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Tzar bomb, il più potente ordigno termonucleare generato dalla Guerra Fredda

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Tzar bomb, il più potente ordigno termonucleare generato dalla Guerra Fredda

Pubblicato il 24 ottobre 2015 by redazione

Immagine di apertura
L’esplosione della bomba Tsar, ripresa da un punto di osservazione ad alcune centinaia di chilometri di distanza.

 

 

Sono le 8.32 del mattino del 30 Ottobre 1961: nella baia di Mitjushika, braccio del Mar Artico che separa l’arcipelago di Novaja Zemlja, Terra Nuova in lingua russa, dalla costa russa il gelo che avvolge per buona parte dell’anno queste lande inospitali in un milionesimo di secondo viene sostituito da un inferno di calore e vento rovente che non ha precedenti sulla Terra.

E’ l’effetto del più terrificante esperimento nucleare militare. L’Unione Sovietica ha fatto esplodere la bomba Tzar, l’ordigno termonucleare più potente mai costruito.

Da quel momento fu chiaramente dimostrato che non vi è alcun limite alla potenza raggiungibile dalle armi atomiche. Sopratutto, rese evidente, per la prima volta dall’inizio dell’era atomica, che una guerra nucleare non può avere né vinti, né vincitori, ma solo vittime.

La corsa alla bomba

La realizzazione della bomba Tzar, come venne soprannominata in via non ufficiale, avvenne in uno dei momenti più difficili di quel periodo storico conosciuto come la Guerra Fredda, in cui il mondo era sostanzialmente diviso in due blocchi contrapposti, dominati dalle due più grandi potenze militari e economiche, gli Stati Uniti d’America e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.

Il confronto era iniziato al termine del Secondo Conflitto Mondiale, che le aveva viste alleate, facendo temere l’inizio di una nuova e ancor più terribile guerra planetaria.

Dopo la morte di Josif Stalin nacque la speranza che il dialogo e la comprensione fra i Paesi appartenenti al blocco comunista e quelli appartenenti all’area occidentale fossero possibili.

Nel 1959 Nikita Sergeevič Chruščëv, il nuovo segretario generale del Partito Comunista sovietico intraprese una serie di viaggi in Occidente, che lo portarono anche negli U.S.A., ospite del presidente Dwight Eisenhower.

I sogni di distensione e di pace però furono interrotti bruscamente da una serie di incidenti internazionali. L’abbattimento sopra l’Unione Sovietica di un aereo spia Lockheed U2 e la cattura del pilota, il maggiore americano Gary Powers, aprì un nuovo teso confronto fra le due superpotenze. La notte del 13 agosto 1961 venne iniziata la costruzione del tristemente famoso muro di Berlino, che avrebbe diviso la città tedesca e i suoi abitanti tra settori sotto influenza sovietica e settori occidentali fino al 1989, divenendo il simbolo più forte della Guerra Fredda.

E’ in questo clima di diffidenza reciproca che il governo sovietico decise un’azione dimostrativa nei confronti degli occidentali, ma anche della vicina Cina comunista di Mao, con la quale i rapporti diplomatici si erano interrotti nel 1960.

Il 10 luglio 1961 il segretario generale sovietico Chruščëv, appoggiato dall’estabilishment militare, presentò al politburo il programma Grande Ivan, che prevedeva la costruzione di un ordigno termonucleare di potenza inaudita, fino a 100 megatoni, ovvero l’quivalente di cento milioni di tonnellate di tritolo.

Il 9 agosto 1961, sedicesimo anniversario del bombardamento nucleare di Nagasaky, Chruščëv colse altrettanto di sorpresa l’opinione pubblica e i governi di tutto il mondo annunciando che l’URSS avrebbe realizzato e sperimentato l’ordigno entro la fine di quell’anno, suscitando lo sdegno dei pacifisti e dividendo la comunità scientifica internazionale fra chi sosteneva la realizzabilità dell’arma e chi non ne era affatto convinto.

Tutti però erano uniti dalla paura degli effetti collaterali di un’esplosione così grande: il fall out di materiale radioattivo sarebbe stato immenso, teoricamente nessun angolo del pianeta sarebbe stato al sicuro dalla ricaduta di materiale altamente radioattivo, tipico delle armi all’idrogeno.

Immagine 1
Andrej Dmitrevic Sakharov.

 

Altrettanti dubbi affliggevano i fisici chiamati a studiare l’ordigno.

A capo dell’equipe, che riuniva alcuni dei nomi più prestigiosi dell’Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica (tra i quali vi erano, Juli Borisovich Khaliton, Victor Adamskii, Yuri Babaev, Yuri Smirnov, Yuri Trutnev, Viktor Davidenko) fu chiamato Andrej Dmitrevic Sakharov, considerato tra i padri della bomba all’Idrogeno russa. Nella città segreta di Arzamas 16 (oggi Sarov), uno dei tanti centri in cui veniva portata avanti la ricerca militare russa, Sakharov e gli altri scienziati lavorarono freneticamente sui calcoli matematici.

Quando Sakharov all’inizio di Ottobre potè tornare a Mosca per presentare i risultati, nemmeno lui si sentiva però sicuro di riuscire a controllare la reazione nucleare, mentre Evsej Rabinovich era apertamente convinto che il programma si sarebbe risolto in un fiasco.

Pochi anni prima si era verificato un incidente molto inquietante. Il 1 Marzo 1954 sull’atollo di Bikini nell’Oceano Pacifico, durante il test americano denominato Castle Bravo, un errore di calcolo provocò un’esplosione molto più potente, che irradiò un’area più vasta di quella prevista. Gli atolli di Rongrik e Rongelap nelle isole Marshall furono evacuati di urgenza e le popolazioni locali, nonostante le assicurazioni dei militari, non poterono più farvi ritorno.

Tracce della radioattività immessa in atmosfera raggiunsero anche l’Australia, il Giappone, l’India, l’Europa e gli Stati Uniti sulla costa occidentale. Anche un peschereccio giapponese d’altura venne ricoperto dal vapore acqueo radioattivo e un membro dell’equipaggio morì per avvelenamento da radiazioni.

In ogni caso, le posizioni a favore o contrarie all’esperimento si basavano su ipotesi e statistiche, per cui nessuna delle due poteva essere sostenuta da dati scientificamente certi.

Tuttavia il programma non poteva essere più fermato, l’Unione Sovietica aveva lanciato la sfida e aveva gli occhi di tutto il mondo puntati addosso. In una fabbrica militare segreta i tecnici stavano realizzando i sistemi operativi complessi dell’arma, sulla base dei risultati dei calcoli che man mano giungevano dagli scienziati al lavoro a Arzamas 16. Nel momento in cui Sakharov giunse nella capitale russa con la relazione finale, l’arma, registrata nell’arsenale sovietico con la sigla RDS 220, era già pronta al 90%.

L’unico punto sui cui Sakharov riuscì a spuntarla sulla volontà dei dirigenti sovietici, fu il depotenziamento della bomba a 50 megatoni grazie all’eliminazione di uno dei tre stadi della testata, che permise di abbattere del 97% le emissioni di radionuclidi pesanti.

Così che l’ordigno risultò in effetti relativamente pulito rispetto all’inquinamento radioattivo che avrebbe potuto provocare, per quanto comunque da solo ne produsse una quantità pari al 25% di quello prodotto dalle due esplosioni avvenute su Hiroshima e Nagasaky nella Seconda Guerra Mondiale.

Il 24 Ottobre la relazione finale venne messa a disposizione dei vertici politici sovietici e dei tecnici costruttori della bomba, che ultimarono l’ordigno a soli 6 giorni dalla data prevista del test.

