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Tzar bomb, il più potente ordigno termonucleare generato dalla Guerra Fredda

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Tzar bomb, il più potente ordigno termonucleare generato dalla Guerra Fredda

Pubblicato il 24 ottobre 2015 by redazione

Immagine di apertura
L’esplosione della bomba Tsar, ripresa da un punto di osservazione ad alcune centinaia di chilometri di distanza.

 

 

Sono le 8.32 del mattino del 30 Ottobre 1961: nella baia di Mitjushika, braccio del Mar Artico che separa l’arcipelago di Novaja Zemlja, Terra Nuova in lingua russa, dalla costa russa il gelo che avvolge per buona parte dell’anno queste lande inospitali in un milionesimo di secondo viene sostituito da un inferno di calore e vento rovente che non ha precedenti sulla Terra.

E’ l’effetto del più terrificante esperimento nucleare militare. L’Unione Sovietica ha fatto esplodere la bomba Tzar, l’ordigno termonucleare più potente mai costruito.

Da quel momento fu chiaramente dimostrato che non vi è alcun limite alla potenza raggiungibile dalle armi atomiche. Sopratutto, rese evidente, per la prima volta dall’inizio dell’era atomica, che una guerra nucleare non può avere né vinti, né vincitori, ma solo vittime.

La corsa alla bomba

La realizzazione della bomba Tzar, come venne soprannominata in via non ufficiale, avvenne in uno dei momenti più difficili di quel periodo storico conosciuto come la Guerra Fredda, in cui il mondo era sostanzialmente diviso in due blocchi contrapposti, dominati dalle due più grandi potenze militari e economiche, gli Stati Uniti d’America e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

Il confronto era iniziato al termine del Secondo Conflitto Mondiale, che le aveva viste alleate, facendo temere l’inizio di una nuova e ancor più terribile guerra planetaria.

Dopo la morte di Josif Stalin nacque la speranza che il dialogo e la comprensione fra i Paesi appartenenti al blocco comunista e quelli appartenenti all’area occidentale fossero possibili.

Nel 1959 Nikita Sergeevič Chruščëv, il nuovo segretario generale del Partito Comunista sovietico intraprese una serie di viaggi in Occidente, che lo portarono anche negli U.S.A., ospite del presidente Dwight Eisenhower.

I sogni di distensione e di pace però furono interrotti bruscamente da una serie di incidenti internazionali. L’abbattimento sopra l’Unione Sovietica di un aereo spia Lockheed U2 e la cattura del pilota, il maggiore americano Gary Powers, aprì un nuovo teso confronto fra le due superpotenze. La notte del 13 agosto 1961 venne iniziata la costruzione del tristemente famoso muro di Berlino, che avrebbe diviso la città tedesca e i suoi abitanti tra settori sotto influenza sovietica e settori occidentali fino al 1989, divenendo il simbolo più forte della Guerra Fredda.

E’ in questo clima di diffidenza reciproca che il governo sovietico decise un’azione dimostrativa nei confronti degli occidentali, ma anche della vicina Cina comunista di Mao, con la quale i rapporti diplomatici si erano interrotti nel 1960.

Il 10 luglio 1961 il segretario generale sovietico Chruščëv, appoggiato dall’estabilishment militare, presentò al politburo il programma Grande Ivan, che prevedeva la costruzione di un ordigno termonucleare di potenza inaudita, fino a 100 megatoni, ovvero l’quivalente di cento milioni di tonnellate di tritolo.

Il 9 agosto 1961, sedicesimo anniversario del bombardamento nucleare di Nagasaky, Chruščëv colse altrettanto di sorpresa l’opinione pubblica e i governi di tutto il mondo annunciando che l’URSS avrebbe realizzato e sperimentato l’ordigno entro la fine di quell’anno, suscitando lo sdegno dei pacifisti e dividendo la comunità scientifica internazionale fra chi sosteneva la realizzabilità dell’arma e chi non ne era affatto convinto.

Tutti però erano uniti dalla paura degli effetti collaterali di un’esplosione così grande: il fall out di materiale radioattivo sarebbe stato immenso, teoricamente nessun angolo del pianeta sarebbe stato al sicuro dalla ricaduta di materiale altamente radioattivo, tipico delle armi all’idrogeno.

Immagine 1
Andrej Dmitrevic Sakharov.

 

Altrettanti dubbi affliggevano i fisici chiamati a studiare l’ordigno.

A capo dell’equipe, che riuniva alcuni dei nomi più prestigiosi dell’Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica (tra i quali vi erano, Juli Borisovich Khaliton, Victor Adamskii, Yuri Babaev, Yuri Smirnov, Yuri Trutnev, Viktor Davidenko) fu chiamato Andrej Dmitrevic Sakharov, considerato tra i padri della bomba all’Idrogeno russa. Nella città segreta di Arzamas 16 (oggi Sarov), uno dei tanti centri in cui veniva portata avanti la ricerca militare russa, Sakharov e gli altri scienziati lavorarono freneticamente sui calcoli matematici.

Quando Sakharov all’inizio di Ottobre potè tornare a Mosca per presentare i risultati, nemmeno lui si sentiva però sicuro di riuscire a controllare la reazione nucleare, mentre Evsej Rabinovich era apertamente convinto che il programma si sarebbe risolto in un fiasco.

Pochi anni prima si era verificato un incidente molto inquietante. Il 1 Marzo 1954 sull’atollo di Bikini nell’Oceano Pacifico, durante il test americano denominato Castle Bravo, un errore di calcolo provocò un’esplosione molto più potente, che irradiò un’area più vasta di quella prevista. Gli atolli di Rongrik e Rongelap nelle isole Marshall furono evacuati di urgenza e le popolazioni locali, nonostante le assicurazioni dei militari, non poterono più farvi ritorno.

Tracce della radioattività immessa in atmosfera raggiunsero anche l’Australia, il Giappone, l’India, l’Europa e gli Stati Uniti sulla costa occidentale. Anche un peschereccio giapponese d’altura venne ricoperto dal vapore acqueo radioattivo e un membro dell’equipaggio morì per avvelenamento da radiazioni.

In ogni caso, le posizioni a favore o contrarie all’esperimento si basavano su ipotesi e statistiche, per cui nessuna delle due poteva essere sostenuta da dati scientificamente certi.

Tuttavia il programma non poteva essere più fermato, l’Unione Sovietica aveva lanciato la sfida e aveva gli occhi di tutto il mondo puntati addosso. In una fabbrica militare segreta i tecnici stavano realizzando i sistemi operativi complessi dell’arma, sulla base dei risultati dei calcoli che man mano giungevano dagli scienziati al lavoro a Arzamas 16. Nel momento in cui Sakharov giunse nella capitale russa con la relazione finale, l’arma, registrata nell’arsenale sovietico con la sigla RDS 220, era già pronta al 90%.

L’unico punto sui cui Sakharov riuscì a spuntarla sulla volontà dei dirigenti sovietici, fu il depotenziamento della bomba a 50 megatoni grazie all’eliminazione di uno dei tre stadi della testata, che permise di abbattere del 97% le emissioni di radionuclidi pesanti.

Così che l’ordigno risultò in effetti relativamente pulito rispetto all’inquinamento radioattivo che avrebbe potuto provocare, per quanto comunque da solo ne produsse una quantità pari al 25% di quello prodotto dalle due esplosioni avvenute su Hiroshima e Nagasaky nella Seconda Guerra Mondiale.

Il 24 Ottobre la relazione finale venne messa a disposizione dei vertici politici sovietici e dei tecnici costruttori della bomba, che ultimarono l’ordigno a soli 6 giorni dalla data prevista del test.

Il morso della belva

L’arma venne progettata secondo lo schema Teller – Ulam, dal nome dei fisici Edward Teller e Stanislaw Ulam che avevano messo a punto il primo ordigno all’idrogeno. La bomba era concepita con due stadi a fissione nucleare e uno a fusione: il primo stadio è costituito da una bomba atomica a fissione classica a base di Uranio 238, che viene posizionata con uno scudo fatto dello stesso metallo, per indirizzare verso l’interno la reazione a catena. Nello scudo è anche contenuto il deuterio di Litio, una molecola contenente l’Idrogeno in forma solida, responsabile dell’innesco della seconda reazione di fusione nucleare e delle temperature elevatissime, che possono arrivare a venti milioni di gradi.

Al centro di tutto il dispositivo è posizionato un altro cilindro, cavo al suo interno, costituito da Plutonio 239, protetto da schiume particolari che, iniettate nel corpo della bomba, raggiungono ogni anfratto separando i componenti fissili.

I raggi X generati dalla prima reazione di fissione riscaldano il nucleo. La pressione della detonazione comprime il deuterio di Litio, mentre anche nella canna centrale di Plutonio inizia la seconda reazione di fissione.

L’emissione in grande quantità di neutroni e radiazioni innesca a sua volta la fusione vera e propria, che si unisce e potenzia le reazioni di fissione iniziali, permettendo così di raggiungere potenze dell’ordine di megatoni. L’intero processo ha una durata stimata di 600 nanosecondi.

Nella bomba preparata per il test, lo stadio esterno del mantello di Uranio 238 venne sostituito con uno in Piombo, così da rallentare la fusione e permettere di abbattere la potenza massima raggiungibile.

Nella notte tra il 29 e il 30 Ottobre, una volta confermato il via libera al test, l’arma venne portata in un areoporto militare, nel più stretto segreto. Il laboratorio in cui fu assemblata venne smantellato e il vagone ferroviario su cui si trovava inserito in un anonimo convoglio merci.

La bomba aveva dimensioni veramente impressionanti. Raggiungeva gli 8 metri di lunghezza e oltre 2 metri di diametro, nel suo punto di maggior larghezza.

Immagine 2
Una copia inerte della RDS 220 è oggi esposta al Museo russo dell’Atomo, a Mosca.

 

Nel suo aspetto esteriore l’areodinamica richiamava quella classica di una bomba a caduta libera, ma le numerose antenne dei sistemi di rilevazione dati e controllo, oltre che le dimensioni eccezionali, ne rivelavano la natura del tutto particolare. Il peso totale dell’arma superava le 27 tonnellate.

Gli avieri la agganciarono alla stiva di un bombardiere strategico quadriturbina Tupolev Tu 95, uno dei modelli più diffusi nell’arsenale sovietico e l’unico in grado di sollevare l’enorme ordigno. In ogni caso, il velivolo dovette essere modificato asportando i portelloni della stiva bombe principale e smontando parte dei serbatoi della fusoliera.

Ad accompagnare l’aereo lanciatore vi era un altro bombardiere a reazione Tupolev 16, modificato come punto di osservazione volante, riempito di telecamere, sensori e registratori di dati.

Entrambi i velivoli erano dipinti sulle superfici inferiori con una speciale vernice termoriflettente bianca lucida, simile a quella usata dall’aviazione statunitense sui bombardieri nucleari, per minimizzare il rischio che i velivoli fossero incendiati dalla potente onda di calore.

Ai comandi del Tu 95 vi era il maggiore Andrei E. Durnotsev, uno dei piloti con maggior esperienza su quel velivolo.

Alle 11.32, secondo il fuso orario di Mosca, in perfetto orario di marcia, la coppia di aerei raggiunse la verticale sopra l’isola maggiore dell’arcipelago di Novaja Zemlja, a una quota di circa 10.000 metri. Le isole sin dai primi anni cinquanta erano diventate uno dei principali poligoni nucleari sovietici, per la loro distanza da centri abitati e perchè praticamente disabitate e inospitali, fatta salva la guarnigione di tecnici e militari coinvolti negli esperimenti.

Il controllo missione diede il segnale e la bomba venne sganciata, mentre i velivoli effettuavano una secca virata di disimpegno per allontanarsi dall’epicentro dell’esplosione.

Un temporizzatore fece aprire un paracadute freno che rallentò e stabilizzò la caduta, dando ulteriore tempo agli aerei di portarsi in zona sicura. Dopo una discesa di 3 minuti e 13 secondi, a 4.000 metri dal suolo, gli altimetri automatici azionarono i detonatori.

Un lampo di luce potentissimo, che avrebbe accecato chiunque non avesse indossato occhiali protettivi, fu avvistato fino a 1000 chilometri, seguito da una palla di fuoco di ben 8 chilometri di diametro. In pochi istanti l’enorme sfera, nel cui centro era stata raggiunta la temperatura di venti milioni di gradi centigradi, raggiunse il suolo, poi si diresse rapidissima verso l’alto, arrivando a 64 chilometri di altezza, dove si stabilizzò nella tipica forma del fungo atomico.

Fu calcolato che circa 80 milioni di tonnellate di roccia e ghiaccio vennero disintegrate, risucchiate nella fornace nucleare, per poi ricadere sotto forma di polvere radioattiva.

Mentre la sfera infuocata saliva verso gli strati estremi dell’atmosfera, le nuvole attorno all’esplosione si ritirarono, vaporizzate, con un effetto simile agli anelli che si formano quando si lancia un oggetto su uno specchio d’acqua ferma.

Uno degli osservatori raccontò di essere rimasto abbagliato a lungo e di avere sentito un calore insopportabile sulle parti di pelle non protette, nonostante si trovasse a 270 chilometri dall’esplosione.

I dati registrati furono terrificanti: nel raggio di 32 chilometri dal punto della detonazione tutta la superficie dell’isola fu incenerita, aprendo un cratere largo quasi 2 chilometri e profondo in media 75 metri.

Immagine 3
Schema comparativo tra esplosioni termonucleari, secondo la dimensione dell’esplosione.

 

La pressione dell’onda d’urto raggiunse i 21 BAR, cioè 21 volte la pressione atmosferica a livello del mare, sei volte quella provocata dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaky, sufficienti a scarnificare vivo chiunque si trovasse sulla sua strada. Sull’isola di Severnji a 55 chilometri dall’epicentro tutti gli edifici vennero rasi al suolo, ma si registrarono danni a tetti e imposte fino in Finlandia orientale e in Norvegia.

La successiva ondata di calore sarebbe stata in grado di provocare ustioni di terzo grado fino a 100 chilometri.

L’onda di energia si propagò anche nel sottosuolo e la vibrazione fece il giro del mondo per tre volte prima di dissolversi. L’US Geological Survey americano valutò l’effetto sismico tra i 5 e i 5,25 gradi di magnitudo, nonostante l’esplosione fosse avvenuta in atmosfera.

Un altro osservatore descrisse l’eco dell’esplosione come un rumore profondo e crescente, quasi che la Terra fosse stata uccisa e stesse esalando l’ultimo respiro…

Pochi istanti dopo il lampo atomico, il maggiore Durnotsev ebbe giusto il tempo di comunicare al controllo missione sulla penisola di Kola, il successo del test, prima che il fortissimo effetto EMP, cioè l’impulso elettromagnetico generato dalla reazione nucleare, interrompesse ogni comunicazione.

Solo dopo un silenzio durato 40 lunghissimi minuti il collegamento potè essere ristabilito e Mosca ebbe la conferma del successo dell’esperimento.

Il maggiore Durnotsev al suo ritorno venne promosso sul campo tenente colonnello e proclamato Eroe dell’Unione Sovietica, la massima delle onorificenze.

Curiosamente, i russi non furono gli unici a osservare l’esplosione e i suoi effetti, anche gli statunitensi raccolsero dati importanti.

Grazie alla inusuale pubblicità data all’evento, gli americani avevano avuto il tempo di lanciare l’operzione Speedlight. Una cisterna volante Boeing KC 135 dell’USAF venne estesamente modificata nella base aerea di Wright – Patterson come centro di raccolta dati volante, in modo simile a quanto i russi avevano fatto con il loro Tupolev 16.

