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Inquinamento urbano o del pianeta?

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Inquinamento urbano o del pianeta?

Pubblicato il 29 dicembre 2012 by redazione

il-polmone-verde-della-terraTutti gli ecosistemi che compongono la biosfera sono in uno stato di equilibrio fra loro e al loro interno.

Questo stato di equilibrio è una condizione fondamentale. Ogni volta che intervengono variazioni, la biosfera tende a riportarsi nel suo stato naturale.

Se il fattore di disturbo esterno persiste (per esempio a causa di fenomeni di inquinamento), si ha la rottura della condizione di equilibrio.

Qualsiasi modifica, anche se piccola, all’ambiente può alterare l’ecosistema naturale e costituisce… un fattore inquinante.

Purtroppo si sa l’inquinamento oggi è forse una delle peggiori disgrazie che colpiscono il nostro amato pianeta. Sappiamo tutti che c’è e ne conosciamo vagamente i rischi. Quello che veramente però non sappiamo è cos’è, dove colpisce prevalentemente, perché e cosa si sta facendo per rimediare.

Si ritiene che saranno le grandi megalopoli a sviluppare in futuro le più grandi quantità di inquinamento e saranno quindi loro a dover trovare la strada per delle pratiche sostenibili.

Ma cos’è l’inquinamento?

Come tutti sappiamo, la vita sulla Terra è regolata da leggi naturali precise. La prima, fondamentale, è quella per cui niente si crea o si distrugge, ma tutto si trasforma. Per questo ogni essere vivente nasce, cresce, si riproduce e muore. Ma il ciclo della sua vita non si estingue con la sua morte. I suoi resti vengono sempre riassorbiti direttamente o indirettamente dalla Terra, arricchendola di sostanze così che possano contribuire alla formazione e al mantenimento di nuovi organismi. Possiamo considerare questo circolo infinito come un primo cerchio della vita.

Un secondo movimento circolare lo ritroviamo, in un ottica più ampia, nella biosfera, quel complesso meccanismo-sistema che comprende tutti gli esseri viventi.

Abbiamo una fonte di energia il Sole che con i suoi raggi irradia una biomassa, che a sua volta genera forme di vita contigue, che attraverso le diverse fasi naturali di nascita, crescita, riproduzione e morte, si inanellano tutte tra loro, a formare le diverse catene alimentari.

Grazie quindi all’energia solare, sulla Terra c’è la vita. Le radiazioni provenienti dal Sole hanno reso, infatti, possibile il processo di fotosintesi del mondo vegetale, grazie al quale si libera l’ossigeno che respiriamo e che è presente nella nostra atmosfera e senza il quale le catene alimentari andrebbero drammaticamente in crisi.

Si tratta quindi di un sistema di vita aperto per quanto riguarda l’energia solare, ma chiuso per quanto riguarda le sue sostanze. Queste devono perciò essere sempre presenti nell’ecosistema generale e per questo costantemente riciclate, attraverso la decomposizione dei suoi prodotti, per tornare a essere disponibili. Si potrebbe quindi abbozzare l’ipotesi che l’inquinamento non sia altro che una forma di riciclo non naturale e quindi non compatibile con il nostro ecosistema. Questo riciclo “fuori dagli schemi” finisce con l’essere dannoso e, interferendo con quello naturale già presente, causare gravi squilibri, difficili da ripristinare.

All’inizio, l’intervento dell’uomo sulla Biosfera era pari a quello di ogni altro essere vivente. Fino al momento in cui non ha più tenuto conto delle necessità degli altri esseri viventi e così facendo ha fatto saltare i delicati equilibri dell’intero sistema, di cui lui stesso è parte.

L’inquinamento ambientale ha accompagnato le civiltà umane fin dal principio. Secondo un articolo del 1983 pubblicato sulla rivista Science:“la fuliggine trovata sul soffitto delle caverne preistoriche fornisce ampie prove dei livelli elevati di inquinamento associati alla ventilazione inadeguata di fiamme libere”. Inoltre la forgiatura dei metalli sembra essere stata un punto di svolta nella creazione di livelli significativi di inquinamento atmosferico.

