Archivio Tag | "Northrop Grumman"

La guerra dei droni: un affare da 130 miliardi di dollari

Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

La guerra dei droni: un affare da 130 miliardi di dollari

Pubblicato il 20 novembre 2013 by redazione

drone 2

Piloti da terra, si preparano a guidare in remoto il caccia X-47B.

Su wikipedia si legge che un Drone è un aeromobile a pilotaggio remoto o APR Il suo volo è, quindi, controllato dal computer a bordo del velivolo, sotto il controllo remoto di un navigatore o pilota, sul terreno o in un altro veicolo.

Il loro utilizzo è molto diffuso in tutti i casi in cui tali sistemi possono consentire l’esecuzione di missioni “noiose, sporche e pericolose” (dull, dirty and dangerous) spesso con costi minori rispetto ai velivoli tradizionali.

Noiose, sporche e pericolose, dunque una vera manna dal cielo …

La velocità di diffusione di questi velivoli negli ultimi tempi ha visto schizzare le ordinazioni delle industrie militari, al punto che in alcune aziende si lavora giorno e notte per soddisfare le richieste. Un vero boom economico per il mercato aeromobile, civile e militare, soprattutto americano, cinese e israeliano. Ma la vera novità non è la nascita di un nuovo businnes, quanto piuttosto le implicazioni che un velivolo di questo tipo innescano.

X-47B è un drone americano, costruito per poter decollare e atterrare direttamente su una portaerei, quindi senza alcun vincolo di atterraggio o decollo subordinati alle autorizzazioni di altri Paesi per l’eventuale uso delle loro basi.

Questo drone è un aeromobile grande come un caccia, che viaggia senza pilota e, che grazie all’uso delle portaerei potrà dirigersi ovunque nel mondo, incrementando di molto il suo potenziale spazio aereo, oltre alle aumentate possibilità operative militari, soprattutto negli attacchi missilistici contro obiettivi terroristici in Iraq, Afghanistan, Pakistan e Yemen. Lo stesso ammiraglio Ted Branch, a capo delle forze navali nell’Atlantico, subito dopo il primo decollo di prova, dalle coste della Virginia, ha esclamato “Oggi è una giornata storica”.

L’unico vero problema è che un drone di questo tipo, al momento di un raid militare, anche se supportato da un pilota remoto, potrebbe mietere numerose vittime tra i civili, come è già stato ormai ribadito da più parti nel mondo e negli stessi Stati Uniti.

Drone_1

Le industrie americane premono per facilitare l’esportazione di droni oltremare.

Le industrie americane costruttrici di guerra cercano, come è ovvio, di influenzare se possibile le scelte politiche del proprio Paese, contribuendo con fiumi di dollari alle diverse campagne elettorali.

Alcuni diplomatici hanno rivelato a WikiLeaks che ci sono regimi, come quelli degli Emirati Arabi Uniti e dell’Arabia Saudita, che hanno già chiesto di poter acquistare droni armati da fornitori americani, anche se finora pare non ci siano riusciti.

In realtà sia la General Atomics sia la Northrop Grumman e altre aziende costruttrici starebbero spingendo le lobby del Congresso a facilitare le attuali restrizioni che regolano l’esportazione di droni.

Attualmente, infatti, le leggi sono molto rigide e servono ad evitare che i droni venduti ad altri Paesi vengano poi utilizzati contro gli interessi americani, come ad esempio dall’Iran.

Queste nuove tecnologie belliche, in effetti, stanno già cambiando il modo di fare la guerra. Chi le possiede, grazie a loro, potrà risparmiare denaro, capitale umano, pattugliare meglio i confini dei propri territori e avere più garanzie di successo nelle azioni militari.

Nessuna meraviglia, quindi che i costruttori di droni militari premano per riuscire a facilitare le vendite oltremare, soprattutto se all’orizzonte intravedono un giro d’affari mondiale, che dagli attuali 7 miliardi di dollari è destinato a crescere entro il 2021 fino 130 miliardi di dollari.

Va sottolineato, infatti, che mentre il prezzo di un caccia F35 si aggira sui 130 milioni di euro, il prezzo di un drone militare oscilla al massimo fra 3,7 e 10 milioni di euro, in particolare per i Reaper di ultima generazione.
Va anche ricordato che negli Stati Uniti, solo negli ultimi 10 anni, il Pentagono è passato da un impiego di droni iniziale di poche decine di unità a un flotta di 7 mila Uav (Unmanned aerial vehicle). Senza contare tutto il mercato indotto delle semplici manutenzioni.

L’Unione Europea pensa a droni Made in Europe: nasce un nuovo consorzio a sostegno del progetto Dassault.

Entro il 2016 Bruxelles dovrebbe aprire lo spazio aereo civile ai droni e la stessa Frontex, l’agenzia militare che controlla i confini europei, sta pensando di impiegare molto presto i velivoli a controllo remoto.

In un documento redatto a Settembre del 2012, dalla Commissione europea, l’UE invita le imprese a investire in questo nuovo mercato che promette miliardi di euro e molteplici applicazioni, non solo in ambito militare, ma anche civile, come ad esempio per il monitoraggio degli eventi di massa, delle calamità naturali o più semplicemente per la supervisione degli spostamenti di migranti in mare in direzione di Lampedusa.

Cassidian, del gruppo franco-tedesco-spagnolo Eads, la francese Dassault Aviation e l’italiana Alenia Aermacchi (Finmeccanica), hanno lanciato un’iniziativa congiunta, con cui chiedono ai rispettivi Paesi di partire nella produzione di un drone di sorveglianza (eventualmente armato) di classe MALE (Medium-Altitude Long-Endurance). Nella lettera comune si legge «Un programma europeo sarebbe in grado di rispondere ai nuovi requisiti delle forze armate e di ottimizzare nel contempo la difficile situazione dei budget della difesa». Assente in questa iniziativa, l’importante colosso inglesi Bae Systems.