L’aereo fu pronto il 27 Ottobre, così che tre giorni dopo orecchie e occhi elettronici indiscreti poterono registrare dati preziosi sull’esplosione, volando comunque a debita distanza dallo spazio aereo russo e dal mostro nucleare.

Immagine 4
Un bombardiere Tupolev Tu 95 dell’aviazione sovietica.

 

 

Niente può essere come prima

L’apocalisse scatenata su Novaja Zemlja lasciò conseguenze in molte persone, a partire dallo stesso Andrei Sakharov. Lo scienziato russo aveva concluso la relazione preparatoria del progetto Grande Ivan con questa frase : «Un risultato positivo del test apre la possibilità di creare un dispositivo di potenza praticamente illimitata.»

Facendo parte della più alta nomenklatura sovietica, sicuramente ebbe modo di vedere il film propagandistico di circa 25 minuti, creato col montaggio delle immagini riprese durante il test e riservato alla classe dirigente del Paese. Le immagini probabilmente contribuirono a provocare nello scienziato un ripensamento sul suo lavoro per il sistema militare sovietico.

Nel 1963 il segretario generale Nikita Chruščëv annunciò ufficialmente che la RD 220 era pronta per la produzione di serie e stava per entrare a far parte dell’arsenale sovietico.

Poco dopo quei fatti, Sakharov iniziò a impegnarsi contro la proliferazione degli armamenti nucleari, il che ne provocò l’allontanamento dai progetti militari, l’emarginazione dagli ambienti scientifici ufficiali, fino all’arresto avvenuto nel 1980 per attività contro lo Stato e la condanna al confino in Siberia.

La sua lotta nonostante le persecuzioni subite gli valsero il premio Nobel per la pace nel 1975.

Nel resto del mondo, l’esperienza della bomba Tsar contribuì a diffondere l’opinione che la strada del riarmo nucleare fosse in realtà un vicolo senza uscita, una follia che avrebbe condotto l’umanità al suicidio: il movimento internazionale pacifista ne fece uno dei simboli più significativi dell’impegno contro le armi nucleari.

In realtà, la bomba Tsar ebbe sin dall’inizio soli scopi propagandistici, servì a dismostrare che l’URSS poteva arrivare a qualsiasi risultato volesse raggiungere.

Proprio in quegli anni la ricerca militare su entrambi i lati della cortina di ferro si stava concentrando sui missili balistici intercontinentali e sulle testate multiple, che puntava sulla miniaturizzazione dei componenti bellici.

L’esatto contrario della RD 220, che era enorme, pesante, aveva bisogno della guida dell’uomo per arrivare sul bersaglio. Insomma concettualmente apparteneva già al passato.

Alla bomba Tsar probabilmente almeno un merito può essere riconosciuto: nel 1963 l’URSS, sottoscrisse il trattato internazionale che metteva al bando gli esperimenti nucleari in atmosfera e nello spazio esterno, il primo vero trattato di limitazione alla corsa agli armamenti su cui formò il consenso della maggioranza dei Paesi del mondo.

di Davide Migliore

 

Linkografia

https://it.wikipedia.org/wiki/Bomba_Zar

http://nuclearweaponarchive.org/Russia/TsarBomba.html

https://www.youtube.com/watch?v=Xk8g9M0Anac

http://www.tsarbomba.org/

https://it.wikipedia.org/wiki/Bomba_all’idrogeno#Bombe_di_tipo_Teller-Ulam

http://nuclearweaponarchive.org/Russia/TsarBomba.html

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Incidenti nucleari militari  1985 – 1986

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Incidenti nucleari militari 1985 – 1986

Pubblicato il 29 ottobre 2012 by redazione

Incidenti nucleari militari  1985 – 1986

Nella seconda metà degli anni 80 si preparano eventi che segneranno la fine degli equilibri di potere così come il mondo li aveva conosciuti da più di quarant’anni, che sembravano non modificabili a breve, se non addirittura intoccabili: la divisione in blocchi militari fra est e ovest del mondo, i sistemi economici capitalisti e socialisti, con le relative teorizzazioni e divisioni ideologiche. Il 1989 segnerà la fine sì dell’unione Sovietica, travolta da processi a cui non è riuscita a prepararsi, ma anche il blocco occidentale si troverà impreparato ai cambiamenti del nuovo millennio… tuttavia, prima di quei giorni che chiusero un’era, vi sono stati ancora anni in cui i toni del confronto tra gli schieramenti della guerra fredda tornarono più aspri che mai, tanto da far temere che si fosse vicini alla guerra aperta, quindi all’apocalisse nucleare. Un decennio pieno di controsensi, retorica, sospetti, con un rifiuto sempre più marcato nelle opinioni pubbliche di ideologie, modelli che sapevano di un passato sbagliato. Una voglia di disimpegno, di dimenticare la paura, l’angoscia dell’annientamento nucleare e semplicemente, finalmente, vivere. Sia ad est che a ovest, seppure con toni diversi le sensazioni furono inaspettatamente comuni. Perché la seconda guerra mondiale era finita ormai da cinquant’anni, ma in realtà il mondo era piombato nella terza, che non si era combattuta in campo aperto, ma in singoli teatri di guerre e crisi locali. Senza scontri diretti fra le superpotenze, almeno fino a quel momento. Gordon Matthew Thomas Sumner, musicista inglese molto noto al pubblico internazionale con il nome d’arte Sting, chiuse tutte queste sensazioni nel testo di una canzone per altro molto intensa, “Russians” (nota1), che scrisse nel 1985  e pubblicò l’anno successivo. E’ una canzone pacifista che, come talvolta accade agli artisti, ha avuto la capacità di esprimere e concentrare tutte le obiezioni, le paure che vivevano milioni di persone, schiacciate  in un gioco più grande di loro… nel testo Sting cita il leader sovietico Nikita Kruscev, che in un discorso promise agli occidentali “vi seppelliremo tutti”, così come il presidente statunitense prometteva ai suoi alleati “noi vi proteggeremo”: garbatamente Sting rispondeva a entrambi che la gente non era d’accordo con quei punti di vista. E soprattutto, diceva che non esiste una guerra (nucleare ovviamente) che si può vincere, è una bugia retorica a cui non crede più nessuno. Che condividiamo tutti la stessa biologia, nonostante le differenti ideologie. E che l’unica cosa che potesse salvare tutti è che anche i Russi amassero i loro bambini… e l’insistente ticchettio ricordava (ma lo fa ancora oggi) che l’orologio  della catastrofe segna pochi minuti alla mezzanotte nucleare…e continua ad andare avanti.

Mentre il mondo restava attanagliato da queste paure, ciò che le causava, l’arsenale nucleare, continuava ad esser ben presente e ad espandersi. Ai militari di entrambi gli schieramenti i rispettivi governi chiedevano di esserne sempre pronti all’uso, di continuare  nella sfida reciproca all’efficienza. Quindi le armi nucleari continuavano ad essere portate in giro per il mondo, in un clima di tensione continua. E gli incidenti di conseguenza continuarono ad accadere, nonostante tutte le rassicuranti parole dei leaders politici. Come nella canzone di Sting…..

1985

11 febbraio  La temperatura era piuttosto rigida quel giorno a Fort Redleg, una base della U.S. Army nell’allora Repubblica Federale Tedesca a pochi chilometri dalla città di Heilbronn (nota 2) . Una squadra  di artiglieri della 56° Brigata di artiglieria da campo (56th Field artillery Brigade) stava procedendo all’estrazione del missile nucleare a medio raggio autotrasportabile, quando questo inspiegabilmente prese fuoco ed esplose causando la morte di tre militari, il ferimento di altri sette e notevoli distruzioni nel perimetro della base. L’arma era uno dei 108 lanciatori che dal 1983 erano in corso di rischiaramento in Germania, per fronteggiare di missili di pari classe da parte dei Sovietici nei paesi del Patto di Varsavia, Germania Democratica compresa. In realtà l’arrivo di quei missili in dotazione all’esercito americano aveva già creato molte polemiche in Europa, poiché da alcuni era sostenuto apertamente che lo schieramento di armi da parte dei Russi fosse avvenuto per l’intransigenza crescente da parte dell’amministrazione Reagan sugli equilibri degli schieramenti nucleari e sulla diffidenza verso le dichiarazioni ufficiali  di Mosca in materia. Il missile Pershing II era stato tutta la notte all’aperto, nel contenitore con cui era arrivato dagli States. Ora la squadra di militari, con una temperatura di circa -7 gradi, nonostante fossero già le 14 del pomeriggio, stava smontandolo per posizionarlo sul carrello – lanciatore mobile. L’esercito americano stava amaramente per comprendere che anche i missili a propellente solido potevano essere soggetti a incidenti, non solo quelli liquidi. Secondo quanto fu appurato dall’inchiesta tecnica, mentre il personale della batteria C del 3° battaglione procedeva ai lavori, il motore del missile, la cui struttura esterna era costituita da kevlar, strisciò contro la gomma siliconica che costituiva la protezione interna del container. La bassa temperatura e il freddo secco favorirono l’accumularsi di una forte carica elettrostatica che incendiò il carburante Thyokol TX 174 del primo stadio. In meno di un secondo la pressione e la temperatura furono tali che l’intero missile si sbriciolò, lanciando rottami fino a  quasi 300 metri di distanza ed investendo con fiamme altissime tutto ciò che lo circondava. Per fortuna la testata da 400 kilotoni  era come da procedure, custodita in un “pit” corazzato separato. A seguito dell’esplosione la movimentazione di tali armi nucleari fu bloccata fino al 1986, quando venne profondamente modificato il manuale sulle procedure di manutenzione e messa in sicurezza dei missili a propellente solido.

10 giugno nelle prime ore del mattino, il sottomarino lanciamissili a propulsione nucleare HMS Resolution (nota 3), in servizio con la Marina di Sua maestà Britannica, venne speronato a largo di Cape Canaveral in Florida da uno yacht privato, il Proud Mary, che dovette essere trainato in porto per le riparazioni. Il Resolution invece non ebbe danni di grande rilievo. Il sottomarino stava raggiungendo il poligono di tiro della U.S. Navy Atlantic Test Range, per procedere ad un lancio addestrativo di un missile intercontinentale Polaris. Il Resolution era il primo dell’omonima classe di sottomarini, costruiti per portare ciascuno 16 lanciatori del missile americano. Furono costruiti 4 esemplari, oggi tutti ritirati dal servizio.

Immagine 1 il relitto del sottomarino K 431 attende a Petropavlovsk  l’inizio dei lavori di smantellamento

Immagine 1 : il relitto del sottomarino K 431 attende a Petropavlovsk l’inizio dei lavori di smantellamento. Il 10 agosto 1985 un incidente durante il cambio della barre di Uranio dei reattori causò una delle peggiori catastrofi nella storia dell’atomo militare.

10 agosto nella baia di Chazhma, a pochi chilometri dalla popolosa Vladivostock, la Marina Russa ha da sempre  la sua base di appoggio per la flotta del Pacifico, dove viene anche effettuata la manutenzione per i sottomarini a propulsione nucleare. Il K 431 (nota 4 e immagine 1), un sottomarino  della classe Echo II potenziato da due reattori a acqua pressurizzata da 70 Megawatt, quel giorno veniva sottoposto alla sostituzione delle barre di combustibile, costituite da una lega a base di uranio arricchito. L’operazione, per quanto complessa, era abbastanza comune sia per gli equipaggi che per il personale civile della base. Ma quel carico fu causa di uno dei più terribili incidenti militari di cui si abbia conoscenza. Verso la sera, mentre gli uomini stavano ultimando il carico, venne notato un disallineamento tra il  coperchio del reattore e la camera delle barre: a causarlo un elettrodo da fusione, dimenticato da un operaio. Si dovette nuovamente sollevare con l’argano sia le barre di Uranio che la griglia del sistema di contenimento. Nell’esatto momento in cui il reattore veniva estratto, il passaggio di una silurante nella baia causò un’onda tale lo scafo del sottomarino si spostò, le barre e la grata di contenimento si allontanarono tra loro ben oltre la distanza massima consigliabile. Alle 10.55, pochi attimi dopo, il combustibile del reattore di destra entrò in una reazione a catena spontanea incontrollabile. Un’enorme esplosione distrusse il comparto motore, uccidendo sul colpo le dieci persone, tra marinai e lavoratori, in quel momento attorno al battello, scagliò il pesante coperchio del reattore nell’acqua a 70 metri di distanza, squartò lo scafo e il ponte a poppa del battello e lanciò le barre di Uranio estremamente cariche (o quel che ne rimaneva) nella base e nella foresta attorno alla stessa. Un incendio violentissimo fu domato con fatica dopo quattro ore, mentre il sottomarino giaceva affondato di poppa nel bacino. Buona parte dei detriti cadde entro un raggio di 100 metri, ma una nube di ceneri e gas radioattivi venne spinta verso la penisola di Dunay, di fronte alle banchine della base, sfiorando la città militare di Shkotovo 22, a circa 1 chilometro e mezzo. Nelle 24 ore successive, iniziò il calcolo dei danni della contaminazione nucleare. Al momento dell’esplosione il livello di contaminazione era di 90.000 Roentegents/ora, circa tre volte quello attorno alla centrale di Chernobyl dopo l’esplosione del reattore. Alcune ore dopo era sceso, ma si attestava a 600 Roentgents/ora, comunque ben 30 volte superiore alla dose mortale per un essere umano che vi sia esposto per soli cinque minuti…una energia pari a sei milioni di Curie venne liberata nell’aria. I corpi, o quel che ne restava, dei dieci morti, letteralmente schiacciati, carbonizzati sulle pareti del sottomarino o della banchina, vennero seppelliti a notevole profondità, in quanto fortemente radioattivi. Il 30% del territorio della base e due chilometri quadrati della foresta risultarono contaminati oltre ogni possibilità di bonifica. Immediatamente iniziò l’opera di contenimento, che impegnò 2.209 persone, esposte a dosi massicce di radiazioni lavorando prive di protezioni. Già nei giorni successivi 49 tra pompieri e marinai svilupparono avvelenamenti acuti da radiazioni. In gran velocità vennero rimossi e seppelliti in 4 grandi trincee scavate nella foresta ben 1.200 metri di asfalto, 4.585 metri cubi di terra e pietrisco, 760 tonnellate di metallo e cemento. Delle persone impiegate nella bonifica 290 operarono nell’area maggiormente contaminata. Quanti morirono o subirono, fino ad oggi, le conseguenze durature dell’esposizione non sarà forse mai possibile saperlo, il risvolto forse più amaro di questo incidente. Le autorità  sovietiche, con la ben nota mania per la riservatezza, distrussero tutte le prove (cartellini di ingresso ai cantieri, ordini di servizio, registri..) per cui a nessuno dei lavoratori fu possibile vedersi riconosciuto il servizio reso in quei giorni. Così come ad ufficiali e marinai fu dato ordine tassativo di mantenere il silenzio: un segreto che rimase tale fino al 1993.  Ancora oggi giornalisti coraggiosi e associazioni indagano sulle tragedie ecologiche ed umane di quegli anni, in una battaglia legale con il governo russo a colpi di processi e ingiunzioni contro la censura, che prosegue da oltre vent’anni. Intanto i materiali radioattivi continuano a inquinare mortalmente le acque e il terreno attorno alla baia di Chazhma…

Nel corso del 1985 a bordo di sottomarini sovietici in servizio si sarebbero verificati altri incidenti, ma sulle effettive dimensioni degli stessi, danni a persone o all’ambiente non vi sono ad oggi notizie certe: il K 447, il K 208 e il K 367 sarebbero stati vittime di perdite al sistema primario di raffreddamento, di cui non si conoscono però i particolari, tranne che per l’ultimo battello, per il quale si sospetta sia andato in avaria il sistema di controllo automatico dell’attività del reattore. Il K 38, il K 255 (questi primi due a quanto pare nel corso del mese di marzo), il K 369, il K 298 e il K 192 subirono incendi.

