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L’Affascinante Mistero dei Buchi Neri

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L’Affascinante Mistero dei Buchi Neri

Pubblicato il 16 marzo 2015 by redazione

#1

La Via Lattea e la distorsione causata da un ipotetico buco nero.

Nell’Universo profondo, si aggirano “mostri”  invisibili: i buchi neri. Tanto imponenti quanto affascinati, i buchi neri sono tra gli oggetti più misteriosi e poco conosciuti dell’intero Universo.

E proprio qualche giorno fa, il team guidato dall’astronomo cinese Xue-Bing Wu, della Peking University di Pechino, ha osservato quello che finora è il più antico buco nero mai scoperto, databile “appena” 900 milioni di anni dopo il Big Bang. La luce proveniente dalla materia circostante il buco nero ha impiegato quasi 13 miliardi di anni per raggiungere la Terra: stiamo parlando di un oggetto estremamente lontano, nello spazio e nel tempo!

La sua massa è pari a 12 miliardi di volte quella del Sole. Proprio per la loro imponente massa, questi buchi neri sono chiamati supermassicci e si pensa che possano trovarsi al centro di più galassie, che risucchino materiale interstellare per raggiungere tale massa e che siano generati dalla fusione di più buchi neri.

 

Perché “buchi neri”?

#2

Rappresentazione artistica di un buco nero.

#3

Come un buco nero distorce lo spazio-tempo.

La prima domanda che ci si può fare è innanzitutto perché l’appellativo “buchi”? E soprattutto perché “neri”?

Facile rispondere a entrambe se si pensa a cosa succede alla materia che gravita in prossimità di uno di questi oggetti: tutto ciò che si avvicina troppo, oltre un certo limite, chiamato orizzonte degli eventi, non può più tornare indietro e viene risucchiato; inoltre, la forza di gravità esercitata da un buco nero è talmente elevata che neanche la luce può sfuggirgli. Questo significa che la velocità di fuga di un buco nero è più alta della velocità della luce stessa, pari a 300.000 Km/s.

Per questo motivo non è possibile osservare direttamente un buco nero, ma si possono vedere gli effetti che la sua presenza provoca nella materia, in particolare la distorsione della curvatura spazio-temporale circostante; inoltre un buco nero espelle radiazioni e materia sotto forma di getto lungo l’asse di rotazione.

 

Da dove vengono i buchi neri?

Ma da cosa sono generati tali oggetti estremi?

Un buco nero può per esempio nascere dalla morte di una stella. Questo dipende dalla massa della stella stessa: stelle come il Sole sono considerate medie e il loro collasso gravitazionale non porta alla formazione di un buco nero. Ma una stella che avesse 3 o 4 volte la massa del nostro Sole, collassando darebbe origine a una stella di neutroni o a un buco nero.

I buchi neri supermassicci invece possono essere molto antichi, proprio come quello studiato dal team cinese, e solitamente risucchiano grandi quantità di massa e liberano radiazioni attraverso il getto assiale. Si pensa che all’interno dei nuclei galattici ci siano buchi neri supermassicci, senza esclusione per la Via Lattea.

 

Raggi cosmici

#4

Un Buco nero e i suoi getti assiali.

#5

Un Buco nero risucchia una stella vicina.

 

Se una stella ha la sfortuna di gravitare in prossimità di un buco nero, quest’ultimo spilla costantemente, ma inesorabilmente, materia dagli strati esterni della stella stessa. La caduta della materia all’interno del buco nero genera energia cinetica che alimenta l’emissione di radiazione. Questo sitema binario prende il nome di microquasar. E’ interessante guardare a questo tipo di sistema poiché, nonostante i buchi neri sembrino già speciali se consideriamo tutte le loro caratteristiche estreme, come spesso succede, è quello che non si vede a essere ricco di informazioni più profonde, di dinamiche nascoste ma importantissime. La chiave del mistero probabilmente risiede nei raggi cosmici che un buco nero (in particolare se supermassiccio) emette. I raggi cosmici derivanti dall’energia cinetica associata alla materia risucchiata in un buco nero subiscono accelerazioni elevatissime e raggiungono la Terra praticamente indisturbati. Nonostante questo renda difficilissimo riuscire a rilevarli, i raggi cosmici conservano praticamente intatta l’informazione energetica della sorgente da cui provengono, candidandosi a essere i custodi designati dei segreti del nostro Universo.

