Archivio Tag | "kevlar"

Burt Rutan

Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

Burt Rutan

Pubblicato il 15 febbraio 2013 by redazione

Burt_Rutan1° parte

Elbert Leander Rutan, per gli amici ed estimatori, semplicemente Burt: un nome abbastanza anonimo per uno degli ingengneri areonautici più eclettici e prolifici della storia.

Nato il 17 giugno 1943 nello stato americano dell’Oregon, ad Estacada, pochi chilometri da Portland, cresce in California, a Dinuba, dove sin da piccolo si appassiona a veivoli aerei.

Pare che già a 10 anni disegnasse macchine volanti e, nel 1959, a soli 16 anni riuscì persino a prendere il brevetto di volo. Naturalmente si iscrisse alla facoltà di ingegneria aeronautica alla California Polytechnich State University, da cui brillantemente uscì laureato nel 1965, terzo di tutto il suo corso.

Forse sarà stato il fatto di esser nato nello stesso giorno in cui un altro genio dell’aeronautica, Clarence “Kelly” Johnson fondava gli “shunk works”, i laboratori segreti dell’industria Lockheed, fucina di progetti ed esperienze rivoluzionarie sia in campo militare sia civile, a partire dai bollenti giorni della Seconda Guerra Mondiale fino a quelli degli anni della guerra fredda.

O forse fu la fortuna di crescere in uno degli stati più effervescenti della ricerca aeronautica e sede di alcune tra le maggiori industrie del “più pesante dell’aria” di tutto il mondo.

Fino al 1972 lavorò per l’aeronautica Statunitense, la U.S. Air Force, nella Edwards Air Force Base, dove tutta la sua ecletticità e il suo modo controcorrente di pensare aerei e materiali ebbe la possibilità di svilupparsi al massimo. Venne, infatti, coinvolto assieme alla compagnia  Ling-Temco-Vought nello sviluppo dell’XC142, una velivolo VSTOL, ovvero Vertical Short Take Off and Landing, cioè un aereo che, grazie all’ala rotante sul proprio asse, poteva rapidamente divenire simile a un elicottero, permettendo l’atterraggio e il decollo in verticale, in uno spazio di pochi metri. In realtà le difficoltà tecniche portarono all’abbandono del progetto, che rinacque però anni dopo e portò alla realizzazione del V22 Osprey, attualmente in linea con le forze armate statunitensi.

L’esperienza su progetti del genere non fecero che aumentare la convinzione che si potessero progettare macchine volanti usando materiali e formule ben diverse dai “canoni classici” che si insegnavano nelle facoltà universitarie o si seguivano nelle industrie aerospaziali.

Conclusa l’esperienza con l’USAF, assunse fino al 1974 la carica di responsabile collaudi per la Bede Aircraft in Kansas, dove maturò anche la decisione di mettersi in proprio e investire nelle idee che stava sviluppando. Si trasferisce così nel bel mezzo del deserto del Mojave, dove fonda la Rutan Aircraft Factory, assieme ad alcuni altri ‘pazzi visionari’.

1

Il Rutan VariEze nella galleria del vento del centro di ricerca aeronautica della Nasa a Langley.

Model 27VariViggen

La prima realizzazione fu il Rutan Model 27VariViggen: già nell’aspetto questo piccolo velivolo manifestava tutto l’approccio alternativo della progettazione Rutan. Nato già negli anni successivi all’università, il primo prototipo (ispirato al caccia supersonico svedese SAAB J 37 Viggen) iniziò ad essere assemblato nel garage di casa Rutan nel 1968, nel più classico stile ‘do it yourself’ americano, ma Burt ci stava lavorando sin dal 1963, mentre studiava ancora ingegneria.

L’idea era di fornire al mercato un velivolo semplice da diporto, facile da costruire e mantenere, dalle prestazioni estremamente avanzate. Rutan credeva nell’idea di un’aviazione per tutti, una “motorizzazione” dell’aria facile ed economica.

Lungo solo 5,12 metri, con un’apertura alare di 5,79 metri, per una superficie di soli 11,40 metri quadri e un peso di 772 chili in ordine di volo, questo biposto era sostenuto da un piccolo motore a scoppio Lycoming, con elica spingente: praticamente un’alternativa all’auto, “parcheggiabile agevolmente nel garage di una casa di periferia”. Il motore era posizionato in fusoliera dietro all’abitacolo e non davanti come si è soliti vedere… questa scelta implicava però la rinuncia ai comandi classici di coda, timoni di direzione e profondità sdoppiati, per far posto all’elica e in parte compresi nell’ala a delta, ovvero dal disegno in pianta che ricorda la metà di un triangolo. Parte sono invece posti in un’aletta davanti all’abitacolo, secondo una soluzione detta ‘Canard’ (anatra in francese) oggi piuttosto comune anche nei velivoli militari ad alte prestazioni, ma allora… questo rendeva un aereo sicuro per il turismo e il diporto, difficile da far entrare in stallo (cioè perdere la portanza, il sostegno del flusso di aria che spinge verso l’alto il velivolo) e nelle cadute a vite, le più pericolose. Ma soprattutto sono i materiali: esteso l’uso del legno ma soprattutto delle fibre di vetro. Rutan sin da allora ha sempre mostrato fiducia nei materiali alternativi, una visione lungimirante come vedremo in seguito.

Il prototipo del VariViggen oggi è conservato nel Ventura Air Museum. Ne furono costruiti solo 5 esemplari, ma il VariEze da cui fu sviluppato venne estesamente costruito e venduto fin al 1985, anche come kit montabile in casa.

2

Un esemplare di Model 33 VariEze in volo mostra le dimensioni compatte e le linee anticonvenzionali del progetto di Burt Rutan.

Model 33 VariEze

Lo stesso Rutan dimostrò le possibilità della sua formula impegna dosi con il Model 33 VariEze, evoluzione del VariViggen in produzione dal 1976,  a polverizzare vari record , tra cui quello stabilito al raduno areonautico di Oshkosh, con una distanza coperta di ben 2.636 chilometri di volo! E con un consumo di carburante irrisorio, meno di un’automobile… Niente male per un aereo appartenente alla classe di peso inferiore ai 500 chili… il pilota Gary Hertzler vinse con un VariEze il premio CAFE (Challenge Aircraft Efficiency Prize) per la sicurezza. In effetti, di tutte le varianti del variEze (seguito dal più grande Long-Eze) furono costruiti più di 2000 esemplari, venduti in tutto il mondo addirittura in scatola di montaggio … gli incidenti registrati per questo velivolo, tra il 1976 e il 2005, furono solo 130, 46 dei quali con vittime, a fronte di un incalcolabile monte di ore di volo. Praticamente molto più sicuro di una qualsiasi automobile utilitaria. Al 2005 risultavano solo negli States ancora 800 VariEze iscritti al registro areonautico e in condizioni di volo. Per un piccolo produttore indipendente è assolutamente un miracolo.

3

Il Model 54 Quickie e le sue evoluzioni hanno segnato forse il vero primo successo dell’industria fondata da Burt Rutan e delle sue convinzioni. Nella foto, un biposto Quickie Q2 ripreso ad Arlington nel 2003.

Model 54 Quickie

Altrettanto fece il Model 54 Quickie: piccolo aereo da turismo, propulso da un motore bicilindrico raffreddato ad aria della Onan Industries, da appena 18 cavalli, con una struttura timoni-ali a x, che richiamava più un caccia interstellare appena uscito da Guerre Stellari che un normale velivolo da  diporto. Addirittura ne fu studiata una versione che poteva montare un motore da automobile Wolkswagen !!! Nato nel 1977 sull’onda del successo del VariEze, segnò la definitva affermazione delle idee di Burt Rutan e della sua impresa commerciale. Alla fine della produzione, più di 3000 kit di Quickie.

Nel 1982 Burt Rutan fonda la Scaled Composites

Altra genialità di Rutan fu proprio di puntare decisamente su “scatole di montaggio”, come i modellini in scala, contenendo così il costo del velivolo e della produzione, dimostrando anche che qualsiasi cliente era in grado di costruirsi un aereo in garage o in un prato davanti a casa. Non c’è bisogno di essere degli ingegneri!

Nella sua azienda-abitazione nel deserto del Mojave questo tipico ragazzo americano continuava a sfornare idee e progetti senza soluzione di continuità. Ma soprattutto è nella chimica e nella fisica dei materiali, nell’immensamente piccolo, che Rutan cercava i segreti per poter viaggiare sempre meglio nell’“immensamente grande”.

Nel 1982 si sentì abbastanza pronto per fondare la Scaled Composites, azienda che  attualmente costituisce ancora il cuore delle imprese di Burt Rutan.

