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Nuova vita operativa per la vecchia bomba B61

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Nuova vita operativa per la vecchia bomba B61

Pubblicato il 29 febbraio 2016 by redazione

Gli Stati Uniti hanno lanciato un programma da 1000 miliardi di Dollari per aggiornare l’arsenale nucleare, compreso quello tattico schierato in Europa.

 

Immagine di apertura

Caccia F35A Lightning II mostra agganciati nei vani di carico due prototipi della bomba termonucleare B61-12.

 

Il presidente statunitense Barak Obama ha recentemente smentito le voci secondo cui il programma di ammodernamento dell’arsenale nucleare americano attualmente in corso possa subire variazioni o ridimensionamenti, confermando che nei prossimi 30 anni verrà aggiornata la capacità delle armi a disposizione, in modo da renderle pienamente compatibili con gli scenari di impiego attuali e i mezzi di nuova generazione.

Le prime armi a essere oggetto del Life Exstension Program saranno le armi termonucleari tattiche B61 per impiego aereo, le ultime a caduta libera ancora in servizio in numero consistente: già schierate da molti anni in Europa e oggetto del controverso programma di nuclear sharing con le forze armate di alcuni Paesi della NATO, erano considerate come superate nell’era delle cosiddette armi intelligenti, un relitto degli anni del confronto con l’Unione Sovietica e i suoi alleati.

La fine della guerra fredda ha però provocato una frammentazione dei centri di potere e una ripresa delle tensioni politico – economiche tra Paesi e all’interno stesso di molti Stati.

Il nuovo disordine mondiale ha creato anche una ripresa della corsa all’atomo militare: governi ritenuti poco stabili o non affidabili (le vicende di Iran e Nord Corea sono protagoniste della cronaca internazionale) guardano all’arma atomica come un mezzo per accrescere il proprio peso internazionale.

Inoltre in molti Paesi del campo occidentale, che fino a oggi hanno rinunciato a sviluppare programmi atomici aderendo ai trattati internazionali di non proliferazione, si sta timidamente riaprendo il dibattito sulla necessità di dotarsi dell’arma totale.

Non è certo una prospettiva incoraggiante, come osserva la Federation of Atomic Scientists, l’organizzazione di scienziati che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale controlla e informa l’opinione pubblica sulla situazione delle armi nucleari, attraverso la pubblicazione del Bullettin of Atomic Scientist.

Lo scienziato danese Hans Kristensen, che appartiene alla federazionne di scienziati e dirige il Nuclear Research Project, ha sottolineato che il mondo si trova in una situazione di crisi molto pericolosa, la probabilità di una catastrofe nucleare ha raggiunto livelli simili ai momenti più bui della guerra fredda.

Il Doomsday Clock, l’orologio simbolico creato dalla Federazione, segna oggi solo tre minuti prima della mezzanotte, l’ora dello scatenarsi di un conflitto nucleare globale, che cancellerebbe forse ogni forma di vita superiore sul pianeta.

Quindi è stata solo un’illusione che la fine della guerra fredda potesse allontanare il rischio di un conflitto combattuto con le armi di distruzione di massa.

La decisione di rinnovare e adeguare il deterrente nucleare al mutato teatro geopolitico internazionale risponde proprio alla necessità di mantenere il suo potere dissuasivo, secondo la motivazione ufficiale esposta dal governo americano.

Una risoluzione certo amara per l’amministrazione del Presidente Obama, che nel 2009 ha ricevuto il premio Nobel per pace per i suoi sforzi sulla cooperazione internazionale e che aveva firmato nel 2010 con il Primo Ministro russo Dimitry Medvedev il trattato New START di limitazione delle armi nucleari.

Il Presidente russo Vladimir Putin non ha nascosto la sua irritazione per l’avvio questo programma, che aggrava la situazione di stallo già esistente nei rapporti fra i due Paesi, dopo l’espansione della NATO a Est e la missione di assistenza militare nelle Repubbliche Baltiche, (Estonia, Lettonia e Lituania), la cui indipendenza non è mai stata ben digerita da Mosca.

Il disappunto dei russi è stato sottolineato da una massiccia ripresa dei voli a ridosso dello spazio aereo dei Paesi occidentali, in particolare di Gran Bretagna e Norvegia, degli aerei da caccia, da ricognizione e dei bombardieri strategici dell’aviazione della Federazione russa, come non si vedeva dagli anni del confronto diretto con l’URSS.

D’altro canto, la decisa condanna USA dell’ingerenza russa nella crisi ucraina e dell’intervento nel calderone mediorientale a fianco della Siria ufficialmente contro l’ISIS, ma in realtà contro ogni opposizione al presidente Bashar al Assad, hanno aumentato la divergenza fra i governi di Washington e Mosca, riportando a un clima di guerra fredda tra le due superpotenze.

Putin ha fatto riferimenti inquietanti all’uso eventuale delle armi atomiche non solo per reagire a un attacco strategico portato con armi di distruzione di massa, ma per ogni situazione che veda le forze russe sottoposte a una grave minaccia.

