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Inquinamento urbano o del pianeta?

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Inquinamento urbano o del pianeta?

Pubblicato il 29 dicembre 2012 by redazione

il-polmone-verde-della-terraTutti gli ecosistemi che compongono la biosfera sono in uno stato di equilibrio fra loro e al loro interno.

Questo stato di equilibrio è una condizione fondamentale. Ogni volta che intervengono variazioni, la biosfera tende a riportarsi nel suo stato naturale.

Se il fattore di disturbo esterno persiste (per esempio a causa di fenomeni di inquinamento), si ha la rottura della condizione di equilibrio.

Qualsiasi modifica, anche se piccola, all’ambiente può alterare l’ecosistema naturale e costituisce… un fattore inquinante.

Purtroppo si sa l’inquinamento oggi è forse una delle peggiori disgrazie che colpiscono il nostro amato pianeta. Sappiamo tutti che c’è e ne conosciamo vagamente i rischi. Quello che veramente però non sappiamo è cos’è, dove colpisce prevalentemente, perché e cosa si sta facendo per rimediare.

Si ritiene che saranno le grandi megalopoli a sviluppare in futuro le più grandi quantità di inquinamento e saranno quindi loro a dover trovare la strada per delle pratiche sostenibili.

Ma cos’è l’inquinamento?

Come tutti sappiamo, la vita sulla Terra è regolata da leggi naturali precise. La prima, fondamentale, è quella per cui niente si crea o si distrugge, ma tutto si trasforma. Per questo ogni essere vivente nasce, cresce, si riproduce e muore. Ma il ciclo della sua vita non si estingue con la sua morte. I suoi resti vengono sempre riassorbiti direttamente o indirettamente dalla Terra, arricchendola di sostanze così che possano contribuire alla formazione e al mantenimento di nuovi organismi. Possiamo considerare questo circolo infinito come un primo cerchio della vita.

Un secondo movimento circolare lo ritroviamo, in un ottica più ampia, nella biosfera, quel complesso meccanismo-sistema che comprende tutti gli esseri viventi.

Abbiamo una fonte di energia il Sole che con i suoi raggi irradia una biomassa, che a sua volta genera forme di vita contigue, che attraverso le diverse fasi naturali di nascita, crescita, riproduzione e morte, si inanellano tutte tra loro, a formare le diverse catene alimentari.

Grazie quindi all’energia solare, sulla Terra c’è la vita. Le radiazioni provenienti dal Sole hanno reso, infatti, possibile il processo di fotosintesi del mondo vegetale, grazie al quale si libera l’ossigeno che respiriamo e che è presente nella nostra atmosfera e senza il quale le catene alimentari andrebbero drammaticamente in crisi.

Si tratta quindi di un sistema di vita aperto per quanto riguarda l’energia solare, ma chiuso per quanto riguarda le sue sostanze. Queste devono perciò essere sempre presenti nell’ecosistema generale e per questo costantemente riciclate, attraverso la decomposizione dei suoi prodotti, per tornare a essere disponibili. Si potrebbe quindi abbozzare l’ipotesi che l’inquinamento non sia altro che una forma di riciclo non naturale e quindi non compatibile con il nostro ecosistema. Questo riciclo “fuori dagli schemi” finisce con l’essere dannoso e, interferendo con quello naturale già presente, causare gravi squilibri, difficili da ripristinare.

All’inizio, l’intervento dell’uomo sulla Biosfera era pari a quello di ogni altro essere vivente. Fino al momento in cui non ha più tenuto conto delle necessità degli altri esseri viventi e così facendo ha fatto saltare i delicati equilibri dell’intero sistema, di cui lui stesso è parte.

L’inquinamento ambientale ha accompagnato le civiltà umane fin dal principio. Secondo un articolo del 1983 pubblicato sulla rivista Science:“la fuliggine trovata sul soffitto delle caverne preistoriche fornisce ampie prove dei livelli elevati di inquinamento associati alla ventilazione inadeguata di fiamme libere”. Inoltre la forgiatura dei metalli sembra essere stata un punto di svolta nella creazione di livelli significativi di inquinamento atmosferico.

In epoca più recente è nata la necessità sempre più impellente di ottenere nuove terre necessarie a creare ampi spazi per le colture e per gli allevamenti. Questo ha portato ad un’opera di disboscamento forzato che ha causato i primi sbalzi climatici, che nel corso dei secoli, sono cresciuti di pari passo all’aumento della popolazione umana.

Durante la rivoluzione industriale si è poi passati a un uso massiccio delle fonti di energia: prima tra tutte la combustione, anch’essa fattore inquinante. E, sempre in quest’epoca, si è sviluppato un altro fenomeno invasivo, l’urbanizzazione che con la nascita delle prime vere e proprie grandi città, in grado di ospitare un numero sempre maggiore di persone, ha dato il via all’inquinamento demografico. Tanto per fare un esempio: nel 1960 si calcolava un incremento della popolazione pari a 0,3% (su un totale di 150 milioni di individui). Ma già nel 1970 la popolazione raggiungeva 3.600 milioni di individui, con un tasso di incremento del 2,1%. E’ vero che negli anni successivi il tasso d’incremento della popolazione subì un calo, ciononostante, nel 2012, la popolazione stimata, sul nostro pianeta, è pari a 7 miliardi di persone.

Un altro fattore su cui riflette è il rapporto nascite-morti. Nel XVII° secolo la natalità eccedeva di poco la mortalità. Oggi, invece, la vita media si è allungata di molto e questo, per quanto egoisticamente auspicabile, rompe non pochi equilibri.

Secondo alcuni esperti “l’esplosione demografica mondiale costituisce la causa principale dell’inquinamento e della crisi dell’ambiente nonché delle crisi sociali (contrapposizione e incremento del divario fra paesi ricchi e poveri, aumento dell’immigrazione, ecc.). E’ stato calcolato che se tutti gli attuali abitanti della terra potessero adottare il sistema economico e il modo di vita degli europei (o dei nordamericani), il tasso di inquinamento totale sarebbe 10 volte superiore e con un “effetto serra” tale da mettere in pericolo la vita sul pianeta.”

inquinamento-pm10-roma-record-decessiIl nostro veleno quotidiano

L’inquinamento è quindi un fenomeno strettamente legato alle aree urbane ed industriali. Si tratta di zone dove si registra un’alta concentrazione di emissioni; le principali sono provocate dagli impianti di riscaldamento, dalle attività industriali e dal traffico.

E’ importante tuttavia specificare che la quantità di emissioni varia a seconda del periodo dell’anno in cui vengono emesse. Nella stagione invernale l’ inquinamento dipende dalle attività produttive, dal traffico, e dagli impianti di riscaldamento, che si amplificano se le i fattori meteo-climatici non lo disperdono ma, invece, contribuiscono al suo eventuale ristagno. Gli agenti inquinanti tipici delle città, tendenzialmente concentrati al livello del suolo, si disperdono infatti facilmente grazie al vento. In estate si inserisce poi un altro fattore, l’aria calda, che tendendo a risalire, trasporta con sé i particolati inquinanti, di cui l’ inverno ne favorirà il ristagno, negli strati più bassi dell’atmosfera. Gli scienziati spiegano che questo avviene per via del fenomeno dell’inversione termica: “il normale gradiente delle temperature, cioè aria più calda vicino al suolo che progressivamente si raffredda salendo di quota, si inverte, producendo uno strato di aria fredda e densa vicino al suolo e uno strato di aria più calda e leggera in quota, in cui si ripristina il normale gradiente delle temperature. I due strati di aria non si rimescolano e gli inquinanti vengono trattenuti a lungo vicino al suolo, intrappolati nella cappa di aria fredda e pesante.

Altri fattori meteo-climatici che possono influenzare la concentrazione degli agenti inquinanti nell’atmosfera sono: la pioggia (che ripulisce l’atmosfera e che rende impossibile l’inversione termica), la nebbia (che assorbe alcuni inquinanti, ma con l’umidità causa delle reazioni chimiche che provocano la nascita di altre sostanze nocive) e in estate il forte irraggiamento solare, che causa la formazione delle sostanze organiche volatili (le sostanze emesse dagli autoveicoli e dalle industrie) e gli ossidi di azoto, colpiti dall’intensa radiazione luminosa, reagiscono tra loro per formare ozono e una gran varietà di altri composti, spesso dannosi.