Il morso della belva

L’arma venne progettata secondo lo schema Teller – Ulam, dal nome dei fisici Edward Teller e Stanislaw Ulam che avevano messo a punto il primo ordigno all’idrogeno. La bomba era concepita con due stadi a fissione nucleare e uno a fusione: il primo stadio è costituito da una bomba atomica a fissione classica a base di Uranio 238, che viene posizionata con uno scudo fatto dello stesso metallo, per indirizzare verso l’interno la reazione a catena. Nello scudo è anche contenuto il deuterio di Litio, una molecola contenente l’Idrogeno in forma solida, responsabile dell’innesco della seconda reazione di fusione nucleare e delle temperature elevatissime, che possono arrivare a venti milioni di gradi.

Al centro di tutto il dispositivo è posizionato un altro cilindro, cavo al suo interno, costituito da Plutonio 239, protetto da schiume particolari che, iniettate nel corpo della bomba, raggiungono ogni anfratto separando i componenti fissili.

I raggi X generati dalla prima reazione di fissione riscaldano il nucleo. La pressione della detonazione comprime il deuterio di Litio, mentre anche nella canna centrale di Plutonio inizia la seconda reazione di fissione.

L’emissione in grande quantità di neutroni e radiazioni innesca a sua volta la fusione vera e propria, che si unisce e potenzia le reazioni di fissione iniziali, permettendo così di raggiungere potenze dell’ordine di megatoni. L’intero processo ha una durata stimata di 600 nanosecondi.

Nella bomba preparata per il test, lo stadio esterno del mantello di Uranio 238 venne sostituito con uno in Piombo, così da rallentare la fusione e permettere di abbattere la potenza massima raggiungibile.

Nella notte tra il 29 e il 30 Ottobre, una volta confermato il via libera al test, l’arma venne portata in un areoporto militare, nel più stretto segreto. Il laboratorio in cui fu assemblata venne smantellato e il vagone ferroviario su cui si trovava inserito in un anonimo convoglio merci.

La bomba aveva dimensioni veramente impressionanti. Raggiungeva gli 8 metri di lunghezza e oltre 2 metri di diametro, nel suo punto di maggior larghezza.

Immagine 2
Una copia inerte della RDS 220 è oggi esposta al Museo russo dell’Atomo, a Mosca.

 

Nel suo aspetto esteriore l’areodinamica richiamava quella classica di una bomba a caduta libera, ma le numerose antenne dei sistemi di rilevazione dati e controllo, oltre che le dimensioni eccezionali, ne rivelavano la natura del tutto particolare. Il peso totale dell’arma superava le 27 tonnellate.

Gli avieri la agganciarono alla stiva di un bombardiere strategico quadriturbina Tupolev Tu 95, uno dei modelli più diffusi nell’arsenale sovietico e l’unico in grado di sollevare l’enorme ordigno. In ogni caso, il velivolo dovette essere modificato asportando i portelloni della stiva bombe principale e smontando parte dei serbatoi della fusoliera.

Ad accompagnare l’aereo lanciatore vi era un altro bombardiere a reazione Tupolev 16, modificato come punto di osservazione volante, riempito di telecamere, sensori e registratori di dati.

Entrambi i velivoli erano dipinti sulle superfici inferiori con una speciale vernice termoriflettente bianca lucida, simile a quella usata dall’aviazione statunitense sui bombardieri nucleari, per minimizzare il rischio che i velivoli fossero incendiati dalla potente onda di calore.

Ai comandi del Tu 95 vi era il maggiore Andrei E. Durnotsev, uno dei piloti con maggior esperienza su quel velivolo.

Alle 11.32, secondo il fuso orario di Mosca, in perfetto orario di marcia, la coppia di aerei raggiunse la verticale sopra l’isola maggiore dell’arcipelago di Novaja Zemlja, a una quota di circa 10.000 metri. Le isole sin dai primi anni cinquanta erano diventate uno dei principali poligoni nucleari sovietici, per la loro distanza da centri abitati e perchè praticamente disabitate e inospitali, fatta salva la guarnigione di tecnici e militari coinvolti negli esperimenti.

Il controllo missione diede il segnale e la bomba venne sganciata, mentre i velivoli effettuavano una secca virata di disimpegno per allontanarsi dall’epicentro dell’esplosione.

Un temporizzatore fece aprire un paracadute freno che rallentò e stabilizzò la caduta, dando ulteriore tempo agli aerei di portarsi in zona sicura. Dopo una discesa di 3 minuti e 13 secondi, a 4.000 metri dal suolo, gli altimetri automatici azionarono i detonatori.

Un lampo di luce potentissimo, che avrebbe accecato chiunque non avesse indossato occhiali protettivi, fu avvistato fino a 1000 chilometri, seguito da una palla di fuoco di ben 8 chilometri di diametro. In pochi istanti l’enorme sfera, nel cui centro era stata raggiunta la temperatura di venti milioni di gradi centigradi, raggiunse il suolo, poi si diresse rapidissima verso l’alto, arrivando a 64 chilometri di altezza, dove si stabilizzò nella tipica forma del fungo atomico.

Fu calcolato che circa 80 milioni di tonnellate di roccia e ghiaccio vennero disintegrate, risucchiate nella fornace nucleare, per poi ricadere sotto forma di polvere radioattiva.

Mentre la sfera infuocata saliva verso gli strati estremi dell’atmosfera, le nuvole attorno all’esplosione si ritirarono, vaporizzate, con un effetto simile agli anelli che si formano quando si lancia un oggetto su uno specchio d’acqua ferma.

Uno degli osservatori raccontò di essere rimasto abbagliato a lungo e di avere sentito un calore insopportabile sulle parti di pelle non protette, nonostante si trovasse a 270 chilometri dall’esplosione.

I dati registrati furono terrificanti: nel raggio di 32 chilometri dal punto della detonazione tutta la superficie dell’isola fu incenerita, aprendo un cratere largo quasi 2 chilometri e profondo in media 75 metri.

Immagine 3
Schema comparativo tra esplosioni termonucleari, secondo la dimensione dell’esplosione.

 

La pressione dell’onda d’urto raggiunse i 21 BAR, cioè 21 volte la pressione atmosferica a livello del mare, sei volte quella provocata dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaky, sufficienti a scarnificare vivo chiunque si trovasse sulla sua strada. Sull’isola di Severnji a 55 chilometri dall’epicentro tutti gli edifici vennero rasi al suolo, ma si registrarono danni a tetti e imposte fino in Finlandia orientale e in Norvegia.

La successiva ondata di calore sarebbe stata in grado di provocare ustioni di terzo grado fino a 100 chilometri.

L’onda di energia si propagò anche nel sottosuolo e la vibrazione fece il giro del mondo per tre volte prima di dissolversi. L’US Geological Survey americano valutò l’effetto sismico tra i 5 e i 5,25 gradi di magnitudo, nonostante l’esplosione fosse avvenuta in atmosfera.

Un altro osservatore descrisse l’eco dell’esplosione come un rumore profondo e crescente, quasi che la Terra fosse stata uccisa e stesse esalando l’ultimo respiro…

Pochi istanti dopo il lampo atomico, il maggiore Durnotsev ebbe giusto il tempo di comunicare al controllo missione sulla penisola di Kola, il successo del test, prima che il fortissimo effetto EMP, cioè l’impulso elettromagnetico generato dalla reazione nucleare, interrompesse ogni comunicazione.

Solo dopo un silenzio durato 40 lunghissimi minuti il collegamento potè essere ristabilito e Mosca ebbe la conferma del successo dell’esperimento.

Il maggiore Durnotsev al suo ritorno venne promosso sul campo tenente colonnello e proclamato Eroe dell’Unione Sovietica, la massima delle onorificenze.

Curiosamente, i russi non furono gli unici a osservare l’esplosione e i suoi effetti, anche gli statunitensi raccolsero dati importanti.