In ogni caso l’Europa intende seriamente recuperare un gap di quasi 10 anni di ritardo sulle industrie americane e israeliane. Si tratta in parte di una scelta scontata, perché per poter armare questi nuovi velivoli occorre sempre richiedere l’autorizzazione ai loro produttori statunitensi. E’ già successo all’Italia, che dopo aver acquistato due Reaper americani, che intendeva usare in Afghanistan, attende da più di due anni l’autorizzazione Usa per poterli armare. Anche la Germania ha dovuto abbandonare il programma Euro Hawk perché si è accorta che per armare i vecchi Global Hawk americani e poterli usare in Europa, avrebbe dovuto spendere un sacco di soldi aggiuntivi a quelli già investiti per acquistarli. La Francia, infine, dopo aver comperato alcuni droni, sempre di fabbricazione statunitense, da impiegare in Mali, si è resa conto di poterli usare solo in condizioni di libertà operatività ridotta.

Guardare, perciò, a una produzione di droni europei non è poi così fuori luogo. L’argomento potrebbe già essere discusso questo dicembre, tra i temi dell’ultimo Consiglio Europeo del 2013.

Anche l’Italia si lancia nella progettazione e fabbricazione di droni.

Dopo la Gran Bretagna, l’Italia è stato il primo Paese europeo ad attrezzarsi con droni americani, non armati, a scopo ricognitivo e d’intelligence.

Questa nuova tecnologia, già testata nella guerra in Iraq, ha posto il nostro Paese al primo posto in Europa per competenza e capacità di impiego e anche per lo sviluppo di nuovi velivoli a controllo remoto.

Sono già molte le giovani aziende italiane, specializzate in robotica, che si sono attivate per progettare droni terrestri, aerei e marini, capeggiate dalle big company europee per la Difesa, tra cui Alenia Aermacchi.

L’Italia, quest’anno con Piaggio Aero Industries ha presentato il nuovo aereo Uav P.1HH Hammerhead, sempre per le missioni di sorveglianza, intelligence e ricognizione. Si sta progettando anche il drone killer Male – Medium Altitude Long Endurance – per bombardamenti a lunga gittata. Il progetto, ancora molto riservato, sembra essere già stato avviato da Finmeccanica.

Sigonella

L’Italia è candidata a diventare tra i più grandi Hub mondiali di droni.

Entro il 2017, faranno il loro ingresso, nel “parco macchine” Nato di Sigonella, i primi cinque droni dei 20 previsti, per potenziare il piano Nato Smart Defence (difesa satellitare intelligente), per un investimento di diverse centinaia di milioni di dollari.

Sigonella si prepara così a diventare un grande hub mondiale per i droni.
Da qui Eurosur dell’Ue, proteggerà le frontiere europee, anche usando le moderne tecnologie Uav.
Tra la Puglia, la Sardegna, le basi di Sigonella e Trapani in Sicilia e l’isola di Pantelleria, il nostro ministero della Difesa ha anche creato speciali «corridoi di volo» per gestire al meglio la zona del Mediterraneo.

Dal 18 Ottobre, anche nel Canale di Sicilia, gli UAV sono già al lavoro e affiancano la nave anfibia San Marco, sorvegliando le rotte dei migranti, e la Frontex, deputata a gestire le frontiere esterne dell’UE.

Al momento il parco droni italiani include 6 Reaper (falciatori) e 6 Predator, assegnati al 32esimo stormo della Base di Amendola in Puglia. I 12 aerei teleguidati sono stati acquistati fra il 2001 e il 2008, per un importo complessivo di circa 380 milioni di dollari.

Mentre i Predator sono destinati a operazioni di pattugliamento dei territori, attraverso lo scatto di immagini fotografiche, i Reaper sono in grado anche di sganciare ordigni. Considerando che in Afghanistan ci sono circa 4 mila nostri uomini, oltre a mezzi aerei e terrestri da proteggere, i 6 Predator servono appunto per le ricognizioni e d’appoggio ai militari.

I droni d’attacco Reaper, sono invece impiegati dagli americani nei raid anti-qaedisti in Pakistan e Yemen – dove avrebbero intercettato jihadisti e sventato attacchi terroristici. In occasione della campagna Nato in Libia, del 2011, i Predator italiani sono partiti per aiutare gli analisti americani a identificare i targhet sensibili.

All’inizio di quest’anno, infine, l’Italia ha fornito il supporto logistico ai francesi per il loro intervento in Mali, contribuendo, poi, con i propri droni a rifornimenti e osservazione in volo.

Disposition Matrix e la guerra dei droni.

Da un’inchiesta del Washington Post del 2012, sembra che gli Stati Uniti abbiano creato un sistema, il disposition matrix, che in ogni angolo del mondo individua, cattura e uccide le persone sospettate di terrorismo, attraverso l’impiego anche di droni. Secondo il documento del Washington Post, si calcola che a partire da un primo drone usato per uccidere alcuni presunti membri di Al-Qaeda nello Yemen, le vittime degli ultimi 10 anni siano già più di 3000.

Da un punto di vista strettamente giuridico non esiste una legge specifica per casi come questi, salvo l’autorizzazione del Congresso, successiva ai fatti dell’11 settembre 2001, che consente l’uso della forza militare per fini antiterroristici e più in generale il diritto all’autodifesa. Così è lo stesso Presidente Obama, che sotto la sua personale responsabilità, esamina la lista dei presunti terroristi e ne autorizza l’attacco.