I principali agenti inquinanti

Anidride carbonica (CO2) – Dovuta ai processi di combustione per produrre energia e per il riscaldamento domestico. Fa aumentare la temperatura della superficie terrestre.

Ossido di carbonio (CO) – E’ prodotto dalle industrie, dalle raffinerie del petrolio e dalle macchine. Inalato può essere mortale.

Anidride solforosa (SO2) – Dal fumo delle centrali elettriche, dalle fabbriche, automobili. Provoca lesioni a carico dell’apparato respiratorio.

Ossidi di azoto (NOx) – Prodotti da aerei, dai forni, dagli inceneritori, dai fertilizzanti. Formano lo smog fotochimico; provocano bronchiti a neonati e anziani.

Particolato – Particelle solide (PM 2.5 e PM 10) prodotte dalle industrie, costruzioni, trasporti (motori Diesel) che si depositano negli agglomerati urbani. Causano gravi disturbi all’apparato respiratorio.

COV – Sono i “composti organici volatili”, tossici e cancerogeni.

Fosfati – Dalle acque di scarico, provengono dai fertilizzanti chimici usati in quantità eccessive. Inquinano laghi e fiumi (eutrofizzazione).

Mercurio – Prodotto dall’utilizzazione di combustibili fossili, dalle centrali d’energia elettrica, dai colorifici, dalle raffinerie, dalla preparazione di carta. E’ molto velenoso e può contaminare gli alimenti provenienti dal mare.

Piombo – Prodotto dalle industrie chimiche. Attacca gli enzimi ed altera il metabolismo cellulare.

Petrolio – Dall’estrazione di fronte alle coste, dalla sua raffinazione, da incidenti delle navi petroliere. Causa gravissimi danni all’ambiente. Distrugge plancton, uccelli marini, vegetazione.

D.D.T. e insetticidi – Contribuiscono a far sparire molti insetti, crostacei, possono passare tramite le acque di scolo al mare, contaminandolo, causando così moria di pesci.

Radiazioni – Dalla produzione d’energia atomica, da scoppio di bombe, dalle navi a propulsione nucleare. Possono provocare tumori e modificazioni genetiche (mutazioni).

MASCHERINE PER LO SMOGInquinamento atmosferico

L’aria è un elemento fondamentale per tutti gli esseri viventi. Ogni giorno infatti, i nostri polmoni filtrano 15 Kg d’aria atmosferica (2,5 Kg d’acqua e 1,5 di alimenti).

Definizione del Consiglio d’Europa per aria inquinata: “L’aria è inquinata, quando la presenza di una sostanza estranea, o una variazione nella proporzione dei suoi componenti, sono tali per cui possono derivarne effetti e disturbi riconosciuti pregiudizievoli alla luce delle attuali conoscenze atmosferiche scientifiche”.

Le potenziali fonti di origine delle sostanze che provocano l’inquinamento atmosferico possono essere riassunte in tre semplici punti:

– processi industriali
– combustioni domestiche ed industriali
– veicoli a motore.

Da qui le maggiori sostanze inquinanti dell’atmosfera:
Anidride solforosa, biossido di carbonio, monossido di carbonio, ossidi di azoto, idrocarburi gassosi liberati dopo una combustione, particolato, etc.

Anidride solforosa. Molto comune nell’aria, deriva dalla combustione di carboni ed oli minerali che sono utilizzati nella produzione di energia, nell’industria e nel riscaldamento domestico; questa può reagire e trasformarsi in anidride solforica qualcosa si vengano a creare determinate condizioni, coadiuvando a provocare lo smog grazie anche a successive reazioni.

Anidride carbonica. Proviene dalla combustione di composti organici, inoltre è in costante aumento nell’atmosfera a causa delle combustioni (traffico veicolare, impianti di riscaldamento, industrie…) e può portare a squilibri notevoli in tutta la biosfera (surriscaldamento dell’atmosfera terrestre).

Monossido di carbonio, idrocarburi e gli ossidi di azoto. Hanno come principale fonte i gas di scarico.

Ozono. Composto triatomico dell’ossigeno che a livello della superficie provoca disturbi come nausea, cefalee, difficoltà respiratorie specialmente negli anziani; mentre nell’alta atmosfera funge da barriera protettiva per i raggi ultravioletti.

Particolato. Si tratta delle polveri sottili in sospensione che comprendono i metalli pesanti, gli idrocarburi e i composti carboniosi.

Malattie da inquinamento

Le più frequenti sono le lesioni broncopolmonari: bronchite, asma, enfisema (il 35% delle assenze dal lavoro è dovuto proprio alle malattie respiratorie). I maggiori responsabili sono: anidride solforosa, ossidi d’azoto, ozono cattivo, piombo, monossido di carbonio, quote non trascurabili di benzene oltre alle polveri fini e finissime. A causa di queste particelle le vie respiratorie subiscono attacchi strutturali e funzionali a partire dalla semplice irritazione con tosse, alla maggiore suscettibilità all’influenza, con episodi di bronchite acuta fino ad attacchi d’asma.

Secondo gli esperti uno dei principali responsabili è il pulviscolo, chiamato un tempo “particelle fastidiose”. Infatti nelle grandi città come Roma, Milano, Torino, Siviglia e Tel Aviv, la media annua del “particolato” supera i 50 microgrammi/m3. Queste particelle derivano principalmente dall’asfalto, dai copertoni, dalle marmitte catalitiche, dalle benzine verdi, dal deserto e da tutti i processi della combustione in generale.

Anche il cuore e vasi sanguigni non si salvano. Infatti lo stress a cui viene sottoposta la pompa cardiaca in carenza d’ossigeno costringe il muscolo cardiaco ad un continuo superlavoro. Una manifestazione che può comparire dopo anni d’esposizione, nei casi più gravi, è proprio la leucemia. La Commissione tossicologica nazionale ha stimato di recente, che ogni mille leucemie da 3 a 50 possono essere attribuite al benzene. Mentre scendono i livelli dell’anidride solforosa e del benzene cancerogeno (che invece sono in crescita nei paesi dell’Est) ciò che preoccupa è il trend delle polveri respirabili e inalabili e dell’ozono nocivo.

Il rimedio più immediato e semplice sarebbe uno stile di vita più attivo come l’andare a piedi o usare la bici. Quando si deve per forza usare l’auto la cosa migliore sarebbe quella di condividerla con altre persone così da inquinare meno e magari utilizzare auto a basso impatto ambientale come quelle elettriche.

Un altro fattore da tenere sotto controllo e che spesso viene ignorato è la temperatura media domestica. I medici consigliano di non superare mai i 18°, infatti quando si raggiungono i 20-25 gradi si ha un consumo eccessivo e l’aria diventa secca. Il risultato più immediato sono infezioni alle vie respiratorie o l’influenza quando si esce di casa. Altro aspetto importante, e tutt’oggi sottovalutato è lo sport nel traffico, sarebbe utile usare almeno una mascherina! Vi è poi l’inquinamento domestico, di cui si parla poco, ma anch’esso decisamente nocivo: le stanze di casa vanno arieggiate tutti i giorni, più volte al giorno, almeno per cinque minuti; inoltre sarebbe consigliabile posizionare dei contenitori con un po’ d’acqua per umidificare l’ambiente.

Altro consiglio è quello di seguire una dieta equilibrata, ricca di verdura, frutta e soprattutto antiossidanti.

Consiglio semplice, ma di fondamentale importanza, attenzione ai bambini! Bassi e sempre esposti alle emissioni dei gas di scarico delle macchine sono i soggetti maggiormente a rischio anche a causa della loro maggiore frequenza respiratoria e del metabolismo rapido. Sembra incredibile, ma in soli vent’anni, a partire dagli anni 70, la presenza dei sintomi asmatici nei bambini a livello nazionale è aumentata del 200%. I suggerimenti per i genitori possono essere di insegnare ai bambini a respirare dal naso (in quanto è un organo che funge da filtro naturale per il nostro corpo); se l’aria è troppo pesante è inutile stare a lungo ai giardinetti, inoltre il fumo di sigaretta va tenuto assolutamente lontano.