 

Avvicinandosi a un buco nero

Facciamo il punto: finora sappiamo che i buchi neri sono oggetti supermassicci che emettono radiazioni, risucchiano la materia che li circonda e sono originati dal collasso di stelle particolarmente massicce o risalgono agli albori dell’Universo.

Ma immaginiamo per un attimo di gettare lo sguardo oltre l’orizzonte degli eventi, “il punto di non ritorno”. Immaginiamo di non essere nello spazio siderale, ma di nuotare in mare in prossimità di un mulinello. Se ci teniamo a debita distanza dal mulinello, siamo liberi di nuotare in qualsiasi direzione. Non appena ci avviciniamo all’orizzonte degli eventi del nostro mulinello, sempre più percorsi tenderanno a convergere verso di esso, finchè, una volta superato un certo limite (l’orizzonte degli eventi, appunto), tutti i percorsi tenderanno verso il centro del mulinello. Tornando nello spazio, questo significherebbe non poter più uscire da un buco nero.

 

Dentro un buco nero: teorie in contraddizione

La domanda che sorge spontanea ora è: cosa succede alla materia che supera l’orizzonte degli eventi di un buco nero?

La risposta a questa domanda è fonte di accesi dibattiti e rischia di mettere in dubbio l’intera teoria della relatività generale se non la meccanica quantistica stessa. Infatti uno dei principi basilari della moderna meccanica quantistica è l’assunzione che un sistema in evoluzione conserva sempre le informazioni relative al suo stato iniziale. Se si pensa ai buchi neri, non è possibile a priori risalire allo stato iniziale, ossia a cosa ne ha causato la formazione. Seguendo le regole della meccanica quantistica e considerando il buco nero come qualcosa di eterno, fin qui nessuna contraddizione: le informazioni iniziali ci sono da qualche parte, semplicemente non possiamo accedervi. Ma se invece si considerare il buco nero come qualcosa che in tempi molto lunghi tende a estinguersi, allora vuol dire che l’informazione contenuta in esso andrà perduta e non sarà più recuperabile. Una delle teorie che cerca di risolvere la contraddizione legata alle informazioni iniziali è la teoria delle stringhe, che riconfigura la struttura interna dei buchi neri rispetto alla teoria classica: non più una singolarità con intensità infinita al centro, ma qualcosa di più complesso che si estende su più dimensioni e che consentirebbe la fuoriuscita dell’informazione dal buco nero, anche se in tempi estremamente lunghi.

 

Misteri, teorie e futuro

Rappresentazione di un ponte di Einstein-Rosen.

Rappresentazione di un ponte di Einstein-Rosen.

Risolta la contraddizione sull’informazione, la domanda resta: cosa c’è dentro un buco nero?

Le congetture sono tante: per esempio un osservatore che accidentalmente cadesse al di là dell’orizzonte degli eventi, potrebbe non accorgersene affatto! Inoltre bisogna ricordare la postulazione dei cosiddetti ponti di Einstein-Rosen, dei veri e propri cuniculi spazio temporali in grado di collegare due regioni diverse dello stesso Universo o di due Universi paralleli. Sebbene tutto questo suoni come fantascienza, molti aspetti di queste teorie sono stati dimostrati, come per esempio l’attraversabilità di un ponte di Einstein-Rosen. Ma l’applicabilità alla realtà fisica è ovviamente estremamente complessa da provare.

