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Nuova vita operativa per la vecchia bomba B61

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Nuova vita operativa per la vecchia bomba B61

Pubblicato il 29 febbraio 2016 by redazione

Gli Stati Uniti hanno lanciato un programma da 1000 miliardi di Dollari per aggiornare l’arsenale nucleare, compreso quello tattico schierato in Europa.

 

Immagine di apertura

Caccia F35A Lightning II mostra agganciati nei vani di carico due prototipi della bomba termonucleare B61-12.

 

Il presidente statunitense Barak Obama ha recentemente smentito le voci secondo cui il programma di ammodernamento dell’arsenale nucleare americano attualmente in corso possa subire variazioni o ridimensionamenti, confermando che nei prossimi 30 anni verrà aggiornata la capacità delle armi a disposizione, in modo da renderle pienamente compatibili con gli scenari di impiego attuali e i mezzi di nuova generazione.

Le prime armi a essere oggetto del Life Exstension Program saranno le armi termonucleari tattiche B61 per impiego aereo, le ultime a caduta libera ancora in servizio in numero consistente: già schierate da molti anni in Europa e oggetto del controverso programma di nuclear sharing con le forze armate di alcuni Paesi della NATO, erano considerate come superate nell’era delle cosiddette armi intelligenti, un relitto degli anni del confronto con l’Unione Sovietica e i suoi alleati.

La fine della guerra fredda ha però provocato una frammentazione dei centri di potere e una ripresa delle tensioni politico – economiche tra Paesi e all’interno stesso di molti Stati.

Il nuovo disordine mondiale ha creato anche una ripresa della corsa all’atomo militare: governi ritenuti poco stabili o non affidabili (le vicende di Iran e Nord Corea sono protagoniste della cronaca internazionale) guardano all’arma atomica come un mezzo per accrescere il proprio peso internazionale.

Inoltre in molti Paesi del campo occidentale, che fino a oggi hanno rinunciato a sviluppare programmi atomici aderendo ai trattati internazionali di non proliferazione, si sta timidamente riaprendo il dibattito sulla necessità di dotarsi dell’arma totale.

Non è certo una prospettiva incoraggiante, come osserva la Federation of Atomic Scientists, l’organizzazione di scienziati che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale controlla e informa l’opinione pubblica sulla situazione delle armi nucleari, attraverso la pubblicazione del Bullettin of Atomic Scientist.

Lo scienziato danese Hans Kristensen, che appartiene alla federazionne di scienziati e dirige il Nuclear Research Project, ha sottolineato che il mondo si trova in una situazione di crisi molto pericolosa, la probabilità di una catastrofe nucleare ha raggiunto livelli simili ai momenti più bui della guerra fredda.

Il Doomsday Clock, l’orologio simbolico creato dalla Federazione, segna oggi solo tre minuti prima della mezzanotte, l’ora dello scatenarsi di un conflitto nucleare globale, che cancellerebbe forse ogni forma di vita superiore sul pianeta.

Quindi è stata solo un’illusione che la fine della guerra fredda potesse allontanare il rischio di un conflitto combattuto con le armi di distruzione di massa.

La decisione di rinnovare e adeguare il deterrente nucleare al mutato teatro geopolitico internazionale risponde proprio alla necessità di mantenere il suo potere dissuasivo, secondo la motivazione ufficiale esposta dal governo americano.

Una risoluzione certo amara per l’amministrazione del Presidente Obama, che nel 2009 ha ricevuto il premio Nobel per pace per i suoi sforzi sulla cooperazione internazionale e che aveva firmato nel 2010 con il Primo Ministro russo Dimitry Medvedev il trattato New START di limitazione delle armi nucleari.

Il Presidente russo Vladimir Putin non ha nascosto la sua irritazione per l’avvio questo programma, che aggrava la situazione di stallo già esistente nei rapporti fra i due Paesi, dopo l’espansione della NATO a Est e la missione di assistenza militare nelle Repubbliche Baltiche, (Estonia, Lettonia e Lituania), la cui indipendenza non è mai stata ben digerita da Mosca.

Il disappunto dei russi è stato sottolineato da una massiccia ripresa dei voli a ridosso dello spazio aereo dei Paesi occidentali, in particolare di Gran Bretagna e Norvegia, degli aerei da caccia, da ricognizione e dei bombardieri strategici dell’aviazione della Federazione russa, come non si vedeva dagli anni del confronto diretto con l’URSS.

D’altro canto, la decisa condanna USA dell’ingerenza russa nella crisi ucraina e dell’intervento nel calderone mediorientale a fianco della Siria ufficialmente contro l’ISIS, ma in realtà contro ogni opposizione al presidente Bashar al Assad, hanno aumentato la divergenza fra i governi di Washington e Mosca, riportando a un clima di guerra fredda tra le due superpotenze.

Putin ha fatto riferimenti inquietanti all’uso eventuale delle armi atomiche non solo per reagire a un attacco strategico portato con armi di distruzione di massa, ma per ogni situazione che veda le forze russe sottoposte a una grave minaccia.

Peraltro negli anni scorsi anche la Russia ha annunciato una decisa ripresa degli investimenti nel sistema militare, giustificata come reazione alla aggressiva politica estera occidentale.

In realtà, anche il sistema nucleare russo ha bisogno di essere rinnovato e razionalizzato, dopo anni di stallo negli investimenti.

Anche il governo cinese ha espresso preoccupazione per il programma americano, per quanto a sua volta, sia ancora difficile capire quale sia la reale consistenza dell’arsenale atomico attivo di Pechino.