Grazie alla inusuale pubblicità data all’evento, gli americani avevano avuto il tempo di lanciare l’operzione Speedlight. Una cisterna volante Boeing KC 135 dell’USAF venne estesamente modificata nella base aerea di Wright – Patterson come centro di raccolta dati volante, in modo simile a quanto i russi avevano fatto con il loro Tupolev 16.

L’aereo fu pronto il 27 Ottobre, così che tre giorni dopo orecchie e occhi elettronici indiscreti poterono registrare dati preziosi sull’esplosione, volando comunque a debita distanza dallo spazio aereo russo e dal mostro nucleare.

Immagine 4
Un bombardiere Tupolev Tu 95 dell’aviazione sovietica.

 

 

Niente può essere come prima

L’apocalisse scatenata su Novaja Zemlja lasciò conseguenze in molte persone, a partire dallo stesso Andrei Sakharov. Lo scienziato russo aveva concluso la relazione preparatoria del progetto Grande Ivan con questa frase : «Un risultato positivo del test apre la possibilità di creare un dispositivo di potenza praticamente illimitata.»

Facendo parte della più alta nomenklatura sovietica, sicuramente ebbe modo di vedere il film propagandistico di circa 25 minuti, creato col montaggio delle immagini riprese durante il test e riservato alla classe dirigente del Paese. Le immagini probabilmente contribuirono a provocare nello scienziato un ripensamento sul suo lavoro per il sistema militare sovietico.

Nel 1963 il segretario generale Nikita Chruščëv annunciò ufficialmente che la RD 220 era pronta per la produzione di serie e stava per entrare a far parte dell’arsenale sovietico.

Poco dopo quei fatti, Sakharov iniziò a impegnarsi contro la proliferazione degli armamenti nucleari, il che ne provocò l’allontanamento dai progetti militari, l’emarginazione dagli ambienti scientifici ufficiali, fino all’arresto avvenuto nel 1980 per attività contro lo Stato e la condanna al confino in Siberia.

La sua lotta nonostante le persecuzioni subite gli valsero il premio Nobel per la pace nel 1975.

Nel resto del mondo, l’esperienza della bomba Tsar contribuì a diffondere l’opinione che la strada del riarmo nucleare fosse in realtà un vicolo senza uscita, una follia che avrebbe condotto l’umanità al suicidio: il movimento internazionale pacifista ne fece uno dei simboli più significativi dell’impegno contro le armi nucleari.

In realtà, la bomba Tsar ebbe sin dall’inizio soli scopi propagandistici, servì a dismostrare che l’URSS poteva arrivare a qualsiasi risultato volesse raggiungere.

Proprio in quegli anni la ricerca militare su entrambi i lati della cortina di ferro si stava concentrando sui missili balistici intercontinentali e sulle testate multiple, che puntava sulla miniaturizzazione dei componenti bellici.

L’esatto contrario della RD 220, che era enorme, pesante, aveva bisogno della guida dell’uomo per arrivare sul bersaglio. Insomma concettualmente apparteneva già al passato.

Alla bomba Tsar probabilmente almeno un merito può essere riconosciuto: nel 1963 l’URSS, sottoscrisse il trattato internazionale che metteva al bando gli esperimenti nucleari in atmosfera e nello spazio esterno, il primo vero trattato di limitazione alla corsa agli armamenti su cui formò il consenso della maggioranza dei Paesi del mondo.

di Davide Migliore

 

Linkografia

https://it.wikipedia.org/wiki/Bomba_Zar

http://nuclearweaponarchive.org/Russia/TsarBomba.html

https://www.youtube.com/watch?v=Xk8g9M0Anac

http://www.tsarbomba.org/

https://it.wikipedia.org/wiki/Bomba_all’idrogeno#Bombe_di_tipo_Teller-Ulam

http://nuclearweaponarchive.org/Russia/TsarBomba.html

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Incidenti nucleari militari  1985 – 1986

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Incidenti nucleari militari 1985 – 1986

Pubblicato il 29 ottobre 2012 by redazione

Incidenti nucleari militari  1985 – 1986

Nella seconda metà degli anni 80 si preparano eventi che segneranno la fine degli equilibri di potere così come il mondo li aveva conosciuti da più di quarant’anni, che sembravano non modificabili a breve, se non addirittura intoccabili: la divisione in blocchi militari fra est e ovest del mondo, i sistemi economici capitalisti e socialisti, con le relative teorizzazioni e divisioni ideologiche. Il 1989 segnerà la fine sì dell’unione Sovietica, travolta da processi a cui non è riuscita a prepararsi, ma anche il blocco occidentale si troverà impreparato ai cambiamenti del nuovo millennio… tuttavia, prima di quei giorni che chiusero un’era, vi sono stati ancora anni in cui i toni del confronto tra gli schieramenti della guerra fredda tornarono più aspri che mai, tanto da far temere che si fosse vicini alla guerra aperta, quindi all’apocalisse nucleare. Un decennio pieno di controsensi, retorica, sospetti, con un rifiuto sempre più marcato nelle opinioni pubbliche di ideologie, modelli che sapevano di un passato sbagliato. Una voglia di disimpegno, di dimenticare la paura, l’angoscia dell’annientamento nucleare e semplicemente, finalmente, vivere. Sia ad est che a ovest, seppure con toni diversi le sensazioni furono inaspettatamente comuni. Perché la seconda guerra mondiale era finita ormai da cinquant’anni, ma in realtà il mondo era piombato nella terza, che non si era combattuta in campo aperto, ma in singoli teatri di guerre e crisi locali. Senza scontri diretti fra le superpotenze, almeno fino a quel momento. Gordon Matthew Thomas Sumner, musicista inglese molto noto al pubblico internazionale con il nome d’arte Sting, chiuse tutte queste sensazioni nel testo di una canzone per altro molto intensa, “Russians” (nota1), che scrisse nel 1985  e pubblicò l’anno successivo. E’ una canzone pacifista che, come talvolta accade agli artisti, ha avuto la capacità di esprimere e concentrare tutte le obiezioni, le paure che vivevano milioni di persone, schiacciate  in un gioco più grande di loro… nel testo Sting cita il leader sovietico Nikita Kruscev, che in un discorso promise agli occidentali “vi seppelliremo tutti”, così come il presidente statunitense prometteva ai suoi alleati “noi vi proteggeremo”: garbatamente Sting rispondeva a entrambi che la gente non era d’accordo con quei punti di vista. E soprattutto, diceva che non esiste una guerra (nucleare ovviamente) che si può vincere, è una bugia retorica a cui non crede più nessuno. Che condividiamo tutti la stessa biologia, nonostante le differenti ideologie. E che l’unica cosa che potesse salvare tutti è che anche i Russi amassero i loro bambini… e l’insistente ticchettio ricordava (ma lo fa ancora oggi) che l’orologio  della catastrofe segna pochi minuti alla mezzanotte nucleare…e continua ad andare avanti.

Mentre il mondo restava attanagliato da queste paure, ciò che le causava, l’arsenale nucleare, continuava ad esser ben presente e ad espandersi. Ai militari di entrambi gli schieramenti i rispettivi governi chiedevano di esserne sempre pronti all’uso, di continuare  nella sfida reciproca all’efficienza. Quindi le armi nucleari continuavano ad essere portate in giro per il mondo, in un clima di tensione continua. E gli incidenti di conseguenza continuarono ad accadere, nonostante tutte le rassicuranti parole dei leaders politici. Come nella canzone di Sting…..