Il mistero che avvolge i buchi neri, così come gli altri oggetti misteriosi del cosmo, continuerà ad alimentare nuove teorie e a mantenere vivo il dibattito su uno dei temi scientifici più caldi e più importanti per completare un importante capitolo nel libretto d’istruzioni del nostro Universo.

 di Michele Mione

 

Fonti:

http://it.wikipedia.org/wiki/Buco_nero – Pagina Wikipedia dedicata ai buchi neri

http://www.nature.com/news/young-black-hole-had-monstrous-growth-spurt-1.16989 – La scoperta del team cinese pubblicata sulla rivistaNature

http://www.asimmetrie.it/index.php/nel-buio-dei-buchi-neri – “Nel buio dei buchi neri”, Gianguido Dall’Agata, Asimmetrie – Rivista ufficiale dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), Aprile 2013

http://www.asimmetrie.it/index.php/masse-estreme – “Masse estreme”, Gianguido Dall’Agata, Asimmetrie – Rivista ufficiale dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), Aprile 2013

http://www.asimmetrie.it/index.php/voci-dell-universo – “Voci dell’Universo”, Paolo Lipari, Asimmetrie – Rivista ufficiale dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), Settembre 2010

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Gli effetti del vuoto dello spazio sugli astronauti

Pubblicato il 12 marzo 2015 by redazione

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Spazio: un magnifico e pericoloso sogno

Sono ormai anni che l’uomo cerca di sviluppare tecnologie in grado di rendere la conquista dell’universo una realtà e non più un lontano sogno. Tuttavia vi siete mai chiesti se gli esseri umani sono davvero in grado di vivere nello spazio a prescindere dalla tecnologia a disposizione? Il nostro corpo riuscirebbe veramente a a sopportare un viaggio interstellare? Purtroppo a causa della limitata conoscenza che abbiamo dell’universo nessuno a tutt’oggi è in grado di rispondere con certezza a questa domanda. Tuttavia grazie a numerosi studi su questo delicato argomento e soprattutto grazie all’esperienza diretta degli astronauti che hanno avuto la possibilità di vivere nello spazio per alcuni mesi, siamo a conoscenza di numerose disturbi  e malattie più frequenti che colpiscono un uomo quando si ritrova a vivere nello spazio. Inoltre l’analisi del vuoto e delle sue caratteristiche ci permette di equipaggiare gli astronauti in modo che un possibile ‘tuffo’ nello spazio non ne causi la morte.

 

Gli effetti del vuoto                                                                                                                              

L’ambiente che caratterizza lo spazio è letale per l’uomo a meno che questo non indossi appropriate protezioni. Infatti  nel vuoto non vi è ossigeno e pressione sufficienti a garantire la nostra sopravvivenza, senza contare i pericoli che corriamo a causa della temperatura e delle radiazioni.

Il corpo umano si è adattato a vivere all’interno dell’atmosfera terrestre, infatti per respirare abbiamo bisogno di una concentrazione minima (o pressione parziale) di ossigeno pari a 16 Kpa (0.16 Bar). Al di sotto di questo valore il rischio di perdere conoscenza e morire per ipossia aumenta considerevolmente.

Infatti nel vuoto lo scambio di gas nei polmoni avviene regolarmente ma nessun gas, compreso l’ossigeno, entra nel sistema sanguigno. Perciò dopo circa 9-12 secondi nel vuoto, il sangue deossigenato raggiunge il cervello provocando la perdita di coscienza. Infine dopo circa due minuti (il limite assoluto rimane ancora incerto) sopraggiunge gradualmente la morte.

