inviati in una tragica missione pianificata e gestita secondo le strategie supponenti del Governo americano e del Pentagono.

I due ragazzi cadranno in Afghanistan e la loro morte rappresenterà il tradimento del loro idealismo entusiasta e sincero, lo spreco dei loro talenti e delle loro giovani vite.

Lungo tutto il film si assiste al fallimento della missione e alla tragica morte dei due ragazzi, feriti e circondati dai mujaheddin nella neve delle montagne afghane, dove la superiorità tecnologica statunitense servirà a rendere i responsabili della missione solamente testimoni impotenti della loro morte.

Ma la scena centrale del film è il faccia faccia fra la giornalista d’assalto Janine Roth (Meryl Streep), ormai prossima ai sessant’anni e il giovane senatore Jasper Irving (Tom Cruise), lanciato nella carriera politica.

E sarà attraverso l’intervista della giornalista veterana al giovane politico rampante, che Redford mostrerà i diversi punti di vista sull’opportunità della guerra e sulle strategie per condurla.

Metaforicamente, in questo modo, Robert Reford mette anche a nudo la decadenza della classe giornalistica americana, baluardo durante gli anni Sessanta del diritto d’informazione contro gli abusi e le brutture del potere, di cui ne fu un esempio lo scandalo del Watergate, che portò alle dimissioni del presidente Richard Nixon.

Curiosamente, nel film del 1976 di Alan J. Pakula, Tutti gli uomini del presidente, proprio Redford interpreta il ruolo del giornalista Bob Woodward, a fianco di uno strepitoso Dustin Hoffman / Carl Bernstein.

Immagine 2

Janine Roth (Meryl Streep) intervista il senatore Jasper Irving (Tom Cruise).

 

Nella scena del film Janine Roth sembra esitare: con la sua esperienza potrebbe facilmente mettere in difficoltà il senatore Irving e invece si fa affascinare, quasi condurre dalla sua eloquenza.

Mentre ritorna in taxi al giornale per cui scrive, la giornalista riflette sulle cose che non la convincono e vorrebbe scrivere un pezzo sui quei lati oscuri dell’intervista che proprio non le tornano.

Litiga pesantemente con il caporedattore, il quale cinicamente e realisticamente sottolinea che oggi a dettare la linea del giornale non è la ricerca della verità, ma gli interessi degli azionisti.

Per cui un articolo critico verso il governo, se potenzialmente può allontanare lettori o sponsor, non verrà mai pubblicato.

È la sconfitta della libertà del giornalismo (e di conseguenza, della libertà di parola), ridotto ad altoparlante del potere politico ed economico.

L’amara presa di coscienza, che Redford persegue nel film, viene rappresentata dalla giornalista Janine Roth, che lascia la professione proprio mentre al telegiornale della sera passa la versione delle notizie che lei non voleva dare nel suo articolo.

Dall’altro lato, il senatore Irving incarna in pieno la figura del politico moderno, intelligente e volitivo, ma anche privo di scrupoli morali e di vero talento.

Di questo ruolo Tom Cruise ne da una grande interpretazione, l’incarnazione esatta che Robert Redford voleva far emergere del potere politico.

Cruise / Irving risulta credibile nel sostenere le sue argomentazioni, addirittura quando chiede scusa per gli errori compiuti in passato dal governo, illustrando alla giornalista la nuova strategia per la guerra in corso, ispirata a quanto fece l’Impero Romano nella sua opera di conquista: occupare le alture nel territorio nemico con piccole unità specializzate.

Ma l’impero romano è lontano nel tempo e l’Afghanistan non è la Gallia dei tempi di Giulio Cesare…

Che Irving rappresenti il solito politico moralmente corrotto e interessato solo alla carriera non appare in maniera diretta, ma traspare quasi, come una sensazione, qualcosa che fa nascere il sospetto nella giornalista.

Difatti, la frase che il senatore dice al termine dell’intervista, cioè che non ha alcuna intenzione di candidarsi alle elezioni presidenziali, in una delle scene iniziali del film viene indicata dagli studenti proprio come la frase più tipica del politico bugiardo e corrotto… Jasper Irving è la personificazione degli agnelli, pavidi e inetti, nelle cui mani sono le redini della nazione.

La terza scena riguarda Robert Redford, che interpreta il Professor Sthepen Malley, contrapposto nel dialogo al giovane studente di talento, Todd Hayes, interpretato da Andrew Garfield.

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Il professor Stephen Malley (Robert Redford) e lo studente Todd Hayes (Andrew Garfield).

Il professor Malley era stato l’insegnante all’università di Ernest Rodriguez e Arian Finch, i due volontari partiti per l’Afghanistan, e aveva sempre cercato di infondere nei due ragazzi l’importanza dell’impegno sociale, cercando di orientare il loro entusiasmo.