Giuristi di varie parti del mondo non ritengono sia legittimo autorizzare l’attacco a individui di identità ignota, le famose signature strikes, semplicemente sulla base di alcune attività, che siano assimilabili a 14 casi di riferimento specificati dal programma e analizzati da Kevin J. Heller dell’Universitá di Melbourne. Tra le attività indicate vi sono per esempio quelle di: pianificare un attacco; trasportare armi; maneggiare esplosivi; essere in un compound o in un campo di addestramento di Al-Qaeda, essere un uomo ‘in età militare’ in territori in cui sono in corso attività terroristiche, essere in compagnia di militari o muoversi armati nelle zone controllate da Al-Quaeda.

Secondo uno studio pubblicato dall’Università di Staford, il diritto internazionale umanitario (quello applicato in tempo di guerra) che permette l’uso intenzionale di forze letali, unicamente se assolutamente necessario e in proporzione alla situazione, non concorda con questi “omicidi intenzionali e premeditati”.

Anche nello Special Rapporteur dell’Onu, sulle esecuzioni extragiudiziali, si legge: “In base al diritto dei diritti umani, un omicidio mirato, nel senso di un omicidio intenzionale, premeditato e deliberato, eseguito da forze di polizia non può mai essere legale perché, a differenza che in un conflitto armato, non è mai permesso che il solo obiettivo dell’operazione sia l’uccisione”.

La questione è stata, recentemente, di nuovo sollevata alle Nazioni Unite dalla Francia, attraverso un’interpellanza scritta in cui si chiede di aprire un formale dibattito. Jean-Hugues Simon-Michel, durante la Conferenza del Disarmo a Ginevra, ha sottolineato la questione dell’arbitrio degli uomini nel decidere se utilizzare la forza letale. Anche il rappresentante egiziano si è mostrato preoccupato e ha fatto un’altra interpellanza scritta per la messa al bando a priori di questo tipo di armi.

Amnesty International a Human Rights Watch, hanno già dato il via a una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica mondiale,  la Campagna “Stop Killer Robots”.

Nel sito della campagna si legge: “Diverse nazioni con eserciti hi-tech, tra cui Cina, Israele, Russia, Gran Bretagna e Stati Uniti si stanno muovendo verso sistemi che danno sempre più autonomia alle macchine nei combattimenti. Se uno o più di loro decidesse di impiegare armi pienamente autonome, un passo ancora più in là rispetto ai droni armati e controllati da remoto, altri potrebbero sentirsi obbligati ad abbandonare le loro politiche restrittive in materia, e tutto ciò porterebbe a una corsa alle armi robotiche. Per cui è necessario ora un accordo per stabilire dei controlli prima che gli investimenti, la spinta tecnologica e nuove dottrine militari rendano difficile cambiare il corso delle cose”.

Nel documento Will I be next? US drone strikes in Pakistan, “Sarò io il prossimo? Gli attacchi con i droni USA in Pakistan”, preparato da Amnesty International negli ultimi mesi, sugli omicidi eseguiti dagli Stati Uniti attraverso i droni nel nord-ovest del Pakistan, Amnesty accusa gli americani di assassinio di civili, terrore, mancata trasparenza e crimini contro l’umanità.

Di recente il segretario di Stato John Kerry ha reso noto che gli attacchi negli ultimi tempi sono diminuiti e che la Casa Bianca starebbe anche pensando di chiudere il programma.

Il terzo millennio sarà quello della guerra dei droni

Secondo un rapporto del Governo di Washington i paesi dotati di droni sono 76. Più di 50 Paesi stanno progettando e costruendo almeno un centinaio di tipi di droni. Di tutti questi Paesi, però, solo Israele, Gran Bretagna e Stati Uniti utilizzano droni armati. I modelli più noti sono i Reaper e i Predator.

Americani e israeliani sono anche i più grandi esportatori di droni. Tra il 2005 e il 2010 gli americani hanno autorizzato il trasferimento di tecnologia a quindici Paesi alleati, tra cui anche Italia, Danimarca, Lituania, Australia, Colombia e Singapore. A maggio del 2012 sul Wall Street Journal si leggeva che gli USA avevano accettato di armare i droni dell’aeronautica militare italiana, ma a Roma l’autorizzazione del Congresso non è ancora arrivata.

Il mercato israeliano delle Elbit Systems e della Israel Aerospace Industries, promuove l’80% delle sue esportazioni verso Gran Bretagna, Asia, America Latina (Colombia, Ecuador, Brasile, Cile, Perù, Venezuela) e recentemente anche India.

Gli americani di General Atomics, invece, con l’autorizzazione governativa firmata, hanno già concluso un accordo con gli Emirati Arabi Uniti per una fornitura non armata di Predator, per un totale di circa 200 milioni di dollari. L’Arabia Saudita ha poi chiesto al Governo di Washington, di poter acquistare droni armati, ma naturalmente la risposta è stata negativa.

Resta l’esercito britannico, la Royal Air Force, con al suo attivo 500 droni, ma l’obiettivo di avere, entro il 2030, un terzo della flotta aerea completamente comandata a distanza. Per questo progetto è anche già stato stabilito il punto di raccolta nella città di Waddington, nel Lincolnshire.

E arriviamo infine alla Cina. Pechino in ritardo, come tutti, rispetto a Stati Uniti e Israele, sta sviluppando i suoi droni, molto simili ai Reaper americani, e che intende utilizzare per sorvegliare i confini con Giappone, India, Vietnam e Filippine e le zone del Pacifico di influenza americana.

A una certa distanza sembra lo scacchiere di un banale Risiko. Di certo l”economia americana ha trovato una via per un suo nuovo e redditizio sviluppo economico, ma anche un modo per mantenere attivo e onnipresente il suo ruolo e la sua supremazia militare nel mondo.