Durante questo processo il sangue e gli altri fluidi corporei cominciano a bollire a seguito dell’abbassamento della pressione sotto i  6.3 KPa (pressione di vapore dell’acqua a temperatura corporea). Questo fenomeno è chiamato ‘Ebullismo’ e consiste nella formazione di bolle di gas all’interno dei fluidi corporei a causa della riduzione di pressione. Il vapore è in grado di gonfiare il corpo fino a due volte le sue normali dimensioni, tuttavia i tessuti sono abbastanza elastici e porosi da impedirne la lacerazione. L’Ebullismo viene rallentato dai vasi sanguigni che contengono la pressione  in modo che parte del sangue rimanga liquido. Il gonfiore e l’Ebullismo si possono ridurre drasticamente indossando una tuta spaziale (Crew Altitude Protection Suit CAPS), indispensabili sopra i 19 Km. La maggior parte delle tute vengono pressurizzate a 20 kPa (150 Torr) di puro ossigeno, con una tale pressione si evitano perdite di conoscenza e si previene l’Ebullismo, ma se mal gestita  l’evaporazione del sangue o altri gas dissolti in esso possono ancora causare la malattia da decompressione ed embolie.

A seguito  di esperimenti condotti su animali, si è arrivati ad affermare che anche una breve esposizione al vuoto, fino a 30 secondi, causa danni fisici permanenti e oltre questo valore l’esposizione risulta addirittura fatale; se la respirazione non viene compromessa gli arti hanno un tempo di esposizione ammissibile superiore .

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Tuttavia l’esposizione al vuoto è sicuramente meno pericolosa di una rapida decompressione. Anche se la vittima in questione cercasse di respirare, la ventilazione attraverso la trachea risulterebbe troppo lenta con la conseguente rottura  degli alveoli polmonari. Inoltre i timpani e la cavità nasale si romperebbero, i tessuti molli verrebbero compromessi e potrebbero andare in circolo e l’aumento della richiesta di ossigeno a seguito del forte stress porterebbe a un’ipossia. Questo tipo di lesioni causate da una rapida decompressione vengono chiamati barotraumi; per chi di voi fosse appassionato di immersioni subacquee, questo tipo di lesioni caratterizza la maggior parte degli incidenti in questo ambito. Un abbassamento di pressione di circa 13 Kpa non comporterebbe alcun sintomo se effettuato gradualmente, ma risulterebbe fatale se fosse improvviso.

Purtroppo la maggior parte delle informazioni riguardanti la decompressione e il suo effetto sul corpo umano sono state raccolte a seguito di incidenti durante progetti sperimentali per il volo spaziale. Uno di questi viene descritto nel report della NASA Rapid (Explosive) Decompression Emergencies in Pressure-Suited Subjects:

“Nel 1965 presso il NASA’s Manned Spacecraft Center (oggi rinominato Johnson Space Center), durante un test all’interno di una camera a vuoto, un soggetto è stato accidentalmente esposto a un ‘quasi vuoto’ (meno di 1 psi, 7 kPa ) a causa di una tuta spaziale difettosa. E’ riuscito a rimanere cosciente per circa 14 secondi, ossia il tempo necessario al sangue, privato di O2, per passare dai polmoni al cervello. Probabilmente la tuta non ha raggiunto completamente i valori del vuoto e abbiamo repressurizzato la stanza in 15 secondi. Il soggetto è riuscito a riacquistare conoscenza alla quota equivalente di circa 15000 piedi (4600 m). In seguito il soggetto a riferito di aver sentito e udito l’aria fuoriuscire e il suo ultimo ricordo era quello dell’acqua sulla sua lingua che cominciava a bollire”.

Purtroppo si sono verificati anche incidenti fatali, come la decompressione del Soyuz 11 nel 1971 che ha causato la morte dei tre astronauti che erano a bordo.

 

Temperature Estreme

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Nel vuoto è impossibile ridurre il calore di un corpo attraverso la conduzione o la convezione, infatti la dispersione di calore avviene unicamente per irraggiamento. Il passaggio da 310 K (temperatura di una persona) a 3 K (temperatura dello spazio) è molto lento, specialmente se l’individuo è vestito, quindi non si corre il pericolo di un immediato congelamento; tuttavia è possibile che in zone come la bocca si formi del ghiaccio.

L’esposizione a intense radiazioni non filtrate e dirette come la luce solare può causare un riscaldamento locale, anche se il calore verrebbe ridistribuito grazie alla conducibilità del corpo e alla circolazione. Tuttavia altre radiazioni, come i raggi ultravioletti, possono causare gravi scottature in pochi secondi.