Gli Stati Uniti continuano però a respingere le accuse di favorire un clima da nuova corsa agli armamenti nucleari, sostenendo che il programma in corso rispetta le linee dettate nei trattati internazionali di non proliferazione e di limitazione degli arsenali a cui ha aderito.

Lo schieramento della versione 12 della bomba B61, ritenuta una arma sostanzialmente nuova, viene considerata da Mosca una grave violazione degli equilibri nucleari nel settore europeo, a cui la Russia non potrà che rispondere, probabilmente con il rischieramento di missili da crociera e altre armi tattiche, per lo più sul Mar Baltico e nel quadrante nord – ovest del territorio russo.

 

La bomba non va in pensione

Immagine 1

Esploso di una bomba termonucleare tattica B61. Anche se si tratta di una foto relativa a una versione precedente, punto di forza della B 61 è la semplicità dell’arma, con numero di componenti base abbastanza standardizzato per tutte le versioni. Il cuore fissile è contenuto nel cilindro metallico, posto a sinistra tra i componenti esposti.

 

Nel corso dei prossimi 5 anni gli Stati Uniti schiereanno la nuova versione B 61–12 dell’ultimo tipo di ordigno termonucleare a caduta libera ancora ampiamente presente negli arsenali areonautici.

Queste armi sostituiranno le versioni B61-7, 10 e 11 attualmente operative e verranno sostanzialmente ottenute modificando armi già esistenti.

Il Pentagono conta di arrivare a ricostruire circa 500 ordigni, dei quali 180 saranno dispiegati direttamente in Europa nelle basi aeree NATO. L’arrivo del nuovo equipaggiamento non interesserà solo le unità di attacco dell’USAF, ma anche le areonautiche di quei Paesi dell’Alleanza Atlantica che da oltre 50 anni praticano il concetto di nuclear sharing, la politica di condivisione di armi nucleari tra gli alleati.

Tale politica, che ha ampliato la deterrenza tattica dello schieramento occidentale, si è rivelata valida verso la minaccia dall’Est durante il confronto della guerra fredda, permettendo ai reparti di punta della NATO di addestrarsi al nuclear strike, mentre le armi formalmente restavano di proprietà statuinitense, continuando a essere assistite dai reparti speciali di manutenzione americani e venendo sottoposte alle rigide regole di impiego stabilite in sede NATO.

L’aggiornamento di questo arsenale ha rilanciato la polemica vivace che divide coloro che sostengono il nuclear sharing e coloro che sottolineano come sia giuridicamente in contrasto con l’adesione dei Paesi NATO al Trattato di non proliferazione (TNP) del 1970, il quale impegna gli stati aderenti non solo a rinunciare a sviluppare propri programmi militari atomici, ma anche a non custodire, gestire e utilizzare armi appartenenti ad altri.

La bomba modello B61 a testata termonuclare all’idrogeno fa parte di una serie di armi concepite tra gli anni ’50 e ’60 per equipaggiare la nuova generazione di velivoli supersonici che stavano entrando in servizio in quegli anni. Venne progettata nel 1963 dai Los Alamos National Laboratory e fu introdotta in servizio nel 1968, frutto di una intensa ricerca nella miniaturizzazione dei dispositivi, in modo da poter essere installate in armi dalle dimensioni contenute, dotate di una aerodinamica esterna idonea al trasporto e allo sgancio a velocità oltre il muro del suono. La sua importanza è stata tale che è rimasta cllassificata come segreta per molti anni, indicata genericamente con i termini carico esterno o pallottola d’argento (le prime versioni avevano finitura in metallo naturale, senza alcuna verniciatura).

Oggi è l’ultima arma nucleare americana a essere permanentemente schierata al di fuori del territorio statunitense.

Nel corso degli anni numerose versioni sono state prodotte e la testata ha è stata sottoposta a continue modifiche per aumentarne la sicurezza e la semplicità di gestione.

Il corpo dell’ordigno è lungo circa 3 metri e mezzo, il diametro è di circa 33 centimetri nel punto di maggior larghezza, per un peso totale attorno ai circa 320 chili, a seconda della versione.

Cuore concettuale dell’arma è la su capacità variable yeld, ovvero la possibilità di decidere la potenza sviluppabile dalla testata agendo sulla quantità di materiale fissile coinvolto nella reazione fissione-fusione, sul tipo di generatore di neutroni e sul sistema elettronico di innesco, quindi un ordigno dotato di notevole flessibilità di impiego.

La potenza esplosiva della versione B61-11, attualmente la più diffusa in servizio, può variare da 0,3 fino a 80 kilotoni, cioè da 300 a 80mila tonnellate di tritolo, con quattro diverse opzioni di potenza, selezionabili direttamente al momento del montaggio dell’arma sul velivolo lanciatore.

L’arma è stata prodotta in nove versioni diverse, talvolta con paracadute – freno e sistemi di ritardo di innesco. Il campo proncipale di impiego è contro concentrazioni di truppe, depositi, centri di comando avanzati situati in fortificazioni o altro tipo di sito protetto.

La capacità bunker buster per colpire bersagli pesantemente protetti e ground piercing di penetrazione al suolo è quella principalmente sviluppata nella nuova versione B61-12 in quanto più adatta alle necessità di impiego moderne ed è questo che ha determinato la decisione di modernizzarne il sistema d’arma.

 

Immagine 2

Diagramma della nuova B61 – 12. con indicazione delle parti e degli apparati aggiornati.

 

La versione 11 è già dotata di una ogiva rinforzata, tale da agevolare una penetrazione di circa 6-8 metri in un terreno di media durezza, ma le B 61-12 sono state pensate per migliorare questa prestazione e per indirizzare maggiormente la forza d’urto dell’esplosione nucleare verso il sottosuolo.