Peraltro negli anni scorsi anche la Russia ha annunciato una decisa ripresa degli investimenti nel sistema militare, giustificata come reazione alla aggressiva politica estera occidentale.

In realtà, anche il sistema nucleare russo ha bisogno di essere rinnovato e razionalizzato, dopo anni di stallo negli investimenti.

Anche il governo cinese ha espresso preoccupazione per il programma americano, per quanto a sua volta, sia ancora difficile capire quale sia la reale consistenza dell’arsenale atomico attivo di Pechino.

Gli Stati Uniti continuano però a respingere le accuse di favorire un clima da nuova corsa agli armamenti nucleari, sostenendo che il programma in corso rispetta le linee dettate nei trattati internazionali di non proliferazione e di limitazione degli arsenali a cui ha aderito.

Lo schieramento della versione 12 della bomba B61, ritenuta una arma sostanzialmente nuova, viene considerata da Mosca una grave violazione degli equilibri nucleari nel settore europeo, a cui la Russia non potrà che rispondere, probabilmente con il rischieramento di missili da crociera e altre armi tattiche, per lo più sul Mar Baltico e nel quadrante nord – ovest del territorio russo.

 

La bomba non va in pensione

Immagine 1

Esploso di una bomba termonucleare tattica B61. Anche se si tratta di una foto relativa a una versione precedente, punto di forza della B 61 è la semplicità dell’arma, con numero di componenti base abbastanza standardizzato per tutte le versioni. Il cuore fissile è contenuto nel cilindro metallico, posto a sinistra tra i componenti esposti.

 

Nel corso dei prossimi 5 anni gli Stati Uniti schiereanno la nuova versione B 61–12 dell’ultimo tipo di ordigno termonucleare a caduta libera ancora ampiamente presente negli arsenali areonautici.

Queste armi sostituiranno le versioni B61-7, 10 e 11 attualmente operative e verranno sostanzialmente ottenute modificando armi già esistenti.

Il Pentagono conta di arrivare a ricostruire circa 500 ordigni, dei quali 180 saranno dispiegati direttamente in Europa nelle basi aeree NATO. L’arrivo del nuovo equipaggiamento non interesserà solo le unità di attacco dell’USAF, ma anche le areonautiche di quei Paesi dell’Alleanza Atlantica che da oltre 50 anni praticano il concetto di nuclear sharing, la politica di condivisione di armi nucleari tra gli alleati.

Tale politica, che ha ampliato la deterrenza tattica dello schieramento occidentale, si è rivelata valida verso la minaccia dall’Est durante il confronto della guerra fredda, permettendo ai reparti di punta della NATO di addestrarsi al nuclear strike, mentre le armi formalmente restavano di proprietà statuinitense, continuando a essere assistite dai reparti speciali di manutenzione americani e venendo sottoposte alle rigide regole di impiego stabilite in sede NATO.

L’aggiornamento di questo arsenale ha rilanciato la polemica vivace che divide coloro che sostengono il nuclear sharing e coloro che sottolineano come sia giuridicamente in contrasto con l’adesione dei Paesi NATO al Trattato di non proliferazione (TNP) del 1970, il quale impegna gli stati aderenti non solo a rinunciare a sviluppare propri programmi militari atomici, ma anche a non custodire, gestire e utilizzare armi appartenenti ad altri.

La bomba modello B61 a testata termonuclare all’idrogeno fa parte di una serie di armi concepite tra gli anni ’50 e ’60 per equipaggiare la nuova generazione di velivoli supersonici che stavano entrando in servizio in quegli anni. Venne progettata nel 1963 dai Los Alamos National Laboratory e fu introdotta in servizio nel 1968, frutto di una intensa ricerca nella miniaturizzazione dei dispositivi, in modo da poter essere installate in armi dalle dimensioni contenute, dotate di una aerodinamica esterna idonea al trasporto e allo sgancio a velocità oltre il muro del suono. La sua importanza è stata tale che è rimasta cllassificata come segreta per molti anni, indicata genericamente con i termini carico esterno o pallottola d’argento (le prime versioni avevano finitura in metallo naturale, senza alcuna verniciatura).

Oggi è l’ultima arma nucleare americana a essere permanentemente schierata al di fuori del territorio statunitense.

Nel corso degli anni numerose versioni sono state prodotte e la testata ha è stata sottoposta a continue modifiche per aumentarne la sicurezza e la semplicità di gestione.

Il corpo dell’ordigno è lungo circa 3 metri e mezzo, il diametro è di circa 33 centimetri nel punto di maggior larghezza, per un peso totale attorno ai circa 320 chili, a seconda della versione.

Cuore concettuale dell’arma è la su capacità variable yeld, ovvero la possibilità di decidere la potenza sviluppabile dalla testata agendo sulla quantità di materiale fissile coinvolto nella reazione fissione-fusione, sul tipo di generatore di neutroni e sul sistema elettronico di innesco, quindi un ordigno dotato di notevole flessibilità di impiego.