Anche gli animali domestici o selvatici non sfuggono agli effetti dell’inquinamento atmosferico. L’azione nociva di certi agenti inquinanti si è manifestata nei bovini, nei cavalli, nelle pecore ed anche nelle api e nei bachi da seta. Gli effetti dell’inquinamento sui vegetali sono abbastanza conosciuti. Alcune piante sono state utilizzate come indicatori permanenti del grado di inquinamento per gli effetti di questo sulle loro funzioni vitali. I licheni sopravvivono solo in nuclei urbani non inquinati. L’anidride solforosa attacca il pino ed altre conifere causando anche la distruzione nei boschi. L’inquinamento ha un grave effetto distruttivo anche sul patrimonio artistico di un paese, intaccando costruzioni storiche, annerendo pareti (Duomo di Milano ecc.). A Parigi la pulizia ed il mantenimento degli edifici costano annualmente circa 300 € per abitante.

Inquinamento, ma quanto ci costi?

Oltre ai danni causati alla salute e alle spese annesse per le cure, bisogna ricordare che la produttività per persona è ridotta del 15%. Ma non finisce qui, altri costi extra e danni causati dall’inquinamento sono per:

– l’agricoltura e l’allevamento di bestiame;

– le perdite dovute alla corrosione;

– le spese per il restauro del patrimonio artistico danneggiato (corrosione delle statue, edifici storici, chiese ecc.);

– spese per la manutenzione delle case, auto, ecc;

– aumento del costo dell’energia elettrica, consumata per eliminare la polvere e per trattamenti antinquinanti, per anticipare l’accensione delle lampade a causa della bassa visibilità, ecc.

A livello ecologico le principali vittime sono gli esseri viventi. Molte specie sono a rischio estinzione: 280 specie di mammiferi, 350 specie di uccelli e circa 20.000 specie di vegetali. Molti ecosistemi sono quindi minacciati e corrono il rischio, in tempi brevi, di essere totalmente distrutti in maniera irreversibile… tra quelli ci siamo anche noi

di Mariacristina Carboni

(Per un calcolo del numero di persone presenti sulla Terra, aspettativa di vita, dati sulle nascite, morti etc. consiglio di utilizzare questo simpatico programma messo a disposizione dalla BBC: http://www.bbc.co.uk/news/world-15391515)

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Retrofit: la vecchia cara 500 si “fa” elettrica

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Retrofit: la vecchia cara 500 si “fa” elettrica

Pubblicato il 20 ottobre 2012 by redazione

500 retrofitQualche volta vi è forse capitato di voler riesumare una vecchia auto storica. Troppo piena di ricordi per essere abbandonata. Tuttavia non è così facile, soprattutto nelle grandi città dove l’inquinamento è un problema quotidiano, e regole severe che ne limitano l’utilizzo. Anche una scampagnata fuoriporta con la famiglia non è più possibile. Ma a fronte dei nuovi incentivi, che riguarderanno l’acquisto di nuove auto elettriche, la cui entrata in vigore è prevista per l’anno 2013, una domanda inquietante incombe: che fine faranno questi veicoli storici? Finiranno dallo sfasciacarrozze? Andranno ad aumentare le montagne di rifiuti che già ci sommergono? E allora che fare?

Qualcuno c’ha pensato: è nato il retrofit elettrico. É un procedimento tecnologico grazie al quale è possibile convertire un’auto in una macchina elettrica, una e-car.

Lo scopo finale è quello di non distruggere le auto storiche ma candidarle a una lunga e nuova giovinezza , trasformandole . Una fine sicuramente migliore dell’abbandono, dello smontaggio o della rottamazione, che causerebbero più danni che altro. Inoltre queste auto, quando sopravvivono, spesso vengono spedite nei mercati dell’Est dove continuano a emettere gas inquinanti.

Ma come si realizza un buon retrofit ? Girovagando per internet mi sono imbattuta in una simpatica associazione che c’è riuscita con il vecchio amato cinquino: Eurozev.

Ma prendiamola un pò più alla larga e torniamo all’inizio, alla nascita del motore. Prima dello sviluppo sfrenato delle auto, costruite così come noi tutti le conosciamo, i motori erano due: quello a scoppio e quello elettrico. Inizialmente viaggiavano di pari passo ed erano in stretta concorrenza tra loro. Ben presto però fu chiaro che il motore endotermico era il più conveniente, sia per i costi che per le capacità stesse del motore. Quello elettrico fu quindi dimenticato dalle grandi case automobilistiche e solo alcune piccole aziende ne continuarono la produzione. Queste, prive di sostegni economici adeguati per la ricerca, necessari ad abbattere i costi di produzione, relegarono il motore elettrico ad un mercato decisamente ristretto.

Recentemente però le vetture elettriche sono state rivalutate soprattutto nelle grandi città, come veicoli ecologici, non inquinanti e silenziosi.

azionamento_500Realizzare un retrofit usando la beneamata 500.

Il procedimento è molto più semplice di quanto si possa immaginare e può essere usato con qualsiasi macchina senza particolari vincoli di età. Il veicolo viene trasformato sostituendo il vecchio motore con un motore elettrico, converter, batterie, etc: nuova tecnologia tipica delle moderne auto elettriche. Alla fine di originale resterà solo il telaio con le funzionalità di base.

Il veicolo modificato manterrà le stesse prestazioni della 500 originale, risulterà più prestante di molte altre vetture elettriche già presenti sul mercato e sarà particolarmente adatta a un uso cittadino.

Naturalmente il nuovo veicolo, derivato da una vettura storica precedente al 1993, deve per legge essere rimmatricolato. Si tratta di una procedura lunga e penosa che non garantisce sempre la buona riuscita del progetto. Sul sito http://www.eurozev.org/Notizie.htm si possono trovare molte informazioni utili. come questa: “Si può realizzare il proprio cinquino elettrico e farlo omologare alla sede Italiana del TUV (Ente di certificazione tedesco) per poi immatricolarlo con targa tedesca ed infine ri-importarlo in Italia, il tutto ad un costo di alcune migliaia di euro. Oppure, come ho deciso di fare io, creare una associazione ad hoc, per la realizzazione, il collaudo e la sperimentazione nel settore dei veicoli elettrici, farsi rilasciare una targa di prova, assicurarla (costosamente) e circolare in via del tutto provvisoria, facendo tutto il possibile perché il legislatore ci aiuti a trovare una soluzione.”

Posso crearmi da solo un veicolo retrofit, anche se non sono un esperto di motori e quanto mi può costare?

L’ideale sarebbe avere almeno una discreta conoscenza nel settore elettrotecnico in quanto gli altri eventuali ostacoli sono tutti facilmente superabili grazie anche all’aiuto di molte aziende che eseguono i diversi adattamenti meccanici.

Per quanto riguarda il costo dipende molto dal tempo che saremo in grado di dedicare al nostro progetto e alla bravura nella ricerca dei pezzi necessari alla conversione. Diciamo che si parte da un minimo di 1500/2000 euro per un retrofit prevalentemente riciclato, fino ad un massimo di 12000/15000 euro nel caso si decida di usare le componenti migliori presenti sul mercato. Ovviamente stiamo parlando di un lavoro home made. Mancano le spese di un eventuale assemblatore. In ogni caso da quando l’Eurozev ha aperto la strada, creando il primo prototipo, è possibile che i costi siano nel frattempo diminuiti.

Quali sono i vantaggi e le differenze con il vecchio cinquino?