La tecnologia costruttiva di bunker sotterranei negli anni ha raggiunto un livello molto elevato. Spesso tali edifici si sviluppano per più piani, totalmente interrati, costruiti nel cuore di montagne, per aggiungere ulteriore capacità di resistenza in caso di attacco con armi nucleari. Anche il Centro di Comando strategico statunitense, il famoso NORAD, è costruito sotto il massiccio della Cheyenne Mountain in Colorado.

L’uso di armi capaci di un basso margine di errore può limitare, secondo i calcoli dei tecnici, i danni collaterali a strutture eventualmente vicine e alle popolazioni, contenendo (sempre teoricamente) il fallout radioattivo nell’aria.

A conferma della migliorata precisione dell’arma, la potenza massima della versione B61-12 non supererà i 50 kilotoni.

Tali rassicurazioni non possono essere del tutto soddisfacenti, perchè dipendono moltissimo dalla caratteristche del suolo dove l’arma viene impiegata.

Inoltre, se il bunker da colpire non si trovasse in una zona isolata, ma sotto una città densamente popolata?

Quello che preoccupa non solo il governo russo, ma in generale gli esperti è che la bomba B 61-12 avrà la capacità di colpire entro il raggio di 30 metri dall’epicentro dell’obbiettivo, rispetto ai 100 metri della versione 11, come hanno evidenziato i test di sviluppo eseguiti nel poligono Tonopah Test Range in Nevada.

L’aumento della capacità di precisione dell’arma è alla base di buona parte delle critiche contro il programma: le modifiche infatti sono mirate a renderla, di fatto, una guided bomb, un’arma controllabile a distanza.

La Boeing, impresa a cui è stato affidato lo sviluppo della versione, ha dotato il corpo della bomba di superfici di coda mobili e di un nuovo sistema informatico, capace di scambiare informazioni non solo coi sistemi dell’aereo lanciatore, ma anche di ottenere dati in tempo reale sull’area del bersaglio da colpire da satelliti. Questo vuol dire che l’arma potrà essere sganciata tenendo l’aereo lontano dal bersaglio, anche oltre 100 chilometri, al sicuro dalla prossibile intercettazione avversaria. Una volta che avrà acquisito definitivamente il bersaglio, guidata dal computer e dai sistemi radar installati, si dirigerà autonomamente verso l’obbiettivo.

 

La nuova tentazione di usare la ‘bomba’

Di fatto la B61-12 è passata dalla categoria delle iron bombs o stupid bombs, del tutto prive di guida, per passare appieno a quella delle smart bomb, le armi intelligenti, con tutta una serie di potenziali conseguenze.

Queste armi rischiano di sfuggire alla precisa classificazione a cui sono sottoposte dai trattati di limitazione internazionali, quindi anche la certezza del conteggio delle testate a disposizione può essere messo in discussione, con il risultato di rendere meno trasparente la situazione, accrescere la diffidenza reciproca fra gli Stati e mettere in pericolo la credibilità dei trattati stessi.

L’amministrazione americana subito dopo la firma del trattato New START nel 2010 aveva ribadito, sia con dichiarazioni dirette del Presidente Obama, sia con quelle contenute nel Nuclear Posture Review Report, l’impegno degli Stati Uniti a non sviluppare nuovi tipi di testate nucleari oppure nuove capacità per le armi già prodotte, limitando nei programmi di estensione della vita operativa (Life Exstension Programs, LEP) l’uso di componenti basati su progetti già esistenti.

Tuttavia, anche quando la testata di guerra resti sostanzialmente la stessa delle prime versioni, se l’arma viene resa controllabile dopo lo sgancio, la capacità di penetrazione del bersaglio viene aumentata, allora senza alcun dubbio siamo in presenza di nuove capacità militari.

Quindi nel caso della B61-12 ci si troverà davanti all’introduzione di un’arma sostanzialmente diversa e nuova: questa è l’accusa, che sembra basata su solidi argomenti, mossa da molte parti al programma, con buona pace delle dichiarazioni della National Nuclear Security Administration.

Già nel 2011 la Federation of Atomic Scientists aveva inviato una lettera preoccupata alla Presidenza degli Stati Uniti e al Segretrario alla Difesa per sottolineare i rischi di destabilizzazione legati ai programmi di aggiornamento della B61 e delle altre armi nucleari.

Il governo americano però non ha mai risposto.

Alcune riflessioni fatte durante una conferenza stampa dal generale Norton Schwartz, capo di stato maggiore dell’areonautica statunitense, hanno aggiunto un ulteriore motivo di preoccupazione. Schwartz ha ammesso che avere a disposizione un’arma di relativamente basso impatto ambientale e elevata precisione può cambiare il modo in cui i politici e i comandanti militari considerino il ricorso all’arma atomica, rendendolo più appetibile che in passato.

Specie in teatri di guerra circoscritti, dove le situazioni sul campo possono divenire molto complesse, il ricorso ad una arma estremamente potente e dotata di precisione chiurgica potrebbe colpire al cuore la capacità organizzativa dell’avversario, evitando prolungati e rischiosi interventi sul campo.

D’altro canto, i programmi di update sono preziose occasioni di lavoro sia per i laboratori di ricerca e sviluppo (come il Sandia National Laboratory o il Los Alamos National Laboratory), sia per i grandi colossi dell’industria aerospaziale.

L’arma è stata infatti pensata per equipaggiare i cacciabombardieri di quinta generazione, in primis il Lockheed- Martin F 35A Lightning II, che sarà in dotazione a molti paesi della Nato e i cui test di sviluppo da parte dell’USAF proseguono a pieno ritmo.