1985

11 febbraio  La temperatura era piuttosto rigida quel giorno a Fort Redleg, una base della U.S. Army nell’allora Repubblica Federale Tedesca a pochi chilometri dalla città di Heilbronn (nota 2) . Una squadra  di artiglieri della 56° Brigata di artiglieria da campo (56th Field artillery Brigade) stava procedendo all’estrazione del missile nucleare a medio raggio autotrasportabile, quando questo inspiegabilmente prese fuoco ed esplose causando la morte di tre militari, il ferimento di altri sette e notevoli distruzioni nel perimetro della base. L’arma era uno dei 108 lanciatori che dal 1983 erano in corso di rischiaramento in Germania, per fronteggiare di missili di pari classe da parte dei Sovietici nei paesi del Patto di Varsavia, Germania Democratica compresa. In realtà l’arrivo di quei missili in dotazione all’esercito americano aveva già creato molte polemiche in Europa, poiché da alcuni era sostenuto apertamente che lo schieramento di armi da parte dei Russi fosse avvenuto per l’intransigenza crescente da parte dell’amministrazione Reagan sugli equilibri degli schieramenti nucleari e sulla diffidenza verso le dichiarazioni ufficiali  di Mosca in materia. Il missile Pershing II era stato tutta la notte all’aperto, nel contenitore con cui era arrivato dagli States. Ora la squadra di militari, con una temperatura di circa -7 gradi, nonostante fossero già le 14 del pomeriggio, stava smontandolo per posizionarlo sul carrello – lanciatore mobile. L’esercito americano stava amaramente per comprendere che anche i missili a propellente solido potevano essere soggetti a incidenti, non solo quelli liquidi. Secondo quanto fu appurato dall’inchiesta tecnica, mentre il personale della batteria C del 3° battaglione procedeva ai lavori, il motore del missile, la cui struttura esterna era costituita da kevlar, strisciò contro la gomma siliconica che costituiva la protezione interna del container. La bassa temperatura e il freddo secco favorirono l’accumularsi di una forte carica elettrostatica che incendiò il carburante Thyokol TX 174 del primo stadio. In meno di un secondo la pressione e la temperatura furono tali che l’intero missile si sbriciolò, lanciando rottami fino a  quasi 300 metri di distanza ed investendo con fiamme altissime tutto ciò che lo circondava. Per fortuna la testata da 400 kilotoni  era come da procedure, custodita in un “pit” corazzato separato. A seguito dell’esplosione la movimentazione di tali armi nucleari fu bloccata fino al 1986, quando venne profondamente modificato il manuale sulle procedure di manutenzione e messa in sicurezza dei missili a propellente solido.

10 giugno nelle prime ore del mattino, il sottomarino lanciamissili a propulsione nucleare HMS Resolution (nota 3), in servizio con la Marina di Sua maestà Britannica, venne speronato a largo di Cape Canaveral in Florida da uno yacht privato, il Proud Mary, che dovette essere trainato in porto per le riparazioni. Il Resolution invece non ebbe danni di grande rilievo. Il sottomarino stava raggiungendo il poligono di tiro della U.S. Navy Atlantic Test Range, per procedere ad un lancio addestrativo di un missile intercontinentale Polaris. Il Resolution era il primo dell’omonima classe di sottomarini, costruiti per portare ciascuno 16 lanciatori del missile americano. Furono costruiti 4 esemplari, oggi tutti ritirati dal servizio.

Immagine 1 il relitto del sottomarino K 431 attende a Petropavlovsk  l’inizio dei lavori di smantellamento

Immagine 1 : il relitto del sottomarino K 431 attende a Petropavlovsk l’inizio dei lavori di smantellamento. Il 10 agosto 1985 un incidente durante il cambio della barre di Uranio dei reattori causò una delle peggiori catastrofi nella storia dell’atomo militare.

10 agosto nella baia di Chazhma, a pochi chilometri dalla popolosa Vladivostock, la Marina Russa ha da sempre  la sua base di appoggio per la flotta del Pacifico, dove viene anche effettuata la manutenzione per i sottomarini a propulsione nucleare. Il K 431 (nota 4 e immagine 1), un sottomarino  della classe Echo II potenziato da due reattori a acqua pressurizzata da 70 Megawatt, quel giorno veniva sottoposto alla sostituzione delle barre di combustibile, costituite da una lega a base di uranio arricchito. L’operazione, per quanto complessa, era abbastanza comune sia per gli equipaggi che per il personale civile della base. Ma quel carico fu causa di uno dei più terribili incidenti militari di cui si abbia conoscenza. Verso la sera, mentre gli uomini stavano ultimando il carico, venne notato un disallineamento tra il  coperchio del reattore e la camera delle barre: a causarlo un elettrodo da fusione, dimenticato da un operaio. Si dovette nuovamente sollevare con l’argano sia le barre di Uranio che la griglia del sistema di contenimento. Nell’esatto momento in cui il reattore veniva estratto, il passaggio di una silurante nella baia causò un’onda tale lo scafo del sottomarino si spostò, le barre e la grata di contenimento si allontanarono tra loro ben oltre la distanza massima consigliabile. Alle 10.55, pochi attimi dopo, il combustibile del reattore di destra entrò in una reazione a catena spontanea incontrollabile. Un’enorme esplosione distrusse il comparto motore, uccidendo sul colpo le dieci persone, tra marinai e lavoratori, in quel momento attorno al battello, scagliò il pesante coperchio del reattore nell’acqua a 70 metri di distanza, squartò lo scafo e il ponte a poppa del battello e lanciò le barre di Uranio estremamente cariche (o quel che ne rimaneva) nella base e nella foresta attorno alla stessa. Un incendio violentissimo fu domato con fatica dopo quattro ore, mentre il sottomarino giaceva affondato di poppa nel bacino. Buona parte dei detriti cadde entro un raggio di 100 metri, ma una nube di ceneri e gas radioattivi venne spinta verso la penisola di Dunay, di fronte alle banchine della base, sfiorando la città militare di Shkotovo 22, a circa 1 chilometro e mezzo. Nelle 24 ore successive, iniziò il calcolo dei danni della contaminazione nucleare. Al momento dell’esplosione il livello di contaminazione era di 90.000 Roentegents/ora, circa tre volte quello attorno alla centrale di Chernobyl dopo l’esplosione del reattore. Alcune ore dopo era sceso, ma si attestava a 600 Roentgents/ora, comunque ben 30 volte superiore alla dose mortale per un essere umano che vi sia esposto per soli cinque minuti…una energia pari a sei milioni di Curie venne liberata nell’aria. I corpi, o quel che ne restava, dei dieci morti, letteralmente schiacciati, carbonizzati sulle pareti del sottomarino o della banchina, vennero seppelliti a notevole profondità, in quanto fortemente radioattivi. Il 30% del territorio della base e due chilometri quadrati della foresta risultarono contaminati oltre ogni possibilità di bonifica. Immediatamente iniziò l’opera di contenimento, che impegnò 2.209 persone, esposte a dosi massicce di radiazioni lavorando prive di protezioni. Già nei giorni successivi 49 tra pompieri e marinai svilupparono avvelenamenti acuti da radiazioni. In gran velocità vennero rimossi e seppelliti in 4 grandi trincee scavate nella foresta ben 1.200 metri di asfalto, 4.585 metri cubi di terra e pietrisco, 760 tonnellate di metallo e cemento. Delle persone impiegate nella bonifica 290 operarono nell’area maggiormente contaminata. Quanti morirono o subirono, fino ad oggi, le conseguenze durature dell’esposizione non sarà forse mai possibile saperlo, il risvolto forse più amaro di questo incidente. Le autorità  sovietiche, con la ben nota mania per la riservatezza, distrussero tutte le prove (cartellini di ingresso ai cantieri, ordini di servizio, registri..) per cui a nessuno dei lavoratori fu possibile vedersi riconosciuto il servizio reso in quei giorni. Così come ad ufficiali e marinai fu dato ordine tassativo di mantenere il silenzio: un segreto che rimase tale fino al 1993.  Ancora oggi giornalisti coraggiosi e associazioni indagano sulle tragedie ecologiche ed umane di quegli anni, in una battaglia legale con il governo russo a colpi di processi e ingiunzioni contro la censura, che prosegue da oltre vent’anni. Intanto i materiali radioattivi continuano a inquinare mortalmente le acque e il terreno attorno alla baia di Chazhma…

Nel corso del 1985 a bordo di sottomarini sovietici in servizio si sarebbero verificati altri incidenti, ma sulle effettive dimensioni degli stessi, danni a persone o all’ambiente non vi sono ad oggi notizie certe: il K 447, il K 208 e il K 367 sarebbero stati vittime di perdite al sistema primario di raffreddamento, di cui non si conoscono però i particolari, tranne che per l’ultimo battello, per il quale si sospetta sia andato in avaria il sistema di controllo automatico dell’attività del reattore. Il K 38, il K 255 (questi primi due a quanto pare nel corso del mese di marzo), il K 369, il K 298 e il K 192 subirono incendi.