La prima grande differenza consiste nella revisione che deve essere effettuata dopo molte migliaia di chilometri e consiste nella semplice sostituzione dei cuscinetti del motore. Non saranno più necessari tagliandi, filtri dell’olio, candele, iniettori, radiatori, marmitte catalitiche, etc. etc. (manutenzione ridotta dell’85%) Non servirà più nemmeno il bollo e l’assicurazione RCA costa 50% in meno. Per non menzionare il costo di un pieno che si aggira intorno ai 2 euro. Stiamo parlando di un risparmio notevole che andrà ad ammortizzare rapidamente il costo della conversione effettuata. Inoltre il nuovo veicolo sarà tre volte più efficiente della nostra vecchia 500 a motore, dettaglio interessante per tutti coloro che ostinatamente, e nonostante i divieti, usano l’auto tutti i giorni per andare al lavoro.

Scheda tecnica del nuovo 500-retrofit

* Motore elettrico Agni 135, 13kW.

* Batterie al litio polimeri: 96 Volts 100 Ah, per un totale di circa 9,6 kWh di energia

* Controller Phoenix 600 Ampere con capacità di recupero energetico in rilascio (fino a 3kW)

* Trasformatore DC/DC elektrosistem SPC500m (necessario per alimentare l’impianto a 12 volts, luci, frecce, stops e tergicristalli)

* Charger Zivan due da 20 Ah

* Fili, magnetotermici, fusibili, cavi etc.etc.

Qual’è l’autonomia di una 500 elettrica?

L’autonomia del cinquino realizzato dalla Eurozev è di 100 km, ma esistono diverse altre batterie sul mercato in grado di raggiungere anche 200-300 o addirittura 400 km. Ovviamente si tratta di batterie molto più grandi, ma la ricerca sta elaborando nuove batterie in grado di superare quelle al litio o addirittura quelle al litio-titano.

Rapporto velocità-autonomia nel nuovo cinquino.

Il gruppo di Eurozev ha scelto di mantenere le stesse caratteristiche della 500 originale grazie a delle batterie a litio-polimeri, ma in generale un veicolo elettrico ha batterie con un rapporto peso/energia abbastanza basso rispetto agli altri carburanti in circolazione. Anche questo problema è però aggirabile se, al momento della conversione, si tiene conto delle limitazioni energetiche della batteria.

Quanto durano le batterie?

Dipende dalla batteria che sceglieremo di montare. Quelle al piombo hanno una durata di circa un centinaio di cicli. Mentre quelle a litio-polimeri possono arrivare anche fino a migliaia di cicli di carica/scarica.

Cosa aspettarsi in futuro: batterie alla Schiuma di Grafene

Il futuro delle auto elettriche potrebbe dipendere, almeno parzialmente, da questa scoperta. Alcuni ricercatori cinesi (Li Na, Chen Zongping, Ren Wencai, Li Feng e Cheng Hui-Ming) hanno descritto nell’edizione dell’8 Ottobre 2012, della rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America), una batteria flessibile, creata proprio grazie alla schiuma di grafene, in grado di ricaricarsi in soli 15 minuti.

Ricordiamo che il grafene è un materiale costituito da uno strato monoatomico di atomi di carbonio altamente legati e disposti in ordine esagonale. La sua alta conducibilità lo rende quindi un soggetto ideale per la creazione di una batteria elettrica; esso infatti può caricarsi e scaricarsi alla stessa velocità di un condensatore – scarica completa in 20 secondi -, senza rinunciare alla flessibilità che risulta duratura anche quando viene piegato più volte.

Facendo crescere dei filamenti tridimensionali di grafene su di una speciale spugna metallica si ottiene la nostra schiuma di grafene, dotata anch’essa di grande flessibilità, resistenza e conducibilità elettrica.

Il lavoro svolto dai ricercatori cinesi prevede la creazione di un composto litio-titanio da collocarsi sulla nostra schiuma; questa ha dimostrato di avere la capacità di migliorare visibilmente le prestazioni dell’elettrodo creato. Le qualità di questo materiale hanno spinto gli autori a creare una batteria sperimentale in cui il composto litio-titano era l’anodo, e il catodo era costituito da un insieme di litio-ferro-fosfato e schiuma di grafene. Il risultato è stato una batteria capace di caricarsi in meno di 15 minuti, mantenendo una densità energetica e un peso pari a quelli delle altre batterie agli ioni di litio. I ricercatori sostengono che la densità energetica sarebbe ulteriormente migliorabile.

Comunque la batteria sarebbe già commercializzabile con le sue attuali capacità, il vero problema è il costo della produzione della schiuma di grafene e i tempi richiesti per la sua produzione che al momento sono lunghi. Prima di diffondere su larga scala la nuova batteria è quindi assolutamente necessario trovare una soluzione per i costi di produzione che la renderebbero altrimenti inaccessibile. La  possibilità di un’alternativa alle comuni batterie per le auto elettriche è stata però finalmente trovata. Non ci resta che aspettare che questa nuova batteria entri in commercio a prezzi accessibili.

Vorrei concludere lasciandovi un commento di Marchionne sulla possibilità da parte di Fiat di produrre nuove 500 elettriche, esemplificativo del pensiero che a quanto pare va per la maggiore. Credo che le sue parole possano farci riflettere molto sull’attuale pensiero comune. Forse dovremmo imparare ad essere un po’ più aperti alle nuove possibilità anche se richiedono un minimo di sacrificio e impegno iniziale. Dopotutto se scegliamo con giudizio verremo ripagati per le nostre scelte.

“Capisco che entusiasti politici e amministratori pubblici vedano questa trazione come rimedio per tutti i mali di inquinamento e rumore ed emissioni, ma oggi si tratta di una tecnologia che non è alla portata delle tasche normali, è una mobilità poco sostenibile in termini di diffusione di massa. Non sto dicendo che sia una tecnologia da abbandonare, tutt’altro, ma indirizzare tutto lo sforzo normativo per promuovere questo tipo di trazione porterebbe solo ad un aumento di costi senza nessun beneficio immediato e concreto. Sembra più saggio concentrarsi su motori tradizionali e carburanti alternativi”.

di Mariacristina Carboni

 

Fonti

Per maggiori informazioni consiglio la lettura dell’articolo originale: http://www.pnas.org/content/early/2012/10/05/1210072109.full.pdf+html?sid=6fa2572f-ca5e-4f8c-91e7-3c04538bbf45e in alternativa, l’articolo pubblicato su arstechnica:

http://arstechnica.com/science/2012/10/the-fast-and-the-flexible-graphene-foam-batteries-charge-quickly/

Altre informazioni sul grafene e le emissioni inquinanti:

http://www.nextme.it/scienza/natura-e-ambiente/4452-grafene-cambiamenti-climatici

Altre fonti:

http://it.ibtimes.com/articles/33051/20120710/retrofil-elettrico-fiat-500-auto-elettrica.htm

 

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Tatcher, Reagan, Gorbaciov: gli ordigni nucleari degli anni ottanta e ottantuno

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Tatcher, Reagan, Gorbaciov: gli ordigni nucleari degli anni ottanta e ottantuno

Pubblicato il 18 luglio 2012 by redazione

Thatcher and ReaganGorbachev, soviet Politburo member poses with British PM Margaret Thatcher at Chequers during his December 1984 visit to the UK.

Arrivati agli anni ottanta nel nostro excursus degli incidenti che hanno coinvolto armi ed impianti militari, troviamo che l’avanzamento tecnologico, pagato con l’investimento di spaventose risorse monetarie e materiali, ha portato ad un grado di letalità degli ordigni nucleari, solo pochi decenni fa, inimmaginabile …. I trattati di disarmo e di eliminazione di arsenali non hanno mai fermato le spese in questo settore, anzi, semmai sono serviti a sostituire i mezzi ormai obsoleti con altri ben più “efficienti”.

L’elettronica ha dato un grande supporto alla sicurezza degli armamenti, retaggio delle dolorose esperienze del passato nella gestione di quanto di più distruttivo l’uomo abbia potuto creare. Ma questo non ha conseguito una infallibilità tecnologica…

Gli incidenti hanno continuato ad accadere, solo che è cambiato il modo di fornire notizie o di commentare i fatti.