Il concetto è semplice: se voglio creare aerei e strutture alternative, c’è bisogno di materiali altrettanto anticonvenzionali. Allora perché non crearmeli da solo? Simbolo di quella ingenuità e genialità, che talvolta contraddistingue le imprese americane, Burt Rutan decise di creare un luogo dove si creassero gli aerei dal nulla: progettare, sperimentare il materiale e la struttura, costruire e testare il prototipo, infine iniziare la produzione. Tutto all’insegna della ricerca, del risparmio di materie prime e peso, per un risultato di massime prestazioni.

Nella compagnia sarebbero stati presenti tutti i profili di professionalità necessari: ingegneri, operai, chimici, piloti, tutti animati dalla fede nel realizzare l’impossibile. E il mondo aveva iniziato a credere  nelle capacità di quel simpatico geniaccio californiano, compreso il governo  americano e quegli stessi militari con cui Rutan aveva iniziato il suo percorso.

4

Il prototipo dell’assaltatore “ARES” con un’accattivante colorazione notturna.

Infatti alla Rutan Aircraft Factory prima e alla Scaled Composites poi, viene chiesto di partecipare ad un concorso del ministero della difesa per un piccolo jet da osservazione e attacco al suolo, per cui Rutan ed i suoi progettisti creano l’ARES, un monoplano monomotore dalle prestazioni assolutamente incredibili per  la fine degli anni ‘80. Il progetto non venne poi più sviluppato, ma il prototipo dell’ARES continua ad essere impiegato per testare soluzioni e c’è stato anche più di un interessamento per produrlo come una “fuoriserie dell’aria”, per clienti amanti delle alte prestazioni.

Viene anche ricordato per esser stato impiegato in alcuni film di avventura e fantascienza. Ma anche i grandi colossi come la Northrop Grumman commissionano progetti a Burt Rutan: ad esempio l’aereo-spia senza pilota (drone in gergo areonautico) X47A.

5

L’aereo spia senza pilota X47A progettato per la Northrop Industries.

In ogni caso, il principale campo di ricerca per Rutan resta quello dei materiali ultraleggeri, le strutture originali da impiegarvi, e il loro utilizzo nel campo civile, anche se le commesse militari rimangono sempre una tentazione, per una piccola compagnia che punta il tutto per tutto sulla ricerca.

Ultralite, una show-car progettata da General Motors  e realizzata da Rutan.

La riprova di quanto Rutan e la sua compagnia siano andati avanti nella ricerca e nell’applicazione dei materiali cosiddetti alternativi, arriva con Ultralite, una show-car progettata da General Motors  e realizzata da Rutan.

Struttura completamente realizzata in grafite e in pannelli in fibra di carbonio alternata a PVC, per una leggerezza e una robustezza inimmaginabili, che usa le classiche lamiere in metallo, oltre che il comfort interno molto maggiore per gli spazi così risparmiati e la visibilità esterna assolutamente non confrontabile con altre berline ordinarie: la leggerezza e la duttilità di questi materiali permettono di aumentare del 50% le superfici trasparenti (realizzate anch’esse in materiali di sintesi). Consumi ridicoli e durata eccezionale dei materiali (che non arrugginiscono…), purtroppo altre politiche industriali e altri calcoli di costo produttivo non hanno permesso all’epoca di sviluppare questo concept vehicle, che però ha fatto scuola tra le altre industrie internazionali dell’automobile. In futuro potrebbe divenire una realtà, sotto la spinta dei costi sempre più pesanti delle materie prime e di smaltimento dei veicoli convenzionali…

Voyager

Tra aerei da trasporto, sperimentali, jet executive e altre centinaia di progetti partoriti dalla sua mente vulcanica e visionaria, Burt Rutan ha sempre continuato a credere che la sfida ai record fosse il modo migliore (oltre che il più eccitante) di dimostrare  agli altri la validità del suo inimitabile “design”.

Da parecchi anni stava pensando ad un’impresa pazzesca: la traversata della Terra in un solo volo, senza scali e senza alcun rifornimento. Una cosa da epoca dei pionieri del volo, ma non certo nel pieno dell’era dei satelliti e degli aviogetti. Tuttavia era qualcosa che non era mai stato tentato prima, una cosa da storia dell’aviazione, e della scienza. Come un tarlo ormai gli aveva  scavato nella mente e nel cuore.

Dick, fratello di Burt, ex pilota militare (la passione del volo è un punto in comune nella famiglia Rutan) e veterano del Viet-Nam, da tempo pilota capo collaudatore alla Rutan Aircraft Factory,  fu subito della partita, nutrendo la più grande fiducia nelle capacità progettuali del fratello minore. Nel 1981 iniziò, tra centinaia di impegni, a studiarne la fattibilità e a disegnare un aeroplano apposta per il record.

L’impegno richiese anni di prove, sviluppo di materiali (un grande uso di resine, epossidiche e fibra di carbonio) calcoli complicatissimi per il consumo di carburante e il tempo di volo, raccolta di fondi e ricerca di sponsor. Quest’ultimo aspetto fu fonte di amarezza, poiché nessuna banca, o altro grande sponsor, appoggiò l’impresa.

Addirittura il fatto che Dick e la sua compagna Jeanna Yeager non fossero sposati, negli anni dell’America Repubblicana e reaganiana, attirò loro l’antipatia dei conservatori radicali, … solo la grande e commovente generosità dei dipendenti di Rutan alla Scaled Composites (che lavorarono spesso senza compenso per quel progetto speciale) e di molti piccoli privati si riuscì ad avere i fondi necessari, oltre 2 milioni di dollari dell’epoca.

6

Alle prime ore del 26 dicembre 1986, il Voyager viene fotografato da un “chase plane” alla fine del suo volo non stop attorno al globo, poche ore prima dell’atterraggio sulla pista della base aerea di Edwards, da dove era partito 9 giorni prima, il 14 dicembre.

Assemblato con pazienza per mesi e mesi in un hangar del Mojave airport, superando problemi che nessun altro aveva mai dovuto affrontare e lo scetticismo di buona parte del mondo scientifico e dell’aviazione, la mattina del 14 dicembre 1986, dalla pista della base militare di Edwards (dove nel 1965 Burt Rutan aveva iniziato la sua carriera dopo gli studi di ingegneria) il Voyager, com’era stato battezzato il velivolo, decollò. Solo poche ore prima aveva ricevuto le eliche ed i motori definitivi.

L’aereo aveva fatto un solo volo di collaudo, il 22 giugno di due anni prima, per di più con solo un quarto del carburante nei serbatoi. Un altro volo, per raggiungere la fiera annuale aerea di Oshkosh fu quasi essere interrotto perché l’aereo dimostrò di non essere controllabile in caso di pioggia. Ma l’aereo arrivò e quasi un milione di persone poté vedere la creatura di Rutan dal vivo: fu un colpo pubblicitario enorme.

Finalmente, tra l’8 e il 15 luglio 1985, pur con alcune tappe intermedie e affrontando avarie pericolose, il Voyager stracciò il record di distanza su unico volo in circuito detenuto dalla US Air Force da quasi 40 anni, percorrendo in 111 ore e 40 minuti 11.857 miglia. Il Voyager era pronto. Probabilmente fu il progetto più impegnativo e frustrante per Burt Rutan. Fino all’ultimo si dovettero affrontare avarie e malfunzionamenti potenzialmente letali. L’aereo era come sempre un grande Canard, con le superfici di controllo poste avanti alle ali, una fusoliera centrale pressurizzata, con uno spazio simile a quello di una cabina del telefono, in cui i due componenti dell’equipaggio, Dick Rutan e Jeana Yeager, avrebbero convissuto per lunghi 9 giorni, assieme a radio e provviste. Era sostenuto da due moderni motori Teledyne Continental, un IOL 200 raffreddato a liquido posto nella parte posteriore della fusoliera centrale, che sviluppava 130 cavalli/vapore massimi, e un IOL  0-240 posto anteriormente, con raffreddamento ad aria, capace di 11° cavalli/vapore.

7

Le dimensioni del Voyager appaiono bene in questa foto scattata durante la presentazione al pubblico.

La lunga ala centrale, con un’apertura maggiore di quella di un Boeing 727, era costruita secondo una formula che le donava flessibilità e robustezza unici:  la struttura esterna era fatta di  numerosi fogli di carta sottilissima, impregnati di resine contenenti fibre di carbonio, mentre l’interno era costruito a celle a nido d’ape. Tutta la pannellatura esterna invece era formata da grafite, mentre per la struttura portante si era fatto largo uso di kevlar e fibre di vetro. Due semifusoliere partivano dal centro dell’ala, contenevano i carrelli d’atterraggio, strumentazione, celle del carburante e si ricongiungevano posteriormente con un unico piano di coda.