Durante una esercitazione in facoltà, i due ragazzi presentano un progetto, un sistema di volontariato sociale.

Davanti alle critiche superficiali e allo scetticismo di buona parte dei compagni, i due ragazzi dimostrano drammaticamente quanto credano veramente nella necessità di dover fare qualcosa per il loro Paese, mostrando a tutti le loro domande di arruolamento.

Malley resta profondamente sconvolto: non era quello che avrebbe voluto insegnargli.

Avrebbe voluto trasmettere loro lo spirito dell’impegno, del senso della società, rappresentato dalla famosa frase del presidente John Fitzgerald Kennedy “non pensate a cosa può fare il paese per voi, ma cosa potete fare voi per il Paese”.

Ma i due ragazzi lo travisano, conquistati dal loro stesso entusiasmo, dimentichi di quello che nel film Redford indica proprio come il grande assente nella società americana di oggi (e non solo): il senso critico necessario a interpretare la realtà.

Il professor Malley vede nel giovane e svogliato allievo Todd Hayes l’occasione per non ripetere gli errori, per evitare che un’altra intelligenza vivida venga sprecata, questa volta non sui campi di battaglia, ma sull’altare dell’egoismo e del disimpegno.

Hayes è scettico, vorrebbe lasciare l’università per seguire le sirene delle opportuinità di carriera immediata.

Il dialogo coll’anziano Professore talvolta è teso e pieno di cinismo, come quando Hayes accusa Malley in fondo di essere responsabile dell’arruolamento dei due ex compagni di facoltà, anzi che fosse stato uno dei suoi fini sin dall’inizio.

Lo scontro fra Malley e Hayes rappresenta la lotta contro il torpore che attraversa la società, la tendenza al disinteresse per la cosa pubblica, al delegare al potere politico la gestione del Paese, senza rivendicare il fondamentale diritto di conoscere e di giudicare quanto viene fatto in nome della democrazia.

Il film si conclude con Todd Hayes che ritorna al campus e davanti alla tv parla con un compagno di quel che è successo nel colloquio con Malley.

Dovrà decidere se tornare a lezione il martedì successivo oppure lasciare gli studi per la carriera.

 

Immagine 4

Lo studente Todd Hayes (Andrew Garfield) nella scena finale.

 

Durante il dialogo, notizie di gossip prive di importanza, sport e finanzia, che si susseguono a quelle provenienti dalle zone di guerra, che annunciano la morte in combattimento di altri militari americani, tra cui i due studenti Ernest Rodriguez e Arian Finch.

Come nella situazione che aveva ispirato lo sceneggiatore, Todd Hayes incomincia a pensare alle parole del professore, mentre ascolta la marea di inutili sciocchezze che anestetizzano il cervello del pubblico.

Nella scena finale, il compagno chiede a Todd cosa vuol fare del suo futuro, mentre la camera stringe in primo piano sul suo volto.

A questo punto si apre una quarta scena virtuale, in cui il protagonista è ogni spettatore.

La domanda, in fondo, è rivolta a ciascuno di noi, perché valida ancora oggi: cosa intendiamo farne del nostro futuro?

di Davide Migliore

 

Linkografia

https://it.wikipedia.org/wiki/Leoni_per_agnelli

http://www.filmtv.it/film/37407/leoni-per-agnelli/

http://www.cinemadelsilenzio.it/index.php?mod=interview&id=7496

http://www.cinemadelsilenzio.it/index.php?mod=film&id=7165

http://filmup.leonardo.it/lionsforlambs.htm

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I movimenti degli Indignatos

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I movimenti degli Indignatos

Pubblicato il 10 luglio 2012 by redazione

INDIGNATOS-SPAGNOLI

Clicca su: download video per vedere l’intervista

In occasione della recente pubblicazione di “Indignarsi è giusto” edito da Mimesis, abbiamo rivolto all’autore, Feruccio Capelli alcune domande sull’origine dei movimenti degli indignatos, in Europa e nei paesi oltre oceano.
L’intervista è stata realizzata a cura di Adriana Paolini il 06/07/2012.

 

Scheda Biografica

Ferruccio Capelli è il direttore della Casa della Cultura di Milano (http://www.casadellacultura.it/).

Fondata nel 1946 da Antonio Banfi e da un gruppo di intellettuali antifascisti, la Casa della Cultura è un’associazone di persone che hanno sempre creduto e credono nella democrazia culturale, e che hanno cercato, per oltre 65 anni, di approfondire e far amare valori come la libertà, l’autonomia, la consapevolezza e la tolleranza.
Nata in un’Italia dove si desiderava riappropriarsi delle perdute libertà e della democrazia è sempre stata il luogo nel quale una certa Milano progressista, civile e libera si è impegnata a fare cultura, a partecipare allo scambio di idee, a cogliere le urgenze dell’attualità.