Sono anni in cui il confronto ideologico e strategico torna a farsi durissimo, dall’invasione sovietica dell’Afghanistan all’elezione del presidente degli Stati Uniti, il repubblicano Ronald Reagan. Conservatore convinto, Regan aprì un periodo, durato due mandati, conclusosi con l’accordo epocale sugli armamenti con l’allora presidente russo Mikhail Gorbaciov.

La conseguenza di questo accordo, paradossalmente, fù il proseguimento degli investimenti nella ricerca militare da entrambe le parti e al contempo un confronto ideologico dovuto ad una visione polarizzata del mondo: da un lato i Paesi democratici liberi (quindi i buoni), dall’altro le dittature del proletariato, dove il controllo dei mezzi di comunicazione e della politica era completo. Quest’ultimi erano fedeli all’ideologia anticapitalista ed espansionistica dei regimi comunisti nel mondo (i cattivi).

La propaganda politica di quegli anni fece leva anche su un ritrovato sentimento di appartenenza nazionale che riavvicinò l’opinione pubblica americana alle istituzioni, specie quelle militari.

Dopo le tremende vicende della sconfitta in Vietnam, il disorientamento culturale negli anni 70, fù caratterizzato da presidenze abbastanza deboli politicamente, come Carter e Ford, oltre a un lungo periodo di stagnazione economica.

Proprio la “Reaganomics”, la politica economica di liberalizzazione, basata sulla riduzione delle tasse e sulla contrazione dei bilanci statali, aveva un contraltare naturale nella politica dell’allora primo ministro inglese, Margaret Thatcher, l’interlocutore storicamente, ma anche militarmente, più vicino agli Stati Uniti.

In realtà l’enorme rilancio dell’industria bellica e la decisa ripresa nella politica antisovietica impedì il calo del debito e si mangiò i risparmi faticosamente ottenuti. Dall’altro lato della cortina di ferro, la paura di restare indietro nella ricerca tecnologica, specie quella informatica, generò il terrore che la superiorità occidentale si traducesse nel temuto “attacco a sorpresa”, senza che alcuna crisi politica o escalation militare la giustificasse.

L’investimento gigantesco operato dai vertici politici sovietici portò al collasso, alla fine del decennio, dell’economia dei cosiddetti Paesi del Socialismo reale.

La corsa fu proprio qualitativa. Le tecnologie furono privilegiate rispetto alla quantità degli armamenti. Basti pensare al programma costosissimo delle “star wars”, le guerre stellari (nome mutuato dal famoso film) che prevedevano l’uso dello spazio esterno dell’atmosfera, ufficialmente con funzioni di difesa antimissile, che sfruttava una rete di satelliti e di stazioni di controllo per contrastare un possibile attacco missilistico a sorpresa. Alla fine del decennio lo schieramento dei paesi del Socialismo reale imploderà anche per questo, schiacciato dalla spesa militare insostenibile. Ma andiamo per gradi e torniamo a immergerci in un aspetto della storia un po’ trascurato, ma tra i più problematici che l’umanità debba affrontare, ogni giorno: i nostri ordigni nucleari dispersi in vario modo negli anni ottanta. La quantità di eventi è tale che siamo costretti a dividere questa cronistoria in più parti che pubblicheremo nei mesi successivi.

1980

Il 2 o 3 giugno, la data non è certa, al NORAD, North Aerospace Defense Command – Comando di Difesa Aerospaziale del Nord America (note1, 2), la grande centrale di difesa  creata da Stati Uniti e Canada che ha sede sotto la Cheyenne Mountain in Colorado, un computer di analisi dati improvvisamente iniziò a proiettare sugli schermi tracce di lancio di missili intercontinentali dal territorio dell’Unione Sovietica, mandando il sistema di difesa Americano e NATO a DefCon 1 (Defence Condition, la scala di allarme del sistema militare). Dopo alcuni minuti di tensione altissima (anzi di vero panico secondo il ricordo di alcuni testimoni) che quasi portarono allo scoppio della terza guerra mondiale, si scoprì che un tecnico aveva caricato un nastro da esercitazione che simulava un lancio di missili nucleari intercontinentali, ma non aveva inserito nel grande computer che processava i dati il programma di avviso test in corso, per cui la macchina aveva preso per reali i dati, così come gli uomini del NORAD. Il comando strategico del Pacifico (PAF – Pacific Air Force)aveva allertato e fatto alzare in volo i B52 armati di armi nucleari, in attesa del codice di lancio da parte del Presidente, mentre  il SAC (lo Strategic Air Command) non aveva fatto decollare i B52  né messo in allarme i silos di lancio dei missili, convinto si trattasse di un errore, sulla scorta di un incidente simile a quanto pare avvenuto nel 1979. La polemica che sorse indicò anche la diversa interpretazione fra gli organi della gerarchia militare e quindi una potenziale mancanza di controllo univoco sullo strumento nucleare…

6 giugno Per la cronaca l’incidente si ripeté il ma questa volta per un difetto in un processore di una centralina che riceveva dati dai satelliti, per cui il computer riproduceva dati a caso di tracce radar. Per 15 minuti, i più lunghi della storia dell’umanità, comandanti militari e politici, il presidente in primis in quanto detentore della “chiave atomica”, cercarono disperatamente di comprendere se quello che stava succedendo fosse reale, se dovessero prendere la decisione che avrebbe sicuramente cancellato la vita sul pianeta. Quando dati più diretti indicarono che non c’era stato alcun decollo dalle basi in Russia e nei Paesi del Patto di Varsavia, ogni installazione venne subito fatta uscire dallo stato di allerta e riportata a livello DefCon 6, ma non prima che 100 B52 e centinaia di missili a lungo e corto raggio, sia a terra che in mare, fossero stati posti in condizione di decollo, con i motori caldi e le coordinate degli obbiettivi registrati nel computer di navigazione. E non si conosce ancora bene quale fu la reazione nella parte avversa, alla quale i segnali di un massiccio preparativo di attacco non sfuggirono di certo… Il 4 ottobre seguente venne presentato alla Commissione Difesa del Senato degli Stati Uniti un rapporto congiunto dal Senatore Democratico Americano Gary Hart e dal Senatore Repubblicano Americano Barry Goldwater, intitolato “Recenti falsi allarmi nel Sistema di Allarme Strategico per Attacco Nucleare Balistico”: nel rapporto venivano documentati 147 falsi allarmi al NORAD  in diciotto mesi, dal 1° gennaio 1979, al 30 giugno 1980, di cui 4 gravi ed uno, quello del 6 giugno 1980, potenzialmente catastrofico. La paura che l’intero sistema di attacco nucleare venisse completamente affidato all’elettronica  e con esso il destino dell’umanità, fu anche il tema di un film del 1983, “Wargames”, dove un giovane hacker (siamo agli albori di internet, nata come rete inizialmente proprio per le comunicazioni militari e governative sicure) si introduce nel computer del NORAD e per equivoco quasi scatena la guerra termonucleare globale. Una parte del film è stata ambientata proprio nella sede del NORAD.

20 luglio dello stesso anno, mentre è alla fonda  nella baia di San Diego in California, l’USS Gurnard (SSN 662), sottomarino cacciasommergibili a propulsione nucleare perde 30 galloni di acqua radioattiva del sistema di raffreddamento del reattore, equivalenti a circa 113 litri di liquido radioattivo. Fonti ufficiali della marina rassicurarono che immediate analisi delle acque non avevano evidenziato aumenti della radioattività di fondo. L’incidente sarebbe stato provocato da un marinaio addetto al reattore che avrebbe per errore aperto una valvola esterna.

29 luglio, mentre è in navigazione nel braccio di mare fra le Filippine ed il Borneo, la portaerei USS Midway viene investita dal mercantile Cactus, battente bandiera panamense. L’incidente danneggiò la nave, non seriamente secondo fonti ufficiali, ma due marinai morirono e tre caccia F4 Phantom II sul ponte rimasero danneggiati.  Questo è uno dei tanti incidenti che coinvolsero navi da guerra, per quanto enormi come le portaerei oceaniche americane, ma non solo. La preoccupazione in questi casi, come avvenuto in passato, è la possibilità che gli incidenti  provochino gravi incendi  su questi aeroporti naviganti. Nel caso specifico, la USS Midway era a propulsione convenzionale, ma nelle sue santabarbare potenzialmente possono essere custoditi armamenti nucleari in dotazione agli aerei da attacco, per quanto dopo gli anni 60 la politica delle forze nucleari occidentali è stata di disciplinare e limitare al massimo la movimentazione di ordigni atomici solo in caso di effettive crisi internazionali.