L’aereo era il primo di quelle dimensioni nella storia ad essere stato costruito interamente con materiali compositi e sintetici.

L’aero, senza attrezzature, carburante e motori, pesava soli 426 chili! Già al decollo i problemi non mancarono: sotto il peso di 3.180 chili  di carburante avio, le semiali si piegarono fino a urtare il suolo e due winglets, alette di controllo poste alle estremità delle ali, si staccarono. Ma Dick Rutan non se ne accorse, perché il microfono della radio era rimasto staccato e non sentì i disperati messaggi del fratello e dell’amico Mike Melvill, preso a controllare l’aereo che sembrava troppo lento rispetto ai calcoli. Nei 9 giorni Dick e Jeana, che non pilotava, ma svolgeva il fondamentale ruolo di supporto e controllo, dovettero affrontare di tutto: il motore anteriore si bloccò solo dopo poche ore di volo e ci volle parecchia inventiva per capire cosa l’aveva causato facendolo tornare miracolosamente in funzionamento. Durante il volo  di crociera, normalmente veniva tenuto in funzione solo uno dei due motori, utilizzandoli entrambi solo in caso di necessità. Successivamente l’impianto di pressurizzazione iniziò a non funzionare, quindi dovettero volare quasi sempre tra i 3 e i 4.000 metri. Questo voleva dire non poter sfuggire alle tempeste e alle correnti ascensionali, che sbattevano l’aereo come uno straccio.

Inoltre l’equipaggio dovette utilizzare giornalmente l’aspirina per tenere il sangue liquido e contrastare gli effetti della quota.

Non si poteva mai veramente riposare, c’erano sempre da controllare le temperature (un malfunzionamento alle ventole di raffreddamento teneva troppo elevata la temperatura dell’olio nei motori), sentire dal controllo missione a Mojave nell’hangar 77 la situazione meteo (Len Snellman, il metereologo volontario dell’equipe, fece del suo meglio per calcolare le rotte che li portassero lontani da tifoni e tempeste), continuare a travasare il carburante tra i serbatoi per mantenere l’equilibrio ed evitare torsioni eccessive alla struttura.

Oltre che a una serie di fortunali che sembrarono fare apposta a concentrarsi sulla loro rotta, si doveva lottare anche con le valvole del carburante, che tendevano a congelare. Sulla costa sudamericana una di queste smise di funzionare definitivamente. Assieme a tutto questo stress, anche il pilota automatico, che avrebbe dovuto affiancare Dick per buona parte del volo, sopra le Filippine mostrò funzionamenti anomali dei giroscopi, per cui non fu mai completamente affidabile.

Dick non poteva contare su turni di riposo finché non fosse stato riparato, per cui a Jeana toccò smontare e ricontrollare tutti i cablaggi delle strumentazioni, alla ricerca del guasto. Un errore di rotta di pochi decimi di grado avrebbe voluto dire perdersi su un oceano e la morte.

All’epoca il GPS era qualcosa che potevano permettersi i militari, e il governo americano non aveva patrocinato i Rutan… nonostante le autorità militari consentissero loro di appoggiarsi ai canali satellitari quando non occupati da traffico militare, alcuni danni alle antenne resero difficile il collegamento via UHF per tutto il volo.

Ma intanto l’impresa aveva calamitato l’attenzione nel pubblico mondiale, sembrando di rivivere i lontani 20 e 21 maggio 1927, giorni  in cui Charles Lindbergh, per primo e in solitaria, riuscì ad attraversare l’Atlantico a bordo del monoplano Ryan  “Spirit of St. Louis”.

Inoltre, gli ultimi 2 giorni di volo furono i più tesi, con l’equipaggio ormai stremato che dovette affrontare il pericolo più letale: i conteggi sul carburante non tornavano, per cui non si riusciva a capire  se vi fosse un consumo anomalo oppure se un serbatoio avesse una perdita… furono ore di frenetici colloqui col centro controllo e tentativi di far ragionare menti stanche e intorpidite dal rumore continuo dei motori.

Quando nella notte tra il 22 e il 23 dicembre il Voyager finalmente si stava avvicinando alla base di Edwards, Mike Mellvill e Burt Rutan saltarono sul bimotore Beechcraft Duchess (curiosamente per una volta Rutan non utilizzò un aereo di sua costruzione, ma della “concorrenza”) già utilizzato come aereo di supporto durante i collaudi, decollarono e raggiunsero il Voyager per scortarlo fino alla base, dove finalmente toccò terra sulla pista utilizzata dagli Space Shuttle al rientro dalle missioni spaziali,  alle 8.05 del 23 dicembre 1986.

Avevano volato per 40.210 chilometri e 969 metri, in nove giorni, tre minuti e 44 secondi, battendo il record stabilito nel 1952 da un bombardiere B 52 H dell’USAF nel 1952.

Nei serbatoi saranno trovati solo 32 litri di carburante residui.

Ad accoglierli  c’erano oltre 80.000 persone affluite nel deserto californiano, fin dentro la base, lungo la pista di atterraggio.

Vi era stato anche un’ulteriore grande sacrificio affrontato dall’equipaggio, di cui nessuno al di fuori dei partecipanti all’impresa era a conoscenza: la relazione tra Dick Rutan e Jeana Yeager non stava andando bene già prima che il viaggio cominciasse. Mesi di frenetici viaggi in giro per gli States, tra apparizioni in tv e conferenze stampa, per promuovere l’impresa avevano ulteriormente aggravato la situazione. Così che già qualche mese prima del decollo i due  avevano deciso di separarsi. Ma non avevano voluto renderlo pubblico per le conseguenze devastanti che avrebbero avuto sul progetto Voyager. Anzi, decisero di affrontare assieme il volo per il quale così a lungo si erano preparati assieme.

Poco tempo dopo la missione, il Voyager fu ritirato dal volo e donato alla Smithsonian Air and Space Museum, dove si trova esposto. A poca distanza dallo “Spirit of St. Louis” di Lindbergh.

Burt ce l’aveva fatta: a dispetto di tutte le previsioni ora davvero era entrato nella storia del volo. Ed aveva dimostrato che si può costruire un aereo di successo con materiali e linee ben diverse da quelli tradizionali. Aveva  indicato che una nuova via di sviluppo per l’aeronautica era possibile.

di Davide Migliore

 

Fonti generali

http://en.wikipedia.org/wiki/Burt_Rutan

http://it.wikipedia.org/wiki/Burt_Rutan 

biografie di Burt Rutan su Wikipedia

http://en.wikipedia.org/wiki/LTV_XC-142

gli anni con l’USAF alla Edwards AFB. Il progetto XC 142

http://en.wikipedia.org/wiki/Rutan_VariViggen

http://www.youtube.com/watch?v=sgbGpulUJdU

http://www.airventuremuseum.org/collection/aircraft/3Rutan%20VariViggen.asp

il primo progetto di Burt Rutan destinato alla produzione in serie

http://en.wikipedia.org/wiki/VariEze

il VariEze, primo grande successo di Burt Rutan.

http://airandspace.si.edu/collections/artifact.cfm?id=A19880548000

http://www.youtube.com/watch?v=jyRGNcbeS7o

l’aereo dei record : il Rutan Voyager

http://www.oshkosh365.org/saarchive/eaa_articles/1987_02_01.pdf

il viaggio del Voyager nelle parole del giornalista Jack Cox

http://www.youtube.com/watch?v=MYW6X46qWG0  

http://www.youtube.com/watch?v=OeO5xDfgRhs

http://www.youtube.com/watch?v=f9p0urF-Amc

http://www.youtube.com/watch?v=shlhQLw6jOg

Frontiers of Flight – the last great world record (1992), 4 parts vide

http://www.airportjournals.com/Display.cfm?varID=0612035

http://www.airportjournals.com/Display.cfm?varID=0701014

Airplane Journals, December 2006 I and II part, the story of the Voyager enterprise.

http://www.parabolicarc.com/2011/12/18/burt-rutan-recounts-emotional-voyager-flight/

Burt Rutan ricorda in un’intervista l’epopea del progetto Voyager

http://www.scaled.com/about/

Link al sito della Scaled Composites

Commenti (0)