24 ottobre il sottomarino nucleare da attacco USS Swordfish (SSN 579) (nota 5), durante la navigazione nell’Oceano Pacifico subì un’avaria al sistema di propulsione. Non se ne conosce la portata.

24 novembre  la portaerei americana a propulsione nucleare USS Enterprise (CVN 65) si arena sulla Bishop’s Rock a circa 100 miglia dalla base navale di San Diego in California. La portaerei riceve una falla di quasi venti metri sullo scafo e un danneggiamento ad un’elica, ma è in grado di partecipare alle manovre. Dopo il 27 novembre, la portaerei raggiunse il porto per le riparazioni in bacino di carenaggio. Durante le ispezioni venne constatato che un’elica si era deformata e dovette esser sostituita. Ma in ogni caso, la portaerei fu in grado di partecipare all’esercitazione preventivata, né furono rilevate anomalie ai reattori.

31 dicembre mentre è attraccato al porto di Palma di Maiorca, nelle isole Baleari, l’USS Narwhal (SSN 671), sottomarino d’attacco classe Sturgeon, rompe i cavi di ormeggio e resta alla deriva per alcune ore nella baia, prima che si riesca a rimorchiare il battello di nuovo al molo (nota 6). Il Narwhal era in realtà un classe Sturgeon “anomalo”, in quanto servì a testare i reattori S5G con sistema di raffreddamento del reattore “a circolazione naturale dell’acqua”, così come altri accorgimenti strutturali adottati poi su altre classi di sottomarini. Questo rendeva il Narwhal all’epoca il sottomarino più silenzioso nell’arsenale americano, quindi meno individuabile. Per questo fu probabilmente coinvolto in missioni di sorveglianza e spionaggio, di cui oggi ancora nulla ufficialmente si conosce.

1986

Immagine 2 la torretta dell'USS Nathanael Greene (SSBN 636) posta all'ingresso della rada di Cape Canaveral

Immagine 2: la torre di comando dell’USS Nathanael Greene (SSBN 636) accoglie le navi all’ingresso del porto di Cape Canaveral, in Florida. La base, nota per le installazioni spaziali della NASA, in realtà è anche inserita in un poligono marino di tiro in cui i sottomarini (statunitensi e di Paesi alleati) sono autorizzati a effettuare lanci di addestramento dei missili normalmente dotati di testate nucleari. Dopo la demolizione, la torre è stata adottata come ‘gate guardian’, la ‘guardia del cancello’.

13 marzo  il sottomarino lanciamissili balistici USS Nathanael Greene (SSBN 636), nonostante il ruolino di servizio di tutto rispetto, è un battello abbastanza bersagliato dalla sfortuna: dopo due incidenti, uno nel 1970 e ben due nel 1984, durante un’esercitazione di immersione profonda nel mare d’Irlanda, urtò il fondale per motivi non del tutto chiariti, danneggiando gravemente le superfici di controllo a poppa e le casse di zavorra principali (nota 7). Ricevute le prime riparazioni di emergenza presso la base scozzese di Holy Loch, il sottomarino attraversò l’Atlantico in immersione,  raggiungendo la base di Charleston, in South Carolina. I danni ingenti subiti dal battello, la sua non più giovane età (i sottomarini classe James Madison erano entrati in servizio lungo gli anni 60) e le restrizioni sul numero di sottomarini dotati di armi nucleari strategiche stabilite nel trattato di disarmo SALT II ne segnarono il destino.

Immagine 3 lancio da sottomarino di un missile UGM 73 Poseidon

Immagine 3: lancio in immersione di un missile balistico intercontinentale ad uso marino Locheed Martin UGM 73 Poseidon. Il missile è un esemplare da esercitazione, come indica il colore vivace della pannellatura.

Radiato dal servizio attivo e inserito nel programma Submarine Recycling Program (immagine 2), restò assieme a molti altri battelli ormeggiato nel Puget Sound Naval Shipyard di Bremerton fino al 2000, quando lo smantellamento e lo smaltimento del battello fu terminato. Sulla sfortuna o meno di un mezzo si può discutere, anche fare delle battute di spirito, se non fosse per il rischio  che riguarda in primis l’equipaggio (sul Greene erano imbarcati 143 uomini). Ed anche molte altre migliaia di persone, visto che oltre alle barre di Uranio del suo reattore ad acqua pressurizzata S5W, l’armamento di lancio del sottomarino prevedeva 16 silos contenenti altrettanti missili balistici intercontinentali Lockheed UGM 73 Poseidon (immagine 3), ciascuno capace di portare in media 10 testate W68 da 40/50 chilotoni di potenza ciascuna (Fat Man, l’atomica sganciata su Nagasaky aveva una potenza di 22 chilotoni, ovvero 22mila tonnellate di TNT). Senza contare la possibilità di imbarcare anche siluri a testata nucleare modello Mk 45…. Lasciamo fare a voi due conti rapidi sul potenziale distruttivo contenuto nel, Nathanael Greene. La Marina Statunitense ha ammesso che questo incidente è tra il più gravi che siano occorso alla sua flotta sottomarina nucleare, dopo quelli che hanno portato alla perdita dell’intero battello (immagine 2).

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Immagine 4 : un cane nato con gravi malformazioni causate dalle radiazioni emanate dal reattore della centrale di Chernobyl e esposto al museo dell’incidente a Kiev, in Ucraina. Immagine concessa in uso da Vincent de Groot

26 aprile Chernobyl. Pochi nomi come questo sono capaci di evocare angoscia, di incarnare l’immagine della tragedia, fino a diventarne un sinonimo (nota 8, immagini 4, 5 e 6). Non è un incidente nucleare militare, ma dopo Hiroshima e Nagasaky è di gran lunga il più grave, 7° grado della scala INES che misura la gravità di questi eventi. E’ 1.24 di notte: il reattore viene sottoposto in quei giorni a prove di funzionamento sotto stress, in particolare si stava provando per quanto tempo turbina e generatore riuscissero a produrre energia, anche dopo che  l’impianto di raffreddamento avesse cessato di produrre vapore. Per questo erano stati disabilitati alcuni sistemi di sicurezza. Nella sala di controllo non si percepisce, nei minuti precedenti, ciò che sta accadendo, perché la crescita del calore nel reattore è talmente rapida da superare la capacità di rilevamento degli strumenti. Il progetto del reattore RBMK 1000, raffreddato ad acqua pressurizzata e moderato con barre di grafite, come molti altri  reattori sovietici, non è nato per produrre energia, ma per arricchire il Plutonio a uso militare. Non ha sistemi secondari di contenimento, perché deve essere facile la sostituzione delle barre di combustibile, come in tutti i reattori di questo tipo.

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Immagine 5 : attorno alla centrale, immensi cimiteri di mezzi di ogni tipo restano abbandonati alla ruggine. Troppa la radioattività assorbita nei durante il lavoro attorno al reattore n. 4 scoperchiato. Nessuno conosce con certezza il destino di chi li ha utilizzati in quei terribili giorni….

Quando il personale nella sala di controllo comprende che qualcosa sta andando storto, è troppo tardi. Anzi, la decisione di rimettere nel nucleo le barre di assorbimento in grafite (che costituiva la fase finale del test)  non fece nient’altro che dare altro combustibile al rogo nucleare, perché le barre scesero solo parzialmente, bloccate nei condotti deformati dal calore. A quel punto tutto si fonde, dalle tubature spezzate l’acqua di raffreddamento raggiunge le barre in fusione nel basamento e evapora istantaneamente. L’idrogeno generato esplode scagliando attraverso il tetto dell’edificio i blocchi di cemento di contenimento, assieme ad almeno il 25% delle barre di Uranio e di quelle di grafite, come un vulcano in piena eruzione. Pulviscolo e vapore altamente radioattivi sono scagliati nell’atmosfera. Nella vicina città di Pripyat l’esplosione sveglia buona parte dei cittadini. Nell’impianto 3 persone sono morte istantaneamente, altre 28 entro poche ore moriranno per l’immensa quantità di radiazioni emesse: secondo i calcoli degli scienziati, fino a 400 volte le emissioni della bomba di Hiroshima. Dopo il solito tentativo di minimizzare o negare l’accaduto, durato peraltro alcuni cruciali giorni, di fronte alla nube radioattiva che attraversava l’Europa portando con se Iodio 131 e Cesio 137, il governo dell’URSS dovette ammettere  con gli altri Paesi la portata dell’incidente e chiedere aiuto alla comunità internazionale. L’ultimo dei 42 vigili del fuoco ed operai che intervengono immediatamente sul tetto e attorno al cuore del reattore, muore 96 giorni dopo la tragedia. I sovietici inviano migliaia di soldati a spostare freneticamente i detriti in fiamme dal tetto degli altri 3 reattori del complesso, a evacuare  città e villaggi per migliaia di chilometri quadrati attorno all’impianto. Le prime immagini concesse alle tv occidentali li mostrano lavorare davanti al mostro senza altro addosso che tute da protezione antincendio o maschere antigas. Come entrare nudi in un altoforno. Attorno al reattore sventrato si misurano coi contatori Geiger 20.000 Roentgen. Per capirsi, l’esposizione a soli 500 Roentgen in un’ora,  porta un essere umano alla morte entro le 5 ore successive. L’emissione del vapore ionizzato, fonte della più intensa contaminazione, cessa il 10 maggio. Quanti siano stati esposti alla fine dell’emergenza, cioè una volta rinchiuso il reattore in un immenso sarcofago di cemento e acciaio, non è dato sapere. Fino a tutto il 1987 erano stati contati 2.900 lavoratori civili e oltre 16.000 soldati nel cantiere. Anche se c’è chi parla di oltre 600mila “liquidatori”, certificati con attestato dello Stato,  che si avvicendarono a Chernobyl, spesso gettando direttamente nella fornace nucleare detriti e grafite, a mani nude. Circa 240.000 lavorarono all’interno dei 30 chilometri dal reattore, assorbendo dosi elevate di energia per più lungo tempo. A 26 anni di distanza, l’area per sempre inabitabile, le città fantasma, abbandonate in pochi giorni, le suppellettili lasciate parlano di vite spezzate in un momento. Gli oltre 1350 tra camion, cingolati, betoniere, gli elicotteri utilizzati per sganciare sul reattore scoperchiato boro, sabbia e dolomia,  abbandonati, completamente resi radioattivi; sono queste le parole mute che restano. Come le fotografie di tanti che si sono sacrificati in quelle ore. Le possiamo vedere a Kiev, al museo del disastro. O sulle tombe nei villaggi, da dove venivano quei soldati e quegli operai. Parlano i  casi di leucemia e  cancro alla tiroide, che molto spesso colpiscono i bambini: tra il 1987 e il 2005 ne sono stati conteggiati 6000 casi, nella popolazione giovanile esposta  direttamente alla contaminazione in Ucraina e Bielorussia, per cui statisticamente c’è da attendersi un incremento del trend, dovuto all’azione prolungata nel tempo di alcuni elementi radioattivi persistenti, oltre che dai danni immediati. Alcune fonti, come Greenpeace, hanno calcolato potranno raggiungere i 90.000. Anche se l’UNSCEAR (United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation, Comitato Scientifico delle Nazioni Unite per lo studio degli effetti delle radiazioni ionizzanti) ha condotto 20 anni di dettagliata ricerca scientifica ed epidemiologica sugli effetti del disastro. A parte i 57 decessi direttamente ascrivibili all’incidente in sé, l’UNSCEAR ha originariamente predetto fino a 4,000 casi di tumori da attribuire all’incidente.  Al di là di questo, il sarcofago costruito allora sta rapidamente arrivando a fine vita, numerose crepe stanno creandosi, dopo 25 anni di radiazioni e una temperatura interna che in alcuni punti raggiunge ancora i 1000 gradi…. Il nocciolo e la struttura del reattore, ormai fusi assieme, sono sprofondati di altri 4 metri, seppur le fondamenta non siano state superate in nessun punto. Lì giace il “piede di elefante”, un ammasso di Uranio, Grafite e altri materiali colato dalla sala del reattore e solidificatosi in questa strana forma. Un robot lo ha fotografato durante una delle ispezioni sullo stato interno del sarcofago. Ma solo un robot poteva avvicinare quel mostro che  emette un’energia di 10.000 Roentgen all’ora, sufficiente a mandare in pezzi un corpo umano nel giro di pochi minuti. Ma quel che è peggio, la centrale si trova nel bacino naturale dei fiumi Pripyat e Dnepr, quest’ultimo sfocia nel Mar nero, lungo le sue rive vivono più di 30 milioni di persone. L’avvelenamento delle falde ed il rilascio nei fiumi di radionuclidi potrebbe avere conseguenze incalcolabili…29 aprile l’USS Atlanta, sottomarino da attacco appartenente alla classe Los Angeles, collide violentemente contro il fondale durante la navigazione attraverso lo stretto di Gibilterra, mentre sta entrando nel Mediterraneo (nota 9). Immediatamente il sistema di emergenza (Emergency Ballast Tank Blow System, sistema di espulsione di emergenza dalla cassa di zavorra) entrò immediatamente in azione spingendo tonnellate di acqua fuori dalla cassa ed il sottomarino riemerse rapidamente.

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Immagine 6: sul pavimento di un edificio a Pripyat migliaia di maschere antigas, con cui migliaia di lavoratori operarono nell’area di interdizione attorno alla centrale. Totalmente inutili contro le radiazioni, sono un simbolo dell’impotenza di fronte al mostro.

Una prima ispezione dei sommozzatori di bordo confermò che l’impatto è stato tanto violento da riuscire a staccare la cassa di zavorra di prua dallo scafo in alcuni punti, mentre la fibra di vetro che costituisce l’isolante interno pendeva ridotta a brandelli…anche l’’impianto sonar fu danneggiato, lasciando il sottomarino privo di un apparato fondamentale per la navigazione subacquea. Dopo  aver raggiunto il porto di Gibilterra ed avere meglio considerato i danni escludendo ogni coinvolgimento del propulsore nucleare, il comando della 6° Flotta della US Navy  ritenne di far tornare l’Atlanta per le riparazioni alla base di Norfolk, in Virginia. La ricostruzione dei fatti compiuta dalla commissione d’inchiesta non riuscì del tutto a chiarire i motivi della collisione. I sottomarini oceanici moderni sono dotati di un sofisticato sistema di navigazione inerziale capace di calcolare, secondo la rotta seguita, la velocità del battello e le carte sottomarine, ogni correzione di rotta per evitare ogni ostacolo sommerso conosciuto. Tuttavia anche navigando alla bassa velocità di sei/sette nodi, cioè attorno agli 11 – 13 chilometri all’ora,  una nave che stazza 6.900 tonnellate e scivola in un liquido ha un notevole grado di inerzia alle correzioni. Per cui anche il sistema inerziale ha bisogno di essere periodicamente azzerato e riprogrammato prendendo dei punti di riferimento a livello periscopico, sia geografici  che basati sulle trasmissioni di radiofari o satelliti. La missione dell’Atlanta avveniva in un momento di grande tensione con il regime del rais libico Muhammar Gheddafi, schierato col blocco sovietico, che non riconosceva il limite di 21 miglia delle acque internazionali nel Golfo della Sirte ed era apertamente avversario degli Stati Uniti, appoggiando anche attività terroristiche (basti ricordare l’assalto allo scalo all’aeroporto di Roma della Hel Hal, la compagnia di bandiera Israeliana, costato 19 morti). Il 19 aprile aerei dell’USAF provenienti dall’Inghilterra e della US Navy lanciati da portaerei nel Mediterraneo avevano bombardato basi militari e la residenza di Gheddafi. Quindi si sospettava che il canale di Gibilterra fosse sorvegliato da spie libiche e il passaggio di un sottomarino da attacco armato di missili Cruise non passasse inosservato. Il primo ufficiale (in quel momento il capitano non era sul ponte comando ) durante il passaggio dello stretto probabilmente fu troppo condizionato da questo rischio e ritardò il rilevamento della posizione, causando l’errore nel sistema di navigazione inerziale e l’impatto con i rilievi sottomarini. In ogni caso, l’Atlanta tornò negli Stati Uniti con una lenta navigazione in superficie durata tre settimane….e con un nuovo comandante.