Intanto, sarà già resa operativa, per quanto con minore efficienza, sui mezzi già in linea, quali i Panavia Tornado IDS per Germania e Italia, gli F 16 Fighting Falcon per Olanda, Belgio e Turchia. Oltre 700 milioni di dollari sono già stati stanziati dal D.oD. (Department of Defence, Dipartimento della Difesa USA) nel triennio dal 2014 al 2017 per sviluppare il software degli aerei, le strutture delle basi destinate a custodire le armi (Weapons Storage and Security System, WS3), per aggiornare la preparazione di piloti e personale di terra.

Per l’areonautica americana, l’arma sarà utilizzabile sia dagli F16C/D (nella base di Aviano, in Friuli, ad esempio, sugli aerei del 31st Fighter Wing), dagli F15E Strike Eagle, dai venerandi B52H Stratofortress, dai B1B Lancer e dai B2A Spirit, mentre la US Navy adeguerà i propri F/A 18 Super Hornet imbarcati sulle portaerei.

Secondo la Federation of Atomic Scientists, alcune foto satellitari mostrano che i lavori sono già iniziati, a partire dalla base della Luftwaffe di Buchel in Germania, dove andranno venti di questi nuovi ordigni.

Una quantità uguale verrà stoccata in ciascuna delle basi di Volkel in Olanda, Kleine Brogel in Belgio, Ghedi-Torre in Italia, mentre ad Adana-Incirlik in Turchia andranno 50 ordigni.

L’Italia resterà il Paese con più testate di tutta l’Alleanza Atlantica: se contiamo che alla base di Aviano andranno circa 50/70 bombe, sommate alle 20 destinate a Ghedi avremo un totale di 70/90 armi termonucleari.

di Davide Migliore

 

Linkografia:

Le lancette del Doomsday Clock vanno avanti

https://it.wikipedia.org/wiki/B61

https://it.wikipedia.org/wiki/Condivisione_nucleare

https://www.youtube.com/watch?v=FBm74WiCL1g

http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/01/20/news/ecco-la-nuova-bomba-h-che-arrivera-in-italia-1.247276?refresh_ce

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/armi-nucleari-segrete-italia-1215307.html

http://www.webalice.it/imc2004/files_arms/nuclear/B-61.htm

http://www.difesaonline.it/mondo-militare/difesa-nato-gli-usa-inviano-20-nuove-bombe-nucleari-germania-italia-dalle-30-alle-50

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/obama-e-i-mille-miliardi-dollari-nuovo-arsenale-nucleare-1214785.html

http://nukewatch.org/B61.html

http://www.globalresearch.ca/o-k-per-logiva-nucleare-b61-12-andra-ad-aviano/5466784?print=1

http://www.pddnet.com/news/2015/05/photos-day-mock-b61-12-nuclear-bomb-tested

http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/07/01/news/ecco-le-bombe-nucleari-di-brescia-1.171372
http://www.globalresearch.ca/in-italia-bombe-nucleari-a-potenza-variabile/5501986

http://www.wired.it/attualita/tech/2016/01/12/armi-nucleari-usa-miniatura/

http://nnsa.energy.gov/mediaroom/pressreleases/b61-b61-12-lep-life-extension-program-snl-lanl-sandia-national-laboratory

http://fas.org/blogs/security/2016/01/b61-12_earth-penetration/

https://www.whitehouse.gov/the-press-office/statement-president-barack-obama-release-nuclear-posture-review

http://www.defense.gov/Portals/1/features/defenseReviews/NPR/2010_Nuclear_Posture_Review_Report.pdf

https://luisspersenzatomica.wordpress.com/2015/03/23/intervista-hans-m-kristensen-presidente-nuclear-information-project-federazione-degli-scienziati-americani/comment-page-1/

http://thebulletin.org/press-release/doomsday-clock-hands-remain-unchanged-despite-iran-deal-and-paris-talks9122

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La lunga evoluzione dei Droni, i famigerati UAV della storia

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La lunga evoluzione dei Droni, i famigerati UAV della storia

Pubblicato il 20 novembre 2013 by redazione

Sin dalle origini un uso  prevalente militare e strategico

La storia dei velivoli a controllo remoto (in inglese Remote Piloted Vehicles, RPV o conosciuti anche come UAV, Unmanned Arieal Vehicles, velivoli senza pilota) è vecchia almeno quanto quella del volo umano: da quando sono stati realizzati i primi oggetti volanti più pesanti dell’aria, quasi contemporaneamente si è iniziato a pensare a come controllarli a distanza. E come spesso accade nella storia dell’uomo, il loro primo impiego è stato militare. Il primato nell’utilizzo di mezzi aerei controllati spetta all’esercito Austro-Ungarico che impiegò alcuni  palloni aerostatici lanciati dalla nave Vulcano per colpire Venezia durante l’assedio del 1849, senza esporsi al fuoco dei cannoni della difesa. Nel momento in cui il vento soffiava verso la città, i palloni pieni di aria calda venivano liberati. Ciascun pallone trasportava una carica esplosiva e era controllato attraverso un sistema di funi. Raggiunta la verticale, attraverso un lungo filo di rame collegato a batterie galvaniche incendiavano il pallone che cadeva, o per meglio dire, sarebbe dovuto cadere con il suo ordigno sui veneziani: il primo uso di veicoli remoti e di bombardamento terroristico dall’aria. Ma i venti capricciosi delle lagune riportarono sulle truppe austriache buona parte dei palloni causando quasi una tragedia fra gli austriaci.

Immagine 1

Disegno tecnico dell’Aerial Target, costruito nella Royal Aircraft Factory.