Incidenti nucleari militari  1985 – 1986

Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

Incidenti nucleari militari 1985 – 1986

Pubblicato il 29 ottobre 2012 by redazione

Incidenti nucleari militari  1985 – 1986

Nella seconda metà degli anni 80 si preparano eventi che segneranno la fine degli equilibri di potere così come il mondo li aveva conosciuti da più di quarant’anni, che sembravano non modificabili a breve, se non addirittura intoccabili: la divisione in blocchi militari fra est e ovest del mondo, i sistemi economici capitalisti e socialisti, con le relative teorizzazioni e divisioni ideologiche. Il 1989 segnerà la fine sì dell’unione Sovietica, travolta da processi a cui non è riuscita a prepararsi, ma anche il blocco occidentale si troverà impreparato ai cambiamenti del nuovo millennio… tuttavia, prima di quei giorni che chiusero un’era, vi sono stati ancora anni in cui i toni del confronto tra gli schieramenti della guerra fredda tornarono più aspri che mai, tanto da far temere che si fosse vicini alla guerra aperta, quindi all’apocalisse nucleare. Un decennio pieno di controsensi, retorica, sospetti, con un rifiuto sempre più marcato nelle opinioni pubbliche di ideologie, modelli che sapevano di un passato sbagliato. Una voglia di disimpegno, di dimenticare la paura, l’angoscia dell’annientamento nucleare e semplicemente, finalmente, vivere. Sia ad est che a ovest, seppure con toni diversi le sensazioni furono inaspettatamente comuni. Perché la seconda guerra mondiale era finita ormai da cinquant’anni, ma in realtà il mondo era piombato nella terza, che non si era combattuta in campo aperto, ma in singoli teatri di guerre e crisi locali. Senza scontri diretti fra le superpotenze, almeno fino a quel momento. Gordon Matthew Thomas Sumner, musicista inglese molto noto al pubblico internazionale con il nome d’arte Sting, chiuse tutte queste sensazioni nel testo di una canzone per altro molto intensa, “Russians” (nota1), che scrisse nel 1985  e pubblicò l’anno successivo. E’ una canzone pacifista che, come talvolta accade agli artisti, ha avuto la capacità di esprimere e concentrare tutte le obiezioni, le paure che vivevano milioni di persone, schiacciate  in un gioco più grande di loro… nel testo Sting cita il leader sovietico Nikita Kruscev, che in un discorso promise agli occidentali “vi seppelliremo tutti”, così come il presidente statunitense prometteva ai suoi alleati “noi vi proteggeremo”: garbatamente Sting rispondeva a entrambi che la gente non era d’accordo con quei punti di vista. E soprattutto, diceva che non esiste una guerra (nucleare ovviamente) che si può vincere, è una bugia retorica a cui non crede più nessuno. Che condividiamo tutti la stessa biologia, nonostante le differenti ideologie. E che l’unica cosa che potesse salvare tutti è che anche i Russi amassero i loro bambini… e l’insistente ticchettio ricordava (ma lo fa ancora oggi) che l’orologio  della catastrofe segna pochi minuti alla mezzanotte nucleare…e continua ad andare avanti.

Mentre il mondo restava attanagliato da queste paure, ciò che le causava, l’arsenale nucleare, continuava ad esser ben presente e ad espandersi. Ai militari di entrambi gli schieramenti i rispettivi governi chiedevano di esserne sempre pronti all’uso, di continuare  nella sfida reciproca all’efficienza. Quindi le armi nucleari continuavano ad essere portate in giro per il mondo, in un clima di tensione continua. E gli incidenti di conseguenza continuarono ad accadere, nonostante tutte le rassicuranti parole dei leaders politici. Come nella canzone di Sting…..

1985

11 febbraio  La temperatura era piuttosto rigida quel giorno a Fort Redleg, una base della U.S. Army nell’allora Repubblica Federale Tedesca a pochi chilometri dalla città di Heilbronn (nota 2) . Una squadra  di artiglieri della 56° Brigata di artiglieria da campo (56th Field artillery Brigade) stava procedendo all’estrazione del missile nucleare a medio raggio autotrasportabile, quando questo inspiegabilmente prese fuoco ed esplose causando la morte di tre militari, il ferimento di altri sette e notevoli distruzioni nel perimetro della base. L’arma era uno dei 108 lanciatori che dal 1983 erano in corso di rischiaramento in Germania, per fronteggiare di missili di pari classe da parte dei Sovietici nei paesi del Patto di Varsavia, Germania Democratica compresa. In realtà l’arrivo di quei missili in dotazione all’esercito americano aveva già creato molte polemiche in Europa, poiché da alcuni era sostenuto apertamente che lo schieramento di armi da parte dei Russi fosse avvenuto per l’intransigenza crescente da parte dell’amministrazione Reagan sugli equilibri degli schieramenti nucleari e sulla diffidenza verso le dichiarazioni ufficiali  di Mosca in materia. Il missile Pershing II era stato tutta la notte all’aperto, nel contenitore con cui era arrivato dagli States. Ora la squadra di militari, con una temperatura di circa -7 gradi, nonostante fossero già le 14 del pomeriggio, stava smontandolo per posizionarlo sul carrello – lanciatore mobile. L’esercito americano stava amaramente per comprendere che anche i missili a propellente solido potevano essere soggetti a incidenti, non solo quelli liquidi. Secondo quanto fu appurato dall’inchiesta tecnica, mentre il personale della batteria C del 3° battaglione procedeva ai lavori, il motore del missile, la cui struttura esterna era costituita da kevlar, strisciò contro la gomma siliconica che costituiva la protezione interna del container. La bassa temperatura e il freddo secco favorirono l’accumularsi di una forte carica elettrostatica che incendiò il carburante Thyokol TX 174 del primo stadio. In meno di un secondo la pressione e la temperatura furono tali che l’intero missile si sbriciolò, lanciando rottami fino a  quasi 300 metri di distanza ed investendo con fiamme altissime tutto ciò che lo circondava. Per fortuna la testata da 400 kilotoni  era come da procedure, custodita in un “pit” corazzato separato. A seguito dell’esplosione la movimentazione di tali armi nucleari fu bloccata fino al 1986, quando venne profondamente modificato il manuale sulle procedure di manutenzione e messa in sicurezza dei missili a propellente solido.

10 giugno nelle prime ore del mattino, il sottomarino lanciamissili a propulsione nucleare HMS Resolution (nota 3), in servizio con la Marina di Sua maestà Britannica, venne speronato a largo di Cape Canaveral in Florida da uno yacht privato, il Proud Mary, che dovette essere trainato in porto per le riparazioni. Il Resolution invece non ebbe danni di grande rilievo. Il sottomarino stava raggiungendo il poligono di tiro della U.S. Navy Atlantic Test Range, per procedere ad un lancio addestrativo di un missile intercontinentale Polaris. Il Resolution era il primo dell’omonima classe di sottomarini, costruiti per portare ciascuno 16 lanciatori del missile americano. Furono costruiti 4 esemplari, oggi tutti ritirati dal servizio.

Immagine 1 il relitto del sottomarino K 431 attende a Petropavlovsk  l’inizio dei lavori di smantellamento

Immagine 1 : il relitto del sottomarino K 431 attende a Petropavlovsk l’inizio dei lavori di smantellamento. Il 10 agosto 1985 un incidente durante il cambio della barre di Uranio dei reattori causò una delle peggiori catastrofi nella storia dell’atomo militare.