Ogni anno, da settembre a giugno, si svolge un intenso programma di dibattiti, seminari e corsi. Si ascolta, si parla e si discute di filosofia, psicanalisi, letteratura, arte, novità editoriali, cinema, media, società e attualità politica, con la partecipazione dei protagonisti della vita culturale milanese, italiana e internazionale.

Molti sono anche i saggi pubblicati da Ferruccio Capelli come autore o curatore:

–          2012 “Indignarsi è giusto” ( Mimesis editore).

–          2008 “Sinistra light. Populismo mediatico e silenzio delle idee” (Guerini e Associati); “Adultità”: “Insicurezza e precarietà, ovvero la perdita del futuro”.

–          2007 “Le bulletin, Association lacanienne internationale” N. 1: “La politique en declin?” e la sua partecipazione al convegno sul simbolo, organizzato a Parigi dall’Association lacaniene internationale, con la relazione “Le symbol e la politique italienne” ( testo pubblicato dalla rivista “Argomenti Umani”).

–          2006 curatore della pubblicazione “Per una geografia della morale. Dalla Cina all’Islam, dall’Europa all’America”, ed. Marinotti, e di: “Politica e cultura. Per un rinnovato rapporto tra memoria, scelta politica e progetto”, ed. Franco Angeli.

–          2001, per i Quaderni di Argomenti Umani N. 1,  “Milano città arcipelago”, ricerca condotta con Aldo Bonomi nel 1998.

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Pubblicato il 19 febbraio 2012 by redazione

uccellino imprigionatoOggi è venerdì (al venerdì si fa festa). Non ne ho voglia, mi piacerebbe volare e immergermi in un’altra cosa! Ma non so in cosa!

Ho preso il telecomando della televisione, mi siedo davanti e l’accendo. Questi canali non hanno niente da far vedere, come sempre …

Da sempre non guardo più la televisione. Decido di spegnerela. Non ho voglia di sentire le bugie dei notiziari. Vado allo specchio e mi guardo. Ad un certo punto mi viene in mente che potrei uscire e fare un giro in città. Indosso il mio vestito lungo. Metto anche il mio copricapo nero, mi trucco… lasciamo perdere, mi dico, sono bella anche così!

Apro la porta di casa e respiro un po’ dell’aria della via. Sento le voci di un gruppo che sta discutendo le attuali politiche e senza dargli importanza passo con non curanza. Mamma mia! Quanta arroganza hanno questi, uffa…basta !

Entro diretta in un supermercato e compro un gelato.

La televisione del negozio è accesa e il notiziario sta raccontando lo scandalo etico di un politico straniero. Prendo il gelato dalle mani del negoziante e apro la confezione. Un po’ di copertura di cioccolato cade sul mio copricapo nero.

Esco dal supermercato e ricomincio a camminare nella via, finché arrivo in un grande giardino alberato. Un ragazzo e una ragazza sono seduti su una panca e stanno ridendo. Vedo due sagome verdi che si dirigono verso di loro. Mi sembrano poliziotti. Parlano brevemente coi ragazzi e li costringono ad andare via con loro. Meno male che io sono da sola, altrimenti chissà cosa mi sarrebbe successo, magari arrestavano anche me.

Respiro profondamente qualche minuto ed esco dal giardino. C’è un centro commerciale proprio lì accanto. Di tutta quella gente, penso che il novanta per cento di loro non abbia voglia di fare la spesa, ne sono sicura.

Però camminando davanti alle botteghe, vedo una maglietta rossa in una vetrina che la illumina come una mela rossa. Decido di entrare nel negozio a chiedere il prezzo della maglietta. Appoggio la mano sulla maniglia d’ingresso e mi accorgo di un foglio attaccato alla porta su cui c’è scritto: sorella mia, rispetta il velo! Passo indifferente ed entro. Chiedo il prezzo, quant’è costosa! Esco anche dal centro commerciale e scappo dal chiasso di questa popolazione. Ho percorso tanta strada. Meglio che rientri in autobus. Dopo quasi trenta minuti arrivo a casa. Il sole sta per tramontare. Apro la porta e mi siedo sulle scale del mio cortile. Bel tramonto! E sono io che lo sto guardando. Mentre il sole pian piano scende illumina l’altra metà della Terra, quell’altra parte del Mondo… Mi viene in mente che potrei andare da quell’altra parte…, quell’altra parte della Terra.

di Marco Pavesi (dai racconti di Baran 19.02.2012)

 

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