La Guerra dei Mondi, racconta da Herbert George Wells sembra proprio dispiegarsi sopra le nostre teste.

di Adriana Paolini

Linkografia:

– Articolo apparso su Daily Mail “Killer Robot”:

http://www.dailymail.co.uk/news/article-2324571/U-S-Navys-X-47B-stealth-drone-launches-aircraft-carrier-time–critics-warn-heralds-rise-killer-robots.html

– Articolo apparso su The New American:

http://thenewamerican.com/

– Documento redatto a Settembre del 2012, dalla Commissione europea:

http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&ved=0CDEQFjAA&url=http%3A%2F%2Fdronewarsuk.files.wordpress.com%2F2012%2F09%2Fec-swd_civilrpas.pdf&ei=a0mJUuj6M4i47Qam9oCYBA&usg=AFQjCNGGv-ftxKARiYjA_6cMyHsJPwgONg&sig2=2s0cfLiU947rIZ39FJBMuw&bvm=bv.56643336,d.bGE&cad=rja

Piano Nato Smart Defence:

http://www.nato.int/cps/en/natolive/topics_84268.htm?

http://www.nato.int/cps/en/natolive/official_texts_87594.htm

– Inchiesta Washington Post:

http://www.washingtonpost.com/world/national-security/plan-for-hunting-terrorists-signals-us-intends-to-keep-adding-names-to-kill-lists/2012/10/23/4789b2ae-18b3-11e2-a55c-39408fbe6a4b_story.html

– Kevin J. Heller:

https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2169089

– Studio dell’Università di Stanford:

http://blogs.law.stanford.edu/newsfeed/2012/09/25/living-under-drones%E2%80%9D-new-report-issued-by-the-international-human-rights-and-conflict-resolution-clinic/

– Special Rapporteur dell’Onu:

http://unispal.un.org/UNISPAL.NSF/0/69633D6116C53C898525773D004E8C13

Interpellanza della Francia durante la Conferenza del Disarmo a Ginevra:

http://www.reachingcriticalwill.org/images/documents/Disarmament-fora/1com/1com13/statements/8Oct_France.pdf

– Interpellanza del rappresentante egiziano durante la Conferenza del Disarmo a Ginevra:

http://www.reachingcriticalwill.org/images/documents/Disarmament-fora/1com/1com13/statements/8Oct_Egypt.pdf

– Campagna “Stop Killer Robots”:

http://www.stopkillerrobots.org/

http://www.unog.ch/80256EE600585943/%28httpPages%29/4F0DEF093B4860B4C1257180004B1B30?OpenDocument

 

Commenti (2)

Burt Rutan

Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

Burt Rutan

Pubblicato il 15 febbraio 2013 by redazione

Burt_Rutan1° parte

Elbert Leander Rutan, per gli amici ed estimatori, semplicemente Burt: un nome abbastanza anonimo per uno degli ingengneri areonautici più eclettici e prolifici della storia.

Nato il 17 giugno 1943 nello stato americano dell’Oregon, ad Estacada, pochi chilometri da Portland, cresce in California, a Dinuba, dove sin da piccolo si appassiona a veivoli aerei.

Pare che già a 10 anni disegnasse macchine volanti e, nel 1959, a soli 16 anni riuscì persino a prendere il brevetto di volo. Naturalmente si iscrisse alla facoltà di ingegneria aeronautica alla California Polytechnich State University, da cui brillantemente uscì laureato nel 1965, terzo di tutto il suo corso.

Forse sarà stato il fatto di esser nato nello stesso giorno in cui un altro genio dell’aeronautica, Clarence “Kelly” Johnson fondava gli “shunk works”, i laboratori segreti dell’industria Lockheed, fucina di progetti ed esperienze rivoluzionarie sia in campo militare sia civile, a partire dai bollenti giorni della Seconda Guerra Mondiale fino a quelli degli anni della guerra fredda.

O forse fu la fortuna di crescere in uno degli stati più effervescenti della ricerca aeronautica e sede di alcune tra le maggiori industrie del “più pesante dell’aria” di tutto il mondo.

Fino al 1972 lavorò per l’aeronautica Statunitense, la U.S. Air Force, nella Edwards Air Force Base, dove tutta la sua ecletticità e il suo modo controcorrente di pensare aerei e materiali ebbe la possibilità di svilupparsi al massimo. Venne, infatti, coinvolto assieme alla compagnia  Ling-Temco-Vought nello sviluppo dell’XC142, una velivolo VSTOL, ovvero Vertical Short Take Off and Landing, cioè un aereo che, grazie all’ala rotante sul proprio asse, poteva rapidamente divenire simile a un elicottero, permettendo l’atterraggio e il decollo in verticale, in uno spazio di pochi metri. In realtà le difficoltà tecniche portarono all’abbandono del progetto, che rinacque però anni dopo e portò alla realizzazione del V22 Osprey, attualmente in linea con le forze armate statunitensi.

L’esperienza su progetti del genere non fecero che aumentare la convinzione che si potessero progettare macchine volanti usando materiali e formule ben diverse dai “canoni classici” che si insegnavano nelle facoltà universitarie o si seguivano nelle industrie aerospaziali.

Conclusa l’esperienza con l’USAF, assunse fino al 1974 la carica di responsabile collaudi per la Bede Aircraft in Kansas, dove maturò anche la decisione di mettersi in proprio e investire nelle idee che stava sviluppando. Si trasferisce così nel bel mezzo del deserto del Mojave, dove fonda la Rutan Aircraft Factory, assieme ad alcuni altri ‘pazzi visionari’.

1

Il Rutan VariEze nella galleria del vento del centro di ricerca aeronautica della Nasa a Langley.