 

Radiazioni

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Senza la protezione dell’atmosfera e magnetosfera, gli astronauti in un anno vengono sottoposti a livelli di radiazioni anche 10 volte più grandi di quelle che normalmente subiscono sulla Terra. Un così alto livello di radiazioni può danneggiare i linfociti, cellule coinvolte nel mantenimento del sistema immunitario, provocando un abbassamento delle difese immunitarie degli astronauti. Questo comporta una maggiore vulnerabilità a nuove esposizioni e a virus già presenti nel nostro corpo che diverranno attivi. Purtroppo nello spazio le cellule T (un tipo di linfociti) non riescono a riprodursi correttamente e di conseguenza non sono più in grado di combattere le infezioni; in poco tempo i fenomeni di immunodeficienza aumenterebbero insieme con il numero di infezioni che colpirà l’equipaggio.

Recentemente si è anche scoperto che l’esposizione alle radiazioni aumenta il rischio di cataratta. Ne è un esempio l’astronauta Soviet Valentin Lebedev che nel 1982, dopo aver trascorso 221 giorni in orbita (un record assoluto), ha completamente perso la vista a seguito di progressive cataratte.

I raggi cosmici, invece, rappresentano un grande pericolo in quanto aumentano significamente le probabilità di ammalarsi di cancro per il decennio successivo all’esposizione. I brillamenti solari raramente possono anche essere fatali in pochi minuti. Tuttavia si pensa che sia possibile ridurre gli effetti di queste radiazioni  fino a livelli accettabili tramite l’utilizzo di schermature e farmaci.

Sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) l’equipaggio è parzialmente protetto dall’ambiente circostante grazie al campo magnetico terrestre che deflette il vento solare intorno alla Terra e all’ISS. Tuttavia i brillamenti rimangono un grave pericolo per l’equipaggio in quanto sono talmente potenti da deformare e penetrare il campo magnetico terrestre. Per questo motivo, future missioni interplanetarie con equipaggio saranno molto più rischiose vista l’assenza della parziale protezione data dalla  magnetosfera.

Recentemente la nuova conquista dell’uomo nello spazio sembra viaggiare dalla Terra a Marte con una navicella dotata di equipaggio. Allora mi domando siamo davvero pronti per un viaggio simile? Anche nell’ipotesi che riuscissimo ad arrivare su Marte, l’equipaggio sarà sopravvissuto alle elevate radiazioni? Lo spazio è un luogo estremamente pericoloso per l’uomo quindi l’unico modo per farne parte è confidare nello sviluppo sempre crescente di nuove tecnologie, le uniche in grado di abbattere queste barriere!

di Sara Pavesi

 

Bibliografia

http://en.wikipedia.org/wiki/Effect_of_spaceflight_on_the_human_body

http://www.nytimes.com/2014/01/28/science/bodies-not-made-for-space.html?_r=0&module=ArrowsNav&contentCollection=Science&action=keypress&region=FixedLeft&pgtype=article

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Magnetismo terrestre: quando il Sole minaccia tempesta!

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Magnetismo terrestre: quando il Sole minaccia tempesta!

Pubblicato il 03 maggio 2012 by redazione

Northern LightsDal dicembre scorso, le agenzie spaziali internazionali hanno registrato un aumento dell’attività magnetica del Sole, che per il momento si è tradotta nella manifestazione di spettacolari aurore polari di forte intensità. Tuttavia, un’intensità troppo alta di tale attività può portare a conseguenze serie per i sistemi elettromagnetici e in generale per la vita sulla Terra.

Il problema nasce proprio lì, a 150 milioni di chilometri dalla Terra, sul Sole, la stella che splende al centro della giostra planetaria, fonte principale di luce, calore, energia e vita.