24 ottobre il sottomarino nucleare da attacco USS Swordfish (SSN 579) (nota 5), durante la navigazione nell’Oceano Pacifico subì un’avaria al sistema di propulsione. Non se ne conosce la portata.

24 novembre  la portaerei americana a propulsione nucleare USS Enterprise (CVN 65) si arena sulla Bishop’s Rock a circa 100 miglia dalla base navale di San Diego in California. La portaerei riceve una falla di quasi venti metri sullo scafo e un danneggiamento ad un’elica, ma è in grado di partecipare alle manovre. Dopo il 27 novembre, la portaerei raggiunse il porto per le riparazioni in bacino di carenaggio. Durante le ispezioni venne constatato che un’elica si era deformata e dovette esser sostituita. Ma in ogni caso, la portaerei fu in grado di partecipare all’esercitazione preventivata, né furono rilevate anomalie ai reattori.

31 dicembre mentre è attraccato al porto di Palma di Maiorca, nelle isole Baleari, l’USS Narwhal (SSN 671), sottomarino d’attacco classe Sturgeon, rompe i cavi di ormeggio e resta alla deriva per alcune ore nella baia, prima che si riesca a rimorchiare il battello di nuovo al molo (nota 6). Il Narwhal era in realtà un classe Sturgeon “anomalo”, in quanto servì a testare i reattori S5G con sistema di raffreddamento del reattore “a circolazione naturale dell’acqua”, così come altri accorgimenti strutturali adottati poi su altre classi di sottomarini. Questo rendeva il Narwhal all’epoca il sottomarino più silenzioso nell’arsenale americano, quindi meno individuabile. Per questo fu probabilmente coinvolto in missioni di sorveglianza e spionaggio, di cui oggi ancora nulla ufficialmente si conosce.

1986

Immagine 2 la torretta dell'USS Nathanael Greene (SSBN 636) posta all'ingresso della rada di Cape Canaveral

Immagine 2: la torre di comando dell’USS Nathanael Greene (SSBN 636) accoglie le navi all’ingresso del porto di Cape Canaveral, in Florida. La base, nota per le installazioni spaziali della NASA, in realtà è anche inserita in un poligono marino di tiro in cui i sottomarini (statunitensi e di Paesi alleati) sono autorizzati a effettuare lanci di addestramento dei missili normalmente dotati di testate nucleari. Dopo la demolizione, la torre è stata adottata come ‘gate guardian’, la ‘guardia del cancello’.

13 marzo  il sottomarino lanciamissili balistici USS Nathanael Greene (SSBN 636), nonostante il ruolino di servizio di tutto rispetto, è un battello abbastanza bersagliato dalla sfortuna: dopo due incidenti, uno nel 1970 e ben due nel 1984, durante un’esercitazione di immersione profonda nel mare d’Irlanda, urtò il fondale per motivi non del tutto chiariti, danneggiando gravemente le superfici di controllo a poppa e le casse di zavorra principali (nota 7). Ricevute le prime riparazioni di emergenza presso la base scozzese di Holy Loch, il sottomarino attraversò l’Atlantico in immersione,  raggiungendo la base di Charleston, in South Carolina. I danni ingenti subiti dal battello, la sua non più giovane età (i sottomarini classe James Madison erano entrati in servizio lungo gli anni 60) e le restrizioni sul numero di sottomarini dotati di armi nucleari strategiche stabilite nel trattato di disarmo SALT II ne segnarono il destino.

Immagine 3 lancio da sottomarino di un missile UGM 73 Poseidon

Immagine 3: lancio in immersione di un missile balistico intercontinentale ad uso marino Locheed Martin UGM 73 Poseidon. Il missile è un esemplare da esercitazione, come indica il colore vivace della pannellatura.

Radiato dal servizio attivo e inserito nel programma Submarine Recycling Program (immagine 2), restò assieme a molti altri battelli ormeggiato nel Puget Sound Naval Shipyard di Bremerton fino al 2000, quando lo smantellamento e lo smaltimento del battello fu terminato. Sulla sfortuna o meno di un mezzo si può discutere, anche fare delle battute di spirito, se non fosse per il rischio  che riguarda in primis l’equipaggio (sul Greene erano imbarcati 143 uomini). Ed anche molte altre migliaia di persone, visto che oltre alle barre di Uranio del suo reattore ad acqua pressurizzata S5W, l’armamento di lancio del sottomarino prevedeva 16 silos contenenti altrettanti missili balistici intercontinentali Lockheed UGM 73 Poseidon (immagine 3), ciascuno capace di portare in media 10 testate W68 da 40/50 chilotoni di potenza ciascuna (Fat Man, l’atomica sganciata su Nagasaky aveva una potenza di 22 chilotoni, ovvero 22mila tonnellate di TNT). Senza contare la possibilità di imbarcare anche siluri a testata nucleare modello Mk 45…. Lasciamo fare a voi due conti rapidi sul potenziale distruttivo contenuto nel, Nathanael Greene. La Marina Statunitense ha ammesso che questo incidente è tra il più gravi che siano occorso alla sua flotta sottomarina nucleare, dopo quelli che hanno portato alla perdita dell’intero battello (immagine 2).

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Immagine 4 : un cane nato con gravi malformazioni causate dalle radiazioni emanate dal reattore della centrale di Chernobyl e esposto al museo dell’incidente a Kiev, in Ucraina. Immagine concessa in uso da Vincent de Groot

26 aprile Chernobyl. Pochi nomi come questo sono capaci di evocare angoscia, di incarnare l’immagine della tragedia, fino a diventarne un sinonimo (nota 8, immagini 4, 5 e 6). Non è un incidente nucleare militare, ma dopo Hiroshima e Nagasaky è di gran lunga il più grave, 7° grado della scala INES che misura la gravità di questi eventi. E’ 1.24 di notte: il reattore viene sottoposto in quei giorni a prove di funzionamento sotto stress, in particolare si stava provando per quanto tempo turbina e generatore riuscissero a produrre energia, anche dopo che  l’impianto di raffreddamento avesse cessato di produrre vapore. Per questo erano stati disabilitati alcuni sistemi di sicurezza. Nella sala di controllo non si percepisce, nei minuti precedenti, ciò che sta accadendo, perché la crescita del calore nel reattore è talmente rapida da superare la capacità di rilevamento degli strumenti. Il progetto del reattore RBMK 1000, raffreddato ad acqua pressurizzata e moderato con barre di grafite, come molti altri  reattori sovietici, non è nato per produrre energia, ma per arricchire il Plutonio a uso militare. Non ha sistemi secondari di contenimento, perché deve essere facile la sostituzione delle barre di combustibile, come in tutti i reattori di questo tipo.

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Immagine 5 : attorno alla centrale, immensi cimiteri di mezzi di ogni tipo restano abbandonati alla ruggine. Troppa la radioattività assorbita nei durante il lavoro attorno al reattore n. 4 scoperchiato. Nessuno conosce con certezza il destino di chi li ha utilizzati in quei terribili giorni….