I primi esempi seri di studio di veicoli volanti teleguidati nacquero però durante la prima guerra mondiale, con l’impiego diretto dei primi aerei e della radio, invenzioni di recentissima realizzazione. Il professor Archibald Low, eclettico ingegnere arruolato come capitano nei Royal Flying Corps, con una squadra di 30 tecnici mise a punto il progetto “Aerial Target” (AT), bersaglio aereo: il primo velivolo a motore con testata bellica e sistema di pilotaggio attuato via impulsi radio, in realtà portava questo nome per sviare le attenzioni dello spionaggio tedesco. Il 21 marzo e il  6 luglio 1917 dimostrò di fronte a molti alti ufficiali alleati la validità delle sue teorie, nonostante l’arretratezza della tecnologia dell’epoca, portando in volo un piccolo monoplano, con pattini al posto del carrello,  lanciato da una catapulta ad aria compressa. Entrambi i voli si risolsero con la caduta dei velivoli per guai vari, ma il concetto era dimostrato. La fine del conflitto fece anche venire meno l’interesse per  il progetto.

1917 circa, una rara fotografia di un prototipo dell’Aerial Target in un hangar del Royal Fliyng Corps.

1917 circa, una rara fotografia di un prototipo dell’Aerial Target in un hangar del Royal Fliyng Corps.

Ma orecchie attente oltremare avevano colto il messaggio. Negli Stati Uniti Elmer Sperry, fondatore della Sperry Giroscope Company, già nei primi anni  del secolo, dopo il volo di Wilbur e Orville Wright sulla spiaggia di Kitty Hawk aveva progettato sistemi di giroscopi  per stabilizzare il volo , altimetri e attuatori meccanici comandati via radio da terra, per realizzare siluri e bombe volanti da proporre all’U.S. Army. Fu più interessata la marina americana, preoccupata dalla minaccia dei primi U-Boot tedeschi. Assieme alla indirti Curtiss disegnò la Curtiss-Sperry Flying Bomb. Nel 1917 gli Stati Uniti entrarono nel conflitto e l’interesse della marina crebbe. Dopo una serie di lanci falliti per problemi aerodinamici, gli esperimenti continuarono su 6 idrovolanti Curtiss N9 forniti dalla marina. Il 17 ottobre 1917 un N9 dotato di sistemi di controllo Sperry venne lanciato da una catapulta disegnata dall’ingegnere Carl Norden (padre del primo calcolatore di puntamento e sgancio bombe adottato su tutti i bombardieri americani durante la seconda guerra mondiale).

Ripreso su una catapulta a rotaia, uno velivolo sperimentale radiocomandato “Sperry Flying Torpedo” della US navy.

Ripreso su una catapulta a rotaia, uno velivolo sperimentale radiocomandato “Sperry Flying Torpedo” della US navy.

Era previsto un volo di 13 chilometri ed un ammaraggio, ma dopo alcune evoluzioni l’aereo uscì dal raggio d’azione dei segnali radio, si allontanò dalla Bayshore Air Station e si perse nell’Atlantico. L’armistizio dell’11 novembre 1918 pose termine ai finanziamenti. La marina acquisì il progetto, che continuò a fasi alterne, fino all’abbandono negli anni 20. Solo alla fine degli anni 30, l’avvicinarsi del secondo conflitto mondiale e i progressi fatti da altre nazioni riaprirono le ricerche americane nel campo degli aerei teleguidati.

Lo sviluppo delle armi teleguidate

In Germania l’apparato militare continuò gli studi strategici sulle esperienze della prima guerra mondiale e promosse la ricerca scientifica sui sistemi di teleguida prima in incognito, per le ristrettezze economiche e le imposizioni del trattato di Versailles, poi apertamente con il riarmo Hitleriano. I tedeschi si avviarono sul filone delle telearmi lanciabili da terra, da navi, sganciabili da bombardieri: quindi svilupparono  per primi il filone dei “droni da attacco”. Ad esempio,  la Ruhrstal 1400X, conosciuta come Fritz X : si trattava di una bomba perforante con superfici telecomandate via impulsi radio a onde ultracorte costruita attorno ad una bomba convenzionale SC250, con capacità accresciuta  a 1.400 chili. Il sistema di comando sull’aereo madre consisteva di una impugnatura a cloche collegata a dei sensori di direzione: praticamente l’antenato del joystick moderno. La sua vittima più celebre fu la corazzata Roma della Regia Marina italiana, affondata tra il golfo dell’Asinara e le bocche di Bonifacio il 9 settembre 1943, mentre navigava assieme alla IX Divisione navale verso Malta per consegnarsi agli alleati, secondo le clausole dell’armistizio di Cassibile. Due telearmi lanciate da bimotori Dornier 217K che volavano a quota ben superiore al raggio di azione delle batterie antiaeree, perforarono i ponti corazzati, una centrò la santabarbara con precisione millimetrica causando l’esplosione della nave. Perirono 1.352 marinai. Era stata provata l’efficacia del radio controllo su oggetti capaci di una qualche portanza, quindi velivoli veri e propri. In realtà sia per limitazioni strategiche nell’uso volute da Hitler stesso, sia per deficienze nella tecnologia, le vittime furono poche lungo la guerra e l’ultimo utilizzo della Frtiz X fu contro i ponti sul Reno nel 1945 per impedirne la cattura da parte degli alleati.

Un fotogramma di un raro filmato della seconda guerra mondiale immortala il lancio di prova di un’arma teleguidata HS 293 da un bombardiere Heinkel 111 H6. Ancora pochi istanti e l’accensione del razzo propulsore renderà il velivolo comodamente controllabile dall’operatore d’arma sull’aereo madre.