31 luglio il 1986 non è un anno fortunato per le forze subacquee americane: l’USS Guitarro (SSN 665) (nota 10), sottomarino a propulsione nucleare classe Sturgeon, subì un problema a una valvola mentre si trovava in navigazione. Le fonti della marina non hanno concesso altro all’informazione, sottolineando peraltro che nessun  apparato a bordo, men che meno nucleare, è rimasto danneggiato o ne ha corso il rischio….

3/6 ottobre nemmeno sul lato opposto della cortina d ferro il 1986 è un anno da ricordare…mentre a Chernobyl si combatte ancora la battaglia col reattore esploso, nell’Oceano Atlantico si sta preparando un’altra tragedia. Partito dal porto militare di Gadhzievo, vicino a Murmansk, il sottomarino K 219, un lanciamissili nucleari balistici classe Yankee I, sta pattugliando le acque a un migliaio di chilometri dalle isole Bermuda, posizione ottimale per un eventuale lancio diretto alla Est  Coast degli Stati Uniti (nota 11). Alle 5, 14 del mattino, durante un controllo al comparto n. 4 viene scoperta un’infiltrazione di acqua nel silo n. 6 (il terzo sulla fila di sinistra), contenente un missile balistico a doppia testata nucleare SS-N-6. Mentre l’ufficiale agli armamenti e un tecnico cercano di capire da dove arriva l’acqua, che sembra filtrare dal lato dei collegamenti elettrici all’arma, improvvisamente la perdita diventa una falla vera e propria. Immediatamente il comandante Igor Britanov ordinò alle 5.25 di risalire alla quota di 46 metri per sicurezza, mentre le pompe cercano di svuotare il comparto del missile. Alle 5.32 da sotto il missile si sprigionano dense nubi di fumo marrone: l’acqua marina aveva raggiunto il carburante liquido del missile e stava producendo vapori di acido nitrico. A questo punto l’ufficiale armiere dichiarò incidente in corso, i compartimenti stagni vengono chiusi, ma 9 uomini restano nel comparto n. IV interessato dall’avaria. L’equipaggio è esperto e in meno di un minuto sta mettendo in pratica le procedure di emergenza, ma alle 5.38 una forte esplosione avviene nel silo n. 6. La situazione precipita:  tre uomini sono stati uccisi dall’esplosione, altri sei sono in pericolo nel comparto missili, Britanov ordinò l’emersione rapida per disattivare i due reattori a acqua pressurizzata che potenziano il battello, ma  raggiunta la superficie il K 219 resta senza energia elettrica. Le barre di controllo vanno inserite secondo procedura manuale, ma nel comparto del reattore la temperatura stava salendo vertiginosamente. L’ufficiale alle macchine Belikov è riuscito a calare tre delle quattro barre, ma non ce l’ha fatta con la quarta. Un marinaio di leva, il ventenne Sergei Preminin, entrò nella camera di controllo, dove la temperatura ha raggiunto i 70 gradi e riuscì a far scendere l’ultima barra. Cercò a quel punto di riaprire il comparto, ma cadde esausto a terra. Nemmeno i compagni riuscirono più ad aprire dall’esterno la porta blindata della camera assistendo impotenti alla morte del marinaio. A questo punto il comando della Marina informato della situazione ordinò a Britanov di attendere una nave appoggio che trainasse il battello alla base di partenza. Una volta raggiunti da una nave da carico russa, si tentò il traino che però fu impossibile. A quel punto l’incendio ed i gas del propellente liquido resero impossibile restare sul sottomarino, così Britanov mandò il suo equipaggio sulla nave da carico, mentre lui rimase a bordo. Mosca, irritata da quello che pensa essere un atto di insubordinazione, solleva Britanov dal comando e ordinò all’ufficiale politico di far tornare Ma è ormai tardi : appesantito dall’acqua imbarcata e privo di controllo, prima dell’alba del 6 ottobre il K 219 affondò, trascinando con se i corpi di sei valorosi uomini, due reattori nucleari e sedici missili, con trentadue testate operative. Il K 219 si adagiò sulla piana abissale di Hatteras, a  circa 6000 metri di profondità, sotto una pressione titanica. Due anni dopo la nave oceanografica sovietica Keldysh fotografò il relitto ed eseguì campionature dell’acqua. Dal momento che il comandante Britanov nelle ultime ore disperate del K 219 aveva fatto aprire i portelli dei missili raggiunti dall’acqua per fare evacuare i vapori ed evitare altre esplosioni, numerosi missili sono usciti dai silo e risultano dispersi sul fondo oceanico. Il sottomarino si è spezzato in due giusto davanti alla torre e attorno al relitto fu riscontrata una lieve traccia di radioattività, il che non fa sperare bene per il futuro…Preminin e gli altri caduti furono insigniti di onorificenze alla memoria, di onorificenze, mentre il comandante Britanov fu posto sotto accusa per negligenza e sospetto sabotaggio, come nella peggior tradizione sovietica, confinato a Sverdlovsk in attesa di processo. Con le dimissioni del ministro della difesa Sergey Sokolov, dopo il caso Mathias Rust (il giovane tedesco che atterrò sulla Piazza Rossa con un piccolo aereo Cessna da turismo, in barba a tutta la difesa aerea russa) il comandante Britanov venne scagionato dalle accuse e il caso archiviato. Anche a livello internazionale l’incidente ebbe conseguenze: i militari sovietici reclamarono apertamente con il governo americano per la presenza di un sottomarino da attacco, l’USS Augusta (SSN 710), che tallonando troppo da vicino il k 219 lo avrebbe speronato, provocandola la falla che ha portato alla perdita del battello e a una grave minaccia per l’integrità dell’ambiente oceanico. I vertici della US Navy, di solito piuttosto parchi di commenti sulle attività subacquee, questa volta risposero seccamente (forse sorpresi dalla “Glasnost” sovietica) che non era avvenuto alcun inseguimento né alcuna collisione fra il K 219 e l’USS Augusta. Ma di là a pochi giorni, l’11 e il 12 ottobre a Reykjavik, in Islanda, il presidente statunitense Reagan e quello sovietico Gorbaciov si sarebbero incontrati per uno storico colloquio su progetti di guerre stellari americani e sullo spiegamento di missili nucleari russi a medio raggio in Europa. Per cui ci fu un tacito accordo a trattenere ciascuno i propri “mastini della guerra” e a glissare sulle polemiche reciproche.

20 ottobre  in realtà, che le marine americana e sovietica giocassero una pericolosa partita a rimpiattino a distanza ravvicinata era del resto dimostrato da numerosi casi di collisione accaduti nei decenni precedenti (nota 12). Anche nel caso dell’USS Augusta, impegnato a sorvegliare i sottomarini lanciamissili che incrociavano a largo degli Stati Uniti, se non con il K 219 è probabile abbia avuto un “contatto ravvicinato del terzo tipo” con un altro battello. Infatti, pochi giorni dopo, ritornato in pattuglia l’Augusta ebbe una collisione in immersione con un oggetto non identificato. Il battello dovette rientrare a Groton per gli accertamenti del caso sui danni subiti, quantificati in circa 3 milioni di dollari. La US Navy fu rapida nel dichiarare che l’impianto propulsivo nucleare era perfettamente integro e non aveva corso alcun rischio…fotografie prese pochi giorni dopo mostrano un sottomarino lanciamissili classe Delta I (identificato da alcune fonti russe come il K 279) con una evidente ammaccatura sulla parte destra della prua. E’ plausibile che l’Augusta stesse inseguendo questo sottomarino, e non il K 219…che a sua volta lo stesse portando a farsi agganciare da un sottomarino da attacco classe Victor, nell’eterna lotta tra preda e cacciatore…

di Davide Migliore


Note

(1) http://www.youtube.com/watch?v=wHylQRVN2Qs

http://lyricskeeper.it/it/sting/russians.html

Sting, “Russians”

(2) http://articles.latimes.com/1985-01-12/news/mn-9508_1_unarmed-missile

http://www.fbjs.facebook.com/note.php?note_id=217420051617134&comments

 Incidente del 11.02.1985 a un missile Pershing II  

http://en.wikipedia.org/wiki/MGM-31_Pershing

Missile Martin Marietta MGM 31Pershing II  

http://miamisburg.org/pershing_missile_56th_field_artillery_command.htm   

organigramma e storia della 56th Field Artillery Brigade della U.S. Army

http://www.fbjs.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.dtic.mil%2Fcgi-    

bin%2FGetTRDoc%3FAD%3DADP005343%26Location%3DU2%26doc%3DGetTRDoc.pdf&h

     =xAQHQiQ7Q&s=1

Relazione tecnica sull’incidente al missile Pershing II ad Heilbronn del 11.02.1985

(3) http://www.britishpathe.com/video/polaris-fired-from-h-m-s-resolution

Video British Pate del lancio  in immersione di un misslie Polaris dall’HMS Resolution (1968)

(4) http://robertamsterdam.com/2008/08/grigory_pasko_prelude_to_chernobyl/

Grigory Pasko, “Prelude to Chernobyl”, articolo sull’incidente di Chazhma Bay

http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&frm=1&source=web&cd=16&ved=0CEgQFjAFOAo&url=http%3A%2F%2Fwww.ippnw-students.org%2FJapan%2FChazhmaBay.pdf&ei=_4qiUKbhOYuTswa3hoGgBw&usg=AFQjCNG2t1DPaq0lNboha4YqOKO5jw_x-Q&sig2=aUdZIpFDAbr7tsEDe9R5rA

Documento PDF,  International Physicians for the Prevention of Nuclear War, l’inquinamento nucleare a Chazhma Bay

http://spb.org.ru/bellona/ehome/russia/nfl/nfl8.htm#O17b

Bellona Report nr. 2:96. Written by: Thomas Nilsen, Igor Kudrik and Alexandr Nikitin, rapporto pubblicato dalla Bellona Foundation sugli incidenti che hanno colpito la flotta sottomarina nucleare sovietica fino agli anni ‘90.

(5) http://navysite.de/ssn/ssn579.htm

Incidente allo USS Swordfish

(6) http://navysite.de/ssn/ssn671.htm

http://www.mesotheliomaweb.org/mesothelioma/veterans/submarines/uss-narwhal

USS Narwhal SSN 671, incidente a sottomarino nucleare

(7) http://navysite.de/ssbn/ssbn636.htm

http://en.wikipedia.org/wiki/USS_Nathanael_Greene_(SSBN-636)

L’incidente all’USS Nathanael Greene

(8) http://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_di_%C4%8Cernobyl

Centrale nucleare di Cherbnobyl ,  disastro nucleare

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=8088 

“In diretta da Chernobyl” di Charles Choi,

www.scientificamerican.com

(9) http://en.wikipedia.org/wiki/USS_Atlanta_(SSN-712)             

http://navysite.de/ssn/ssn712.htm

Incidente all’USS Atlanta (SSN 712)

http://www.oocities.org/uss_atlanta_ssn/seastories.html

La collisione dell’USS Atlanta col fondo dello stretto di Gibilterra nella testimonianza del marinaio Glenn Damato

(10) http://navysite.de/ssn/ssn665.htm

 Incidente all’USS Guitarro

(11) http://english.pravda.ru/russia/politics/09-10-2012/122396-submarine_reagan_gorbachev-0/

http://en.wikipedia.org/wiki/Soviet_submarine_K-219

Hostile Waters (ISBN 0312966121) by Peter Huchthausen, Igor Kurdin and R. Alan White

L’affondamento del K 219 a largo delle Bermuda.

(12) http://en.wikipedia.org/wiki/USS_Augusta_(SSN-710)

http://navysite.de/ssn/ssn710.htm

L’Uss Augusta e la presenza di sottomarini russi a largo delle coste americane, probabili casi di collisione.


Fonti generali

http://www.progettohumus.it/public/forum/index.php?topic=428.0;wap2

Incidenti nucleari o potenzialmente nucleari dal 1971 ad oggi

http://lists.peacelink.it/armamenti/msg00252.html

Lista di incidenti a sottomarini e vascelli militari angloamericani dal 1945 

http://www.at1ce.org/themenreihe.p?c=United%20States%20submarine%20accidents

http://spb.org.ru/bellona/ehome/russia/nfl/nfl8.htm#O17b

Lista incidenti a sottomarini sovietici con cause

https://www.cia.gov/library/center-for-the-study-of-intelligence/csi-publications/books-and-monographs/a-cold-war-conundrum/source.htm sito ufficiale della C.I.A.

http://nuclearweaponarchive.org/index.html

The nuclear weapons archive

http://books.google.it/books?id=3wUAAAAAMBAJ&pg=PA23&lpg=PA23&dq=us+nuclear+submarine+accidents+1985&source=bl&ots=QvKSE3wTuu&sig=y6tbBUeneIb4ZiRAi6BYv-2tHOc&hl=it&sa=X&ei=3-mjUIuqFsfEsgbL-4DoAw&ved=0CCYQ6AEwATgK#v=onepage&q=us%20nuclear%20submarine%20accidents%201985&f=false

Bulletin of the Atomic Scientists, july/august 1989 issue

http://www.nukewatchinfo.org/nuclearweapons/index.html

Informazioni aggiornate sulla produziione di armamenti, sulle conseguenze mediche e ambientali della produzione di armi, iniziative pacifiste e di eliminazione degli armamenti nucleari.

http://bispensiero.blogspot.it/2007_05_01_archive.html

Blog con liste dei principali pericoli e situazione attuale della strategia atomica

http://archive.greenpeace.org/comms/nukes/chernob/rep02.html

http://www.rmiembassyus.org/Nuclear%20Issues.htm

http://www.web.net/~cnanw/a7.htm

10 mishaps that might have started an accidental nuclear war.

http://forum1.aimoo.com/American_Cold_War_Veterans/Cold-War-Casualties/Naval-Accidents-During-Cold-War-1-1579633.html

Incidenti navali con vittime durante la Guerra Fredda

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Anni Sessanta: ancora incidenti con armi nucleari e la lista si allunga!

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Anni Sessanta: ancora incidenti con armi nucleari e la lista si allunga!

Pubblicato il 18 marzo 2012 by redazione

Immagine apertura bomba czar

Bomba czar.