Quando il personale nella sala di controllo comprende che qualcosa sta andando storto, è troppo tardi. Anzi, la decisione di rimettere nel nucleo le barre di assorbimento in grafite (che costituiva la fase finale del test)  non fece nient’altro che dare altro combustibile al rogo nucleare, perché le barre scesero solo parzialmente, bloccate nei condotti deformati dal calore. A quel punto tutto si fonde, dalle tubature spezzate l’acqua di raffreddamento raggiunge le barre in fusione nel basamento e evapora istantaneamente. L’idrogeno generato esplode scagliando attraverso il tetto dell’edificio i blocchi di cemento di contenimento, assieme ad almeno il 25% delle barre di Uranio e di quelle di grafite, come un vulcano in piena eruzione. Pulviscolo e vapore altamente radioattivi sono scagliati nell’atmosfera. Nella vicina città di Pripyat l’esplosione sveglia buona parte dei cittadini. Nell’impianto 3 persone sono morte istantaneamente, altre 28 entro poche ore moriranno per l’immensa quantità di radiazioni emesse: secondo i calcoli degli scienziati, fino a 400 volte le emissioni della bomba di Hiroshima. Dopo il solito tentativo di minimizzare o negare l’accaduto, durato peraltro alcuni cruciali giorni, di fronte alla nube radioattiva che attraversava l’Europa portando con se Iodio 131 e Cesio 137, il governo dell’URSS dovette ammettere  con gli altri Paesi la portata dell’incidente e chiedere aiuto alla comunità internazionale. L’ultimo dei 42 vigili del fuoco ed operai che intervengono immediatamente sul tetto e attorno al cuore del reattore, muore 96 giorni dopo la tragedia. I sovietici inviano migliaia di soldati a spostare freneticamente i detriti in fiamme dal tetto degli altri 3 reattori del complesso, a evacuare  città e villaggi per migliaia di chilometri quadrati attorno all’impianto. Le prime immagini concesse alle tv occidentali li mostrano lavorare davanti al mostro senza altro addosso che tute da protezione antincendio o maschere antigas. Come entrare nudi in un altoforno. Attorno al reattore sventrato si misurano coi contatori Geiger 20.000 Roentgen. Per capirsi, l’esposizione a soli 500 Roentgen in un’ora,  porta un essere umano alla morte entro le 5 ore successive. L’emissione del vapore ionizzato, fonte della più intensa contaminazione, cessa il 10 maggio. Quanti siano stati esposti alla fine dell’emergenza, cioè una volta rinchiuso il reattore in un immenso sarcofago di cemento e acciaio, non è dato sapere. Fino a tutto il 1987 erano stati contati 2.900 lavoratori civili e oltre 16.000 soldati nel cantiere. Anche se c’è chi parla di oltre 600mila “liquidatori”, certificati con attestato dello Stato,  che si avvicendarono a Chernobyl, spesso gettando direttamente nella fornace nucleare detriti e grafite, a mani nude. Circa 240.000 lavorarono all’interno dei 30 chilometri dal reattore, assorbendo dosi elevate di energia per più lungo tempo. A 26 anni di distanza, l’area per sempre inabitabile, le città fantasma, abbandonate in pochi giorni, le suppellettili lasciate parlano di vite spezzate in un momento. Gli oltre 1350 tra camion, cingolati, betoniere, gli elicotteri utilizzati per sganciare sul reattore scoperchiato boro, sabbia e dolomia,  abbandonati, completamente resi radioattivi; sono queste le parole mute che restano. Come le fotografie di tanti che si sono sacrificati in quelle ore. Le possiamo vedere a Kiev, al museo del disastro. O sulle tombe nei villaggi, da dove venivano quei soldati e quegli operai. Parlano i  casi di leucemia e  cancro alla tiroide, che molto spesso colpiscono i bambini: tra il 1987 e il 2005 ne sono stati conteggiati 6000 casi, nella popolazione giovanile esposta  direttamente alla contaminazione in Ucraina e Bielorussia, per cui statisticamente c’è da attendersi un incremento del trend, dovuto all’azione prolungata nel tempo di alcuni elementi radioattivi persistenti, oltre che dai danni immediati. Alcune fonti, come Greenpeace, hanno calcolato potranno raggiungere i 90.000. Anche se l’UNSCEAR (United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation, Comitato Scientifico delle Nazioni Unite per lo studio degli effetti delle radiazioni ionizzanti) ha condotto 20 anni di dettagliata ricerca scientifica ed epidemiologica sugli effetti del disastro. A parte i 57 decessi direttamente ascrivibili all’incidente in sé, l’UNSCEAR ha originariamente predetto fino a 4,000 casi di tumori da attribuire all’incidente.  Al di là di questo, il sarcofago costruito allora sta rapidamente arrivando a fine vita, numerose crepe stanno creandosi, dopo 25 anni di radiazioni e una temperatura interna che in alcuni punti raggiunge ancora i 1000 gradi…. Il nocciolo e la struttura del reattore, ormai fusi assieme, sono sprofondati di altri 4 metri, seppur le fondamenta non siano state superate in nessun punto. Lì giace il “piede di elefante”, un ammasso di Uranio, Grafite e altri materiali colato dalla sala del reattore e solidificatosi in questa strana forma. Un robot lo ha fotografato durante una delle ispezioni sullo stato interno del sarcofago. Ma solo un robot poteva avvicinare quel mostro che  emette un’energia di 10.000 Roentgen all’ora, sufficiente a mandare in pezzi un corpo umano nel giro di pochi minuti. Ma quel che è peggio, la centrale si trova nel bacino naturale dei fiumi Pripyat e Dnepr, quest’ultimo sfocia nel Mar nero, lungo le sue rive vivono più di 30 milioni di persone. L’avvelenamento delle falde ed il rilascio nei fiumi di radionuclidi potrebbe avere conseguenze incalcolabili…29 aprile l’USS Atlanta, sottomarino da attacco appartenente alla classe Los Angeles, collide violentemente contro il fondale durante la navigazione attraverso lo stretto di Gibilterra, mentre sta entrando nel Mediterraneo (nota 9). Immediatamente il sistema di emergenza (Emergency Ballast Tank Blow System, sistema di espulsione di emergenza dalla cassa di zavorra) entrò immediatamente in azione spingendo tonnellate di acqua fuori dalla cassa ed il sottomarino riemerse rapidamente.

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Immagine 6: sul pavimento di un edificio a Pripyat migliaia di maschere antigas, con cui migliaia di lavoratori operarono nell’area di interdizione attorno alla centrale. Totalmente inutili contro le radiazioni, sono un simbolo dell’impotenza di fronte al mostro.