Un fotogramma di un raro filmato della seconda guerra mondiale immortala il lancio di prova di un’arma teleguidata HS 293 da un bombardiere Heinkel 111 H6. Ancora pochi istanti e l’accensione del razzo propulsore renderà il velivolo comodamente controllabile dall’operatore d’arma sull’aereo madre.

Ancora più vicino all’idea che abbiamo oggi di velivolo radiocomandato fu la Henschel 293/294, dotata di un motore a razzo Walter 705, era radiocomandata dall’aereo lanciatore o da altro velivolo accompagnatore. Il raggio di azione era di ben 11 chilometri, fu l’antesignana dei missili guidati di oggi. Avrebbe dovuto equipaggiare estesamente i reparti antinave della Luftwaffe, ma la sua efficacia trovò grandi limiti nella tecnologia di radio controllo e nelle tattiche di combattimento. Interessò soprattutto gli alleati, che la studiarono e la sperimentarono a fondo dopo la fine della guerra: gli ingegneri tedeschi infatti avevano tentato lo sviluppo di versioni con guida acustica o addirittura televisiva. La sua struttura era simile alle V1, una delle “armi della vendetta” di Hitler e antenata dei missili da crociera attuali, i famosi Cruise, capace di lunghe navigazioni, fino a colpire l’obbiettivo a cui è stata indirizzata. Anche della Fieseler Fi 103, come tecnicamente si chiamava la V1, era stata ipotizzata una versione radioguidabile, ma i limiti delle possibilità tecnologiche del tempo ne resero obbligato lo sviluppo come arma autopilotata da un sistema di giroscopi e reostati autonomi. Nel pulsoreattore, una via di mezzo fra il turboreattore ed il razzo, la miscela carburante – ossigeno arriva nella camera di combustione non arriva in continuità a singoli getti sotto comando di valvole. Ne deriva che il motore produce un rumore che ricorda il ronzio cupo di un calabrone. Da cui il nomignolo drone, che in inglese indica l’esemplare maschio dell’ape. In realtà, altre fonti indicano l’origine di tale nomignolo nel rumore lamentoso dei piccoli motori a scoppio, impiegati  sui primi modelli di inizio secolo. Comunque, furono gli americani, impressionati dalle ricerche tedesche, a realizzare il progetto più interessante degli anni ‘40. La Swod Mk 9 Bat (pipistrello) fu impiegata alla fine del conflitto nel Pacifico. Di fatto era un piccolo aliante che veniva sganciato da un aereo madre, la cui guida era, in gergo tecnico, semiattiva. Ovvero per parte della discesa verso il bersaglio era controllata da un operatore sull’aereo madre, fino a che un piccolo radar nel muso del velivolo, vera originalità del progetto, agganciava il bersaglio e guidava l’arma fino all’impatto. Utilizzato fin ai primi anni 50, non fu particolarmente efficiente perché il radar veniva spesso ingannato dal profilo del suolo, ma fu utilissima per affinare I sistemi di doppio controllo remoto.

Un pattugliatore Consolidated PB4Y-2 Privateer della U.S. Navy in atterraggio su una base nel Pacifico mostra due velivoli da attacco teleguidati Bat appesi sotto le ali.

Un pattugliatore Consolidated PB4Y-2 Privateer della U.S. Navy in atterraggio su una base nel Pacifico mostra due velivoli da attacco teleguidati Bat appesi sotto le ali.

Bersagli per l’artiglieria

In Inghilterra dopo il primo conflitto mondiale si preferì accantonare l’esperienza sui velivoli teleguidati da attacco (o telearmi) per tornare a concentrarsi sui velivoli telecomandati per l’addestramento al tiro di artiglieri e mitraglieri, attività fondamentale ma particolarmente rischiosa: anche se I bersagli venivano trainati da una certa distanza e gli aerei erano dipinti con livree molto visibili, spesso si verificavano incidenti gravi. Il progresso nella riduzione delle dimensioni dei circuiti nei radio controlli permisero di sviluppare aerei totalmente controllati da terra, con ingombri contenuti e sistemi abbastanza facilmente trasportabili. In particolare, venne estesamente utilizzata una versione del biplano da addestramento De Havilland Tiger Moth, chiamata DH 28 Queen Bee (ape regina), acquistato da Royal Air Force e Royal Navy in 380 esemplari fin quasi all’inizio della seconda guerra mondiale. La manovrabilità dei velivoli e la relativa sicurezza dei sistemi radio permetteva un addestramento realistico dei militari, e gli aerei finalmente decollavano ed atterravano regolarmente in modalità telecomandata.

Inghilterra, metà degli anni ’30. Militari della Royal Air Force guidano un bersaglio volante “Queen Bee” a pochi metri dal suolo.

Inghilterra, metà degli anni ’30. Militari della Royal Air Force guidano un bersaglio volante “Queen Bee” a pochi metri dal suolo.