La potenza esplosiva della versione B61-11, attualmente la più diffusa in servizio, può variare da 0,3 fino a 80 kilotoni, cioè da 300 a 80mila tonnellate di tritolo, con quattro diverse opzioni di potenza, selezionabili direttamente al momento del montaggio dell’arma sul velivolo lanciatore.

L’arma è stata prodotta in nove versioni diverse, talvolta con paracadute – freno e sistemi di ritardo di innesco. Il campo proncipale di impiego è contro concentrazioni di truppe, depositi, centri di comando avanzati situati in fortificazioni o altro tipo di sito protetto.

La capacità bunker buster per colpire bersagli pesantemente protetti e ground piercing di penetrazione al suolo è quella principalmente sviluppata nella nuova versione B61-12 in quanto più adatta alle necessità di impiego moderne ed è questo che ha determinato la decisione di modernizzarne il sistema d’arma.

 

Immagine 2

Diagramma della nuova B61 – 12. con indicazione delle parti e degli apparati aggiornati.

 

La versione 11 è già dotata di una ogiva rinforzata, tale da agevolare una penetrazione di circa 6-8 metri in un terreno di media durezza, ma le B 61-12 sono state pensate per migliorare questa prestazione e per indirizzare maggiormente la forza d’urto dell’esplosione nucleare verso il sottosuolo.

La tecnologia costruttiva di bunker sotterranei negli anni ha raggiunto un livello molto elevato. Spesso tali edifici si sviluppano per più piani, totalmente interrati, costruiti nel cuore di montagne, per aggiungere ulteriore capacità di resistenza in caso di attacco con armi nucleari. Anche il Centro di Comando strategico statunitense, il famoso NORAD, è costruito sotto il massiccio della Cheyenne Mountain in Colorado.

L’uso di armi capaci di un basso margine di errore può limitare, secondo i calcoli dei tecnici, i danni collaterali a strutture eventualmente vicine e alle popolazioni, contenendo (sempre teoricamente) il fallout radioattivo nell’aria.

A conferma della migliorata precisione dell’arma, la potenza massima della versione B61-12 non supererà i 50 kilotoni.

Tali rassicurazioni non possono essere del tutto soddisfacenti, perchè dipendono moltissimo dalla caratteristche del suolo dove l’arma viene impiegata.

Inoltre, se il bunker da colpire non si trovasse in una zona isolata, ma sotto una città densamente popolata?

Quello che preoccupa non solo il governo russo, ma in generale gli esperti è che la bomba B 61-12 avrà la capacità di colpire entro il raggio di 30 metri dall’epicentro dell’obbiettivo, rispetto ai 100 metri della versione 11, come hanno evidenziato i test di sviluppo eseguiti nel poligono Tonopah Test Range in Nevada.

L’aumento della capacità di precisione dell’arma è alla base di buona parte delle critiche contro il programma: le modifiche infatti sono mirate a renderla, di fatto, una guided bomb, un’arma controllabile a distanza.

La Boeing, impresa a cui è stato affidato lo sviluppo della versione, ha dotato il corpo della bomba di superfici di coda mobili e di un nuovo sistema informatico, capace di scambiare informazioni non solo coi sistemi dell’aereo lanciatore, ma anche di ottenere dati in tempo reale sull’area del bersaglio da colpire da satelliti. Questo vuol dire che l’arma potrà essere sganciata tenendo l’aereo lontano dal bersaglio, anche oltre 100 chilometri, al sicuro dalla prossibile intercettazione avversaria. Una volta che avrà acquisito definitivamente il bersaglio, guidata dal computer e dai sistemi radar installati, si dirigerà autonomamente verso l’obbiettivo.

 

La nuova tentazione di usare la ‘bomba’

Di fatto la B61-12 è passata dalla categoria delle iron bombs o stupid bombs, del tutto prive di guida, per passare appieno a quella delle smart bomb, le armi intelligenti, con tutta una serie di potenziali conseguenze.

Queste armi rischiano di sfuggire alla precisa classificazione a cui sono sottoposte dai trattati di limitazione internazionali, quindi anche la certezza del conteggio delle testate a disposizione può essere messo in discussione, con il risultato di rendere meno trasparente la situazione, accrescere la diffidenza reciproca fra gli Stati e mettere in pericolo la credibilità dei trattati stessi.

L’amministrazione americana subito dopo la firma del trattato New START nel 2010 aveva ribadito, sia con dichiarazioni dirette del Presidente Obama, sia con quelle contenute nel Nuclear Posture Review Report, l’impegno degli Stati Uniti a non sviluppare nuovi tipi di testate nucleari oppure nuove capacità per le armi già prodotte, limitando nei programmi di estensione della vita operativa (Life Exstension Programs, LEP) l’uso di componenti basati su progetti già esistenti.

Tuttavia, anche quando la testata di guerra resti sostanzialmente la stessa delle prime versioni, se l’arma viene resa controllabile dopo lo sgancio, la capacità di penetrazione del bersaglio viene aumentata, allora senza alcun dubbio siamo in presenza di nuove capacità militari.