10 agosto nella baia di Chazhma, a pochi chilometri dalla popolosa Vladivostock, la Marina Russa ha da sempre  la sua base di appoggio per la flotta del Pacifico, dove viene anche effettuata la manutenzione per i sottomarini a propulsione nucleare. Il K 431 (nota 4 e immagine 1), un sottomarino  della classe Echo II potenziato da due reattori a acqua pressurizzata da 70 Megawatt, quel giorno veniva sottoposto alla sostituzione delle barre di combustibile, costituite da una lega a base di uranio arricchito. L’operazione, per quanto complessa, era abbastanza comune sia per gli equipaggi che per il personale civile della base. Ma quel carico fu causa di uno dei più terribili incidenti militari di cui si abbia conoscenza. Verso la sera, mentre gli uomini stavano ultimando il carico, venne notato un disallineamento tra il  coperchio del reattore e la camera delle barre: a causarlo un elettrodo da fusione, dimenticato da un operaio. Si dovette nuovamente sollevare con l’argano sia le barre di Uranio che la griglia del sistema di contenimento. Nell’esatto momento in cui il reattore veniva estratto, il passaggio di una silurante nella baia causò un’onda tale lo scafo del sottomarino si spostò, le barre e la grata di contenimento si allontanarono tra loro ben oltre la distanza massima consigliabile. Alle 10.55, pochi attimi dopo, il combustibile del reattore di destra entrò in una reazione a catena spontanea incontrollabile. Un’enorme esplosione distrusse il comparto motore, uccidendo sul colpo le dieci persone, tra marinai e lavoratori, in quel momento attorno al battello, scagliò il pesante coperchio del reattore nell’acqua a 70 metri di distanza, squartò lo scafo e il ponte a poppa del battello e lanciò le barre di Uranio estremamente cariche (o quel che ne rimaneva) nella base e nella foresta attorno alla stessa. Un incendio violentissimo fu domato con fatica dopo quattro ore, mentre il sottomarino giaceva affondato di poppa nel bacino. Buona parte dei detriti cadde entro un raggio di 100 metri, ma una nube di ceneri e gas radioattivi venne spinta verso la penisola di Dunay, di fronte alle banchine della base, sfiorando la città militare di Shkotovo 22, a circa 1 chilometro e mezzo. Nelle 24 ore successive, iniziò il calcolo dei danni della contaminazione nucleare. Al momento dell’esplosione il livello di contaminazione era di 90.000 Roentegents/ora, circa tre volte quello attorno alla centrale di Chernobyl dopo l’esplosione del reattore. Alcune ore dopo era sceso, ma si attestava a 600 Roentgents/ora, comunque ben 30 volte superiore alla dose mortale per un essere umano che vi sia esposto per soli cinque minuti…una energia pari a sei milioni di Curie venne liberata nell’aria. I corpi, o quel che ne restava, dei dieci morti, letteralmente schiacciati, carbonizzati sulle pareti del sottomarino o della banchina, vennero seppelliti a notevole profondità, in quanto fortemente radioattivi. Il 30% del territorio della base e due chilometri quadrati della foresta risultarono contaminati oltre ogni possibilità di bonifica. Immediatamente iniziò l’opera di contenimento, che impegnò 2.209 persone, esposte a dosi massicce di radiazioni lavorando prive di protezioni. Già nei giorni successivi 49 tra pompieri e marinai svilupparono avvelenamenti acuti da radiazioni. In gran velocità vennero rimossi e seppelliti in 4 grandi trincee scavate nella foresta ben 1.200 metri di asfalto, 4.585 metri cubi di terra e pietrisco, 760 tonnellate di metallo e cemento. Delle persone impiegate nella bonifica 290 operarono nell’area maggiormente contaminata. Quanti morirono o subirono, fino ad oggi, le conseguenze durature dell’esposizione non sarà forse mai possibile saperlo, il risvolto forse più amaro di questo incidente. Le autorità  sovietiche, con la ben nota mania per la riservatezza, distrussero tutte le prove (cartellini di ingresso ai cantieri, ordini di servizio, registri..) per cui a nessuno dei lavoratori fu possibile vedersi riconosciuto il servizio reso in quei giorni. Così come ad ufficiali e marinai fu dato ordine tassativo di mantenere il silenzio: un segreto che rimase tale fino al 1993.  Ancora oggi giornalisti coraggiosi e associazioni indagano sulle tragedie ecologiche ed umane di quegli anni, in una battaglia legale con il governo russo a colpi di processi e ingiunzioni contro la censura, che prosegue da oltre vent’anni. Intanto i materiali radioattivi continuano a inquinare mortalmente le acque e il terreno attorno alla baia di Chazhma…

Nel corso del 1985 a bordo di sottomarini sovietici in servizio si sarebbero verificati altri incidenti, ma sulle effettive dimensioni degli stessi, danni a persone o all’ambiente non vi sono ad oggi notizie certe: il K 447, il K 208 e il K 367 sarebbero stati vittime di perdite al sistema primario di raffreddamento, di cui non si conoscono però i particolari, tranne che per l’ultimo battello, per il quale si sospetta sia andato in avaria il sistema di controllo automatico dell’attività del reattore. Il K 38, il K 255 (questi primi due a quanto pare nel corso del mese di marzo), il K 369, il K 298 e il K 192 subirono incendi.

24 ottobre il sottomarino nucleare da attacco USS Swordfish (SSN 579) (nota 5), durante la navigazione nell’Oceano Pacifico subì un’avaria al sistema di propulsione. Non se ne conosce la portata.

24 novembre  la portaerei americana a propulsione nucleare USS Enterprise (CVN 65) si arena sulla Bishop’s Rock a circa 100 miglia dalla base navale di San Diego in California. La portaerei riceve una falla di quasi venti metri sullo scafo e un danneggiamento ad un’elica, ma è in grado di partecipare alle manovre. Dopo il 27 novembre, la portaerei raggiunse il porto per le riparazioni in bacino di carenaggio. Durante le ispezioni venne constatato che un’elica si era deformata e dovette esser sostituita. Ma in ogni caso, la portaerei fu in grado di partecipare all’esercitazione preventivata, né furono rilevate anomalie ai reattori.

31 dicembre mentre è attraccato al porto di Palma di Maiorca, nelle isole Baleari, l’USS Narwhal (SSN 671), sottomarino d’attacco classe Sturgeon, rompe i cavi di ormeggio e resta alla deriva per alcune ore nella baia, prima che si riesca a rimorchiare il battello di nuovo al molo (nota 6). Il Narwhal era in realtà un classe Sturgeon “anomalo”, in quanto servì a testare i reattori S5G con sistema di raffreddamento del reattore “a circolazione naturale dell’acqua”, così come altri accorgimenti strutturali adottati poi su altre classi di sottomarini. Questo rendeva il Narwhal all’epoca il sottomarino più silenzioso nell’arsenale americano, quindi meno individuabile. Per questo fu probabilmente coinvolto in missioni di sorveglianza e spionaggio, di cui oggi ancora nulla ufficialmente si conosce.

1986

Immagine 2 la torretta dell'USS Nathanael Greene (SSBN 636) posta all'ingresso della rada di Cape Canaveral

Immagine 2: la torre di comando dell’USS Nathanael Greene (SSBN 636) accoglie le navi all’ingresso del porto di Cape Canaveral, in Florida. La base, nota per le installazioni spaziali della NASA, in realtà è anche inserita in un poligono marino di tiro in cui i sottomarini (statunitensi e di Paesi alleati) sono autorizzati a effettuare lanci di addestramento dei missili normalmente dotati di testate nucleari. Dopo la demolizione, la torre è stata adottata come ‘gate guardian’, la ‘guardia del cancello’.

13 marzo  il sottomarino lanciamissili balistici USS Nathanael Greene (SSBN 636), nonostante il ruolino di servizio di tutto rispetto, è un battello abbastanza bersagliato dalla sfortuna: dopo due incidenti, uno nel 1970 e ben due nel 1984, durante un’esercitazione di immersione profonda nel mare d’Irlanda, urtò il fondale per motivi non del tutto chiariti, danneggiando gravemente le superfici di controllo a poppa e le casse di zavorra principali (nota 7). Ricevute le prime riparazioni di emergenza presso la base scozzese di Holy Loch, il sottomarino attraversò l’Atlantico in immersione,  raggiungendo la base di Charleston, in South Carolina. I danni ingenti subiti dal battello, la sua non più giovane età (i sottomarini classe James Madison erano entrati in servizio lungo gli anni 60) e le restrizioni sul numero di sottomarini dotati di armi nucleari strategiche stabilite nel trattato di disarmo SALT II ne segnarono il destino.

Immagine 3 lancio da sottomarino di un missile UGM 73 Poseidon

Immagine 3: lancio in immersione di un missile balistico intercontinentale ad uso marino Locheed Martin UGM 73 Poseidon. Il missile è un esemplare da esercitazione, come indica il colore vivace della pannellatura.

Radiato dal servizio attivo e inserito nel programma Submarine Recycling Program (immagine 2), restò assieme a molti altri battelli ormeggiato nel Puget Sound Naval Shipyard di Bremerton fino al 2000, quando lo smantellamento e lo smaltimento del battello fu terminato. Sulla sfortuna o meno di un mezzo si può discutere, anche fare delle battute di spirito, se non fosse per il rischio  che riguarda in primis l’equipaggio (sul Greene erano imbarcati 143 uomini). Ed anche molte altre migliaia di persone, visto che oltre alle barre di Uranio del suo reattore ad acqua pressurizzata S5W, l’armamento di lancio del sottomarino prevedeva 16 silos contenenti altrettanti missili balistici intercontinentali Lockheed UGM 73 Poseidon (immagine 3), ciascuno capace di portare in media 10 testate W68 da 40/50 chilotoni di potenza ciascuna (Fat Man, l’atomica sganciata su Nagasaky aveva una potenza di 22 chilotoni, ovvero 22mila tonnellate di TNT). Senza contare la possibilità di imbarcare anche siluri a testata nucleare modello Mk 45…. Lasciamo fare a voi due conti rapidi sul potenziale distruttivo contenuto nel, Nathanael Greene. La Marina Statunitense ha ammesso che questo incidente è tra il più gravi che siano occorso alla sua flotta sottomarina nucleare, dopo quelli che hanno portato alla perdita dell’intero battello (immagine 2).