Eccoci arrivati ai “magici sixties”, gli anni sessanta, il decennio che divenne mitico a livello planetario per le grandi aspettative di progresso economico, di ideali, di cultura e costumi. Circa dieci anni, perché non si possono chiudere certi fenomeni in ristretti precisi recinti, che cambiarono il mondo in meglio, con la presa di coscienza dei movimenti d’opinione giovanili, la sensibilità pacifista, le controculture, la creatività artistica… un decennio anche di grandi contraddizioni, con il proseguire della guerra fredda (nonostante le grandi speranze del dialogo Khrushev – Kennedy), che divenne caldissima nel sud-est asiatico, con il conflitto in Vietnam che durerà dieci anni. Ma oltre alle delusioni, il decennio successivo ereditò una nuova sensibilità, la pretesa di conoscere i costi pagati dal mondo in termini di contaminazioni dovute agli esperimenti, alla produzione del materiale fissile e agli incidenti in cui incorsero (ed incorrono tuttora) coloro che si trovano a custodire (e potenzialmente utilizzare) una delle più grandi fonti di pericolo per l’umanità. Grazie anche ai dati che molti  scienziati mettono a disposizione dell’intera opinione pubblica mondiale, arriviamo al dunque: l’inquietante carrellata di incidenti degli anni ‘60, terribile (ed a giustificato sospetto, incompleto) racconto che ha coinvolto le armi nucleari da allora praticamente fino ad oggi.

1 Maggio 1960, un aereo spia Lockheed U2B, pilotato dal capitano Francis Gary Powers, venne abbattuto sopra Sverdlovsk, 1300 chilometri all’interno del territorio dell’Unione Sovietica e a oltre 20.000 metri di quota, da un missile terra aria SA 2 Guideline sulla base dei dati forniti dai radar da inseguimento e puntamento della difesa arerea. Buona parte del  velivolo e Powers stesso vennero recuperati e mostrati al mondo smentendo la versione ufficiale della Casa Bianca che negava l’accaduto. Il mondo entrò in una delle peggiori crisi dell’era nucleare compromettendo gravemente le timide prove di dialogo fra le due superpotenze, portate avanti dal presidente Eisenhower e dal Segretario Khrushev dopo dieci anni di durissimo confronto ideologico: da un lato gli Stati Uniti adoperavano aerei spia per controllare i progressi tecnici sovietici, dall’altro l’Unione Sovietica possedeva armamenti e tecnologie che aveva sempre negato di avere. La cattura e il processo a Powers, che dal 1956 aveva lasciato l’USAF e lavorava al programma di spionaggio della C.I.A., gettarono anche nello sconforto l’estabilishment militare occidentale perché la ricerca oltre la “cortina di ferro” provò di essere ben più avanzata di quanto si ritenesse. Come conseguenza, nel campo della corsa agli armamenti, nonostante il successivo trattato internazionale del 1962 che pose al bando gli esperimenti atomici in atmosfera e nello spazio esterno, segnò un’accelerazione enorme nello sviluppo delle armi di distruzione di massa basate sull’atomo (non a caso erano rimasti coscientemente esclusi o poco regolati dalla convenzione gli esperimenti sotto la superficie terrestre o dei fondali marini….) e proprio nel 1962 la crisi dovuta al dispiegamento di missili russi sul territorio di Cuba portò il mondo sull’orlo della terza guerra mondiale…

Ultima bomba all'idrofgeno B28RI recuperata dopo l'incidente di Palomares del 17 gennaio 1966.

L’ultima delle bombe H modello B28RI perdute durante il cosiddetto “incidente di Palomares” del 17 gennaio 1966, rimessa assieme per le foto ufficiali dopo il recupero in mare. L’ordigno è ancora agganciato ad una parte del travetto portabombe.

7 Giugno 1960 : questo è il primo incidente (di cui si abbia notizia certa) del decennio. Stati Uniti, base aerea McGuire di Trenton, nel New Jersey, uno degli impianti dove sono in servizio missili antiaerei a testata nucleare IM99 BOMARC. In uno di essi un contenitore a pressione di elio, che serve all’elettronica interna, cede distruggendo il serbatoio di carburante liquido, che a sua volta a contatto con l’aria si incendia. La temperatura nell’ordigno raggiunge qualche migliaio di gradi, il tritolo dell’innesco della testata atomica esplode, il magnesio e l’ossido di Torio contenuti nell’arma letteralmente si sciolgono e bruciano assieme al resto del missile. Alla fine metallo e ceneri sono solidificate in un’unica massa. Il pentagono ammetterà la contaminazione (ma senza rivelare l’entità) dell’area interessata sotto al missile per circa trenta metri quadri, per effetto dell’acqua del sistema antincendio che ha trascinato con se i resti del plutonio contenuto nella testata.

Il confronto si fa sempre più serrato e l’atomo inizia a scorrere anche sotto il mare. Il missile è il vettore del futuro, sfuggente, economico da costruire, una volta lanciato non ha bisogno di alcun altro intervento. La propulsione atomica consente di ampliare  quasi senza limite il raggio di azione dei sottomarini e di arrivare silenziosamente, non visti, a lanciare le armi atomiche fin quasi sotto casa dell’avversario, rendendo inutile qualsiasi sistema radar di sorveglianza e di reazione antiaerea. La competizione a qualunque costo inizia a mietere vittime sotto agli oceani ed a far pagare anche ad essi l’irresponsabilità umana. Pensate a una centrale sulla terraferma: è composta da un edificio imponente, gusci di protezione, barriere, chilometri di tubazioni, cavi, sistemi elettronici di controllo. Eppure le centinaia di incidenti, più o meno gravi che si sono succeduti indicano che ancora oggi nemmeno tutta questa complessità ci mette al riparo dalla pericolosità dell’atomo. Ora pensate a un sottomarino, con le sue esigenze di spazi limitati: è facile capire come tutto debba essere semplificato, quindi nessun sistema di propulsione nucleare installato su un sottomarino potrà garantire minimamente degli standard accettabili ! (2). Eppure i paesi dotati di armi atomiche hanno costruito, e programmano di costruire tutt’ora, battelli sempre più complessi e grandi. Solo la ex Unione Sovietica ha costruito tra gli anni 50 e gli anni 90 del secolo scorso quasi 300 sottomarini.  Cosa  potrebbe succedere se un sommergibile dovesse uscire dal controllo umano e sprofondare negli abissi, a pressioni per cui nessun battello è progettato per resistere…e per di più trascinando con sé numerose testate nucleari contenute nei missili e nei siluri? Quanto fosse facile un evento del genere lo si vide ben presto…

Un missile intercontinentale LGM 30 Minuteman I in manutenzione nel suo silos corazzato sotterraneo.

Un missile intercontinentale balistico a testata nucleare Minuteman riceve manutenzione direttamente nel suo silo corazzato sotterraneo (dal sito http://www.aerospaceweb.org/question/weapons/q0268.shtml).

13 Ottobre 1960 : durante una crociera di esercitazione nel mare di Barents, il sottomarino lanciamissili a propulsione nucleare K8 della marina sovietica subisce la rottura di un tubo a pressione, con un calo nella portata del sistema di refrigerazione tale quasi da raggiungere la fusione delle barre di Uranio arricchito U235. Solo la reazione pronta dell’equipaggio, che ha creato una sorta di sistema di raffreddamento d’emergenza con l’acqua di mare ha impedito il disastro. Tre membri dell’equipaggio subiranno gravi contaminazioni, mentre in tutto lo scafo si espanderà una nube di gas radioattivo. Il grado di irradiazione effettivo subito dai membri dell’equipaggio non è stato rilevato con certezza perché la contaminazione ha raggiunto livelli tali superiori alla taratura degli strumenti…

Una rara immagine d'epoca del sottomarino a propulsione nucleare sovietico K 19 in navigazione.

Una rara foto d’epoca del sottomarino a propulsione nucleare russo K 19, protagonista di un incidente tra i più gravi dell’era atomica.

24 Gennaio 1961 : un B52D appena decollato dalla Seymour-Johnson Air Force Base subisce un cedimento strutturale ad una ala che determina la rottura di un serbatoio di carburante con la successiva distruzione in aria del bombardiere che si incendiò e si disintegrò nei pressi della cittadina di  Goldsboro in North Carolina. L’equipaggio cercò di lanciarsi dall’aereo, ma su 5 uomini tre perirono nel tentativo. Le due bombe termonucleari M39 caddero nel vuoto. In una di esse tre dei sistemi di sicurezza su quattro fallirono per cui il computer della bomba durante la caduta proseguì le operazioni di attivazione come se fosse un lancio reale di guerra….Tra queste vi era l’apertura del paracadute freno che rallentava la caduta della bomba. Questo in realtà si rivelò un vantaggio perché  fece in modo che la bomba toccasse il suolo quasi del tutto intatta, mente la sicura della spoletta elettronica resistette e non vi fu alcuna esplosione. Ma la seconda bomba non fu così fortunata: precipitando da parecchie migliaia di metri la bomba impattò su un terreno argilloso frantumandosi e distribuendo rottami per una profondità fra i 6 e i 17 metri. L’esplosivo atomico di plutonio e la “bottiglia” di trizio (H3 l’isotopo dell’idrogeno che serve innescare la fusione nucleare) vennero recuperati sostanzialmente intatti, ma l’innesco in Uranio arricchito è rimasto nel terreno. Troppo alto il rischio di provocare una contaminazione con una falda acquifera quasi in superficie. L’U.S. Air Force ha espropriato la porzione di terreno coinvolta e da allora sottopone a monitoraggio continuato i resti della testata, senza per altro ancora oggi avere la soluzione definitiva del problema… A seguito dell’incidente, il Presidente americano Kennedy ordina un rapporto dettagliato sulla sicurezza dei dispositivi militari, al termine della quale il Dipartimento della difesa dovrà ammettere che dal 1945 si erano verificati più di 60 incidenti e in almeno due casi erano stati lanciati missili con testata operativa per errore… ed era solo il 1961….

14 Marzo 1961 : un altro B52 decollato dalla Mather Air Force Base subisce una decompressione violenta mentre è in volo con due bombe termonucleari a caduta nella stiva. Il pilota è costretto a abbassarsi di quota per evitare che la struttura dell’aereo esploda letteralmente per il differenziale di pressione e cerca di raggiungere la base più vicina che abbia una pista adatta all’atterraggio dell’enorme velivolo. Ma le condizioni strutturali ed il consumo enorme di carburante nel volo a bassa quota resero impossibile l’incontro con un velivolo cisterna per un rifornimento in volo, il pilota, dopo aver fatto eiettare il resto dell’equipaggio, governò l’aereo verso una zona disabitata prima di lanciarsi una volta esaurito il carburante. Le bombe vennero sbalzate fuori dal relitto al momento dell’impatto, avvenuto a circa 24 chilometri da Yuba City, ma le sicure funzionarono bene e il cuore nucleare di entrambe fu recuperato senza danni ambientali.

Boeing B-52D

Una classica scena che dagli anni 50 si ripete fino ad oggi. Un B52 sta per essere rifornito in volo da un aereo cisterna Kc 135. E’ durante una manovra delicata come questa che sono successi molti dei più drammatici incidenti di volo, compreso quello di Palomares, in Spagna.

Un Douglas C124 Globemaster II, uno dei cavalli di battaglia del trasporto aereo dell’USAF tra gli anni 50 e 60. Spesso fu coinvolto in incidenti mentre trasportava armi atomiche o parti di esse.

Un Douglas C124 Globemaster II, uno dei cavalli di battaglia del trasporto aereo dell’USAF tra gli anni 50 e 60. Spesso fu coinvolto in incidenti mentre trasportava armi atomiche o parti di esse.


4 luglio 1961 : la vicenda del sottomarino atomico K19 è forse una delle più tragiche ed esemplari del totale sacrificio di procedure e norme di sicurezza che veniva coscientemente perseguito in nome della competizione militare nella ‘guerra fredda’, specialmente nella Russia sovietica, anche se comportamenti simili non mancarono neppure schieramento occidentale.

Recentemente la storia di quella missione fatale ha ispirato un famoso film. Commissionato nel 1958 e varato nel 1960, il K 19, primo sottomarino SSBN (Submersible Ship Ballistic Nuclear, ovvero sottomarino nucleare lanciamissili balistici) della classe definita Hotel 1 nel codice NATO, per la fretta dei vertici politici di Mosca nel dotare la marina di tali mezzi d’attacco, fece almeno 10 vittime mentre era ancora nel bacino in allestimento: impressionante la fine di sei operaie che stavano applicando l’isolamento in gomma pesante tra i gusci del doppio scafo, morte soffocate da un principio di incendio e quello di due operai addetti alle saldature, arsi vivi in un compartimento. Da notare che, al momento della cerimonia del varo, la bottiglia lanciata tradizionalmente sul muso del battello scivolò sulla copertura in gomma di alcuni apparati invece di rompersi…i marinai di vecchio corso presenti, piuttosto superstiziosi, lo presero come un cattivo presagio,  ma nessuno poteva sapere quanto fosse stata fondata stavolta quella superstizione …

Scorpio

Sottomarino nucleare SSN 589 Scorpion a fianco della nave appoggio USS Tallahatchie County nella baia di Napoli, nell’aprile del 1968. Questa è forse l’ultima foto dello Scorpion , prima dell’affondamento avvenuto ad inizio maggio, mentre era in rotta per la base di Norfolk, in Virginia.

Nonostante numerose mancanze segnalate dal controllo tecnico, il battello venne consegnato in gran segreto alla marina sovietica e inviato alla sua prima crociera di addestramento. Mentre si trovava nell’Atlantico settentrionale, a largo dell’isola di Jan Mayen, il circuito di raffreddamento di uno dei due reattori a Uranio cedette e la temperatura raggiunse rapidamente gli 800 gradi centigradi, prossimi alla fusione catastrofica del nucleo di Uranio, nonostante il sistema di sicurezza automaticamente avesse spento il reattore e vi avesse calato le barre di controllo per fermare la reazione a catena. L’antenna per le trasmissioni radio in onde lunghe bassa frequenza, vitale per i contatti a lungo raggio, era rimasta danneggiata nel corso di un’immersione profonda, per cui il sottomarino rimase isolato, navigando a velocità ridotta. Grazie al sacrificio di otto uomini (a bordo per la fretta non erano state caricate tute protettive per rischio nucleare, ma solo quelle chimiche e antincendio, totalmente inutili) che si alternarono a coppie nel vano del reattore, a turni di 5 minuti, per riparare la tubazione e riattivare la circolazione dell’acqua di raffreddamento, il sottomarino riuscì a guadagnare tempo prima di essere rintracciato da un altro sommergibile della flotta del baltico, l’S270, e rimorchiato alla base di partenza. Gli otto uomini che ripararono il circuito morirono tra il 10 e il 25 luglio, tra atroci sofferenze, avendo assorbito radiazioni fra i 7 e i 54  Sievert. Stessa sorte toccò ad altri 30 marinai nei due anni successivi, avvelenati dagli isotopi della fissione che si erano diffusi col  vapore perso dal reattore, attraverso il sistema di areazione del sottomarino. La restante parte dei membri dell’equipaggio è stato afflitto per  il resto della vita da disturbi e malattie causate dall’energia assorbita, nessuno dei caduti ebbe riconoscimenti in quanto in missione segreta e non durante stato di guerra, mentre il comandante fu arrestato e processato al suo rientro in patria, per il sospetto che  l’incidente fosse solo una macchinazione per disertare e consegnare l’unità agli americani… solo la testimonianza in blocco dei sopravvissuti lo scagionò, ma non ebbe più alcun comando per il resto della sua carriera. Il sottomarino in seguito inquinò un’area di almeno 700 metri attorno al bacino durante la sostituzione del reattore e le riparazioni. Anche gli altri due missili a bordo dovettero essere rimossi, demoliti e stoccati in sicurezza. La causa del disastro fu individuata in scorie di elettrodo da saldatura cadute nel sistema di raffreddamento prima della sua sigillatura.  Una volta decontaminato e riparato, il K19 ritornò in linea, meritandosi tra i marinai il terribile soprannome di ‘Hiroshima’ . Infatti, prima della sua radiazione e demolizione, avvenute tra il 1991 ed il 2003, il K19 ebbe numerosi altri incidenti, tra cui il 24 febbraio 1972 un incendio in immersione a largo del Canada, che uccise altri 28 marinai… Ma gli incidenti non riguardano solo armi e mezzi in linea coi reparti militari, anche i test sperimentali hanno avuto la loro serie di coincidenze sfortunate e incredibili sottovalutazioni, le cui conseguenze furono altrettanto tragiche.