Model 27VariViggen

La prima realizzazione fu il Rutan Model 27VariViggen: già nell’aspetto questo piccolo velivolo manifestava tutto l’approccio alternativo della progettazione Rutan. Nato già negli anni successivi all’università, il primo prototipo (ispirato al caccia supersonico svedese SAAB J 37 Viggen) iniziò ad essere assemblato nel garage di casa Rutan nel 1968, nel più classico stile ‘do it yourself’ americano, ma Burt ci stava lavorando sin dal 1963, mentre studiava ancora ingegneria.

L’idea era di fornire al mercato un velivolo semplice da diporto, facile da costruire e mantenere, dalle prestazioni estremamente avanzate. Rutan credeva nell’idea di un’aviazione per tutti, una “motorizzazione” dell’aria facile ed economica.

Lungo solo 5,12 metri, con un’apertura alare di 5,79 metri, per una superficie di soli 11,40 metri quadri e un peso di 772 chili in ordine di volo, questo biposto era sostenuto da un piccolo motore a scoppio Lycoming, con elica spingente: praticamente un’alternativa all’auto, “parcheggiabile agevolmente nel garage di una casa di periferia”. Il motore era posizionato in fusoliera dietro all’abitacolo e non davanti come si è soliti vedere… questa scelta implicava però la rinuncia ai comandi classici di coda, timoni di direzione e profondità sdoppiati, per far posto all’elica e in parte compresi nell’ala a delta, ovvero dal disegno in pianta che ricorda la metà di un triangolo. Parte sono invece posti in un’aletta davanti all’abitacolo, secondo una soluzione detta ‘Canard’ (anatra in francese) oggi piuttosto comune anche nei velivoli militari ad alte prestazioni, ma allora… questo rendeva un aereo sicuro per il turismo e il diporto, difficile da far entrare in stallo (cioè perdere la portanza, il sostegno del flusso di aria che spinge verso l’alto il velivolo) e nelle cadute a vite, le più pericolose. Ma soprattutto sono i materiali: esteso l’uso del legno ma soprattutto delle fibre di vetro. Rutan sin da allora ha sempre mostrato fiducia nei materiali alternativi, una visione lungimirante come vedremo in seguito.

Il prototipo del VariViggen oggi è conservato nel Ventura Air Museum. Ne furono costruiti solo 5 esemplari, ma il VariEze da cui fu sviluppato venne estesamente costruito e venduto fin al 1985, anche come kit montabile in casa.

2

Un esemplare di Model 33 VariEze in volo mostra le dimensioni compatte e le linee anticonvenzionali del progetto di Burt Rutan.

Model 33 VariEze

Lo stesso Rutan dimostrò le possibilità della sua formula impegna dosi con il Model 33 VariEze, evoluzione del VariViggen in produzione dal 1976,  a polverizzare vari record , tra cui quello stabilito al raduno areonautico di Oshkosh, con una distanza coperta di ben 2.636 chilometri di volo! E con un consumo di carburante irrisorio, meno di un’automobile… Niente male per un aereo appartenente alla classe di peso inferiore ai 500 chili… il pilota Gary Hertzler vinse con un VariEze il premio CAFE (Challenge Aircraft Efficiency Prize) per la sicurezza. In effetti, di tutte le varianti del variEze (seguito dal più grande Long-Eze) furono costruiti più di 2000 esemplari, venduti in tutto il mondo addirittura in scatola di montaggio … gli incidenti registrati per questo velivolo, tra il 1976 e il 2005, furono solo 130, 46 dei quali con vittime, a fronte di un incalcolabile monte di ore di volo. Praticamente molto più sicuro di una qualsiasi automobile utilitaria. Al 2005 risultavano solo negli States ancora 800 VariEze iscritti al registro areonautico e in condizioni di volo. Per un piccolo produttore indipendente è assolutamente un miracolo.

3

Il Model 54 Quickie e le sue evoluzioni hanno segnato forse il vero primo successo dell’industria fondata da Burt Rutan e delle sue convinzioni. Nella foto, un biposto Quickie Q2 ripreso ad Arlington nel 2003.

Model 54 Quickie

Altrettanto fece il Model 54 Quickie: piccolo aereo da turismo, propulso da un motore bicilindrico raffreddato ad aria della Onan Industries, da appena 18 cavalli, con una struttura timoni-ali a x, che richiamava più un caccia interstellare appena uscito da Guerre Stellari che un normale velivolo da  diporto. Addirittura ne fu studiata una versione che poteva montare un motore da automobile Wolkswagen !!! Nato nel 1977 sull’onda del successo del VariEze, segnò la definitva affermazione delle idee di Burt Rutan e della sua impresa commerciale. Alla fine della produzione, più di 3000 kit di Quickie.

Nel 1982 Burt Rutan fonda la Scaled Composites

Altra genialità di Rutan fu proprio di puntare decisamente su “scatole di montaggio”, come i modellini in scala, contenendo così il costo del velivolo e della produzione, dimostrando anche che qualsiasi cliente era in grado di costruirsi un aereo in garage o in un prato davanti a casa. Non c’è bisogno di essere degli ingegneri!

Nella sua azienda-abitazione nel deserto del Mojave questo tipico ragazzo americano continuava a sfornare idee e progetti senza soluzione di continuità. Ma soprattutto è nella chimica e nella fisica dei materiali, nell’immensamente piccolo, che Rutan cercava i segreti per poter viaggiare sempre meglio nell’“immensamente grande”.

Nel 1982 si sentì abbastanza pronto per fondare la Scaled Composites, azienda che  attualmente costituisce ancora il cuore delle imprese di Burt Rutan.