Quindi nel caso della B61-12 ci si troverà davanti all’introduzione di un’arma sostanzialmente diversa e nuova: questa è l’accusa, che sembra basata su solidi argomenti, mossa da molte parti al programma, con buona pace delle dichiarazioni della National Nuclear Security Administration.

Già nel 2011 la Federation of Atomic Scientists aveva inviato una lettera preoccupata alla Presidenza degli Stati Uniti e al Segretrario alla Difesa per sottolineare i rischi di destabilizzazione legati ai programmi di aggiornamento della B61 e delle altre armi nucleari.

Il governo americano però non ha mai risposto.

Alcune riflessioni fatte durante una conferenza stampa dal generale Norton Schwartz, capo di stato maggiore dell’areonautica statunitense, hanno aggiunto un ulteriore motivo di preoccupazione. Schwartz ha ammesso che avere a disposizione un’arma di relativamente basso impatto ambientale e elevata precisione può cambiare il modo in cui i politici e i comandanti militari considerino il ricorso all’arma atomica, rendendolo più appetibile che in passato.

Specie in teatri di guerra circoscritti, dove le situazioni sul campo possono divenire molto complesse, il ricorso ad una arma estremamente potente e dotata di precisione chiurgica potrebbe colpire al cuore la capacità organizzativa dell’avversario, evitando prolungati e rischiosi interventi sul campo.

D’altro canto, i programmi di update sono preziose occasioni di lavoro sia per i laboratori di ricerca e sviluppo (come il Sandia National Laboratory o il Los Alamos National Laboratory), sia per i grandi colossi dell’industria aerospaziale.

L’arma è stata infatti pensata per equipaggiare i cacciabombardieri di quinta generazione, in primis il Lockheed- Martin F 35A Lightning II, che sarà in dotazione a molti paesi della Nato e i cui test di sviluppo da parte dell’USAF proseguono a pieno ritmo.

Intanto, sarà già resa operativa, per quanto con minore efficienza, sui mezzi già in linea, quali i Panavia Tornado IDS per Germania e Italia, gli F 16 Fighting Falcon per Olanda, Belgio e Turchia. Oltre 700 milioni di dollari sono già stati stanziati dal D.oD. (Department of Defence, Dipartimento della Difesa USA) nel triennio dal 2014 al 2017 per sviluppare il software degli aerei, le strutture delle basi destinate a custodire le armi (Weapons Storage and Security System, WS3), per aggiornare la preparazione di piloti e personale di terra.

Per l’areonautica americana, l’arma sarà utilizzabile sia dagli F16C/D (nella base di Aviano, in Friuli, ad esempio, sugli aerei del 31st Fighter Wing), dagli F15E Strike Eagle, dai venerandi B52H Stratofortress, dai B1B Lancer e dai B2A Spirit, mentre la US Navy adeguerà i propri F/A 18 Super Hornet imbarcati sulle portaerei.

Secondo la Federation of Atomic Scientists, alcune foto satellitari mostrano che i lavori sono già iniziati, a partire dalla base della Luftwaffe di Buchel in Germania, dove andranno venti di questi nuovi ordigni.

Una quantità uguale verrà stoccata in ciascuna delle basi di Volkel in Olanda, Kleine Brogel in Belgio, Ghedi-Torre in Italia, mentre ad Adana-Incirlik in Turchia andranno 50 ordigni.

L’Italia resterà il Paese con più testate di tutta l’Alleanza Atlantica: se contiamo che alla base di Aviano andranno circa 50/70 bombe, sommate alle 20 destinate a Ghedi avremo un totale di 70/90 armi termonucleari.

di Davide Migliore

 

Linkografia:

Le lancette del Doomsday Clock vanno avanti

https://it.wikipedia.org/wiki/B61

https://it.wikipedia.org/wiki/Condivisione_nucleare

https://www.youtube.com/watch?v=FBm74WiCL1g

http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/01/20/news/ecco-la-nuova-bomba-h-che-arrivera-in-italia-1.247276?refresh_ce

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/armi-nucleari-segrete-italia-1215307.html

http://www.webalice.it/imc2004/files_arms/nuclear/B-61.htm

http://www.difesaonline.it/mondo-militare/difesa-nato-gli-usa-inviano-20-nuove-bombe-nucleari-germania-italia-dalle-30-alle-50

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/obama-e-i-mille-miliardi-dollari-nuovo-arsenale-nucleare-1214785.html

http://nukewatch.org/B61.html

http://www.globalresearch.ca/o-k-per-logiva-nucleare-b61-12-andra-ad-aviano/5466784?print=1

http://www.pddnet.com/news/2015/05/photos-day-mock-b61-12-nuclear-bomb-tested

http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/07/01/news/ecco-le-bombe-nucleari-di-brescia-1.171372
http://www.globalresearch.ca/in-italia-bombe-nucleari-a-potenza-variabile/5501986

http://www.wired.it/attualita/tech/2016/01/12/armi-nucleari-usa-miniatura/

http://nnsa.energy.gov/mediaroom/pressreleases/b61-b61-12-lep-life-extension-program-snl-lanl-sandia-national-laboratory

http://fas.org/blogs/security/2016/01/b61-12_earth-penetration/

https://www.whitehouse.gov/the-press-office/statement-president-barack-obama-release-nuclear-posture-review

http://www.defense.gov/Portals/1/features/defenseReviews/NPR/2010_Nuclear_Posture_Review_Report.pdf

https://luisspersenzatomica.wordpress.com/2015/03/23/intervista-hans-m-kristensen-presidente-nuclear-information-project-federazione-degli-scienziati-americani/comment-page-1/

http://thebulletin.org/press-release/doomsday-clock-hands-remain-unchanged-despite-iran-deal-and-paris-talks9122