12 agosto fu il sottomarino da attacco a propulsione nucleare HMS Sovereign, classe di appartenenza Swiftsure, che restò vittima di un’avaria in navigazione nel Plymouth Sound. Per quanto le fonti ufficiali della Royal Navy avessero descritto il guasto meccanico non grave, il sottomarino rimase senza energia, incapace di manovrare o muoversi, “dead in the water” come si dice in gergo e dovette essere trainato da un’altra unità al porto di partenza, a Devonport.

Figura 1: decollo su allarme di un B52 del 92nd Bombardment Wing in allerta nucleare sulla Fairchild Air Base. L’immagine è degli anni 60 ma è indicativa dell’attività degli equipaggi del SAC durante quasi tutto il periodo della cosiddetta ‘guerra fredda’.

Il 15 settembre (figura 1) è di nuovo il mezzo aereo a essere protagonista di un rischio nucleare: Un Boeing B52 H è sulla pista della base di Grand Forks, nel North Dakota, in attesa di un decollo durante un’esercitazione. Ai piloni subalari interni sono assicurati 8 missili Cruise AGM 69 a testata nucleare. Il Cruise è una delle nuove frontiere dell’armamento nucleare. Permette di lanciare l’arma lontano dalle difese aeree dell’avversario, sarà il missile a raggiungere l’obiettivo con un volo a bassissima quota grazie al TFR, il radar che segue il profilo del suolo. Questo letale nuovo giocattolo è la risposta ai missili a medio raggio autotrasportabili SS 20 che l’Unione Sovietica ha schierato dalla metà degli anni 70 sul teatro europeo soprattutto. L’enorme bombardiere è pronto al decollo, quando improvvisamente un incendio violentissimo appare dal nulla e avvolge l’aereo. L’immediato intervento delle squadre dei pompieri ed un forte vento tengono le fiamme lontano dagli ordigni atomici, ma il fuoco consuma l’aereo per più di tre ore, alimentato dal carburante JP4 stivato a migliaia di litri nei serbatoi. Dopo lo spegnimento venne accertato che l’incendio era iniziato proprio per un cedimento del serbatoio alare numero 3 e se il vento avesse spinto verso l’asse longitudinale invece che lateralmente tutte le testate (armate) sarebbero state investite dalle fiamme.

Figura 2 : lo spaccato di un tipico complesso di lancio dei missili LGM25C Titan II, operativi tra gli anni 50 ed 80.

19 settembre (figura 2) Solo 4 giorni dopo avvenne un altro incidente con un rischio elevatissimo di detonazione nucleare. (Nota 3) Nell’area sotto la responsabilità della Little Rock Air Force Base è dislocato il 308 Strategic Missile Wing, composto dal 373 e dal 374 Strategic Missile Squadron. L’unità è una delle tre armate con il missile intercontinentale balistico (ICBM) Martin Marietta LGM25C Titan II, il più grande nell’arsenale occidentale, con i suoi 31 metri di altezza per oltre 154.000 chilogrammi di peso in condizioni operative, dotato di una testata termonucleare da 9 megatoni W53, può colpire bersagli a oltre 10.000 chilometri dalla base di lancio, nel cuore del territorio sovietico, oppure cinese, con un volo di pochi minuti. Ogni silo è dotato di una camera di controllo collegata con sistemi di comunicazione sicura e tunnel di accesso a vari piani per la manutenzione del missile. Per evitare pericoli di lanci intenzionali, gli operatori sono due dotati ciascuno di una chiave di lancio da utilizzare contemporaneamente, il tutto protetto da una struttura in acciaio e cemento capace di resistere a un’esplosione nucleare diretta… All’esterno, ogni silo è ben dissimulato sul territorio, per evitare che venga individuato dai satelliti spia russi.  Grazie al tipo di propellente liquido ipergolico, ovvero composto da due componenti (un carburante ed un ossidante) che si incendiano per reazione chimica una volta mescolati, il missile può essere lanciato entro 58 secondi da che  gli operatori ricevano il codice segreto di lancio dal Presidente. Il carburante A50 del missile è economico e molto efficiente ma forse più pericoloso della testata stessa , in quanto i suoi componenti chimici sono potentemente tossici e corrosivi. Periodicamente vanno sostituiti e rigenerati, in quanto soggetti a deterioramento. Ci sono stati tragici precedenti: l’8 agosto 1965 ben 53 lavoratori civili che stavano eseguendo lavori in un altro silo morirono un tremendo incendio quando venne accidentalmente perforato un serbatoio di stoccaggio del carburante, mentre il 27 gennaio 1978 nello stesso silo 374-7 due avieri furono uccisi dai vapori dell’ossidante fuoriusciti da una falla nel missile, causando anche una nube tossica che sfuggì dal silo colpendo tutta la zona circostante.

18 settembre Quella sera nel silo 374 – 7, posto nella campagna della Contea di Van Buren, un aviere stava effettuando un’operazione di manutenzione periodica sul missile Titan. Il militare perse una pesante chiave a bussola, che dopo un volo di quasi 30 metri rimbalzò sulla parete del silo e perforò il serbatoio del carburante del primo stadio del missile. Immediatamente venne formata una squadra di emergenza e la polizia militare iniziò l’evacuazione del personale e dei civili dalla zona. Solo due avieri restarono nel silo cercando con tute protettive di riparare la perdita, ma inutilmente. Nelle prime ore del 19 settembre la concentrazione di vapori nell’aria raggiunse il livello massimo ed i due uscirono dal silo chiudendo le porte stagne. Pochi istanti dopo la struttura del missile cedette (la pressione del carburante nei serbatoi ha anche una funzione strutturale di sostegno) innescando una terrificante esplosione. Il portello esterno  corazzato, pesante 740 tonnellate, venne divelto e scagliato ad una altezza di oltre 70 metri, mentre le macerie del silo si abbatterono nel raggio di 700 metri dall’installazione. Il modulo di rientro con la testata W53 venne ritrovato ad oltre 180 metri, ammaccato ma sostanzialmente intatto e disarmato dai sistemi di sicurezza automatici. Uno dei due coraggiosi avieri morì in ospedale mentre l’altro, assieme a 21 persone della squadra di emergenza, rimase ferito nell’esplosione. La commissione di inchiesta valutò il costo della riparazione del silo l’astronomica cifra di 225 milioni di dollari. La pericolosità dei carburanti liquidi ed programmi di ammodernamento dell’arsenale nucleare avviati dall’amministrazione Reagan portarono all’annuncio nel 1981 del ritiro dal servizio del Titan II, con la distruzione dei silo sotterranei, che vennero demoliti,  riempiti di terra e detriti. Oggi ne esiste solo uno,  trasformato in museo e visitabile. Il suo Titan, un esemplare da addestramento mai operativo, è l’ultimo dei 63 esemplari costruiti, il resto fu utilizzato come vettori per satelliti oppure demolito e venduto come rottame.

30 novembre, nella grande base di  Severodvinsk il reattore del sottomarino K 122 (nota 4 e video su youtube al link http://www.youtube.com/watch?hl=en&v=hQvgLxpsKHE&gl=US), unico rappresentante della classe Papa nel codice NATO, andò fuori controllo durante prove di potenza non autorizzate e svolte senza rispettare le norme di sicurezza. Un numero imprecisato di persone fu fortemente irradiata come l’area del bacino attorno. Il K122 era un primatista dei mari, con il suo scafo al Titanio poteva raggiungere profondità attorno ai 1000  metri e la velocità incredibile di 45 nodi in immersione, ovvero circa 85 chilometri all’ora…troppo costoso e complesso, fu utilizzato per missioni speciali di spionaggio e per testare le soluzioni applicate sui  sottomarini d’attacco classe Alfa. Dopo l’incidente non fu mai più pienamente operativo. L’anno si conclude con ancora due rischi potenziali in mare (nota 5).