Il concetto è semplice: se voglio creare aerei e strutture alternative, c’è bisogno di materiali altrettanto anticonvenzionali. Allora perché non crearmeli da solo? Simbolo di quella ingenuità e genialità, che talvolta contraddistingue le imprese americane, Burt Rutan decise di creare un luogo dove si creassero gli aerei dal nulla: progettare, sperimentare il materiale e la struttura, costruire e testare il prototipo, infine iniziare la produzione. Tutto all’insegna della ricerca, del risparmio di materie prime e peso, per un risultato di massime prestazioni.

Nella compagnia sarebbero stati presenti tutti i profili di professionalità necessari: ingegneri, operai, chimici, piloti, tutti animati dalla fede nel realizzare l’impossibile. E il mondo aveva iniziato a credere  nelle capacità di quel simpatico geniaccio californiano, compreso il governo  americano e quegli stessi militari con cui Rutan aveva iniziato il suo percorso.

4

Il prototipo dell’assaltatore “ARES” con un’accattivante colorazione notturna.

Infatti alla Rutan Aircraft Factory prima e alla Scaled Composites poi, viene chiesto di partecipare ad un concorso del ministero della difesa per un piccolo jet da osservazione e attacco al suolo, per cui Rutan ed i suoi progettisti creano l’ARES, un monoplano monomotore dalle prestazioni assolutamente incredibili per  la fine degli anni ‘80. Il progetto non venne poi più sviluppato, ma il prototipo dell’ARES continua ad essere impiegato per testare soluzioni e c’è stato anche più di un interessamento per produrlo come una “fuoriserie dell’aria”, per clienti amanti delle alte prestazioni.

Viene anche ricordato per esser stato impiegato in alcuni film di avventura e fantascienza. Ma anche i grandi colossi come la Northrop Grumman commissionano progetti a Burt Rutan: ad esempio l’aereo-spia senza pilota (drone in gergo areonautico) X47A.

5

L’aereo spia senza pilota X47A progettato per la Northrop Industries.

In ogni caso, il principale campo di ricerca per Rutan resta quello dei materiali ultraleggeri, le strutture originali da impiegarvi, e il loro utilizzo nel campo civile, anche se le commesse militari rimangono sempre una tentazione, per una piccola compagnia che punta il tutto per tutto sulla ricerca.

Ultralite, una show-car progettata da General Motors  e realizzata da Rutan.

La riprova di quanto Rutan e la sua compagnia siano andati avanti nella ricerca e nell’applicazione dei materiali cosiddetti alternativi, arriva con Ultralite, una show-car progettata da General Motors  e realizzata da Rutan.

Struttura completamente realizzata in grafite e in pannelli in fibra di carbonio alternata a PVC, per una leggerezza e una robustezza inimmaginabili, che usa le classiche lamiere in metallo, oltre che il comfort interno molto maggiore per gli spazi così risparmiati e la visibilità esterna assolutamente non confrontabile con altre berline ordinarie: la leggerezza e la duttilità di questi materiali permettono di aumentare del 50% le superfici trasparenti (realizzate anch’esse in materiali di sintesi). Consumi ridicoli e durata eccezionale dei materiali (che non arrugginiscono…), purtroppo altre politiche industriali e altri calcoli di costo produttivo non hanno permesso all’epoca di sviluppare questo concept vehicle, che però ha fatto scuola tra le altre industrie internazionali dell’automobile. In futuro potrebbe divenire una realtà, sotto la spinta dei costi sempre più pesanti delle materie prime e di smaltimento dei veicoli convenzionali…

Voyager

Tra aerei da trasporto, sperimentali, jet executive e altre centinaia di progetti partoriti dalla sua mente vulcanica e visionaria, Burt Rutan ha sempre continuato a credere che la sfida ai record fosse il modo migliore (oltre che il più eccitante) di dimostrare  agli altri la validità del suo inimitabile “design”.

Da parecchi anni stava pensando ad un’impresa pazzesca: la traversata della Terra in un solo volo, senza scali e senza alcun rifornimento. Una cosa da epoca dei pionieri del volo, ma non certo nel pieno dell’era dei satelliti e degli aviogetti. Tuttavia era qualcosa che non era mai stato tentato prima, una cosa da storia dell’aviazione, e della scienza. Come un tarlo ormai gli aveva  scavato nella mente e nel cuore.

Dick, fratello di Burt, ex pilota militare (la passione del volo è un punto in comune nella famiglia Rutan) e veterano del Viet-Nam, da tempo pilota capo collaudatore alla Rutan Aircraft Factory,  fu subito della partita, nutrendo la più grande fiducia nelle capacità progettuali del fratello minore. Nel 1981 iniziò, tra centinaia di impegni, a studiarne la fattibilità e a disegnare un aeroplano apposta per il record.

L’impegno richiese anni di prove, sviluppo di materiali (un grande uso di resine, epossidiche e fibra di carbonio) calcoli complicatissimi per il consumo di carburante e il tempo di volo, raccolta di fondi e ricerca di sponsor. Quest’ultimo aspetto fu fonte di amarezza, poiché nessuna banca, o altro grande sponsor, appoggiò l’impresa.

Addirittura il fatto che Dick e la sua compagna Jeanna Yeager non fossero sposati, negli anni dell’America Repubblicana e reaganiana, attirò loro l’antipatia dei conservatori radicali, … solo la grande e commovente generosità dei dipendenti di Rutan alla Scaled Composites (che lavorarono spesso senza compenso per quel progetto speciale) e di molti piccoli privati si riuscì ad avere i fondi necessari, oltre 2 milioni di dollari dell’epoca.