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Tzar bomb, il più potente ordigno termonucleare generato dalla Guerra Fredda

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Tzar bomb, il più potente ordigno termonucleare generato dalla Guerra Fredda

Pubblicato il 24 ottobre 2015 by redazione

Immagine di apertura
L’esplosione della bomba Tsar, ripresa da un punto di osservazione ad alcune centinaia di chilometri di distanza.

 

 

Sono le 8.32 del mattino del 30 Ottobre 1961: nella baia di Mitjushika, braccio del Mar Artico che separa l’arcipelago di Novaja Zemlja, Terra Nuova in lingua russa, dalla costa russa il gelo che avvolge per buona parte dell’anno queste lande inospitali in un milionesimo di secondo viene sostituito da un inferno di calore e vento rovente che non ha precedenti sulla Terra.

E’ l’effetto del più terrificante esperimento nucleare militare. L’Unione Sovietica ha fatto esplodere la bomba Tzar, l’ordigno termonucleare più potente mai costruito.

Da quel momento fu chiaramente dimostrato che non vi è alcun limite alla potenza raggiungibile dalle armi atomiche. Sopratutto, rese evidente, per la prima volta dall’inizio dell’era atomica, che una guerra nucleare non può avere né vinti, né vincitori, ma solo vittime.

La corsa alla bomba

La realizzazione della bomba Tzar, come venne soprannominata in via non ufficiale, avvenne in uno dei momenti più difficili di quel periodo storico conosciuto come la Guerra Fredda, in cui il mondo era sostanzialmente diviso in due blocchi contrapposti, dominati dalle due più grandi potenze militari e economiche, gli Stati Uniti d’America e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

Il confronto era iniziato al termine del Secondo Conflitto Mondiale, che le aveva viste alleate, facendo temere l’inizio di una nuova e ancor più terribile guerra planetaria.

Dopo la morte di Josif Stalin nacque la speranza che il dialogo e la comprensione fra i Paesi appartenenti al blocco comunista e quelli appartenenti all’area occidentale fossero possibili.

Nel 1959 Nikita Sergeevič Chruščëv, il nuovo segretario generale del Partito Comunista sovietico intraprese una serie di viaggi in Occidente, che lo portarono anche negli U.S.A., ospite del presidente Dwight Eisenhower.

I sogni di distensione e di pace però furono interrotti bruscamente da una serie di incidenti internazionali. L’abbattimento sopra l’Unione Sovietica di un aereo spia Lockheed U2 e la cattura del pilota, il maggiore americano Gary Powers, aprì un nuovo teso confronto fra le due superpotenze. La notte del 13 agosto 1961 venne iniziata la costruzione del tristemente famoso muro di Berlino, che avrebbe diviso la città tedesca e i suoi abitanti tra settori sotto influenza sovietica e settori occidentali fino al 1989, divenendo il simbolo più forte della Guerra Fredda.

E’ in questo clima di diffidenza reciproca che il governo sovietico decise un’azione dimostrativa nei confronti degli occidentali, ma anche della vicina Cina comunista di Mao, con la quale i rapporti diplomatici si erano interrotti nel 1960.

Il 10 luglio 1961 il segretario generale sovietico Chruščëv, appoggiato dall’estabilishment militare, presentò al politburo il programma Grande Ivan, che prevedeva la costruzione di un ordigno termonucleare di potenza inaudita, fino a 100 megatoni, ovvero l’quivalente di cento milioni di tonnellate di tritolo.

Il 9 agosto 1961, sedicesimo anniversario del bombardamento nucleare di Nagasaky, Chruščëv colse altrettanto di sorpresa l’opinione pubblica e i governi di tutto il mondo annunciando che l’URSS avrebbe realizzato e sperimentato l’ordigno entro la fine di quell’anno, suscitando lo sdegno dei pacifisti e dividendo la comunità scientifica internazionale fra chi sosteneva la realizzabilità dell’arma e chi non ne era affatto convinto.

Tutti però erano uniti dalla paura degli effetti collaterali di un’esplosione così grande: il fall out di materiale radioattivo sarebbe stato immenso, teoricamente nessun angolo del pianeta sarebbe stato al sicuro dalla ricaduta di materiale altamente radioattivo, tipico delle armi all’idrogeno.

Immagine 1
Andrej Dmitrevic Sakharov.

 

Altrettanti dubbi affliggevano i fisici chiamati a studiare l’ordigno.