IMMAGI~4

Immagine 4 : un cane nato con gravi malformazioni causate dalle radiazioni emanate dal reattore della centrale di Chernobyl e esposto al museo dell’incidente a Kiev, in Ucraina. Immagine concessa in uso da Vincent de Groot

26 aprile Chernobyl. Pochi nomi come questo sono capaci di evocare angoscia, di incarnare l’immagine della tragedia, fino a diventarne un sinonimo (nota 8, immagini 4, 5 e 6). Non è un incidente nucleare militare, ma dopo Hiroshima e Nagasaky è di gran lunga il più grave, 7° grado della scala INES che misura la gravità di questi eventi. E’ 1.24 di notte: il reattore viene sottoposto in quei giorni a prove di funzionamento sotto stress, in particolare si stava provando per quanto tempo turbina e generatore riuscissero a produrre energia, anche dopo che  l’impianto di raffreddamento avesse cessato di produrre vapore. Per questo erano stati disabilitati alcuni sistemi di sicurezza. Nella sala di controllo non si percepisce, nei minuti precedenti, ciò che sta accadendo, perché la crescita del calore nel reattore è talmente rapida da superare la capacità di rilevamento degli strumenti. Il progetto del reattore RBMK 1000, raffreddato ad acqua pressurizzata e moderato con barre di grafite, come molti altri  reattori sovietici, non è nato per produrre energia, ma per arricchire il Plutonio a uso militare. Non ha sistemi secondari di contenimento, perché deve essere facile la sostituzione delle barre di combustibile, come in tutti i reattori di questo tipo.

IM9C2F~1

Immagine 5 : attorno alla centrale, immensi cimiteri di mezzi di ogni tipo restano abbandonati alla ruggine. Troppa la radioattività assorbita nei durante il lavoro attorno al reattore n. 4 scoperchiato. Nessuno conosce con certezza il destino di chi li ha utilizzati in quei terribili giorni….

Quando il personale nella sala di controllo comprende che qualcosa sta andando storto, è troppo tardi. Anzi, la decisione di rimettere nel nucleo le barre di assorbimento in grafite (che costituiva la fase finale del test)  non fece nient’altro che dare altro combustibile al rogo nucleare, perché le barre scesero solo parzialmente, bloccate nei condotti deformati dal calore. A quel punto tutto si fonde, dalle tubature spezzate l’acqua di raffreddamento raggiunge le barre in fusione nel basamento e evapora istantaneamente. L’idrogeno generato esplode scagliando attraverso il tetto dell’edificio i blocchi di cemento di contenimento, assieme ad almeno il 25% delle barre di Uranio e di quelle di grafite, come un vulcano in piena eruzione. Pulviscolo e vapore altamente radioattivi sono scagliati nell’atmosfera. Nella vicina città di Pripyat l’esplosione sveglia buona parte dei cittadini. Nell’impianto 3 persone sono morte istantaneamente, altre 28 entro poche ore moriranno per l’immensa quantità di radiazioni emesse: secondo i calcoli degli scienziati, fino a 400 volte le emissioni della bomba di Hiroshima. Dopo il solito tentativo di minimizzare o negare l’accaduto, durato peraltro alcuni cruciali giorni, di fronte alla nube radioattiva che attraversava l’Europa portando con se Iodio 131 e Cesio 137, il governo dell’URSS dovette ammettere  con gli altri Paesi la portata dell’incidente e chiedere aiuto alla comunità internazionale. L’ultimo dei 42 vigili del fuoco ed operai che intervengono immediatamente sul tetto e attorno al cuore del reattore, muore 96 giorni dopo la tragedia. I sovietici inviano migliaia di soldati a spostare freneticamente i detriti in fiamme dal tetto degli altri 3 reattori del complesso, a evacuare  città e villaggi per migliaia di chilometri quadrati attorno all’impianto. Le prime immagini concesse alle tv occidentali li mostrano lavorare davanti al mostro senza altro addosso che tute da protezione antincendio o maschere antigas. Come entrare nudi in un altoforno. Attorno al reattore sventrato si misurano coi contatori Geiger 20.000 Roentgen. Per capirsi, l’esposizione a soli 500 Roentgen in un’ora,  porta un essere umano alla morte entro le 5 ore successive. L’emissione del vapore ionizzato, fonte della più intensa contaminazione, cessa il 10 maggio. Quanti siano stati esposti alla fine dell’emergenza, cioè una volta rinchiuso il reattore in un immenso sarcofago di cemento e acciaio, non è dato sapere. Fino a tutto il 1987 erano stati contati 2.900 lavoratori civili e oltre 16.000 soldati nel cantiere. Anche se c’è chi parla di oltre 600mila “liquidatori”, certificati con attestato dello Stato,  che si avvicendarono a Chernobyl, spesso gettando direttamente nella fornace nucleare detriti e grafite, a mani nude. Circa 240.000 lavorarono all’interno dei 30 chilometri dal reattore, assorbendo dosi elevate di energia per più lungo tempo. A 26 anni di distanza, l’area per sempre inabitabile, le città fantasma, abbandonate in pochi giorni, le suppellettili lasciate parlano di vite spezzate in un momento. Gli oltre 1350 tra camion, cingolati, betoniere, gli elicotteri utilizzati per sganciare sul reattore scoperchiato boro, sabbia e dolomia,  abbandonati, completamente resi radioattivi; sono queste le parole mute che restano. Come le fotografie di tanti che si sono sacrificati in quelle ore. Le possiamo vedere a Kiev, al museo del disastro. O sulle tombe nei villaggi, da dove venivano quei soldati e quegli operai. Parlano i  casi di leucemia e  cancro alla tiroide, che molto spesso colpiscono i bambini: tra il 1987 e il 2005 ne sono stati conteggiati 6000 casi, nella popolazione giovanile esposta  direttamente alla contaminazione in Ucraina e Bielorussia, per cui statisticamente c’è da attendersi un incremento del trend, dovuto all’azione prolungata nel tempo di alcuni elementi radioattivi persistenti, oltre che dai danni immediati. Alcune fonti, come Greenpeace, hanno calcolato potranno raggiungere i 90.000. Anche se l’UNSCEAR (United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation, Comitato Scientifico delle Nazioni Unite per lo studio degli effetti delle radiazioni ionizzanti) ha condotto 20 anni di dettagliata ricerca scientifica ed epidemiologica sugli effetti del disastro. A parte i 57 decessi direttamente ascrivibili all’incidente in sé, l’UNSCEAR ha originariamente predetto fino a 4,000 casi di tumori da attribuire all’incidente.  Al di là di questo, il sarcofago costruito allora sta rapidamente arrivando a fine vita, numerose crepe stanno creandosi, dopo 25 anni di radiazioni e una temperatura interna che in alcuni punti raggiunge ancora i 1000 gradi…. Il nocciolo e la struttura del reattore, ormai fusi assieme, sono sprofondati di altri 4 metri, seppur le fondamenta non siano state superate in nessun punto. Lì giace il “piede di elefante”, un ammasso di Uranio, Grafite e altri materiali colato dalla sala del reattore e solidificatosi in questa strana forma. Un robot lo ha fotografato durante una delle ispezioni sullo stato interno del sarcofago. Ma solo un robot poteva avvicinare quel mostro che  emette un’energia di 10.000 Roentgen all’ora, sufficiente a mandare in pezzi un corpo umano nel giro di pochi minuti. Ma quel che è peggio, la centrale si trova nel bacino naturale dei fiumi Pripyat e Dnepr, quest’ultimo sfocia nel Mar nero, lungo le sue rive vivono più di 30 milioni di persone. L’avvelenamento delle falde ed il rilascio nei fiumi di radionuclidi potrebbe avere conseguenze incalcolabili…29 aprile l’USS Atlanta, sottomarino da attacco appartenente alla classe Los Angeles, collide violentemente contro il fondale durante la navigazione attraverso lo stretto di Gibilterra, mentre sta entrando nel Mediterraneo (nota 9). Immediatamente il sistema di emergenza (Emergency Ballast Tank Blow System, sistema di espulsione di emergenza dalla cassa di zavorra) entrò immediatamente in azione spingendo tonnellate di acqua fuori dalla cassa ed il sottomarino riemerse rapidamente.