Una prima ispezione dei sommozzatori di bordo confermò che l’impatto è stato tanto violento da riuscire a staccare la cassa di zavorra di prua dallo scafo in alcuni punti, mentre la fibra di vetro che costituisce l’isolante interno pendeva ridotta a brandelli…anche l’’impianto sonar fu danneggiato, lasciando il sottomarino privo di un apparato fondamentale per la navigazione subacquea. Dopo  aver raggiunto il porto di Gibilterra ed avere meglio considerato i danni escludendo ogni coinvolgimento del propulsore nucleare, il comando della 6° Flotta della US Navy  ritenne di far tornare l’Atlanta per le riparazioni alla base di Norfolk, in Virginia. La ricostruzione dei fatti compiuta dalla commissione d’inchiesta non riuscì del tutto a chiarire i motivi della collisione. I sottomarini oceanici moderni sono dotati di un sofisticato sistema di navigazione inerziale capace di calcolare, secondo la rotta seguita, la velocità del battello e le carte sottomarine, ogni correzione di rotta per evitare ogni ostacolo sommerso conosciuto. Tuttavia anche navigando alla bassa velocità di sei/sette nodi, cioè attorno agli 11 – 13 chilometri all’ora,  una nave che stazza 6.900 tonnellate e scivola in un liquido ha un notevole grado di inerzia alle correzioni. Per cui anche il sistema inerziale ha bisogno di essere periodicamente azzerato e riprogrammato prendendo dei punti di riferimento a livello periscopico, sia geografici  che basati sulle trasmissioni di radiofari o satelliti. La missione dell’Atlanta avveniva in un momento di grande tensione con il regime del rais libico Muhammar Gheddafi, schierato col blocco sovietico, che non riconosceva il limite di 21 miglia delle acque internazionali nel Golfo della Sirte ed era apertamente avversario degli Stati Uniti, appoggiando anche attività terroristiche (basti ricordare l’assalto allo scalo all’aeroporto di Roma della Hel Hal, la compagnia di bandiera Israeliana, costato 19 morti). Il 19 aprile aerei dell’USAF provenienti dall’Inghilterra e della US Navy lanciati da portaerei nel Mediterraneo avevano bombardato basi militari e la residenza di Gheddafi. Quindi si sospettava che il canale di Gibilterra fosse sorvegliato da spie libiche e il passaggio di un sottomarino da attacco armato di missili Cruise non passasse inosservato. Il primo ufficiale (in quel momento il capitano non era sul ponte comando ) durante il passaggio dello stretto probabilmente fu troppo condizionato da questo rischio e ritardò il rilevamento della posizione, causando l’errore nel sistema di navigazione inerziale e l’impatto con i rilievi sottomarini. In ogni caso, l’Atlanta tornò negli Stati Uniti con una lenta navigazione in superficie durata tre settimane….e con un nuovo comandante.

31 luglio il 1986 non è un anno fortunato per le forze subacquee americane: l’USS Guitarro (SSN 665) (nota 10), sottomarino a propulsione nucleare classe Sturgeon, subì un problema a una valvola mentre si trovava in navigazione. Le fonti della marina non hanno concesso altro all’informazione, sottolineando peraltro che nessun  apparato a bordo, men che meno nucleare, è rimasto danneggiato o ne ha corso il rischio….

3/6 ottobre nemmeno sul lato opposto della cortina d ferro il 1986 è un anno da ricordare…mentre a Chernobyl si combatte ancora la battaglia col reattore esploso, nell’Oceano Atlantico si sta preparando un’altra tragedia. Partito dal porto militare di Gadhzievo, vicino a Murmansk, il sottomarino K 219, un lanciamissili nucleari balistici classe Yankee I, sta pattugliando le acque a un migliaio di chilometri dalle isole Bermuda, posizione ottimale per un eventuale lancio diretto alla Est  Coast degli Stati Uniti (nota 11). Alle 5, 14 del mattino, durante un controllo al comparto n. 4 viene scoperta un’infiltrazione di acqua nel silo n. 6 (il terzo sulla fila di sinistra), contenente un missile balistico a doppia testata nucleare SS-N-6. Mentre l’ufficiale agli armamenti e un tecnico cercano di capire da dove arriva l’acqua, che sembra filtrare dal lato dei collegamenti elettrici all’arma, improvvisamente la perdita diventa una falla vera e propria. Immediatamente il comandante Igor Britanov ordinò alle 5.25 di risalire alla quota di 46 metri per sicurezza, mentre le pompe cercano di svuotare il comparto del missile. Alle 5.32 da sotto il missile si sprigionano dense nubi di fumo marrone: l’acqua marina aveva raggiunto il carburante liquido del missile e stava producendo vapori di acido nitrico. A questo punto l’ufficiale armiere dichiarò incidente in corso, i compartimenti stagni vengono chiusi, ma 9 uomini restano nel comparto n. IV interessato dall’avaria. L’equipaggio è esperto e in meno di un minuto sta mettendo in pratica le procedure di emergenza, ma alle 5.38 una forte esplosione avviene nel silo n. 6. La situazione precipita:  tre uomini sono stati uccisi dall’esplosione, altri sei sono in pericolo nel comparto missili, Britanov ordinò l’emersione rapida per disattivare i due reattori a acqua pressurizzata che potenziano il battello, ma  raggiunta la superficie il K 219 resta senza energia elettrica. Le barre di controllo vanno inserite secondo procedura manuale, ma nel comparto del reattore la temperatura stava salendo vertiginosamente. L’ufficiale alle macchine Belikov è riuscito a calare tre delle quattro barre, ma non ce l’ha fatta con la quarta. Un marinaio di leva, il ventenne Sergei Preminin, entrò nella camera di controllo, dove la temperatura ha raggiunto i 70 gradi e riuscì a far scendere l’ultima barra. Cercò a quel punto di riaprire il comparto, ma cadde esausto a terra. Nemmeno i compagni riuscirono più ad aprire dall’esterno la porta blindata della camera assistendo impotenti alla morte del marinaio. A questo punto il comando della Marina informato della situazione ordinò a Britanov di attendere una nave appoggio che trainasse il battello alla base di partenza. Una volta raggiunti da una nave da carico russa, si tentò il traino che però fu impossibile. A quel punto l’incendio ed i gas del propellente liquido resero impossibile restare sul sottomarino, così Britanov mandò il suo equipaggio sulla nave da carico, mentre lui rimase a bordo. Mosca, irritata da quello che pensa essere un atto di insubordinazione, solleva Britanov dal comando e ordinò all’ufficiale politico di far tornare Ma è ormai tardi : appesantito dall’acqua imbarcata e privo di controllo, prima dell’alba del 6 ottobre il K 219 affondò, trascinando con se i corpi di sei valorosi uomini, due reattori nucleari e sedici missili, con trentadue testate operative. Il K 219 si adagiò sulla piana abissale di Hatteras, a  circa 6000 metri di profondità, sotto una pressione titanica. Due anni dopo la nave oceanografica sovietica Keldysh fotografò il relitto ed eseguì campionature dell’acqua. Dal momento che il comandante Britanov nelle ultime ore disperate del K 219 aveva fatto aprire i portelli dei missili raggiunti dall’acqua per fare evacuare i vapori ed evitare altre esplosioni, numerosi missili sono usciti dai silo e risultano dispersi sul fondo oceanico. Il sottomarino si è spezzato in due giusto davanti alla torre e attorno al relitto fu riscontrata una lieve traccia di radioattività, il che non fa sperare bene per il futuro…Preminin e gli altri caduti furono insigniti di onorificenze alla memoria, di onorificenze, mentre il comandante Britanov fu posto sotto accusa per negligenza e sospetto sabotaggio, come nella peggior tradizione sovietica, confinato a Sverdlovsk in attesa di processo. Con le dimissioni del ministro della difesa Sergey Sokolov, dopo il caso Mathias Rust (il giovane tedesco che atterrò sulla Piazza Rossa con un piccolo aereo Cessna da turismo, in barba a tutta la difesa aerea russa) il comandante Britanov venne scagionato dalle accuse e il caso archiviato. Anche a livello internazionale l’incidente ebbe conseguenze: i militari sovietici reclamarono apertamente con il governo americano per la presenza di un sottomarino da attacco, l’USS Augusta (SSN 710), che tallonando troppo da vicino il k 219 lo avrebbe speronato, provocandola la falla che ha portato alla perdita del battello e a una grave minaccia per l’integrità dell’ambiente oceanico. I vertici della US Navy, di solito piuttosto parchi di commenti sulle attività subacquee, questa volta risposero seccamente (forse sorpresi dalla “Glasnost” sovietica) che non era avvenuto alcun inseguimento né alcuna collisione fra il K 219 e l’USS Augusta. Ma di là a pochi giorni, l’11 e il 12 ottobre a Reykjavik, in Islanda, il presidente statunitense Reagan e quello sovietico Gorbaciov si sarebbero incontrati per uno storico colloquio su progetti di guerre stellari americani e sullo spiegamento di missili nucleari russi a medio raggio in Europa. Per cui ci fu un tacito accordo a trattenere ciascuno i propri “mastini della guerra” e a glissare sulle polemiche reciproche.