A capo dell’equipe, che riuniva alcuni dei nomi più prestigiosi dell’Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica (tra i quali vi erano, Juli Borisovich Khaliton, Victor Adamskii, Yuri Babaev, Yuri Smirnov, Yuri Trutnev, Viktor Davidenko) fu chiamato Andrej Dmitrevic Sakharov, considerato tra i padri della bomba all’Idrogeno russa. Nella città segreta di Arzamas 16 (oggi Sarov), uno dei tanti centri in cui veniva portata avanti la ricerca militare russa, Sakharov e gli altri scienziati lavorarono freneticamente sui calcoli matematici.

Quando Sakharov all’inizio di Ottobre potè tornare a Mosca per presentare i risultati, nemmeno lui si sentiva però sicuro di riuscire a controllare la reazione nucleare, mentre Evsej Rabinovich era apertamente convinto che il programma si sarebbe risolto in un fiasco.

Pochi anni prima si era verificato un incidente molto inquietante. Il 1 Marzo 1954 sull’atollo di Bikini nell’Oceano Pacifico, durante il test americano denominato Castle Bravo, un errore di calcolo provocò un’esplosione molto più potente, che irradiò un’area più vasta di quella prevista. Gli atolli di Rongrik e Rongelap nelle isole Marshall furono evacuati di urgenza e le popolazioni locali, nonostante le assicurazioni dei militari, non poterono più farvi ritorno.

Tracce della radioattività immessa in atmosfera raggiunsero anche l’Australia, il Giappone, l’India, l’Europa e gli Stati Uniti sulla costa occidentale. Anche un peschereccio giapponese d’altura venne ricoperto dal vapore acqueo radioattivo e un membro dell’equipaggio morì per avvelenamento da radiazioni.

In ogni caso, le posizioni a favore o contrarie all’esperimento si basavano su ipotesi e statistiche, per cui nessuna delle due poteva essere sostenuta da dati scientificamente certi.

Tuttavia il programma non poteva essere più fermato, l’Unione Sovietica aveva lanciato la sfida e aveva gli occhi di tutto il mondo puntati addosso. In una fabbrica militare segreta i tecnici stavano realizzando i sistemi operativi complessi dell’arma, sulla base dei risultati dei calcoli che man mano giungevano dagli scienziati al lavoro a Arzamas 16. Nel momento in cui Sakharov giunse nella capitale russa con la relazione finale, l’arma, registrata nell’arsenale sovietico con la sigla RDS 220, era già pronta al 90%.

L’unico punto sui cui Sakharov riuscì a spuntarla sulla volontà dei dirigenti sovietici, fu il depotenziamento della bomba a 50 megatoni grazie all’eliminazione di uno dei tre stadi della testata, che permise di abbattere del 97% le emissioni di radionuclidi pesanti.

Così che l’ordigno risultò in effetti relativamente pulito rispetto all’inquinamento radioattivo che avrebbe potuto provocare, per quanto comunque da solo ne produsse una quantità pari al 25% di quello prodotto dalle due esplosioni avvenute su Hiroshima e Nagasaky nella Seconda Guerra Mondiale.

Il 24 Ottobre la relazione finale venne messa a disposizione dei vertici politici sovietici e dei tecnici costruttori della bomba, che ultimarono l’ordigno a soli 6 giorni dalla data prevista del test.

Il morso della belva

L’arma venne progettata secondo lo schema Teller – Ulam, dal nome dei fisici Edward Teller e Stanislaw Ulam che avevano messo a punto il primo ordigno all’idrogeno. La bomba era concepita con due stadi a fissione nucleare e uno a fusione: il primo stadio è costituito da una bomba atomica a fissione classica a base di Uranio 238, che viene posizionata con uno scudo fatto dello stesso metallo, per indirizzare verso l’interno la reazione a catena. Nello scudo è anche contenuto il deuterio di Litio, una molecola contenente l’Idrogeno in forma solida, responsabile dell’innesco della seconda reazione di fusione nucleare e delle temperature elevatissime, che possono arrivare a venti milioni di gradi.

Al centro di tutto il dispositivo è posizionato un altro cilindro, cavo al suo interno, costituito da Plutonio 239, protetto da schiume particolari che, iniettate nel corpo della bomba, raggiungono ogni anfratto separando i componenti fissili.

I raggi X generati dalla prima reazione di fissione riscaldano il nucleo. La pressione della detonazione comprime il deuterio di Litio, mentre anche nella canna centrale di Plutonio inizia la seconda reazione di fissione.

L’emissione in grande quantità di neutroni e radiazioni innesca a sua volta la fusione vera e propria, che si unisce e potenzia le reazioni di fissione iniziali, permettendo così di raggiungere potenze dell’ordine di megatoni. L’intero processo ha una durata stimata di 600 nanosecondi.

Nella bomba preparata per il test, lo stadio esterno del mantello di Uranio 238 venne sostituito con uno in Piombo, così da rallentare la fusione e permettere di abbattere la potenza massima raggiungibile.