In epoca più recente è nata la necessità sempre più impellente di ottenere nuove terre necessarie a creare ampi spazi per le colture e per gli allevamenti. Questo ha portato ad un’opera di disboscamento forzato che ha causato i primi sbalzi climatici, che nel corso dei secoli, sono cresciuti di pari passo all’aumento della popolazione umana.

Durante la rivoluzione industriale si è poi passati a un uso massiccio delle fonti di energia: prima tra tutte la combustione, anch’essa fattore inquinante. E, sempre in quest’epoca, si è sviluppato un altro fenomeno invasivo, l’urbanizzazione che con la nascita delle prime vere e proprie grandi città, in grado di ospitare un numero sempre maggiore di persone, ha dato il via all’inquinamento demografico. Tanto per fare un esempio: nel 1960 si calcolava un incremento della popolazione pari a 0,3% (su un totale di 150 milioni di individui). Ma già nel 1970 la popolazione raggiungeva 3.600 milioni di individui, con un tasso di incremento del 2,1%. E’ vero che negli anni successivi il tasso d’incremento della popolazione subì un calo, ciononostante, nel 2012, la popolazione stimata, sul nostro pianeta, è pari a 7 miliardi di persone.

Un altro fattore su cui riflette è il rapporto nascite-morti. Nel XVII° secolo la natalità eccedeva di poco la mortalità. Oggi, invece, la vita media si è allungata di molto e questo, per quanto egoisticamente auspicabile, rompe non pochi equilibri.

Secondo alcuni esperti “l’esplosione demografica mondiale costituisce la causa principale dell’inquinamento e della crisi dell’ambiente nonché delle crisi sociali (contrapposizione e incremento del divario fra paesi ricchi e poveri, aumento dell’immigrazione, ecc.). E’ stato calcolato che se tutti gli attuali abitanti della terra potessero adottare il sistema economico e il modo di vita degli europei (o dei nordamericani), il tasso di inquinamento totale sarebbe 10 volte superiore e con un “effetto serra” tale da mettere in pericolo la vita sul pianeta.”

inquinamento-pm10-roma-record-decessiIl nostro veleno quotidiano

L’inquinamento è quindi un fenomeno strettamente legato alle aree urbane ed industriali. Si tratta di zone dove si registra un’alta concentrazione di emissioni; le principali sono provocate dagli impianti di riscaldamento, dalle attività industriali e dal traffico.

E’ importante tuttavia specificare che la quantità di emissioni varia a seconda del periodo dell’anno in cui vengono emesse. Nella stagione invernale l’ inquinamento dipende dalle attività produttive, dal traffico, e dagli impianti di riscaldamento, che si amplificano se le i fattori meteo-climatici non lo disperdono ma, invece, contribuiscono al suo eventuale ristagno. Gli agenti inquinanti tipici delle città, tendenzialmente concentrati al livello del suolo, si disperdono infatti facilmente grazie al vento. In estate si inserisce poi un altro fattore, l’aria calda, che tendendo a risalire, trasporta con sé i particolati inquinanti, di cui l’ inverno ne favorirà il ristagno, negli strati più bassi dell’atmosfera. Gli scienziati spiegano che questo avviene per via del fenomeno dell’inversione termica: “il normale gradiente delle temperature, cioè aria più calda vicino al suolo che progressivamente si raffredda salendo di quota, si inverte, producendo uno strato di aria fredda e densa vicino al suolo e uno strato di aria più calda e leggera in quota, in cui si ripristina il normale gradiente delle temperature. I due strati di aria non si rimescolano e gli inquinanti vengono trattenuti a lungo vicino al suolo, intrappolati nella cappa di aria fredda e pesante.