6

Immagine 6: sul pavimento di un edificio a Pripyat migliaia di maschere antigas, con cui migliaia di lavoratori operarono nell’area di interdizione attorno alla centrale. Totalmente inutili contro le radiazioni, sono un simbolo dell’impotenza di fronte al mostro.

Una prima ispezione dei sommozzatori di bordo confermò che l’impatto è stato tanto violento da riuscire a staccare la cassa di zavorra di prua dallo scafo in alcuni punti, mentre la fibra di vetro che costituisce l’isolante interno pendeva ridotta a brandelli…anche l’’impianto sonar fu danneggiato, lasciando il sottomarino privo di un apparato fondamentale per la navigazione subacquea. Dopo  aver raggiunto il porto di Gibilterra ed avere meglio considerato i danni escludendo ogni coinvolgimento del propulsore nucleare, il comando della 6° Flotta della US Navy  ritenne di far tornare l’Atlanta per le riparazioni alla base di Norfolk, in Virginia. La ricostruzione dei fatti compiuta dalla commissione d’inchiesta non riuscì del tutto a chiarire i motivi della collisione. I sottomarini oceanici moderni sono dotati di un sofisticato sistema di navigazione inerziale capace di calcolare, secondo la rotta seguita, la velocità del battello e le carte sottomarine, ogni correzione di rotta per evitare ogni ostacolo sommerso conosciuto. Tuttavia anche navigando alla bassa velocità di sei/sette nodi, cioè attorno agli 11 – 13 chilometri all’ora,  una nave che stazza 6.900 tonnellate e scivola in un liquido ha un notevole grado di inerzia alle correzioni. Per cui anche il sistema inerziale ha bisogno di essere periodicamente azzerato e riprogrammato prendendo dei punti di riferimento a livello periscopico, sia geografici  che basati sulle trasmissioni di radiofari o satelliti. La missione dell’Atlanta avveniva in un momento di grande tensione con il regime del rais libico Muhammar Gheddafi, schierato col blocco sovietico, che non riconosceva il limite di 21 miglia delle acque internazionali nel Golfo della Sirte ed era apertamente avversario degli Stati Uniti, appoggiando anche attività terroristiche (basti ricordare l’assalto allo scalo all’aeroporto di Roma della Hel Hal, la compagnia di bandiera Israeliana, costato 19 morti). Il 19 aprile aerei dell’USAF provenienti dall’Inghilterra e della US Navy lanciati da portaerei nel Mediterraneo avevano bombardato basi militari e la residenza di Gheddafi. Quindi si sospettava che il canale di Gibilterra fosse sorvegliato da spie libiche e il passaggio di un sottomarino da attacco armato di missili Cruise non passasse inosservato. Il primo ufficiale (in quel momento il capitano non era sul ponte comando ) durante il passaggio dello stretto probabilmente fu troppo condizionato da questo rischio e ritardò il rilevamento della posizione, causando l’errore nel sistema di navigazione inerziale e l’impatto con i rilievi sottomarini. In ogni caso, l’Atlanta tornò negli Stati Uniti con una lenta navigazione in superficie durata tre settimane….e con un nuovo comandante.

31 luglio il 1986 non è un anno fortunato per le forze subacquee americane: l’USS Guitarro (SSN 665) (nota 10), sottomarino a propulsione nucleare classe Sturgeon, subì un problema a una valvola mentre si trovava in navigazione. Le fonti della marina non hanno concesso altro all’informazione, sottolineando peraltro che nessun  apparato a bordo, men che meno nucleare, è rimasto danneggiato o ne ha corso il rischio….

3/6 ottobre nemmeno sul lato opposto della cortina d ferro il 1986 è un anno da ricordare…mentre a Chernobyl si combatte ancora la battaglia col reattore esploso, nell’Oceano Atlantico si sta preparando un’altra tragedia. Partito dal porto militare di Gadhzievo, vicino a Murmansk, il sottomarino K 219, un lanciamissili nucleari balistici classe Yankee I, sta pattugliando le acque a un migliaio di chilometri dalle isole Bermuda, posizione ottimale per un eventuale lancio diretto alla Est  Coast degli Stati Uniti (nota 11). Alle 5, 14 del mattino, durante un controllo al comparto n. 4 viene scoperta un’infiltrazione di acqua nel silo n. 6 (il terzo sulla fila di sinistra), contenente un missile balistico a doppia testata nucleare SS-N-6. Mentre l’ufficiale agli armamenti e un tecnico cercano di capire da dove arriva l’acqua, che sembra filtrare dal lato dei collegamenti elettrici all’arma, improvvisamente la perdita diventa una falla vera e propria. Immediatamente il comandante Igor Britanov ordinò alle 5.25 di risalire alla quota di 46 metri per sicurezza, mentre le pompe cercano di svuotare il comparto del missile. Alle 5.32 da sotto il missile si sprigionano dense nubi di fumo marrone: l’acqua marina aveva raggiunto il carburante liquido del missile e stava producendo vapori di acido nitrico. A questo punto l’ufficiale armiere dichiarò incidente in corso, i compartimenti stagni vengono chiusi, ma 9 uomini restano nel comparto n. IV interessato dall’avaria. L’equipaggio è esperto e in meno di un minuto sta mettendo in pratica le procedure di emergenza, ma alle 5.38 una forte esplosione avviene nel silo n. 6. La situazione precipita:  tre uomini sono stati uccisi dall’esplosione, altri sei sono in pericolo nel comparto missili, Britanov ordinò l’emersione rapida per disattivare i due reattori a acqua pressurizzata che potenziano il battello, ma  raggiunta la superficie il K 219 resta senza energia elettrica. Le barre di controllo vanno inserite secondo procedura manuale, ma nel comparto del reattore la temperatura stava salendo vertiginosamente. L’ufficiale alle macchine Belikov è riuscito a calare tre delle quattro barre, ma non ce l’ha fatta con la quarta. Un marinaio di leva, il ventenne Sergei Preminin, entrò nella camera di controllo, dove la temperatura ha raggiunto i 70 gradi e riuscì a far scendere l’ultima barra. Cercò a quel punto di riaprire il comparto, ma cadde esausto a terra. Nemmeno i compagni riuscirono più ad aprire dall’esterno la porta blindata della camera assistendo impotenti alla morte del marinaio. A questo punto il comando della Marina informato della situazione ordinò a Britanov di attendere una nave appoggio che trainasse il battello alla base di partenza. Una volta raggiunti da una nave da carico russa, si tentò il traino che però fu impossibile. A quel punto l’incendio ed i gas del propellente liquido resero impossibile restare sul sottomarino, così Britanov mandò il suo equipaggio sulla nave da carico, mentre lui rimase a bordo. Mosca, irritata da quello che pensa essere un atto di insubordinazione, solleva Britanov dal comando e ordinò all’ufficiale politico di far tornare Ma è ormai tardi : appesantito dall’acqua imbarcata e privo di controllo, prima dell’alba del 6 ottobre il K 219 affondò, trascinando con se i corpi di sei valorosi uomini, due reattori nucleari e sedici missili, con trentadue testate operative. Il K 219 si adagiò sulla piana abissale di Hatteras, a  circa 6000 metri di profondità, sotto una pressione titanica. Due anni dopo la nave oceanografica sovietica Keldysh fotografò il relitto ed eseguì campionature dell’acqua. Dal momento che il comandante Britanov nelle ultime ore disperate del K 219 aveva fatto aprire i portelli dei missili raggiunti dall’acqua per fare evacuare i vapori ed evitare altre esplosioni, numerosi missili sono usciti dai silo e risultano dispersi sul fondo oceanico. Il sottomarino si è spezzato in due giusto davanti alla torre e attorno al relitto fu riscontrata una lieve traccia di radioattività, il che non fa sperare bene per il futuro…Preminin e gli altri caduti furono insigniti di onorificenze alla memoria, di onorificenze, mentre il comandante Britanov fu posto sotto accusa per negligenza e sospetto sabotaggio, come nella peggior tradizione sovietica, confinato a Sverdlovsk in attesa di processo. Con le dimissioni del ministro della difesa Sergey Sokolov, dopo il caso Mathias Rust (il giovane tedesco che atterrò sulla Piazza Rossa con un piccolo aereo Cessna da turismo, in barba a tutta la difesa aerea russa) il comandante Britanov venne scagionato dalle accuse e il caso archiviato. Anche a livello internazionale l’incidente ebbe conseguenze: i militari sovietici reclamarono apertamente con il governo americano per la presenza di un sottomarino da attacco, l’USS Augusta (SSN 710), che tallonando troppo da vicino il k 219 lo avrebbe speronato, provocandola la falla che ha portato alla perdita del battello e a una grave minaccia per l’integrità dell’ambiente oceanico. I vertici della US Navy, di solito piuttosto parchi di commenti sulle attività subacquee, questa volta risposero seccamente (forse sorpresi dalla “Glasnost” sovietica) che non era avvenuto alcun inseguimento né alcuna collisione fra il K 219 e l’USS Augusta. Ma di là a pochi giorni, l’11 e il 12 ottobre a Reykjavik, in Islanda, il presidente statunitense Reagan e quello sovietico Gorbaciov si sarebbero incontrati per uno storico colloquio su progetti di guerre stellari americani e sullo spiegamento di missili nucleari russi a medio raggio in Europa. Per cui ci fu un tacito accordo a trattenere ciascuno i propri “mastini della guerra” e a glissare sulle polemiche reciproche.