6

Alle prime ore del 26 dicembre 1986, il Voyager viene fotografato da un “chase plane” alla fine del suo volo non stop attorno al globo, poche ore prima dell’atterraggio sulla pista della base aerea di Edwards, da dove era partito 9 giorni prima, il 14 dicembre.

Assemblato con pazienza per mesi e mesi in un hangar del Mojave airport, superando problemi che nessun altro aveva mai dovuto affrontare e lo scetticismo di buona parte del mondo scientifico e dell’aviazione, la mattina del 14 dicembre 1986, dalla pista della base militare di Edwards (dove nel 1965 Burt Rutan aveva iniziato la sua carriera dopo gli studi di ingegneria) il Voyager, com’era stato battezzato il velivolo, decollò. Solo poche ore prima aveva ricevuto le eliche ed i motori definitivi.

L’aereo aveva fatto un solo volo di collaudo, il 22 giugno di due anni prima, per di più con solo un quarto del carburante nei serbatoi. Un altro volo, per raggiungere la fiera annuale aerea di Oshkosh fu quasi essere interrotto perché l’aereo dimostrò di non essere controllabile in caso di pioggia. Ma l’aereo arrivò e quasi un milione di persone poté vedere la creatura di Rutan dal vivo: fu un colpo pubblicitario enorme.

Finalmente, tra l’8 e il 15 luglio 1985, pur con alcune tappe intermedie e affrontando avarie pericolose, il Voyager stracciò il record di distanza su unico volo in circuito detenuto dalla US Air Force da quasi 40 anni, percorrendo in 111 ore e 40 minuti 11.857 miglia. Il Voyager era pronto. Probabilmente fu il progetto più impegnativo e frustrante per Burt Rutan. Fino all’ultimo si dovettero affrontare avarie e malfunzionamenti potenzialmente letali. L’aereo era come sempre un grande Canard, con le superfici di controllo poste avanti alle ali, una fusoliera centrale pressurizzata, con uno spazio simile a quello di una cabina del telefono, in cui i due componenti dell’equipaggio, Dick Rutan e Jeana Yeager, avrebbero convissuto per lunghi 9 giorni, assieme a radio e provviste. Era sostenuto da due moderni motori Teledyne Continental, un IOL 200 raffreddato a liquido posto nella parte posteriore della fusoliera centrale, che sviluppava 130 cavalli/vapore massimi, e un IOL  0-240 posto anteriormente, con raffreddamento ad aria, capace di 11° cavalli/vapore.

7

Le dimensioni del Voyager appaiono bene in questa foto scattata durante la presentazione al pubblico.

La lunga ala centrale, con un’apertura maggiore di quella di un Boeing 727, era costruita secondo una formula che le donava flessibilità e robustezza unici:  la struttura esterna era fatta di  numerosi fogli di carta sottilissima, impregnati di resine contenenti fibre di carbonio, mentre l’interno era costruito a celle a nido d’ape. Tutta la pannellatura esterna invece era formata da grafite, mentre per la struttura portante si era fatto largo uso di kevlar e fibre di vetro. Due semifusoliere partivano dal centro dell’ala, contenevano i carrelli d’atterraggio, strumentazione, celle del carburante e si ricongiungevano posteriormente con un unico piano di coda.

L’aereo era il primo di quelle dimensioni nella storia ad essere stato costruito interamente con materiali compositi e sintetici.

L’aero, senza attrezzature, carburante e motori, pesava soli 426 chili! Già al decollo i problemi non mancarono: sotto il peso di 3.180 chili  di carburante avio, le semiali si piegarono fino a urtare il suolo e due winglets, alette di controllo poste alle estremità delle ali, si staccarono. Ma Dick Rutan non se ne accorse, perché il microfono della radio era rimasto staccato e non sentì i disperati messaggi del fratello e dell’amico Mike Melvill, preso a controllare l’aereo che sembrava troppo lento rispetto ai calcoli. Nei 9 giorni Dick e Jeana, che non pilotava, ma svolgeva il fondamentale ruolo di supporto e controllo, dovettero affrontare di tutto: il motore anteriore si bloccò solo dopo poche ore di volo e ci volle parecchia inventiva per capire cosa l’aveva causato facendolo tornare miracolosamente in funzionamento. Durante il volo  di crociera, normalmente veniva tenuto in funzione solo uno dei due motori, utilizzandoli entrambi solo in caso di necessità. Successivamente l’impianto di pressurizzazione iniziò a non funzionare, quindi dovettero volare quasi sempre tra i 3 e i 4.000 metri. Questo voleva dire non poter sfuggire alle tempeste e alle correnti ascensionali, che sbattevano l’aereo come uno straccio.

Inoltre l’equipaggio dovette utilizzare giornalmente l’aspirina per tenere il sangue liquido e contrastare gli effetti della quota.

Non si poteva mai veramente riposare, c’erano sempre da controllare le temperature (un malfunzionamento alle ventole di raffreddamento teneva troppo elevata la temperatura dell’olio nei motori), sentire dal controllo missione a Mojave nell’hangar 77 la situazione meteo (Len Snellman, il metereologo volontario dell’equipe, fece del suo meglio per calcolare le rotte che li portassero lontani da tifoni e tempeste), continuare a travasare il carburante tra i serbatoi per mantenere l’equilibrio ed evitare torsioni eccessive alla struttura.

Oltre che a una serie di fortunali che sembrarono fare apposta a concentrarsi sulla loro rotta, si doveva lottare anche con le valvole del carburante, che tendevano a congelare. Sulla costa sudamericana una di queste smise di funzionare definitivamente. Assieme a tutto questo stress, anche il pilota automatico, che avrebbe dovuto affiancare Dick per buona parte del volo, sopra le Filippine mostrò funzionamenti anomali dei giroscopi, per cui non fu mai completamente affidabile.