Altri fattori meteo-climatici che possono influenzare la concentrazione degli agenti inquinanti nell’atmosfera sono: la pioggia (che ripulisce l’atmosfera e che rende impossibile l’inversione termica), la nebbia (che assorbe alcuni inquinanti, ma con l’umidità causa delle reazioni chimiche che provocano la nascita di altre sostanze nocive) e in estate il forte irraggiamento solare, che causa la formazione delle sostanze organiche volatili (le sostanze emesse dagli autoveicoli e dalle industrie) e gli ossidi di azoto, colpiti dall’intensa radiazione luminosa, reagiscono tra loro per formare ozono e una gran varietà di altri composti, spesso dannosi.

I principali agenti inquinanti

Anidride carbonica (CO2) – Dovuta ai processi di combustione per produrre energia e per il riscaldamento domestico. Fa aumentare la temperatura della superficie terrestre.

Ossido di carbonio (CO) – E’ prodotto dalle industrie, dalle raffinerie del petrolio e dalle macchine. Inalato può essere mortale.

Anidride solforosa (SO2) – Dal fumo delle centrali elettriche, dalle fabbriche, automobili. Provoca lesioni a carico dell’apparato respiratorio.

Ossidi di azoto (NOx) – Prodotti da aerei, dai forni, dagli inceneritori, dai fertilizzanti. Formano lo smog fotochimico; provocano bronchiti a neonati e anziani.

Particolato – Particelle solide (PM 2.5 e PM 10) prodotte dalle industrie, costruzioni, trasporti (motori Diesel) che si depositano negli agglomerati urbani. Causano gravi disturbi all’apparato respiratorio.

COV – Sono i “composti organici volatili”, tossici e cancerogeni.

Fosfati – Dalle acque di scarico, provengono dai fertilizzanti chimici usati in quantità eccessive. Inquinano laghi e fiumi (eutrofizzazione).

Mercurio – Prodotto dall’utilizzazione di combustibili fossili, dalle centrali d’energia elettrica, dai colorifici, dalle raffinerie, dalla preparazione di carta. E’ molto velenoso e può contaminare gli alimenti provenienti dal mare.

Piombo – Prodotto dalle industrie chimiche. Attacca gli enzimi ed altera il metabolismo cellulare.

Petrolio – Dall’estrazione di fronte alle coste, dalla sua raffinazione, da incidenti delle navi petroliere. Causa gravissimi danni all’ambiente. Distrugge plancton, uccelli marini, vegetazione.

D.D.T. e insetticidi – Contribuiscono a far sparire molti insetti, crostacei, possono passare tramite le acque di scolo al mare, contaminandolo, causando così moria di pesci.

Radiazioni – Dalla produzione d’energia atomica, da scoppio di bombe, dalle navi a propulsione nucleare. Possono provocare tumori e modificazioni genetiche (mutazioni).

MASCHERINE PER LO SMOGInquinamento atmosferico

L’aria è un elemento fondamentale per tutti gli esseri viventi. Ogni giorno infatti, i nostri polmoni filtrano 15 Kg d’aria atmosferica (2,5 Kg d’acqua e 1,5 di alimenti).

Definizione del Consiglio d’Europa per aria inquinata: “L’aria è inquinata, quando la presenza di una sostanza estranea, o una variazione nella proporzione dei suoi componenti, sono tali per cui possono derivarne effetti e disturbi riconosciuti pregiudizievoli alla luce delle attuali conoscenze atmosferiche scientifiche”.

Le potenziali fonti di origine delle sostanze che provocano l’inquinamento atmosferico possono essere riassunte in tre semplici punti:

– processi industriali
– combustioni domestiche ed industriali
– veicoli a motore.

Da qui le maggiori sostanze inquinanti dell’atmosfera:
Anidride solforosa, biossido di carbonio, monossido di carbonio, ossidi di azoto, idrocarburi gassosi liberati dopo una combustione, particolato, etc.