Negli Stati Uniti, lungo gli anni ’20 e ’30 la fine del primo conflitto mondiale e la grande crisi economica del 1929 di fatto limitarono l’interesse delle forze armate per I velivoli radiocomandati. A ravvivare l’interesse per queste tecnologie fu senza dubbio l’opera di Reginald Denny, anche lui inglese e reduce dei Royal Flying Corps della prima guerra mondiale. Emigrato negli Stati Uniti per cercar fortuna come attore, la trovò senza dubbio nella sua vecchia passione per i sistemi di controllo radio a distanza. Dapprima aprì un negozio dedicato ai primi appassionati di aeromodellismo dinamico, poi fondò la Radioplane Company, che proponeva bersagli guidati per le forze armate. I suoi sforzi si concretizzarono negli anni immediatamente prima del secondo conflitto mondiale, quando l’America si stava preparando a una guerra ormai  da molti considerata inevitabile, nonostante l’isolazionismo diffuso nella pubblica opinione. Il governo americano aveva deciso di dividere per sigle I velivoli a guida remota: posto che la lettera Q sarebbe stata presente nel codice di qualsiasi aereo non pilotato direttamente dall’uomo, OQ sarebbero stati i velivoli teleguidati puri, utilizzati per l’addestramento al tiro antiaereo o per gli operatori radar, come il piccolo aereo OQ 2, che Reginald Denny costruì per le forze armate americane in 15.000 esemplari e che di fatto era un modello in scala di un normale monoplano leggero da turismo. PQ avrebbe indicato velivoli che era possibile pilotare sia in maniera convenzionale, sia a distanza con radioriceventi e attuatori meccanici. La sigla AQ sarebbe stata riservata ai droni da attacco, come lo Swod Mk 9 Bat che abbiamo visto prima. Una definizione di ruoli e, di conseguenza, di linee di sviluppo delle macchine che ha sostanzialmente retto fino ad oggi nel panorama internazionale. Dopo la seconda guerra mondiale, il vertiginoso progresso nell’elettronica e nell’ingegneria aeronautica ha permesso di creare droni in questo settore appartenenti a tutte le categorie, da quelli più simili a un modellino di aereo, ai veri e propri aviogetti propulsi da motori a reazione e capaci di prestazioni simili a un jet da combattimento. Diecine di modelli e centinaia di sottoversioni, con costi di acquisizione e gestione sempre più convenienti, che si sono succeduti in servizio nelle forze armate di moltissimi Paesi.

La guerra fredda e il ruolo “Sigint”, fino ai ruoli di combattimento attivo odierni.

Gli anni della guerra fredda videro l’ampliamento dell’uso dei droni anche nella ricerca aeronautica e nella sperimentazione di volo. Numerosi degli X plane statunitensi, ad esempio, sviluppati  assieme alla NASA per la ricerca sul volo ad altissima velocità e quota sono telecomandati. Tuttavia è l’abbattimento il 1 giugno 1960 di un aereo spia  Lockheed U2 e la cattura del pilota Gary Powers, ex militare dell’USAF arruolato nella CIA, a segnare un passaggio fondamentale. Il blocco sovietico aveva sistemi radar e telearmi (il missile antiaereo radar guidato SA2 Guideline) di efficienza impensabile e tutto rendeva prevedibile che ne stesse sviluppando parecchi altri. Sistemi d’arma tanto efficienti da rendere insicuro l’uso dei velivoli convenzionali per ricognizione strategica e….spionaggio vero e proprio. Lo sviluppo di un drone con queste capacità si rese al quel punto necessario: del resto anche dall’altra parte della cortina di ferro stanno facendo le stesse esperienze e le stesse riflessioni. La guerra del Vietnam e l’impegno nel sud est asiatico servirono come insostituibile campo di prova per l’ampliamento dei ruoli affidati ai velivoli senza pilota. L’industria statunitense Teledyne Ryan, specializzata nella produzione di drone da ricerca o bersagli volanti, sviluppò dall’AQM 34 Firebee (in inglese ape di fuoco…di nuovo gli insetti protagonisti) tutta una famiglia di velivoli lanciabili da terra o sganciabili dalle ali di un aereo madre, di solito un aereo da trasporto Lockheed DC 130 Hercules, con compiti di ricognizione strategica o di guerra elettronica (Signal Intelligence): questi velivoli difatti erano riempiti di apparecchiature per analizzare e disturbare le emissioni radio e radar del nemico, oppure per effettuare ricognizioni fotografiche. Il primo ciclo di queste missioni delicate fu svolto sulla Cina nel 1964, con ottimi risultati, ma anche con la perdita per abbattimento o avaria di numerosi esemplari. Così vennero sviluppate versioni via via più performanti. L’impegno americano nel conflitto del Vietnam vide un esteso uso degli UAV sul territorio Nordvietnamita e sul quello contiguo cinese. Tra il 1965 ed il 1973 USAF e US Navy svolsero oltre 34.000 ore di volo con i loro Ryan Firebee, portati a uno stadio sempre più avanzato e in grado di compiere missioni con le stesse prestazioni di un moderno jet da combattimento, anzi addirittura superiori. Alla fine del conflitto  l’AQM 34 e il velivolo trisonico Lockheed SR 71 erano gli unici aerei americani a poter violare lo spazio aereo comunista praticamente indisturbati.

In una foto dei primi anni 70, un Teledyne Ryan AQM 34 Firebee viene sganciato dall’ala di un DC 130 Hercules per iniziare un’altra missione di ricognizione profonda sul Vietnam del Nord.

In una foto dei primi anni 70, un Teledyne Ryan AQM 34 Firebee viene sganciato dall’ala di un DC 130 Hercules per iniziare un’altra missione di ricognizione profonda sul Vietnam del Nord.

Una sala di pilotaggio per RPV in una base militare americana. Da qui si possono condurre azioni di guerra potenzialmente su  tutta la superficie terrestre, senza alcun pericolo per i piloti.

Una sala di pilotaggio per RPV in una base militare americana. Da qui si possono condurre azioni di guerra potenzialmente su tutta la superficie terrestre, senza alcun pericolo per i piloti.