Nella notte tra il 29 e il 30 Ottobre, una volta confermato il via libera al test, l’arma venne portata in un areoporto militare, nel più stretto segreto. Il laboratorio in cui fu assemblata venne smantellato e il vagone ferroviario su cui si trovava inserito in un anonimo convoglio merci.

La bomba aveva dimensioni veramente impressionanti. Raggiungeva gli 8 metri di lunghezza e oltre 2 metri di diametro, nel suo punto di maggior larghezza.

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Una copia inerte della RDS 220 è oggi esposta al Museo russo dell’Atomo, a Mosca.

 

Nel suo aspetto esteriore l’areodinamica richiamava quella classica di una bomba a caduta libera, ma le numerose antenne dei sistemi di rilevazione dati e controllo, oltre che le dimensioni eccezionali, ne rivelavano la natura del tutto particolare. Il peso totale dell’arma superava le 27 tonnellate.

Gli avieri la agganciarono alla stiva di un bombardiere strategico quadriturbina Tupolev Tu 95, uno dei modelli più diffusi nell’arsenale sovietico e l’unico in grado di sollevare l’enorme ordigno. In ogni caso, il velivolo dovette essere modificato asportando i portelloni della stiva bombe principale e smontando parte dei serbatoi della fusoliera.

Ad accompagnare l’aereo lanciatore vi era un altro bombardiere a reazione Tupolev 16, modificato come punto di osservazione volante, riempito di telecamere, sensori e registratori di dati.

Entrambi i velivoli erano dipinti sulle superfici inferiori con una speciale vernice termoriflettente bianca lucida, simile a quella usata dall’aviazione statunitense sui bombardieri nucleari, per minimizzare il rischio che i velivoli fossero incendiati dalla potente onda di calore.

Ai comandi del Tu 95 vi era il maggiore Andrei E. Durnotsev, uno dei piloti con maggior esperienza su quel velivolo.

Alle 11.32, secondo il fuso orario di Mosca, in perfetto orario di marcia, la coppia di aerei raggiunse la verticale sopra l’isola maggiore dell’arcipelago di Novaja Zemlja, a una quota di circa 10.000 metri. Le isole sin dai primi anni cinquanta erano diventate uno dei principali poligoni nucleari sovietici, per la loro distanza da centri abitati e perchè praticamente disabitate e inospitali, fatta salva la guarnigione di tecnici e militari coinvolti negli esperimenti.

Il controllo missione diede il segnale e la bomba venne sganciata, mentre i velivoli effettuavano una secca virata di disimpegno per allontanarsi dall’epicentro dell’esplosione.

Un temporizzatore fece aprire un paracadute freno che rallentò e stabilizzò la caduta, dando ulteriore tempo agli aerei di portarsi in zona sicura. Dopo una discesa di 3 minuti e 13 secondi, a 4.000 metri dal suolo, gli altimetri automatici azionarono i detonatori.

Un lampo di luce potentissimo, che avrebbe accecato chiunque non avesse indossato occhiali protettivi, fu avvistato fino a 1000 chilometri, seguito da una palla di fuoco di ben 8 chilometri di diametro. In pochi istanti l’enorme sfera, nel cui centro era stata raggiunta la temperatura di venti milioni di gradi centigradi, raggiunse il suolo, poi si diresse rapidissima verso l’alto, arrivando a 64 chilometri di altezza, dove si stabilizzò nella tipica forma del fungo atomico.

Fu calcolato che circa 80 milioni di tonnellate di roccia e ghiaccio vennero disintegrate, risucchiate nella fornace nucleare, per poi ricadere sotto forma di polvere radioattiva.

Mentre la sfera infuocata saliva verso gli strati estremi dell’atmosfera, le nuvole attorno all’esplosione si ritirarono, vaporizzate, con un effetto simile agli anelli che si formano quando si lancia un oggetto su uno specchio d’acqua ferma.

Uno degli osservatori raccontò di essere rimasto abbagliato a lungo e di avere sentito un calore insopportabile sulle parti di pelle non protette, nonostante si trovasse a 270 chilometri dall’esplosione.

I dati registrati furono terrificanti: nel raggio di 32 chilometri dal punto della detonazione tutta la superficie dell’isola fu incenerita, aprendo un cratere largo quasi 2 chilometri e profondo in media 75 metri.

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Schema comparativo tra esplosioni termonucleari, secondo la dimensione dell’esplosione.

 

La pressione dell’onda d’urto raggiunse i 21 BAR, cioè 21 volte la pressione atmosferica a livello del mare, sei volte quella provocata dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaky, sufficienti a scarnificare vivo chiunque si trovasse sulla sua strada. Sull’isola di Severnji a 55 chilometri dall’epicentro tutti gli edifici vennero rasi al suolo, ma si registrarono danni a tetti e imposte fino in Finlandia orientale e in Norvegia.

La successiva ondata di calore sarebbe stata in grado di provocare ustioni di terzo grado fino a 100 chilometri.