Campo magnetico solare

macchie solariIl Sole è una stella di mezza età, che da circa cinque miliardi di anni brucia idrogeno trasformandolo in elio e liberando una grande quantità di energia sotto forma di radiazione elettromagnetica e vento solare. L’attività magnetica del Sole non è costante, ma varia in un periodo di circa 11 anni: il cosiddetto ciclo solare. Strettamente correlata a quest’ultimo è la presenza sulla superficie della stella delle macchie solari, delle zone a temperatura relativamente più bassa caratterizzate da un’intensa attività magnetica, più numerose nei periodi di massimo del ciclo. Il numero di queste macchie è in costante aumento a ogni ciclo, soprattutto negli ultimi 50 anni. Si pensa che esse (e il ciclo magnetico del Sole in generale) abbiano avuto grandissima influenza sulle glaciazioni terrestri e sull’equilibrio termico della Terra. E potrebbero avercela ancora in futuro.

Campo magnetico terrestre

La Terra ha un campo magnetico assimilabile a quello di un dipolo: una sorta di calamita di 13000 chilometri di diametro.

campo magnetico terrestre

I poli di questo campo sono leggermente spostati rispetto a quelli geografici e soprattutto non sono fissi. Questo campo magnetico costituisce per il nostro pianeta una sorta di scudo da tutte le particelle altamente energetiche e dai raggi cosmici. Il vento solare soffia sulla magnetosfera, che viene distorta e si allunga nello spazio interplanetario. Durante i periodi di massimo del ciclo, il vento solare “soffia più forte”, nel senso che il Sole emette una maggiore quantità di particelle ad alta energia (principalmente elettroni), che possono penetrare l’atmosfera terrestre fino alla ionosfera nei punti in cui le linee di forza del campo si chiudono, cioè in corrispondenza dei poli magnetici. Ed è così che hanno origine le aurore polari, drappeggi colorati e mutevoli che si stagliano nei cieli del Nord o dell’Antartide. I vari colori visibili derivano dalla composizione dell’atmosfera e da quali tipi di atomi vengono eccitati dai raggi cosmici: rosso e verde per l’ossigeno, blu per l’azoto.

Tempeste magnetiche

Nei periodi di massimo del ciclo solare (quello corrente è cominciato nel 2008) le forti emissioni di particelle elettromagnetiche dalla zona coronale del Sole implicano diversi problemi legati alla vita sul pianeta.

tempesta elettromagnetica

Una tempesta solare particolarmente intensa, potrebbe portare a una variazione della configurazione del campo magnetico terrestre, con evidenti conseguenze sui sistemi elettrici in uso, progettati e realizzati per funzionare in determinate condizioni: satelliti, telecomunicazioni, computer e calcolatori, impianti di distribuzione dell’energia, e di conseguenza automatismi, elettrodomestici, apparecchiature ospedaliere e di emergenza potrebbero andare persi in un solo evento, come in un grande e incontrollabile black-out totale.

C’è un modo per evitare che questo accada? Già un secolo e mezzo fa, nel 1859, si verificò un’intensa tempesta magnetica, che portò all’interruzione delle telecomunicazioni, ma all’epoca l’impatto fu sicuramente di poco conto se si pensa invece a quello che potrebbe succedere oggi, con il grado di sviluppo dell’elettronica e in un mondo che ormai non può più prescindere da essa. Sicuramente non è possibile bloccare l’attività di una stella. D’altra parte, la Terra durante la sua lunga storia è stata bombardata per miliardi di anni dal vento solare. E anche questa è natura, certo molto lontana dalla concezione quotidiana e tangibile, più complessa, legata a dinamiche violente, che si estendono dal Sole fino alle zone siderali del Sistema Solare. Ma proprio in quanto natura, qualunque difesa può essere efficace così come rivelarsi inadatta per affrontare le sue molteplici e meno prevedibili manifestazioni.

di Michele Mione

http://science.nasa.gov/science-news/science-at-nasa/2012/19apr_camilla/

http://www.nasa.gov/mission_pages/sdo/multimedia/potw/potw-97.html

http://www.nasa.gov/mission_pages/galex/galex20120502.html

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