1 Maggio  1962 : siamo ad Ecker, nel Sahara algerino, dove la Francia sta sviluppando il proprio armamento nucleare, secondo la politica di indipendenza militare dai blocchi delle superpotenze seguita dal presidente De Gaulle. Il suolo di questa regione infatti è costituito da granito ritenuto adatto a resistere alle pressioni enormi di un’esplosione atomica. Ciascun test della serie era chiamato col nome di un elemento. Quello svolto quel giorno  era definito in codice “esperimento Berillio” ed ebbe come testimoni anche Pierre Mesmer, ministro della difesa francese e Gaston Palewski, ministro  della ricerca scientifica. L’ordigno era posto all’interno della montagna, in una galleria a forma di chiocciola che terminava in un rettilineo di circa un chilometro. Un tappo di cemento armato e quattro porte blindate di enorme spessore avrebbero dovuto contenere la reazione all’interno, ma così non fu. Per un errore di calcolo l’esplosione liberò non 20 chilotoni di potenza, ma ben 50. Se le rocce si vetrificarono sotto l’enorme calore, la volta della galleria non riuscì a crollare completamente, mentre il tappo di cemento e le quattro porte blindate vennero facilmente divelti. Una nube di detriti e gas altamente radioattivi fu espulsa e contaminò oltre 150 chilometri quadrati attorno al sito dell’esperimento. Nessuno dei tecnici o dei militari presenti aveva protezioni adatte o adottava procedure di sicurezza, per cui furono tutti irradiati. E In seguito molti soldati vennero inviati a riaprire la galleria e a prelevare campioni di materiale nel punto dove la montagna aveva ceduto. Non è solo incredibile negligenza, è il più totale disinteresse per la vita delle persone! Le conseguenze furono terribili. Buona parte dei presenti  morirono nel giro di pochi anni nonostante le immediate procedure di decontaminazione. Il pilota dell’elicottero inviato a prelevare campioni di aria sulla verticale dell’esplosione, il veterano Jacques Muller, all’epoca venticinquenne,  divenne cieco alcuni anni dopo. Sulla vicenda venne steso il segreto di stato, nonostante il dolore e le proteste dei parenti delle persone decedute, tanto che il numero esatto di coloro che pagarono con la vita ancora oggi non è certo. Lo stesso ministro Palewski morì di leucemia 22 anni dopo l’incidente, convinto che l’irradiazione subita quel giorno ne fosse la causa. Alcuni anni dopo Mesmer durante un’intervista televisiva ammise che era rimasto stupito dalla differenza di equipaggiamento dei dipendenti civili del ministero della ricerca scientifica e dei militari, così come dall’impreparazione alle emergenze, visto il panico che si scatenò fra i presenti subito dopo l’incidente…oggi alcune drammatiche fotografie scattate durante quegli istanti testimoniano quel terribile momento. Nel 2005 la tv France 2 produsse un film sulla vicenda dal titolo “Irradiati per la Francia”, sulla testimonianza di alcuni sopravissuti di quel giorno e di molti altri che operarono in Algeria ed in seguito, dopo l’indipendenza algerina, a Mururoa (nella Polinesia francese) nel corso del programma di sviluppo nucleare voluto dal governo di Parigi.

(7) 4 Giugno 1962 :  l’atollo di Johnston, parte di un piccolo arcipelago corallino nell’Oceano Pacifico sud – occidentale, è occupato dagli Stati Uniti sin dalla seconda metà del 1800, dal 1926 ospita anche un’oasi naturale protetta per gli uccelli migratori, in quanto praticamente deserto. Dopo la guerra con il Giappone le strutture militari vengono ampliate e l’atollo è utilizzato come base di lancio per test sperimentali nucleari tra il 1958 e il 1975, oltre che di un deposito di armi chimiche per un eventuale teatro di guerra nel Sud Pacifico, ma in alcune isole vicine sono presenti comunità di pescatori  di origini polinesiane, che hanno strutture d’appoggio temporanee per le battute di pesca. Quel giorno venne lanciato un missile a medio raggio Thor con motore a razzo a propellente solido e dotato di testata atomica della potenza di alcuni kilotoni. Lo scopo è misurare gli effetti di esplosioni in alta atmosfera o immediatamente al di fuori di essa, nell’ambito del programma militare “starfish prime”.  Durante il lancio però qualcosa va storto e il missile praticamente in uscita dall’atmosfera perde il sistema inerziale di autoguida, per cui il controllo da terra decide di azionare il comando di autodistruzione. Rottami piovono nell’Oceano ma la testata si è vaporizzata per attrito con l’atmosfera. Si ignora però se parte del plutonio sia anch’esso ricaduto in acqua sottoforma di polveri.

20 Giugno 1962 : altro lancio di un missile Thor per testare gli effetti degli impulsi elettromagnetici generati dal bang atomico sulle apparecchiature elettroniche. Un minuto dopo il lancio il razzo improvvisamente si spegne e il missile viene autodistrutto ad una quota di appena 10.600 metri. Questa volta i tecnici e i militari statunitensi non sono così fortunati: polveri di plutonio contaminano l’atollo e le altre isole dell’arcipelago, tanto da richiedere procedure di emergenza di decontaminazione per il personale di stanza, mentre i pescatori abitanti le isole vicine vengono spostati con giustificazioni vaghe….

13 Novembre 1963 : nella Medina Air Force Base in Texas, ben 120 chili di alto esplosivo convenzionale provenienti da testate nucleari obsolete in corso di demolizione esplosero per motivi non chiariti, provocando tre feriti tra il  personale addetto, ma non coinvolgendo le capsule di Uranio e Plutonio, custodite però  inspiegabilmente nello stesso edificio…

13 Gennaio 1964 :  un B52D decollato dalla Westover Air Force Base (AFB) nel Massachussets , si infilò in una fortissima turbolenza che strappò letteralmente dall’aereo lo stabilizzatore verticale di coda. Solo i due piloti sui 5 membri dell’equipaggio riuscirono a mettersi in salvo mentre le due bombe termonucleari nella stiva furono ritrovate quasi intatte tra i rottami dell’aereo. Fu quasi un miracolo che non vi fosse stata contaminazione radiologica, perché anche se gli ordigni erano in condizione “di trasferimento” e quindi inattivi, le testate contenevano comunque l’Uranio e il Plutonio necessari alla detonazione.

5 Dicembre 1964 : mentre un nuovissimo missile balistico intercontinentale LGM 30B Minuteman I veniva sottoposto a manutenzione nel suo silos corazzato sotterraneo, sulla Ellesworth AFB nello stato del South Dakota, uno dei retrorazzi del veicolo di rientro della testata si accese d’improvviso. La testata cadde dal missile, ma le batterie elettriche di alimentazione si staccarono e le sicure si attivarono automaticamente evitando in extremis la detonazione nucleare.

8 Dicembre 1964 :  un bombardiere ultrasonico Convair B58B sta rullando sulla pista della Bunker Hill AFB (stato dell’Indiana), ma per un  errore di manovra esce di pista e prende fuoco. Pilota e copilota riescono ad abbandonare l’aereo, il navigatore azionò il seggiolino eiettabile ma non sopravvisse al lancio. Sull’aereo erano presenti ben 5 armi nucleari a caduta, alcune di queste sicuramente si danneggiarono generando un inquinamento, definito peraltro “lieve” dalle autorità militari.

11 Ottobre 1965 :  mentre si sta rifornendo di carburante sulla pista della base Wright – Patterson , in Ohio, un aereo da trasporto C 124 Globemaster II prende fuoco. Nella stiva sono caricati un ordigno da esercitazione e diverse componenti per armi nucleari. L’incendio  subito avvolse l’aereo che andò perduto assieme al suo carico, determinando contaminazione da radiazioni attorno al velivolo.

(8) 2 Dicembre 1962 : un treno che trasporta componenti per testate nucleari e inneschi atomici, prodotti dalla grande industria aeronautica statunitense Martin, mentre è in viaggio dalla città di Marietta, in Georgia, verso Louisville e Nashville, deragliò, provocando tre feriti tra i tecnici che seguiva il pericoloso carico, ma non fughe radioattive, stando alle dichiarazioni delle autorità militari…

(9) 10 Aprile 1963 : il Tresher fu il capostipite della omonima classe di sottomarino da attacco antisommergibili a propulsione nucleare e alta velocità sviluppata a fine anni 50 per la marina statunitense come contromisura all’espansione della flotta di omologhi lanciamissili russi (vedi il caso del K19). Entrato in servizio nel 1961 però suo malgrado divenne più conosciuto per la sua tragica fine. Quel giorno il Tresher era alle prese con prove di immersione profonda, a350 chilometri a largo di Cape Cod in Massachussets,  assieme alla nave da ricerca Skylark . Dopo aver raggiunto la quota prevista, il Tresher chiamò lo Skylark col telefono subacqueo, ma la comunicazione era disturbata…a bordo capirono che il Tresher era in un qualche guaio…pochi istanti dopo sentirono come il suono di aria che entra a pressione in un contenitore, poi più nulla. Il Tresher era imploso schiacciato dalla differenza di pressione esterna  una volta che aveva raggiunto i 400-600 metri di profondità, uccidendo i 112 membri dell’equipaggio e i 17 tecnici civili coinvolti nelle prove quel giorno. Il batiscafo Trieste che raggiunse a 2600 metri di profondità il Tresher scattò foto desolanti dei suoi resti sparsi su oltre 134mila metri quadri di fondale oceanico. Le ricerche su cosa fosse accaduto hanno coinvolto la Marina, i tecnici dei cantieri costruttori e scienziati. Dopo molte simulazioni e test, la causa del disastro fu trovata in una serie di eventi: una tubazione nel comparto motori che era stata installata con sistema di brasatura e non di saldatura aveva presumibilmente ceduto, inondando i comparti e provocando un corto circuito nell’impianto elettrico. Come conseguenza, il sistema di sicurezza ha bloccato il reattore nucleare mettendolo in sicurezza, ma ha lasciato il sottomarino privo di energia elettrica. Per di più, l’ufficiale al reattore fece chiudere le valvole di vapore per conservare  la potenza massima possibile da usare per la riemersione rapida forzando l’espulsione dell’acqua dalle casse di zavorra. Ma la temperatura a quella profondità aveva congelato le valvole impedendo di spostare il vapore, che si era rapidamente raffreddato. Il Tresher a quel punto, privo di energia e di controllo meccanico era affondato come un masso verso morte sicura. Da quella dolorosa lezione la Marina americana sviluppò il programma SUBSAFE per la revisione di tutte le tecnologie applicate alla costrizione degli impianti e degli scafi dei sottomarini, sviluppando il sistema EMBT che consente in emergenza di controllare le valvole di sfiato e i comandi di manovra anche a reattore spento, quindi senza elettricità e spinta delle eliche. Il reattore S5W in ogni caso giace ancora là, con il suo carico di barre di Uranio ancora attivo…..

(10) 5 Dicembre 1965 :  a largo dell’arcipelago delle Ryukuyu,  circa 80 miglia dall’isola giapponese di Okinawa, il sottotenente Douglas M. Webster della U.S. Navy è nell’abitacolo di un assaltatore A4E Skyhawk, numero di matricola 151022, appartenente allo squadrone imbarcato VA56 e sta per essere portato dal grande ascensore sul ponte della portaerei USS Ticonderoga. La nave e la sua flotta d’appoggio si erano trovate pochi mesi prima coinvolte negli incidenti del Golfo del Tonchino, a largo delle coste del Vietnam del Nord, tra il 2 e il 4 agosto del 1964, che furono il casus belli (in buona parte inventato, come da recenti rivelazioni) per gli Stati Uniti per intervenire direttamente nella regione contro il Vietnam del Nord, a regime comunista, che appoggiava la guerriglia nel Vietnam del Sud, strettamente controllato da Washington . Era l’inizio della terribile guerra del Vietnam, costata in dieci anni 58mila soldati uccisi, migliaia di mezzi e 200 miliardi di dollari di spese belliche e finita con la più cocente sconfitta militare per gli U.S.A. . Ma tornando a quella mattina di Dicembre del 1965, l’A4E di Webster avrebbe dovuto essere lanciato in volo per un’esercitazione che sembrava di ordinaria amministrazione, ma che tanto ordinaria poi non era in quanto alla fusoliera del piccolo aviogetto era agganciata una bomba termonucleare tattica B43 da un megatone di potenza. Per motivi ancora oggi non chiari, l’aereo scivolò dal ponte e cadde in mare dove affondò assieme al pilota, senza lasciare tracce, su un  fondale di quasi 5mila metri…l’incidente, costituisce una classica ‘broken arrow’ (freccia spezzata) nel codice militare statunitense, ovvero lo smarrimento di una testata nucleare attiva con il rischio di detonazione e nei suoi particolari venne rivelato solo nel 1981, quando fu cancellato il segreto militare che l’aveva coperto per tutti quegli anni. Molti esperti hanno dubitato che a una tale profondità e pressione il pit corazzato che contiene l’Uranio, il Plutonio e l’innesco di Deuterio per la fusione nucleare possa resistere per molto tempo, prima di generare un gravissimo inquinamento radioattivo nelle correnti profonde dell’oceano. Queste notizie hanno ingenerato un’enorme e malcelata irritazione nel governo giapponese che dalla pesca e dall’Oceano in generale trae moltissime risorse alimentari ed industriali. Del resto, su un fondale cosi profondo e vasto, ancora oggi non si ha una precisa idea come smantellare e recuperare eventualmente l’ordigno, sempre che si riesca ad individuarlo…