1 dicembre l’HMS Dreadnought, primo sottomarino nucleare ad entrare in servizio nella flotta inglese, subisce una rottura catastrofica al circuito secondario di raffreddamento del motore (un reattore S5W di costruzione statunitense) per cui lo stesso viene immediatamente spento e il battello resta alla deriva in alto mare. L’unità, che ha alle spalle ormai quasi vent’anni di intenso servizio e parecchi acciacchi, viene giudicata non riparabile e posta in disarmo.

3 dicembre il sottomarino statunitense USS Hawkbill (SSN 666, insolito codice, visto che le autorità  sono sempre state “sensibili” agli umori degli equipaggi, parecchio superstiziosi…) si trovava presso i cantieri navali del Puget Sound Naval Shipyard, nello stato di Washington, per essere sottoposto a test di routine sui suoi apparati. Durante una prova al circuito di raffreddamento del reattore, oltre 560 litri di acqua radioattiva sfuggirono da una valvola difettosa e contaminarono 5 lavoratori del cantiere. Fonti della marina assicurarono che il liquido venne prontamente pompato in contenitori al piombo per essere smaltito, ma che il livello di radioattività era comunque basso, tanto che i lavoratori subirono un’esposizione inferiore a quella di una radiografia. Il sottomarino nel giugno dell’anno prima era stato oggetto di un incidente da perdita di liquido radioattivo in navigazione, probabilmente i test in corso avevano lo scopo di controllare il battello prima che tornasse operativo.

1981

L’anno inizia con un incidente occorso all’USS Birmingham (SSN 695) il 23 gennaio (nota 6): durante la navigazione nel mediterraneo subisce un danneggiamento dell’apparato sonar e deve entrare in porto a Gibilterra per riparazioni. Non si conosce la causa o l’entità dell’incidente. ( in questa sequenza la partenza  del Birmingham per una crociera nel Pacifico nel 1990 prima della Guerra del Golfo. Le immagini mostrano un classico momento operativo dei sottomarini da attacco nucleare http://www.youtube.com/watch?v=ps4WdZ1yJ2o&feature=relmfu ).

26 marzo l’USS Guardfish, già coinvolto in passato in un imbarazzante incidente nucleare, urtò il fondale nel canale di San Pedro, mentre rientrava alla base navale di San Diego. Ufficialmente non vi furono danni.

9 aprile il sottomarino lanciamissili nucleari USS George Washington (SSBN598) (nota 7), speronò in emersione il mercantile giapponese Nisso Maru nel Mar Cinese Orientale, a circa 200 chilometri dal porto di Sasebo.  La nave giapponese affondò nel giro di 15 minuti portando con se 2 dei 15 marinai a bordo. Il sottomarino riportò solo alcuni danni alla torre. L’affondamento causò un grave incidente diplomatico tra Giappone e U.S.A. : un’ondata di indignazione percorse il paese, poiché le autorità statunitensi ci misero ben 24 ore a segnalare ufficialmente la collisione e né l’equipaggio del sottomarino né quello di un aereo pattugliatore P3C a quanto pare andarono immediatamente in soccorso dei naufraghi giapponesi. Inoltre il governo di Tokio volle sapere cosa ci faceva un’unità nucleare a meno di 20 miglia nautiche dalla costa e perché il sottomarino fosse emerso senza controllare la superficie. Il Giappone, di fronte agli incidenti con vascelli ed armi nucleari avvenuti a poca distanza dalle sue coste, ancora con il doloroso ricordo dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaky, aveva vietato l’ingresso già negli anni 60 nelle acque territoriali a battelli a propulsione nucleare o che portassero armamenti atomici. Non estranea fu anche la prova che i militari americani avevano sistematicamente mentito su  contaminazioni nei loro porti dovute alla presenza della flotta sottomarina americana…. L’US Navy continuò nella sua politica di “non poter confermare né negare la presenza” di armamenti atomici su suoi mezzi navali o aerei coinvolti in incidenti, anche se il Presidente Reagan personalmente assicurò alle autorità di Tokyo che non c’era mai stato alcun pericolo di versamenti in mare di materiale radioattivo e che sarebbe stata accertata la dinamica dell’incidente. Inizialmente, lo scontro fu giustificato con la scarsa visibilità dovuta alla pioggia e alla nebbia e che agli occhi dei marinai americani la nave giapponese non sembrava essere in difficoltà. Tesi piuttosto difficili da sostenere, che fecero ancora di più arrabbiare l’opinione pubblica del Sol Levante. Dopo alcuni mesi  di dure polemiche, sotto una forte pressione politica, la U.S. Navy dichiarò la propria responsabilità nell’incidente, mentre il Dipartimento della Marina si offerse di pagare un risarcimento per i danni subiti. Fu dichiarato che l’incidente fu causato da una serie di sfortunate coincidenze assieme al comportamento negligente del comandante e dell’ufficiale di plancia del George Washington, che furono destinati ad altro incarico con una nota di biasimo ufficiale sullo stato di servizio. Un po’ poco per il rischio corso: sul Washington erano presenti 16 silos di lancio per missili intercontinentali Polaris e probabilmente siluri a testata nucleare.

13 aprile l’USS William H. Bates (SSN-680) finì dentro delle reti da pesca fisse nel canale di Hood, stato di Washington. Non si conoscono altri particolari.

27 dello stesso mese (nota 8) l’USS Jack (SSN 605) mentre è ormeggiato a fianco della USS Trenton nel porto di Alessandra d’Egitto, va a colpire la fiancata del Trenton causando danni agli scafi di entrambi i battelli. Non furono denunciati problemi con il reattore.

25 e il 26 maggio (nota 9) Nella notte un aereo da guerra elettronica Grumman EA6B Prowler, appartenente al corpo dei Marines, si schianta mentre cerca di appontare, a corto di carburante,  sulla portaerei nucleare USS Nimitz (CVN68), in navigazione a 70 miglia nautiche da Jaksonville (Florida). L’aereo investì altri apparecchi in parcheggio sul ponte e prese fuoco. Mentre le squadre di emergenza stanno domando l’incendio, un missile aria-aria AIM7E Sparrow appeso ad uno degli aerei esplose, ravvivando l’incendio, che durò oltre un’ora. Alla fine il bilancio fu di 14 militari morti e 45/48 feriti, secondo le fonti, oltre a una diecina di velivoli distrutti o danneggiati (tra cui 3 allora nuovissimi caccia Grumman F 14A Tomcat), per un totale di danni valutato ben in 100 milioni di Dollari. Una forte polemica politica sorse quando le autopsie su  alcuni dei marinai deceduti dimostrarono presenza di Mariujana. Il presidente Reagan da allora istituì controlli ferrei sul personale militare per escludere l’uso di alcool o droghe, per quanto l’incidente in se non fosse da imputare a quella causa. I due reattori nucleari A4W della nave non subirono alcun danno, né corsero alcun rischio secondo fonti della Marina. (nota 10)

21 agosto, toccò a un sottomarino sovietico nucleare classe Echo I, probabilmente il K 122, a subire un incendio grave in sala macchine, nel Mar Cinese a circa 85 miglia marine dall’isola giapponese di Okinawa. Secondo fonti nipponiche 9 uomini dell’equipaggio restarono soffocati dal fumo e dal monossido di carbonio che saturarono gli angusti spazi del compartimento macchine. Una nave mercantile  russa soccorse l’unità trasbordando buona parte dell’equipaggio, mentre un rimorchiatore da Vladivostock raggiunse  il battello assieme ad alcune unità di scorta per trainare l’unità. Il governo giapponese rifiutò il permesso di ingresso nelle acque territoriali fino a che la marina russa non avesse assicurato la messa in sicurezza del reattore, nonché l’assenza di perdite di materiali radioattivi e  di armi nucleari a bordo. Fino al 24 agosto le autorità Sovietiche non assicurarono nulla, strettamente seguite da mezzi aerei e navali giapponesi, ma anzi entrarono nelle acque territoriali di Tokyo. Finalmente dopo tale data, sotto la tensione internazionale creatasi, il governo sovietico assicurò che non vi erano state perdite al reattore e non vi era alcun inquinamento dell’oceano, né armi nucleari attive sul sottomarino. Campionature effettuate sia in aria che in acqua (nonché fotografie scattate al personale del sottomarino) dimostrarono invece perdite di una certa consistenza con contaminazione evidente. Per giusta citazione, alcune fonti riportano l’incidente come avvenuto nel 1980.