20 ottobre  in realtà, che le marine americana e sovietica giocassero una pericolosa partita a rimpiattino a distanza ravvicinata era del resto dimostrato da numerosi casi di collisione accaduti nei decenni precedenti (nota 12). Anche nel caso dell’USS Augusta, impegnato a sorvegliare i sottomarini lanciamissili che incrociavano a largo degli Stati Uniti, se non con il K 219 è probabile abbia avuto un “contatto ravvicinato del terzo tipo” con un altro battello. Infatti, pochi giorni dopo, ritornato in pattuglia l’Augusta ebbe una collisione in immersione con un oggetto non identificato. Il battello dovette rientrare a Groton per gli accertamenti del caso sui danni subiti, quantificati in circa 3 milioni di dollari. La US Navy fu rapida nel dichiarare che l’impianto propulsivo nucleare era perfettamente integro e non aveva corso alcun rischio…fotografie prese pochi giorni dopo mostrano un sottomarino lanciamissili classe Delta I (identificato da alcune fonti russe come il K 279) con una evidente ammaccatura sulla parte destra della prua. E’ plausibile che l’Augusta stesse inseguendo questo sottomarino, e non il K 219…che a sua volta lo stesse portando a farsi agganciare da un sottomarino da attacco classe Victor, nell’eterna lotta tra preda e cacciatore…

di Davide Migliore


Note

(1) http://www.youtube.com/watch?v=wHylQRVN2Qs

http://lyricskeeper.it/it/sting/russians.html

Sting, “Russians”

(2) http://articles.latimes.com/1985-01-12/news/mn-9508_1_unarmed-missile

http://www.fbjs.facebook.com/note.php?note_id=217420051617134&comments

 Incidente del 11.02.1985 a un missile Pershing II  

http://en.wikipedia.org/wiki/MGM-31_Pershing

Missile Martin Marietta MGM 31Pershing II  

http://miamisburg.org/pershing_missile_56th_field_artillery_command.htm   

organigramma e storia della 56th Field Artillery Brigade della U.S. Army

http://www.fbjs.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.dtic.mil%2Fcgi-    

bin%2FGetTRDoc%3FAD%3DADP005343%26Location%3DU2%26doc%3DGetTRDoc.pdf&h

     =xAQHQiQ7Q&s=1

Relazione tecnica sull’incidente al missile Pershing II ad Heilbronn del 11.02.1985

(3) http://www.britishpathe.com/video/polaris-fired-from-h-m-s-resolution

Video British Pate del lancio  in immersione di un misslie Polaris dall’HMS Resolution (1968)

(4) http://robertamsterdam.com/2008/08/grigory_pasko_prelude_to_chernobyl/

Grigory Pasko, “Prelude to Chernobyl”, articolo sull’incidente di Chazhma Bay

http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&frm=1&source=web&cd=16&ved=0CEgQFjAFOAo&url=http%3A%2F%2Fwww.ippnw-students.org%2FJapan%2FChazhmaBay.pdf&ei=_4qiUKbhOYuTswa3hoGgBw&usg=AFQjCNG2t1DPaq0lNboha4YqOKO5jw_x-Q&sig2=aUdZIpFDAbr7tsEDe9R5rA

Documento PDF,  International Physicians for the Prevention of Nuclear War, l’inquinamento nucleare a Chazhma Bay

http://spb.org.ru/bellona/ehome/russia/nfl/nfl8.htm#O17b

Bellona Report nr. 2:96. Written by: Thomas Nilsen, Igor Kudrik and Alexandr Nikitin, rapporto pubblicato dalla Bellona Foundation sugli incidenti che hanno colpito la flotta sottomarina nucleare sovietica fino agli anni ‘90.

(5) http://navysite.de/ssn/ssn579.htm

Incidente allo USS Swordfish

(6) http://navysite.de/ssn/ssn671.htm

http://www.mesotheliomaweb.org/mesothelioma/veterans/submarines/uss-narwhal

USS Narwhal SSN 671, incidente a sottomarino nucleare

(7) http://navysite.de/ssbn/ssbn636.htm

http://en.wikipedia.org/wiki/USS_Nathanael_Greene_(SSBN-636)

L’incidente all’USS Nathanael Greene

(8) http://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_di_%C4%8Cernobyl

Centrale nucleare di Cherbnobyl ,  disastro nucleare

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=8088 

“In diretta da Chernobyl” di Charles Choi,

www.scientificamerican.com

(9) http://en.wikipedia.org/wiki/USS_Atlanta_(SSN-712)             

http://navysite.de/ssn/ssn712.htm

Incidente all’USS Atlanta (SSN 712)

http://www.oocities.org/uss_atlanta_ssn/seastories.html

La collisione dell’USS Atlanta col fondo dello stretto di Gibilterra nella testimonianza del marinaio Glenn Damato

(10) http://navysite.de/ssn/ssn665.htm

 Incidente all’USS Guitarro

(11) http://english.pravda.ru/russia/politics/09-10-2012/122396-submarine_reagan_gorbachev-0/

http://en.wikipedia.org/wiki/Soviet_submarine_K-219

Hostile Waters (ISBN 0312966121) by Peter Huchthausen, Igor Kurdin and R. Alan White

L’affondamento del K 219 a largo delle Bermuda.

(12) http://en.wikipedia.org/wiki/USS_Augusta_(SSN-710)

http://navysite.de/ssn/ssn710.htm

L’Uss Augusta e la presenza di sottomarini russi a largo delle coste americane, probabili casi di collisione.


Fonti generali

http://www.progettohumus.it/public/forum/index.php?topic=428.0;wap2

Incidenti nucleari o potenzialmente nucleari dal 1971 ad oggi

http://lists.peacelink.it/armamenti/msg00252.html

Lista di incidenti a sottomarini e vascelli militari angloamericani dal 1945 

http://www.at1ce.org/themenreihe.p?c=United%20States%20submarine%20accidents

http://spb.org.ru/bellona/ehome/russia/nfl/nfl8.htm#O17b

Lista incidenti a sottomarini sovietici con cause

https://www.cia.gov/library/center-for-the-study-of-intelligence/csi-publications/books-and-monographs/a-cold-war-conundrum/source.htm sito ufficiale della C.I.A.

http://nuclearweaponarchive.org/index.html

The nuclear weapons archive

http://books.google.it/books?id=3wUAAAAAMBAJ&pg=PA23&lpg=PA23&dq=us+nuclear+submarine+accidents+1985&source=bl&ots=QvKSE3wTuu&sig=y6tbBUeneIb4ZiRAi6BYv-2tHOc&hl=it&sa=X&ei=3-mjUIuqFsfEsgbL-4DoAw&ved=0CCYQ6AEwATgK#v=onepage&q=us%20nuclear%20submarine%20accidents%201985&f=false

Bulletin of the Atomic Scientists, july/august 1989 issue

http://www.nukewatchinfo.org/nuclearweapons/index.html

Informazioni aggiornate sulla produziione di armamenti, sulle conseguenze mediche e ambientali della produzione di armi, iniziative pacifiste e di eliminazione degli armamenti nucleari.

http://bispensiero.blogspot.it/2007_05_01_archive.html

Blog con liste dei principali pericoli e situazione attuale della strategia atomica

http://archive.greenpeace.org/comms/nukes/chernob/rep02.html

http://www.rmiembassyus.org/Nuclear%20Issues.htm

http://www.web.net/~cnanw/a7.htm

10 mishaps that might have started an accidental nuclear war.

http://forum1.aimoo.com/American_Cold_War_Veterans/Cold-War-Casualties/Naval-Accidents-During-Cold-War-1-1579633.html

Incidenti navali con vittime durante la Guerra Fredda

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