(11) 17 Gennaio 1966: Palomares è un piccolo paese di agricoltori e pescatori dell’Almeria, sulla costa mediterranea nel Sud della Spagna. E’ un villaggio piuttosto povero, dalla terra arida, in un paese che è isolato dalla comunità internazionale dal colpo di stato fascista del generalissimo Francisco Franco. E in quel giorno uggioso d’inverno il caso ha voluto che si aggiungesse per gli abitanti alla difficoltà di vivere in quel luogo anche la paura nucleare. Sopra la verticale del villaggio, a circa 9.500 metri di quota un B52G diretto alla Seymour -Johnson Air Force Base, in North Carolina, intorno alle 10.30 del mattino sta per incontrarsi con un aereo cisterna Boeing Kc135 Stratotanker proveniente dalla base spagnola di Moròn, poco distante. L’aereo è impegnato in una delle lunghissime missioni dell’operazione “Chrome Dome”, in cui i bombardieri dello Strategic Air Command pattugliavano 24 ore su 24 i confini dell’Unione Sovietica, armati con ordigni nucleari, sempre pronti in caso arrivasse l’ordine in codice ad attivare le bombe ed entrare nel territorio nemico per assolvere la loro missione di morte. L’aereo appartenente al 68 Heavy Bombardament Wing era assegnato alla rotta sul Sud del Mediterraneo, aveva attraversato l’Atlantico, effettuato un primo rifornimento sulla Spagna, attraversato il Sud Italia facendo periplo sulle stazioni di navigazione radio in Puglia, sorvolato l’Adriatico per lunghe ore notturne, poi aveva riattraversato l’Italia diretto verso un’altra “stazione di servizio volante”, che gli avrebbe dato il carburante per passare di nuovo l’Atlantico e tornare alla base di partenza. Il tutto con 4 bombe all’idrogeno B28R.I. (Retarded Internal, ovvero adatte al trasporto all’interno degli aerei e dotate di paracadute freno per ritardare la caduta) da 1 megatone e mezzo ciascuna di potenza, nella sua stiva bombe. Durante l’approccio per il rifornimento in volo il bombardiere si avvicina troppo velocemente, ma probabilmente sulla cisterna volante l’addetto alla lunga asta che porta il carburante non si accorge in tempo e non avverte il pilota che si sta avvicinando sotto di lui…la collisione avviene in un istante,  l’asta squarcia il dorso del B52 come un apriscatole, l’ala sinistra cede alla giunzione con la fusoliera, i serbatoi si rompono ed entrambi gli aerei spariscono in una immensa palla di fuoco alimentata da decine di migliaia di litri di carburante.… la scena viene chiaramente vista da terra e dall’equipaggio di un altro B52 che sta attendendo il suo turno ad alcune miglia di distanza. Tutto l’equipaggio di 4 uomini del KC135 e 3 dei 7 a bordo del B52 muoiono, le 4 bombe precipitano  verso terra. Gli inneschi di due delle bombe esplosero nei campi coltivati attorno al paese, spargendo polveri di Uranio e Plutonio. I reparti anticontaminazione dell’aeronautica e della Marina americani che si precipitarono  sul posto rimossero ben 1400 tonnellate di terreno e incenerirono animali, piante, perfino vestiti che al controllo dei contatori geiger risultassero contaminati, impacchettando i resti per portarlo oltre oceano nel deposito di scorie nucleari di Savannah River. L’inquinamento in alcuni punti toccò gli 1.2 MegaBequerel al metro quadro, senza contare che di per sé come elemento chimico, il Plutonio è uno dei materiali più velenosi che si conoscano in natura. Gli abitanti all’inizio gradirono i risarcimenti che vennero immediatamente versati al comune e a loro per i danni, poco o nulla sapevano di radioattività. Ma in seguito impararono a conoscere  la paura atomica, quando appezzamenti interi vennero recintati e isolati per sempre. Loro stessi e i loro figli condannati a subire controlli periodici per il resto della loro vita… La terza bomba venne trovata praticamente intatta nel letto di un fiume. Ma la quarta? Il ritrovamento della coda dell’ordigno vicino al mare assieme al paracadute e la testimonianza di un pescatore confermarono il timore che l’ordigno fosse stato portato dal vento verso il mare. Venne immediatamente dichiarato il codice “broken arrow” e la marina americana per più di 80 giorni portò avanti una ricerca serrata che coinvolse oltre 20 navi e 4 batiscafi con centinaia di militari, una corsa contro il tempo non conoscendo lo stato di conservazione della testata. L’acqua di mare avrebbe potuto deteriorare l’innesco di deuterio e trizio provocando una reazione parziale ma sufficiente a innescare un’esplosione nucleare, inferiore a quella per cui era stato progettata certo, ma esistono forse esplosioni nucleari sopportabili? Dopo essere stata individuata su un fondale a 780 metri la B28 venne di nuovo persa durante il primo tentativo di recupero, poi finalmente rintracciata e trainata in acque meno profonde fino che  il 7 aprile la bomba poté esser orgogliosamente mostrata ai giornalisti sul ponte di una nave della Marina. L’incidente fu molto sentito dall’opinione pubblica internazionale, in un momento in cui il pacifismo e la sensibilità ambientale erano fortemente in crescita, provocando una crisi diplomatica col governo spagnolo che proibì già dal 27 gennaio di quell’anno il sorvolo o l’atterraggio a velivoli con armi nucleari a bordo. Molti Paesi seguirono lo stesso esempio.

(12) 21 Gennaio 1968 : forse dei peggiori incidenti di tutti i tempi, accadde quando durante una dei lunghissimi voli dell’operazione “Chrome Dome” (vedi l’incidente di Palomares) un B52G del 308 Strategic Bomb Wing proveniente dalla Plattsburg Air Force Base (New York State)era in volo di allerta alla quota di 11mila metri sulla baia di Buffin, a est della Groenlandia, sorvegliando l’importantissima stazione radar di Thule, a poca distanza in linea d’aria dal confine nord dell’Unione Sovietica. Nonostante lo sviluppo nei sistemi di comunicazione via satellite e nei missi balistici intercontinentali (nonché il costo astronomico di queste missioni), nei punti più “caldi” del globo, dove le forze strategiche degli schieramenti opposti sono più vicine, continuavano le sentinelle armate, con almeno 4 velivoli in volo 24 ore su 24, , come una spada di Damocle sulla testa dell’umanità intera, anche dopo alcuni gravissimi incidenti, l’ultimo per parte occidentale quello di Palomares. Le condizioni del volo quel giorno sono terribili, con temperature di oltre 60 gradi sotto lo zero a quella quota, il buio dei sei mesi di notte polare. Star fermi, legati ai seggiolini eiettabili per oltre 10/12 ore, impacciati da tute ed equipaggiamenti vuol dire soffrire terribilmente il freddo e la fatica,  nonostante i sistemi di condizionamento spinti al massimo. Il comandante fece aprire allora una delle valvole che spillano aria dai motori dell’aereo, destinata a prevenire formazioni di ghiaccio nelle linee idrauliche ed elettriche dell’aereo. Ma qualcosa non funzionò, la valvola non si regolò e ben presto l’aria divenne rovente. Nell’aria si spande l’odore forte di gomma e metallo bruciato. Febbrile parte la ricerca da parte dei membri dell’equipaggio, che trova un principio di incendio dietro a un quadro elettrico, ma nonostante l’uso degli estintori la situazione peggiora rapidamente. Sono le 15.22 quando il Capitano pilota John Haug chiama la torre di Thule e dichiara l’emergenza  per un atterraggio di fortuna, ma con l’aria ormai satura di fumi, le linee elettriche in corto circuito l’aereo è quasi ingovernabile, così non appena il radar indicò terraferma sotto l’aereo, diede il segnale e l’equipaggio si lanciò. Su sette uomini, vi fu una sola vittima ed i restanti membri vennero recuperati feriti e semi assiderati ma vivi. Il velivolo alle 15.39 si infranse sul pak ghiacciato, sfondandolo per una cinquantina di metri fino a raggiungere addirittura l’acqua dell’oceano sottostante. Il velivolo strisciò incendiandosi, l’esplosivo convenzionale  di innesco delle 4 bombe all’idrogeno B28F.I. (a caduta libera non frenata) da 1,1 megatoni ciascuna fece il suo lavoro, polverizzando gli ordigni. Il fuoco alimentato dal pieno  appena fatto da un aereo cisterna fece il resto. l’aereo  e tutto ciò che conteneva si ridusse in un mucchietto di cenere radioattiva. Per un raggio di 400 metri e per una lunghezza di circa 3 chilometri e mezzo dal punto di impatto tutto è contaminato dal Plutonio, dall’Uranio arricchito e dal carburante JP4: nell’area venne rilevata la presenza di ben 380 milligrammi di Plutonio per metro quadro mentre i contatori geiger andarono fuori scala. Subito fu lanciata l’operazione “Crested Ice” con quasi un migliaio di uomini, strutture prefabbricate, moduli di decontaminazione, catapultati sulla banchisa per prelevare 2.100 metri cubi di ghiaccio fortemente radioattivo e chimicamente inquinato, assieme ai pochi resti del mostro. Le squadre (rispettando strettamente il turno di lavoro per evitare di assorbire troppe radiazioni), protetti da tute e schermi, lavorarono 24 ore al giorno nella notte polare, a temperature sotto i 40 gradi, sferzati dal vento a oltre 100 chilometri orari, sciogliendo e chiudendo in cisterne di acciaio altre migliaia di tonnellate ghiaccio, trasportate via camion fino alla costa e poi in nave al solito impianto di Savannah River per lo stoccaggio, un’opera mastodontica che si concluderà solo a febbraio nella prima fase d’emergenza. Ma il peggio doveva ancora arrivare: con orrore le squadre di rimozione trovarono i cavi paracadute-freno congelati nella banchisa. Questo voleva dire solo una cosa, che il ghiaccio sotto la temperatura elevata dell’incendio si era sciolto in profondità e che una delle armi, evidentemente dotata di sistemi di frenata al contrario delle affermazioni ufficiali, era scivolata nell’acqua sottostante. Venne lanciato ancora una volta l’allarme “broken arrow”. Carotaggi e ispezioni con sottomarini da ricerca vennero effettuati nei mesi successivi sotto il ghiaccio e i rapporti calcolarono che venne recuperato nei materiali contaminati e nei detriti oltre l’85% per cento dei sistemi di innesco “primari” in Uranio di tutte e 4 le bombe e il 94% di quelli “secondari”, ma solo per 3 ordigni… in realtà la documentazione relativa è stata declassificata dal segreto militare solo di recente ma nessuno al momento può essere del tutto sicuro che sui fondali sabbiosi non siano sprofondate parti della testata del quarto ordigno. Nemmeno i rilievi svolti dai Danesi con regolarità negli anni hanno ad oggi rilevato aumenti rilevanti nei valori di Plutonio o isotopi derivati dal decadimento, per quanto  per precauzione non sia consigliabile ad oggi restare nell’area dell’incidente a lungo…I Danesi. Ma cosa c’entrano i Danesi? La Groenlandia è stata colonia e fa parte ancora oggi del territorio Danese. Già l’evento causò un mezzo incidente diplomatico , poiché già dal 1957 in sede NATO la Danimarca aveva ottenuto il non sorvolo ufficiale della Groenlandia da parte di aerei armati con armi non convenzionali, così come il divieto di stoccaggio delle stesse nella base di Thule.  E moltissimi furono  i lavoratori Danesi che sia nella prima parte della “Crested Ice”, sia nell’opera di rimozione più approfondita dei materiali contaminati hanno lavorato assieme al personale dell’USAF fino al 13 settembre 1968, data di partenza dell’ultima cisterna per gli Stati Uniti. Ed è sempre da parte Danese che si è pagato il prezzo più alto : anche se non lavorarono direttamente sul sito, operai e tecnici danesi vennero impiegati nello stoccaggio dei materiali rimossi, ed hanno lavorato al porto nel carico delle navi. Senza però le precauzioni, le protezioni e il controllo medico a cui erano sottoposti i loro omologhi americani. Per anni moltissimi di questi hanno sofferto problemi gravi di salute. Nel 1995 una ricerca dell’Università di Copenhagen rivelò che su 1.500 lavoratori ben 410 erano deceduti per forme di cancro, con un’incidenza di rischio del 50% maggiore del resto della popolazione groenlandese.

(13) Ma già nell’ 86 il governo danese aveva promosso un’indagine sanitaria sugli uomini coinvolti nell’operazione ed i dati di contaminazione erano stati desolanti (numerosi i casi di sterilità), tanto che 200 di questi avevano intentato una causa contro gli Stati Uniti, fallita in quanto fu negato l’accesso a buona parte della documentazione a carico in quanto coperta dal segreto militare. E neppure la Danimarca risarcì i propri lavoratori (a parte un indennizzo minimo pro capite nel 1995) né fu possibile condannare le autorità per negligenza, poiché la Danimarca entrò nell’Euratom solo nel 1973, per cui nel 1968 le sue normative in materia di rischio nucleare erano assai meno precise. Per questo motivo infatti decadde anche un’azione di fronte alla Corte Europea di Giustizia….Questa drammatica vicenda ha prodotto almeno una conseguenza positiva: davanti all’indignazione dell’opinione pubblica mondiale, finalmente l’operazione “Chrome Dome” venne chiusa e il trasporto di ordigni nucleari su velivoli sottoposto a regolamentazione e procedure strettissime.  Stati Uniti ed Unione Sovietica il 30 settembre 1971 firmarono un Protocollo d’Intesa sulla riduzione del rischio di una guerra nucleare”, in cui ognuna delle due parti ed i propri alleati si impegnavano a comunicare tempestivamente alle altre ogni incidente o avvenimento non previsto che coinvolga armi nucleari e possa essere erroneamente interpretato come l’inizio di un attacco nucleare verso l’altra parte. Venne anche istituita la linea diretta fra Washinghton e Mosca, il “telefono rosso” che è diventato famoso in molti film di azione e spionaggio.

(14) Marzo/Aprile 1968 : il sottomarino da attacco sovietico K 129, della classe Golf II scompare nell’Oceano Pacifico assieme ai 98 uomini del suo equipaggio ,dopo aver lasciato la sua base nella Kamchatka. L’ultimo segnale cifrato venne inviato al comando di divisione navale il 24 febbraio, poi il nulla. Immediatamente la flotta russa diede il via a un’operazione di ricerca enorme, che si concluse ad agosto con la dichiarazione di affondamento presunto. Ma quel che i Russi non potevano sapere è che i sottomarini che incrociavano davanti alle basi della marina russa in missione di sorveglianza notarono lo strano andirivieni, che in un primo momento creò il timore fossero preparativi per un attacco nucleare di sorpresa. Di seguito dall’intenso traffico radio in chiaro si comprese che cercavano un battello disperso. Grazie al sistema di sorveglianza SOUS, una enorme rete di ricevitori di suoni e segnali che la CIA e la US Navy avevano sparso per i fondali dei sette mari (una specie di Echelon subacquea della guerra fredda), analizzando le registrazioni di migliaia di suoni, fu ipotizzato che il sottomarino fosse andato perduto a circa 1500 miglia dalle Isole Hawaii, dove l’unità russa probabilmente avrebbe dovuto sostare a sorveglianza della base di Pearl Harbour, pronto a lanciare i suoi 3 missili balistici R26. Il K 129 era un sottomarino a propulsione “convenzionale” Diesel – elettrica, ma aveva armamento nucleare a bordo. La CIA vi intravide un’occasione di impadronirsi della tecnologia nucleare e dei codici di comunicazione Russi. Fu un vero capolavoro di “SIGINT”, ovvero di Signal Intelligence, ascolto e interpretazione di segnali radio, radar, sonar e rumori di fondo. Quando venne individuato e fotografato su un fondale ad oltre 4.900 metri di profondità fu subito chiaro che il recupero sarebbe stato un’impresa titanica. Il battello sicuramente era schiacciato dalla pressione e in condizioni disastrate, come molte foto dei batiscafi spia rivelarono. Tuttavia la CIA promosse il “Progetto Azorian” commissionando alale industrie del discusso miliardario Howard Hughes la costruzione di un’enorme nave da recupero, la Glomar Explorer, ufficialmente un mezzo per estrarre i noduli di manganese dal fondale oceanico. La nave, con un’enorme gru ed una pinza celata all’interno dello scafo, fu pronta nel 1974. L’idea era di sollevare il sottomarino sotto la nave e di calarlo dentro a una chiatta sottomarina con pareti amovibili, per poi portarlo via lontano da sguardi indiscreti: praticamente una cosa degna di un film di James Bond…. Tuttavia la struttura danneggiata del sottomarino non resse ed una parte importante di esso si sbriciolò spargendosi per centinaia di chilometri sul fondale oceanico. Ma che buona parte del sottomarino con i suoi segreti fosse stato recuperato, si può intuire dalle ipotesi sulle cause dell’affondamento contenute in molti rapporti, nonché dal fatto che vennero recuperati i corpi di sei marinai, che vennero sepolti in mare con tutti gli onori (forse perché quasi tutta la carcassa risultò pesantemente contaminata e radioattiva da isotopi di Plutonio?). Fu notato uno squarcio dietro la torre, all’altezza dei silos dei missili, due dei quali erano praticamente distrutti. Si fece l’ipotesi di una perdita delle batterie dei missili che sviluppò idrogeno incendiato dai contatti elettrici, altri ipotizzarono una collisione con il sottomarino da caccia ai sommergibili USS Swordfish, che nei giorni della perdita del K129 rientrò alla base americana di Yokosuka in Giappone per riparare evidenti danni allo scafo…per anni le due marine hanno giocato una partita a rimpiattino nei cieli e sotto la superficie degli Oceani ed i mezzi di entrambe le parti talvolta sono arrivati a collisioni…Seppure nessun rapporto fa menzione dell’inquinamento da Plutonio, è intuibile che vi fu e dovette essere anche grave, per il lungo tempo in cui le testate furono a diretto contatto con l’acqua.  In ogni caso, buona parte della documentazione, specie quella sui costi, in danaro ed in vite umane,  rimane ancora oggi coperta dal segreto militare.