27 dello stesso mese l’USS Dallas (SSN 700) (nota 11)urtò violentemente il fondo mentre stava per entrare nell’ “Atlantic Undersea Test and Evaluation Center” ad Andros Island, nelle Bahamas, per condurre delle prove sul sistema sonar con e le sofisticate apparecchiature del laboratorio sottomarino. Le superfici di manovra e la parte inferiore della poppa del battello rimasero danneggiate. Dopo alcune ore di intensi sforzi da parte dell’equipaggio, il sottomarino fu in grado di ritornare in superficie e raggiungere la base di New London, nel Connecticut, per le riparazioni.

27 ottobre grave incidente diplomatico. Un sottomarino russo classe Whiskey, il K363,  si incagliò in un canale a 10 chilometri dalla base navale svedese di Karlskrona, durante una evidente missione di spionaggio militare. Il comandante Anatoly Guscin si giustificò genericamente con cattivo tempo ed un guasto al sistema inerziale di navigazione. Il 29 un tentativo di entrare nelle acque territoriali svedesi da parte di un rimorchiatore e di un sottomarino di tipo non identificato furono respinti dagli elicotteri e dalle navi da guerra svedesi. Mentre uno scanning eseguito a distanza  con spettrometri sensibili alle radiazioni gamma dimostrarono che il Whiskey, anche se propulsione convenzionale diesel-elettrica,  era armato sicuramente con siluri a testata atomica. Il 6 novembre il battello venne trainato fuori dalle acque territoriali svedesi e preso in consegna da unità russe che lo scortarono verso l’unione Sovietica. L’incidente fu chiuso col pagamento di 212.000 Dollari da parte dell’Unione Sovietica come risarcimento allo stato svedese. La Svezia, nazione neutrale e non allineata ad alcuno schieramento, subì parecchie ingerenze da entrambe le parti. Solo pochi mesi prima il cacciatorpediniere Halland aveva lanciato cariche di profondità su un sottomarino non identificato che aveva violato le acque  svedesi. Il recente ritrovamento casuale del relitto di un altro sottomarino classe Whiskey nella zona però autorizza a pensare che anch’esso fu vittima della reazione della marina svedese, come molti altri scontri non ufficiali venne seppellito fra gli ingombranti segreti della guerra fredda. Ad oggi nessuno sa se nel relitto vi siano armamenti nucleari.

2 novembre nella base di Holy Loch, in Scozia, un missile Poseidon cadde dal ponte della nave appoggio USS Holland per un errore dell’operatore della gru che lo stava spostando. Le sicure automatiche bloccarono la caduta, ma l’esplosivo convenzionale di innesco della testata, tipo LX09, abbastanza instabile, avrebbe potuto detonare e spargere materiale radioattivo su una vasta area. Un identico incidente era già occorso nell’agosto 1977  nella base navale di Coulport durante il caricamento di un missile Polaris. Per cui la Marina americana fu duramente criticata sui giornali britannici prima per aver nascosto l’incidente e in seguito non aver informato le comunità attorno alla base sui rischi corsi nella movimentazione degli armamenti dei sottomarini nucleari. La lapidaria risposta ufficiale della US Navy fu che non vi era stato alcun danno materiale, nessuno era rimasto ferito e che non era stato corso alcun serio pericolo…..

di Davide Migliore

Riferimenti e bibliografia

(1)  http://www.norad.mil/ : sito ufficiale del NORAD ;

http://www.ippnw-italy.org/site/ippnwitaly/documenti-relazioni-comunicati/viii-summit-dei-premi-nobel-per-la-pace

la guerra nucleare non intenzionale, quando l’umanità gioca alla roulette russa…

(2)http://www.ippnw-italy.org/site/ippnwitaly/documenti-relazioni-comunicati/helsinki-1984-ed-il-concetto-di-guerra-nucleare-non-intenzionale-nella-storia-del-disarmo-nucleare-in-europa

(3) http://www.titanmissilemuseum.org ; http://en.wikipedia.org/wiki/Titan_Missile_Museum ;

http://encyclopediaofarkansas.net/encyclopedia/entry-detail.aspx?entryID=2543

http://www.308smw.com/ ;http://www.titan2icbm.org/index.html  ;

http://encyclopediaofarkansas.net/encyclopedia/entry-detail.aspx?entryID=2543

l’incidente al missile Titan II alla Little Rock Air Force Base, Arkansas.

(4)http://www.marinebuzz.com/2008/07/25/worlds-fastest-russian-nuclear-submarine-k-222-being-dismantled/

SOMMERGIBILI NUCLEARI : PROBLEMI DI SICUREZZA ED IMPATTO AMBIENTALE , Politecnico di Torino, 2004 – F. IANNUZZELLI, V.F. POLCARO, M. ZUCCHETTI

http://www.deepstorm.ru/DeepStorm.files/45-92/nsrs/661/k-162/k-162.htm

(5) http://www.submarineheritage.com/gallery_dreadnought.html  ; http://www.hmsdreadnought.co.uk/

http://www.rnsubs.co.uk/Boats/BoatDB2/index.php?id=2&BoatID=680&flag=class

(6) http://www.hullnumber.com/SSN-695

(7) http://navysite.de/ssbn/ssbn598.htm

(8)http://uss-jack.org/ ; http://en.wikipedia.org/wiki/USS_Jack_(SSN-605)

(9)http://en.wikipedia.org/wiki/USS_Nimitz_(CVN-68) ; http://navysite.de/cvn/cvn68.html  USS Nimitz

(10) http://it.wikipedia.org/wiki/Classe_Echo_I/II

http://russian-ships.info/eng/submarines/project_659.htm

http://silentseawolvesmsw.devhub.com/blog/463924-strategic-missile-submarine-operations/

l’incidente al sottomarino sovietico K 122

(11) http://www.uscarriers.net/ssn700history.htm

incidente all’USS Dallas

 

Fonti:

http://www.progettohumus.it/public/forum/index.php?topic=428.0;wap2

incidenti nucleari o potenzialmente nucleari dal 1971 ad oggi

http://lists.peacelink.it/armamenti/msg00252.html

lista di incidenti a sottomarini e vascelli militari angloamericani dal 1945 .

http://spb.org.ru/bellona/ehome/russia/nfl/nfl8.htm#O17b

lista incidenti a sottomarini sovietici con cause

https://www.cia.gov/library/center-for-the-study-of-intelligence/csi-publications/books-and-monographs/a-cold-war-conundrum/source.htm sito ufficiale della C.I.A.

http://nuclearweaponarchive.org/index.html

the nuclear weapons archive

http://www.nukewatchinfo.org/nuclearweapons/index.html

informazioni aggiornate sulla produziione di armamenti, sulle conseguenze mediche e ambientali della produzione di armi, iniziative pacifiste e di eliminazione degli armamenti nucleari.

http://bispensiero.blogspot.it/2007_05_01_archive.html

blog con liste dei principali pericoli e situazione attuale della strategia atomica

http://archive.greenpeace.org/comms/nukes/chernob/rep02.html

http://www.rmiembassyus.org/Nuclear%20Issues.htm

http://www.web.net/~cnanw/a7.htm

10 mishaps that might have started an accidental nuclear war.

http://forum1.aimoo.com/American_Cold_War_Veterans/Cold-War-Casualties/Naval-Accidents-During-Cold-War-1-1579633.html

incidenti navali con vittime durante la Guerra Fredda, registro di fonte U.S.A.

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