Dick non poteva contare su turni di riposo finché non fosse stato riparato, per cui a Jeana toccò smontare e ricontrollare tutti i cablaggi delle strumentazioni, alla ricerca del guasto. Un errore di rotta di pochi decimi di grado avrebbe voluto dire perdersi su un oceano e la morte.

All’epoca il GPS era qualcosa che potevano permettersi i militari, e il governo americano non aveva patrocinato i Rutan… nonostante le autorità militari consentissero loro di appoggiarsi ai canali satellitari quando non occupati da traffico militare, alcuni danni alle antenne resero difficile il collegamento via UHF per tutto il volo.

Ma intanto l’impresa aveva calamitato l’attenzione nel pubblico mondiale, sembrando di rivivere i lontani 20 e 21 maggio 1927, giorni  in cui Charles Lindbergh, per primo e in solitaria, riuscì ad attraversare l’Atlantico a bordo del monoplano Ryan  “Spirit of St. Louis”.

Inoltre, gli ultimi 2 giorni di volo furono i più tesi, con l’equipaggio ormai stremato che dovette affrontare il pericolo più letale: i conteggi sul carburante non tornavano, per cui non si riusciva a capire  se vi fosse un consumo anomalo oppure se un serbatoio avesse una perdita… furono ore di frenetici colloqui col centro controllo e tentativi di far ragionare menti stanche e intorpidite dal rumore continuo dei motori.

Quando nella notte tra il 22 e il 23 dicembre il Voyager finalmente si stava avvicinando alla base di Edwards, Mike Mellvill e Burt Rutan saltarono sul bimotore Beechcraft Duchess (curiosamente per una volta Rutan non utilizzò un aereo di sua costruzione, ma della “concorrenza”) già utilizzato come aereo di supporto durante i collaudi, decollarono e raggiunsero il Voyager per scortarlo fino alla base, dove finalmente toccò terra sulla pista utilizzata dagli Space Shuttle al rientro dalle missioni spaziali,  alle 8.05 del 23 dicembre 1986.

Avevano volato per 40.210 chilometri e 969 metri, in nove giorni, tre minuti e 44 secondi, battendo il record stabilito nel 1952 da un bombardiere B 52 H dell’USAF nel 1952.

Nei serbatoi saranno trovati solo 32 litri di carburante residui.

Ad accoglierli  c’erano oltre 80.000 persone affluite nel deserto californiano, fin dentro la base, lungo la pista di atterraggio.

Vi era stato anche un’ulteriore grande sacrificio affrontato dall’equipaggio, di cui nessuno al di fuori dei partecipanti all’impresa era a conoscenza: la relazione tra Dick Rutan e Jeana Yeager non stava andando bene già prima che il viaggio cominciasse. Mesi di frenetici viaggi in giro per gli States, tra apparizioni in tv e conferenze stampa, per promuovere l’impresa avevano ulteriormente aggravato la situazione. Così che già qualche mese prima del decollo i due  avevano deciso di separarsi. Ma non avevano voluto renderlo pubblico per le conseguenze devastanti che avrebbero avuto sul progetto Voyager. Anzi, decisero di affrontare assieme il volo per il quale così a lungo si erano preparati assieme.

Poco tempo dopo la missione, il Voyager fu ritirato dal volo e donato alla Smithsonian Air and Space Museum, dove si trova esposto. A poca distanza dallo “Spirit of St. Louis” di Lindbergh.

Burt ce l’aveva fatta: a dispetto di tutte le previsioni ora davvero era entrato nella storia del volo. Ed aveva dimostrato che si può costruire un aereo di successo con materiali e linee ben diverse da quelli tradizionali. Aveva  indicato che una nuova via di sviluppo per l’aeronautica era possibile.

di Davide Migliore

 

Fonti generali

http://en.wikipedia.org/wiki/Burt_Rutan

http://it.wikipedia.org/wiki/Burt_Rutan 

biografie di Burt Rutan su Wikipedia

http://en.wikipedia.org/wiki/LTV_XC-142

gli anni con l’USAF alla Edwards AFB. Il progetto XC 142

http://en.wikipedia.org/wiki/Rutan_VariViggen

http://www.youtube.com/watch?v=sgbGpulUJdU

http://www.airventuremuseum.org/collection/aircraft/3Rutan%20VariViggen.asp

il primo progetto di Burt Rutan destinato alla produzione in serie

http://en.wikipedia.org/wiki/VariEze

il VariEze, primo grande successo di Burt Rutan.

http://airandspace.si.edu/collections/artifact.cfm?id=A19880548000

http://www.youtube.com/watch?v=jyRGNcbeS7o

l’aereo dei record : il Rutan Voyager

http://www.oshkosh365.org/saarchive/eaa_articles/1987_02_01.pdf

il viaggio del Voyager nelle parole del giornalista Jack Cox

http://www.youtube.com/watch?v=MYW6X46qWG0  

http://www.youtube.com/watch?v=OeO5xDfgRhs

http://www.youtube.com/watch?v=f9p0urF-Amc

http://www.youtube.com/watch?v=shlhQLw6jOg

Frontiers of Flight – the last great world record (1992), 4 parts vide

http://www.airportjournals.com/Display.cfm?varID=0612035

http://www.airportjournals.com/Display.cfm?varID=0701014

Airplane Journals, December 2006 I and II part, the story of the Voyager enterprise.

http://www.parabolicarc.com/2011/12/18/burt-rutan-recounts-emotional-voyager-flight/

Burt Rutan ricorda in un’intervista l’epopea del progetto Voyager

http://www.scaled.com/about/

Link al sito della Scaled Composites

Commenti (0)

Advertise Here

Foto da Flickr

Guarda tutte le foto

Advertise Here

LINK