(15) 24 maggio 1968 : il K27 è stato l’unico sottomarino russo costruito della classe Projekt 645, la cui peculiarità consisteva nell’installazione di un reattore nucleare raffreddato a metallo liquido (una lega di piombo e bismuto) e non ad acqua. La sua esperienza servì alla progettazione di altre classi di unità con reattori  di questo tipo. Ottenuto modificando uno scafo da attacco della classe November (in codice NATO) sin dall’inizio il sistema di raffreddamento aveva dato problemi di controllo. Durante una crociera sperimentale, in posizione ancora oggi segreta, il reattore ebbe un forte calo nella potenza. L’equipaggio non era addestrato a sufficienza per cui non riconobbe subito i segni di un surriscaldamento delle barre di Uranio. In realtà, una parte del mantello di protezione del nocciolo si ruppe esponendo il metallo liquido di raffreddamento a contatto con le barre di combustibile, generando gas radioattivi come Radon e forti irradiazioni di raggi gamma. I nove motoristi che restarono nella camera per tentare una riparazione furono mortalmente irradiati, mentre la contaminazione si sparse in tutto il sommergibile causando l’avvelenamento grave del resto dell’equipaggio. Il sottomarino dovette essere trainato in porto da altro battello. Dopo sporadiche uscite in mare il K 27 venne radiato il 1° febbraio 1979, non prima che durante il tentativo di sostituire il reattore a metallo con uno convenzionale ad acqua rimanessero contaminati numerosi operai in bacino di carenaggio…nel 1981 il vano reattore del sottomarino fu sigillato con un mastice speciale e la carcassa semplicemente affondata nella baia di Stepovoy, nel mar di Kara, a largo dell’isola di Novaya Zemlia, conosciuta come una delle peggiori pattumiere atomiche del pianeta… il peggio è che la marina russa, incurante delle raccomandazioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (A.I.E.A), affondò il battello su un fondale di soli 33 metri contro i non meno di 3mila raccomandati ! …praticamente una bomba a tempo, solo che ancora oggi la Russia non ha né le conoscenze scientifico-tecnologiche, né le finanze sufficienti a trovare una soluzione, mentre il mare corrode rapidamente lo scafo in titanio….

(16) Maggio-Giugno 1968 : ancora oggi non ci sono opinioni univoche su uno dei disastri più misteriosi del mare e che hanno coinvolto armi e dispositivi nucleari potenzialmente letali per l’ambiente. L’USS Scorpion , sottomarino nucleare di classe Skipjack , andò perduto nella notte tra il 21 e il 22 giugno 1968 a circa 740 chilometri dall’arcipelago delle Azzorre, mentre rientrava negli Stati Uniti da una crociera nel Mediterraneo sotto il comando della 6° Flotta in Italia.  Entrato in servizio nel 1960 fu uno dei più moderni battelli cacciasommergibili in servizio al mondo, ebbe un impiego intenso, tanto che nel 1967 avrebbe dovuto entrare in bacino per ricevere il programma di revisione SUBSAFE, sviluppato dopo la tragica perdita dell’USS Trasher nel 1963. In realtà, le pressioni per limitare il tempo in cui i battelli rimanessero  fuori servizio, i costi di una revisione che praticamente per gli scafi progettati prima del 1965 era una vera e propria ricostruzione da zero, fecero sì che il programma fosse limitatissimo e lo Scorpion fosse rimesso in mare dopo riparazioni e ispezioni sommarie. Che ci fosse a bordo malumore e il morale dell’equipaggio fosse molto basso è suggerito da una serie di incidenti e malfunzioni che afflissero quello che fu una punta di lancia della flotta americana e dell’alleanza occidentale negli ultimi mesi della sua vita, tanto che due membri dell’equipaggio tentarono di tutto pur di farsi esonerare e trasferire, ma solo uno di essi vi riuscì. In particolare, il sistema EMBT, che permetteva di mantenere la manovrabilità del sottomarino e di scaricare la zavorra di acqua dalle casse anche senza energia elettrica, non era stato installato o , quanto meno, per una polemica tra i cantieri costruttori e il dipartimento della difesa non era stato dichiarato utilizzabile. Tale sistema costituiva era frutto della lezione terribile appresa dall’affondamento del Trasher di qualche anno prima e il fatto che un sottomarino oceanico nucleare non lo avesse utilizzabile non rendeva certo tranquillo nessuno. Durante la notte del 21 maggio  lo Scorpion cercò di mettersi in contatto con la stazione radio radio di Rota in Spagna, ma riuscì solo a  stranamente ad essere  ricevuto da quella di Nea Makrì in Grecia. Quello fu l’ultimo segnale. Dopo il silenzio radio dei giorni successivi e il mancato arrivo a Norfolk, il 5 giugno venne dichiarato disperso e iniziarono le ricerche. Ancora una volta l’interpretazione dei dati  del SOUS, il sistema di ascolto sottomarino della US Navy , fu prezioso per circoscrivere l’area dove si pensava fosse avvenuto il disastro. Da notare che in quei giorni tra la primavera e l’autunno del 1968 la US Navy era già pesantemente impegnata nel Mediterraneo nella ricerca di una delle bombe all’idrogeno perse da un B52G nel famoso incidente di Palomares… Una volta individuato il relitto a 3mila metri di profondità, venne inviato il batiscafo Trieste a fotografare i resti, con il grande timore peraltro per il suo equipaggio: i rumori captati dal sistema SOUS, ma ancora di più da una stazione alle Canarie che monitorava il rientro delle capsule spaziali della NASA e il loro ammaraggio, erano compatibili con quelli di uno scafo che implodeva e si schiacciava, come prevedibile  essendo sottoposto a pressioni per cui non era stato costruito. Per cui nulla si sapeva sulla tenuta della camera del reattore nucleare e sulla camera siluri, in cui erano alloggiati tra gli altri armamenti due siluri a testata nucleare Mk45 Astor. In realtà le stese campagne fotografiche e di misurazione testimoniarono che il “pit” corazzato del reattore era sicuramente intatto, con le barre di controllo che erano sicuramente scese fra quelle del combustibile di Uranio azionate dal sistema di emergenza.  e la sezione di prua con i siluri aveva tenuto bene, benché nell’affondamento il battello avesse sbattuto di prua , incastrando le altre sezioni l’una sull’altra e sradicando la torre di comando.  Il fato ci aveva messo del suo, perché sotto allo Scorpion allagato che scendeva a velocità elevata, madre natura ci aveva messo un fondale di melma e sabbia, che assorbì in parte l’impatto. Si suppone che a provocare l’affondamento fu l’esplosione di una batteria di un siluro, che aveva sviluppato gas idrogeno sufficiente a una reazione. Se il siluro si fosse trovato nella camera di lancio, questo avrebbe potuto provocare la rottura dei porteli di sicurezza e l’allagamento traumatico delle sezioni prodiere del sottomarino, il collasso del sistema elettrico, l’incontrollabilità di tutti i comandi principali, mentre i marinai e gli ufficiali eventualmente sopravvissuti si rendevano conto atrocemente che quelli erano gli ultimi istanti della loro vita, intrappolati in una bara che cadeva veloce verso il fondo, aspettando da un secondo all’altro il cedimento dello scafo stritolato da migliaia di chili per centimetro quadro di pressione… Già, ma perché un siluro avrebbe dovuto essere nella camera di lancio, mentre il battello stava placidamente rientrando alla base, con uno stato di allerta minimo e in situazione di pace? Qui viene una seconda teoria, basata sull’interpretazione di suoni registrati dal sistema SOUS e dalla stazione delle Canarie prima dello “sciame” di  onde sonore che costituiva il canto di morte dello Scorpion. In realtà vi sono anche tracce di suoni compatibili con manovre evasive e il lancio di almeno un siluro, nonché tracce tali da far affermare che lo Scorpion sicuramente stava procedendo su rotta opposta a quella verso la propria base : cosa che fece ipotizzare ad alcuni ricercatori (vedi le note a piede dell’articolo, ndr) che lo Scorpion si fosse trovato nel mezzo di un duello con almeno un sottomarino, forse più di uno, sovietici che gli avevano teso una trappola. Pochi mesi prima infatti il sottomarino K129 della flotta del Pacifico era affondato a largo delle Hawaii (come raccontato poco più sopra) ed il comando russo in effetti fu per molto tempo convinto fosse stata opera americana, con la collisione con l’USS Swordfish o peggio, che fosse stato silurato. Del resto i russi mal sopportavano la sorveglianza sempre più stretta a cui la marina americana sottoponeva le basi della flotta russa: gli americani monitoravano le uscite e le rotte dei sottomarini lanciamissili sovietici, preoccupati del fatto che potessero apparire e lanciare un attacco a sorpresa vicino alle coste americane. Comportamenti, sospetti e reazioni  nervose che sono stati alla base del rischio corso giornalmente in decenni che la guerra fredda divenisse calda….lo Scorpion sarebbe diventato quindi vittima di una “lezione “ data alla Marina statunitense e al contempo di una vendetta per la perdita del K129. Molto più probabilmente, i suoni di manovra captata dalla stazione scientifica alle Canarie furono generati da un incidente con uno dei siluri Mk 37 a testata convenzionale in dotazione allo Scorpion. Talvolta è capitato che le batterie di questi si surriscaldassero per il cattivo mescolamento degli elementi chimici provocato dalle vibrazioni a cui erano sottoposti  sui battelli, per cui in emergenza l’unico modo di evitare che esplodessero era di lanciare il siluro. Questo vuol dire per il sottomarino lanciatore riemergere almeno a quota periscopica, controllare che non vi fossero navi attorno (il siluro ha guida acustica e se non programmato, si attiva subito dopo il lancio cercando una eco su cui dirigersi…) prima di liberarsi dell’ordigno. Poi eseguire una manovra evasiva per evitare che il siluro individuasse loro stessi come bersaglio… Nello specifico,  un incidente del genere si era verificato alcuni mesi prima proprio sullo Scorpion, quindi non è probabile (ma nemmeno impossibile), che l’evento si sia ripetuto e che questa volta i marinai americani non siano riusciti a lanciare il siluro o a evitare di diventarne essi stessi vittime. Per la cronaca, anche i siluri nucleari Mk45 Astor avevano un sistema di propulsione elettromeccanica simile a quella dei Mk37 (ritirati dal servizio definitivamente negli anni successivi), quindi il rischio corso è stato anche peggio… Il sito di affondamento dello Scorpion è tutt’oggi sorvegliato strettamente dalla US Navy per il rischio radiologico mentre gli atti dell’inchiesta e delle ricerche scientifiche continuano in buona parte ad essere riservati.

di Davide Migliore

 

Fonti Generali :

www.mongiello.it/chernobyl/elenco-incidenti-nucleari

Shaun Gregory – Alistair Edwards “A Handbook of Nuclear Weapons Accidents”, University of Bradford, Bradford 1986

AEREI – rivista aeronautica, n. 2 febbraio1991 “storia segreta degli incidenti nucleari”.

Legenda :

(1)http://ospiti.peacelink.it/qualevita/html/dossier_incubo_atomico.html dossier Incubo atomico

(2) SOMMERGIBILI NUCLEARI : PROBLEMI DI SICUREZZA ED IMPATTO AMBIENTALE , Politecnico di Torino, 2004 – F. IANNUZZELLI, V.F. POLCARO, M. ZUCCHETTI

(3)http://translate.google.it/translate?hl=it&langpair=en%7Cit&u=http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_military_nuclear_accidents : Incidente al sottomarino K8

(4)AEREI – rivista aeronautica, n. 2 febbraio1991 “storia segreta degli incidenti nucleari”.

(5) due link alla vicenda del K19 :

http://it.wikipedia.org/wiki/K-19_(sottomarino)  http://www.nationalgeographic.com/k19/k19_html_main.html

(6)http://www.jp-petit.org/Divers/Nucleaire_souterrain/in_ecker.htm incidente Beryl, Ecker Sahara algerino francese

http://www.aven.org/aven-accueil-presentation-temoignages-veuve-colonel-clavert

(7)http://www.aerospaceweb.org/question/weapons/q0268.shtml  incidenti missili Thor 1962 e altro

(8) http://www.codicenucleare.it/d2.htm Martin Marietta – treno

(9)http://it.m.wikipedia.org/wiki/USS_Thresher_(SSN-593) 1963 l’affondamento del USS Thresher

http://www.history.navy.mil/danfs/t/thresher.htm

(10) http://en.wikipedia.org/wiki/Douglas_M._Webster : broken arrow – l’incidente delle Ryukuyu

(11) http://en.wikipedia.org/wiki/1966_Palomares_B-52_crash e

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/04/17/bomba-palomares.html : Palomares, l’incubo nucleare è già in Europa

Moran, Barbara (2009). The Day We Lost the H-Bomb: Cold War, Hot Nukes, and the Worst Nuclear Weapons Disaster in History. Random House, Inc

(12) – (13)  http://en.wikipedia.org/wiki/1968_Thule_Air_Base_B-52_crash  il disastro di Thule

Christensen, Svend Aage (2009). The Marshal’s Baton. There is no bomb, there was no bomb, they were not looking for a bomb. Danish Institute for International Studies

Juel, Knud (1992). “The Thule Episode Epidemiological Followup After the Crash of a B-52 Bomber in Greenland: Registry Linkage, Mortality, Hospital Admissions”. Journal of Epidemiological and Community Health (Copenhagen: Danish Institute for Clinical Epidemiology)

(14) http://www.mikekemble.com/misc/k129.html the amazing story of the K129

http://it.wikipedia.org/wiki/K-129_(Golf_II)  l’affondamento del K129

http://www.gwu.edu/~nsarchiv/nukevault/ebb305/index.htm il Progetto Azorian, l’operazione più costosa della guerra fredda

(15)http://translate.google.it/translate?hl=it&langpair=en%7Cit&u=http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_military_nuclear_accidents : Incidente al sottomarino K27 24th may 1968,  Incidente al sottomarino K8 12th april 1970

(16) http://it.wikipedia.org/wiki/USS_Scorpion_(SSN-589) l’affondamento dell’USS Scorpion, may 1968

http://www.oneternalpatrol.com/uss-scorpion-589.htm On Eternal Patrol, tribute to the Us Navy submarine’s crew lost in service

http://it.wikibooks.org/wiki/Forze_armate_mondiali_dal_secondo_dopoguerra_al_XXI_secolo/USA-6

Bibliografia specifica sull’evento:

Stephen Johnson, Silent Steel: The Mysterious Death of the Nuclear Attack Sub USS Scorpion, January 6, 2006, Wiley Edit., pp. 304.

Christopher Drew, Blind Man’s Bluff: The Untold Story of American Submarine Espionage, 3 ottobre 2000, Harper Paperbacks, pp. 432.

Ed Offley, Scorpion Down: Sunk by the Soviets, Buried by the Pentagon: The Untold Story of the USS Scorpion, 20 aprile 2007, Perseus Books Group, pp. 480.

 

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