20 ottobre  in realtà, che le marine americana e sovietica giocassero una pericolosa partita a rimpiattino a distanza ravvicinata era del resto dimostrato da numerosi casi di collisione accaduti nei decenni precedenti (nota 12). Anche nel caso dell’USS Augusta, impegnato a sorvegliare i sottomarini lanciamissili che incrociavano a largo degli Stati Uniti, se non con il K 219 è probabile abbia avuto un “contatto ravvicinato del terzo tipo” con un altro battello. Infatti, pochi giorni dopo, ritornato in pattuglia l’Augusta ebbe una collisione in immersione con un oggetto non identificato. Il battello dovette rientrare a Groton per gli accertamenti del caso sui danni subiti, quantificati in circa 3 milioni di dollari. La US Navy fu rapida nel dichiarare che l’impianto propulsivo nucleare era perfettamente integro e non aveva corso alcun rischio…fotografie prese pochi giorni dopo mostrano un sottomarino lanciamissili classe Delta I (identificato da alcune fonti russe come il K 279) con una evidente ammaccatura sulla parte destra della prua. E’ plausibile che l’Augusta stesse inseguendo questo sottomarino, e non il K 219…che a sua volta lo stesse portando a farsi agganciare da un sottomarino da attacco classe Victor, nell’eterna lotta tra preda e cacciatore…

di Davide Migliore


Note

(1) http://www.youtube.com/watch?v=wHylQRVN2Qs

http://lyricskeeper.it/it/sting/russians.html

Sting, “Russians”

(2) http://articles.latimes.com/1985-01-12/news/mn-9508_1_unarmed-missile

http://www.fbjs.facebook.com/note.php?note_id=217420051617134&comments

 Incidente del 11.02.1985 a un missile Pershing II  

http://en.wikipedia.org/wiki/MGM-31_Pershing

Missile Martin Marietta MGM 31Pershing II  

http://miamisburg.org/pershing_missile_56th_field_artillery_command.htm   

organigramma e storia della 56th Field Artillery Brigade della U.S. Army

http://www.fbjs.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.dtic.mil%2Fcgi-    

bin%2FGetTRDoc%3FAD%3DADP005343%26Location%3DU2%26doc%3DGetTRDoc.pdf&h

     =xAQHQiQ7Q&s=1

Relazione tecnica sull’incidente al missile Pershing II ad Heilbronn del 11.02.1985

(3) http://www.britishpathe.com/video/polaris-fired-from-h-m-s-resolution

Video British Pate del lancio  in immersione di un misslie Polaris dall’HMS Resolution (1968)

(4) http://robertamsterdam.com/2008/08/grigory_pasko_prelude_to_chernobyl/

Grigory Pasko, “Prelude to Chernobyl”, articolo sull’incidente di Chazhma Bay

http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&frm=1&source=web&cd=16&ved=0CEgQFjAFOAo&url=http%3A%2F%2Fwww.ippnw-students.org%2FJapan%2FChazhmaBay.pdf&ei=_4qiUKbhOYuTswa3hoGgBw&usg=AFQjCNG2t1DPaq0lNboha4YqOKO5jw_x-Q&sig2=aUdZIpFDAbr7tsEDe9R5rA

Documento PDF,  International Physicians for the Prevention of Nuclear War, l’inquinamento nucleare a Chazhma Bay

http://spb.org.ru/bellona/ehome/russia/nfl/nfl8.htm#O17b

Bellona Report nr. 2:96. Written by: Thomas Nilsen, Igor Kudrik and Alexandr Nikitin, rapporto pubblicato dalla Bellona Foundation sugli incidenti che hanno colpito la flotta sottomarina nucleare sovietica fino agli anni ‘90.

(5) http://navysite.de/ssn/ssn579.htm

Incidente allo USS Swordfish

(6) http://navysite.de/ssn/ssn671.htm

http://www.mesotheliomaweb.org/mesothelioma/veterans/submarines/uss-narwhal

USS Narwhal SSN 671, incidente a sottomarino nucleare

(7) http://navysite.de/ssbn/ssbn636.htm

http://en.wikipedia.org/wiki/USS_Nathanael_Greene_(SSBN-636)

L’incidente all’USS Nathanael Greene

(8) http://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_di_%C4%8Cernobyl

Centrale nucleare di Cherbnobyl ,  disastro nucleare

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=8088 

“In diretta da Chernobyl” di Charles Choi,

www.scientificamerican.com

(9) http://en.wikipedia.org/wiki/USS_Atlanta_(SSN-712)             

http://navysite.de/ssn/ssn712.htm

Incidente all’USS Atlanta (SSN 712)

http://www.oocities.org/uss_atlanta_ssn/seastories.html

La collisione dell’USS Atlanta col fondo dello stretto di Gibilterra nella testimonianza del marinaio Glenn Damato

(10) http://navysite.de/ssn/ssn665.htm

 Incidente all’USS Guitarro

(11) http://english.pravda.ru/russia/politics/09-10-2012/122396-submarine_reagan_gorbachev-0/

http://en.wikipedia.org/wiki/Soviet_submarine_K-219

Hostile Waters (ISBN 0312966121) by Peter Huchthausen, Igor Kurdin and R. Alan White

L’affondamento del K 219 a largo delle Bermuda.

(12) http://en.wikipedia.org/wiki/USS_Augusta_(SSN-710)

http://navysite.de/ssn/ssn710.htm

L’Uss Augusta e la presenza di sottomarini russi a largo delle coste americane, probabili casi di collisione.


Fonti generali

http://www.progettohumus.it/public/forum/index.php?topic=428.0;wap2

Incidenti nucleari o potenzialmente nucleari dal 1971 ad oggi

http://lists.peacelink.it/armamenti/msg00252.html

Lista di incidenti a sottomarini e vascelli militari angloamericani dal 1945 

http://www.at1ce.org/themenreihe.p?c=United%20States%20submarine%20accidents

http://spb.org.ru/bellona/ehome/russia/nfl/nfl8.htm#O17b

Lista incidenti a sottomarini sovietici con cause

https://www.cia.gov/library/center-for-the-study-of-intelligence/csi-publications/books-and-monographs/a-cold-war-conundrum/source.htm sito ufficiale della C.I.A.

http://nuclearweaponarchive.org/index.html

The nuclear weapons archive

http://books.google.it/books?id=3wUAAAAAMBAJ&pg=PA23&lpg=PA23&dq=us+nuclear+submarine+accidents+1985&source=bl&ots=QvKSE3wTuu&sig=y6tbBUeneIb4ZiRAi6BYv-2tHOc&hl=it&sa=X&ei=3-mjUIuqFsfEsgbL-4DoAw&ved=0CCYQ6AEwATgK#v=onepage&q=us%20nuclear%20submarine%20accidents%201985&f=false

Bulletin of the Atomic Scientists, july/august 1989 issue

http://www.nukewatchinfo.org/nuclearweapons/index.html

Informazioni aggiornate sulla produziione di armamenti, sulle conseguenze mediche e ambientali della produzione di armi, iniziative pacifiste e di eliminazione degli armamenti nucleari.

http://bispensiero.blogspot.it/2007_05_01_archive.html

Blog con liste dei principali pericoli e situazione attuale della strategia atomica

http://archive.greenpeace.org/comms/nukes/chernob/rep02.html

http://www.rmiembassyus.org/Nuclear%20Issues.htm

http://www.web.net/~cnanw/a7.htm

10 mishaps that might have started an accidental nuclear war.

http://forum1.aimoo.com/American_Cold_War_Veterans/Cold-War-Casualties/Naval-Accidents-During-Cold-War-1-1579633.html

Incidenti navali con vittime durante la Guerra Fredda

Commenti (0)

Advertise Here

Foto da Flickr

Guarda tutte le foto

Advertise Here

LINK