Le pesantissime perdite subite dalle forze aeree statunitensi, in termini di aerei abbattuti e di uomini uccisi o catturati in quasi dieci anni di combattimenti, raffrontati con le prestazioni sempre più spinte dei drone e i dati di perdite in continua diminuzione fecero sorgere spontanea a Washington la considerazione di affidare ai velivoli senza pilota anche una parte delle missioni di combattimento, dotandoli di armamenti e sistemi di puntamento adatti. Se contiamo che proprio durante quel conflitto apparvero per la prima volta le armi stand-off ad alta precisione, quali le Paveway a guida laser e le GBU 15 a guida televisiva, l’idea ha portato fino alle generazioni attuali di drone, impegnati estesamente nei conflitti cosiddetti “a bassa intensità”, contro un bersaglio sfuggente come il terrorismo internazionale: dopo l’11 settembre 2001 fu chiaro che gli scenari di un conflitto armato, nell’ambito della globalizzazione, erano del tutto cambiati. I drone odierni, con tutta la loro dotazione di apparati elettronici, la loro flessibilità di uso e la loro economicità di gestione, costituiscono sistemi d’arma competitivi contro le attività di guerriglia, come sperimentato in Iraq e Afghanistan. Per la prima volta, un pilota, seduto in una stanza a migliaia di chilometri dal velivolo che sta pilotando, con a sua disposizione le stesse avanzate strumentazioni di controllo (anche satellitare) che potrebbe avere su un jet da guerra e le armi di precisione più letali degli arsenali moderni, può colpire praticamente chiunque e dovunque sul globo terrestre. Un drone come il Global Hawk può volare ininterrottamente per più di 30 ore, il che addirittura permette di avvicendare nella missione più piloti che potranno godere così di turni di riposo. L’immensa capacità bellica, con un minimo carico, raggiunta da questi aerei però pone anche questioni di tipo morale e relative anche alle leggi di guerra internazionali. Ad esempio, un uomo che vede l’azione a cui sta partecipando, ma senza esserne coinvolto fisicamente, potrebbe esser tentato ad eccedere nell’uso del potere di distruzione che ha a disposizione? La sua posizione psicologica può portarlo spersonalizzare il suo ruolo, come se avesse a che fare semplicemente con un qualche tipo di gioco elettronico. Ed inoltre, il fatto che questi velivoli siano gestiti talvolta direttamente da agenzie governative non militari come la CIA (che può ordinarne l’impiego in azioni di precisione per l’uccisione di capi terroristici) come si pone circa la responsabilità nei frequenti “danni collaterali”, cioè la morte o il ferimento accidentale di persone estranee coinvolte in queste operazioni di controguerriglia? O nel caso vengano adoperati da governi senza troppi scrupoli? Il drone può essere il mezzo perfetto per compiere azioni al di fuori delle leggi internazionali minimizzando la possibilità di essere scoperti perché spesso si agisce in zone remote di un territorio. Molte organizzazioni umanitarie stanno denunciando le migliaia di vittime che questo tipo di operazioni militari stanno provocando. Ma non c’è solo la guerra in Afghanistan: lo stato di Israele è diventato uno dei primi produttori al mondo di drone ad uso militare, che utilizza esso stesso nelle azioni contro le milizie armate che lo tengono sotto assedio. E i drone oramai non sono più solo aerei: esistono ormai veicoli a controllo remoto anche terrestri e subacquei, costituiscono uno dei campi maggiormente in espansione per le aziende che producono mezzi in questo campo.

di Davide Migliore

 

Linkografia:

http://it.wikipedia.org/wiki/Aeromobile_a_pilotaggio_remoto

http://en.wikipedia.org/wiki/History_of_unmanned_aerial_vehicles

Pagine Wikipedia in italiano e inglese dedicate ai velivoli a pilotaggio remoto o automatico.

http://en.wikipedia.org/wiki/Archibald_Low

Archibald Montogomery Low, pioniere del telecontrollo dei velivoli.

http://temi.repubblica.it/limes/breve-storia-dei-droni/48678

Articolo di Alfredo Roma sulla rivista Limes, edizione online, 9.07.2013.

https://sites.google.com/site/uavuni/1910-s

Sito dedicato al mondo degli UAV-RPV.

http://flyingmachines.ru

Sito con archivio fotografico degli albori della rivoluzione aeronautica.

http://www.ausairpower.net/WW2-PGMs.html

http://www.ctie.monash.edu.au/hargrave/rpav_germany_hr.html

Siti tecnici con storia dei droni da attacco e delle “smart bomb”.

http://laguerradeidroni.it/

http://www.imerica.it/

Giovanni Colloni, Nicolas Lozito, Patricia Ventimiglia, Federico Petroni, sito ed e-book (gratuito) curati da quattro giovani ricercatori italiani.

http://ngm.nationalgeographic.com/2013/03/unmanned-flight/horgan-text

“Unmanned flight”, the National Geographic Society, march 2013.

http://gnosis.aisi.gov.it/Gnosis/Rivista20.nsf/servnavig/23

“Con  I droni ed iI soldato digitale”, di Guido Olimpio, Gnosis Online, rivista italiana di intelligence, n. 3/2009.

http://www.rivistastudio.com/editoriali/politica-societa/guerra-playstation-droni/

“Ma i droni sognano civili elettrici’: la sindrome da playstation tra i piloti di velivoli a controllo remoto, articolo di Pietro Minto su Studio 9.

Bibliografia:

“Mach 1 – enciclopedia dell’aeronautica”, Volume 3°, p. 270 – 274 “aerei senza pilota”

EDIPEM Novara 1978, Copyright of Orbish Publishing Ltd, London.

Clashes, Air Combat Over North Vietnam 1965-1972.

Michael Marshall III, Naval Institute Press,1997. ISBN 978-1-59114-519-6

History of Radio-Controlled Aircraft and Guided Missiles

Delmer S. Fahrney (R. Admiral retired, U.S. Navy).

Robot Warriors. The Top Secret History of the Pilotless Plane

Hugh McDaid, Oliver David, Orion Media, 1997.

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