L’onda di energia si propagò anche nel sottosuolo e la vibrazione fece il giro del mondo per tre volte prima di dissolversi. L’US Geological Survey americano valutò l’effetto sismico tra i 5 e i 5,25 gradi di magnitudo, nonostante l’esplosione fosse avvenuta in atmosfera.

Un altro osservatore descrisse l’eco dell’esplosione come un rumore profondo e crescente, quasi che la Terra fosse stata uccisa e stesse esalando l’ultimo respiro…

Pochi istanti dopo il lampo atomico, il maggiore Durnotsev ebbe giusto il tempo di comunicare al controllo missione sulla penisola di Kola, il successo del test, prima che il fortissimo effetto EMP, cioè l’impulso elettromagnetico generato dalla reazione nucleare, interrompesse ogni comunicazione.

Solo dopo un silenzio durato 40 lunghissimi minuti il collegamento potè essere ristabilito e Mosca ebbe la conferma del successo dell’esperimento.

Il maggiore Durnotsev al suo ritorno venne promosso sul campo tenente colonnello e proclamato Eroe dell’Unione Sovietica, la massima delle onorificenze.

Curiosamente, i russi non furono gli unici a osservare l’esplosione e i suoi effetti, anche gli statunitensi raccolsero dati importanti.

Grazie alla inusuale pubblicità data all’evento, gli americani avevano avuto il tempo di lanciare l’operzione Speedlight. Una cisterna volante Boeing KC 135 dell’USAF venne estesamente modificata nella base aerea di Wright – Patterson come centro di raccolta dati volante, in modo simile a quanto i russi avevano fatto con il loro Tupolev 16.

L’aereo fu pronto il 27 Ottobre, così che tre giorni dopo orecchie e occhi elettronici indiscreti poterono registrare dati preziosi sull’esplosione, volando comunque a debita distanza dallo spazio aereo russo e dal mostro nucleare.

Immagine 4
Un bombardiere Tupolev Tu 95 dell’aviazione sovietica.

 

 

Niente può essere come prima

L’apocalisse scatenata su Novaja Zemlja lasciò conseguenze in molte persone, a partire dallo stesso Andrei Sakharov. Lo scienziato russo aveva concluso la relazione preparatoria del progetto Grande Ivan con questa frase : «Un risultato positivo del test apre la possibilità di creare un dispositivo di potenza praticamente illimitata.»

Facendo parte della più alta nomenklatura sovietica, sicuramente ebbe modo di vedere il film propagandistico di circa 25 minuti, creato col montaggio delle immagini riprese durante il test e riservato alla classe dirigente del Paese. Le immagini probabilmente contribuirono a provocare nello scienziato un ripensamento sul suo lavoro per il sistema militare sovietico.

Nel 1963 il segretario generale Nikita Chruščëv annunciò ufficialmente che la RD 220 era pronta per la produzione di serie e stava per entrare a far parte dell’arsenale sovietico.

Poco dopo quei fatti, Sakharov iniziò a impegnarsi contro la proliferazione degli armamenti nucleari, il che ne provocò l’allontanamento dai progetti militari, l’emarginazione dagli ambienti scientifici ufficiali, fino all’arresto avvenuto nel 1980 per attività contro lo Stato e la condanna al confino in Siberia.

La sua lotta nonostante le persecuzioni subite gli valsero il premio Nobel per la pace nel 1975.

Nel resto del mondo, l’esperienza della bomba Tsar contribuì a diffondere l’opinione che la strada del riarmo nucleare fosse in realtà un vicolo senza uscita, una follia che avrebbe condotto l’umanità al suicidio: il movimento internazionale pacifista ne fece uno dei simboli più significativi dell’impegno contro le armi nucleari.

In realtà, la bomba Tsar ebbe sin dall’inizio soli scopi propagandistici, servì a dismostrare che l’URSS poteva arrivare a qualsiasi risultato volesse raggiungere.

Proprio in quegli anni la ricerca militare su entrambi i lati della cortina di ferro si stava concentrando sui missili balistici intercontinentali e sulle testate multiple, che puntava sulla miniaturizzazione dei componenti bellici.

L’esatto contrario della RD 220, che era enorme, pesante, aveva bisogno della guida dell’uomo per arrivare sul bersaglio. Insomma concettualmente apparteneva già al passato.

Alla bomba Tsar probabilmente almeno un merito può essere riconosciuto: nel 1963 l’URSS, sottoscrisse il trattato internazionale che metteva al bando gli esperimenti nucleari in atmosfera e nello spazio esterno, il primo vero trattato di limitazione alla corsa agli armamenti su cui formò il consenso della maggioranza dei Paesi del mondo.

di Davide Migliore

 

Linkografia

https://it.wikipedia.org/wiki/Bomba_Zar

http://nuclearweaponarchive.org/Russia/TsarBomba.html

https://www.youtube.com/watch?v=Xk8g9M0Anac

http://www.tsarbomba.org/

https://it.wikipedia.org/wiki/Bomba_all’idrogeno#Bombe_di_tipo_Teller-Ulam

http://nuclearweaponarchive.org/Russia/TsarBomba.html

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