Anidride solforosa. Molto comune nell’aria, deriva dalla combustione di carboni ed oli minerali che sono utilizzati nella produzione di energia, nell’industria e nel riscaldamento domestico; questa può reagire e trasformarsi in anidride solforica qualcosa si vengano a creare determinate condizioni, coadiuvando a provocare lo smog grazie anche a successive reazioni.

Anidride carbonica. Proviene dalla combustione di composti organici, inoltre è in costante aumento nell’atmosfera a causa delle combustioni (traffico veicolare, impianti di riscaldamento, industrie…) e può portare a squilibri notevoli in tutta la biosfera (surriscaldamento dell’atmosfera terrestre).

Monossido di carbonio, idrocarburi e gli ossidi di azoto. Hanno come principale fonte i gas di scarico.

Ozono. Composto triatomico dell’ossigeno che a livello della superficie provoca disturbi come nausea, cefalee, difficoltà respiratorie specialmente negli anziani; mentre nell’alta atmosfera funge da barriera protettiva per i raggi ultravioletti.

Particolato. Si tratta delle polveri sottili in sospensione che comprendono i metalli pesanti, gli idrocarburi e i composti carboniosi.

Malattie da inquinamento

Le più frequenti sono le lesioni broncopolmonari: bronchite, asma, enfisema (il 35% delle assenze dal lavoro è dovuto proprio alle malattie respiratorie). I maggiori responsabili sono: anidride solforosa, ossidi d’azoto, ozono cattivo, piombo, monossido di carbonio, quote non trascurabili di benzene oltre alle polveri fini e finissime. A causa di queste particelle le vie respiratorie subiscono attacchi strutturali e funzionali a partire dalla semplice irritazione con tosse, alla maggiore suscettibilità all’influenza, con episodi di bronchite acuta fino ad attacchi d’asma.

Secondo gli esperti uno dei principali responsabili è il pulviscolo, chiamato un tempo “particelle fastidiose”. Infatti nelle grandi città come Roma, Milano, Torino, Siviglia e Tel Aviv, la media annua del “particolato” supera i 50 microgrammi/m3. Queste particelle derivano principalmente dall’asfalto, dai copertoni, dalle marmitte catalitiche, dalle benzine verdi, dal deserto e da tutti i processi della combustione in generale.

Anche il cuore e vasi sanguigni non si salvano. Infatti lo stress a cui viene sottoposta la pompa cardiaca in carenza d’ossigeno costringe il muscolo cardiaco ad un continuo superlavoro. Una manifestazione che può comparire dopo anni d’esposizione, nei casi più gravi, è proprio la leucemia. La Commissione tossicologica nazionale ha stimato di recente, che ogni mille leucemie da 3 a 50 possono essere attribuite al benzene. Mentre scendono i livelli dell’anidride solforosa e del benzene cancerogeno (che invece sono in crescita nei paesi dell’Est) ciò che preoccupa è il trend delle polveri respirabili e inalabili e dell’ozono nocivo.

Il rimedio più immediato e semplice sarebbe uno stile di vita più attivo come l’andare a piedi o usare la bici. Quando si deve per forza usare l’auto la cosa migliore sarebbe quella di condividerla con altre persone così da inquinare meno e magari utilizzare auto a basso impatto ambientale come quelle elettriche.

Un altro fattore da tenere sotto controllo e che spesso viene ignorato è la temperatura media domestica. I medici consigliano di non superare mai i 18°, infatti quando si raggiungono i 20-25 gradi si ha un consumo eccessivo e l’aria diventa secca. Il risultato più immediato sono infezioni alle vie respiratorie o l’influenza quando si esce di casa. Altro aspetto importante, e tutt’oggi sottovalutato è lo sport nel traffico, sarebbe utile usare almeno una mascherina! Vi è poi l’inquinamento domestico, di cui si parla poco, ma anch’esso decisamente nocivo: le stanze di casa vanno arieggiate tutti i giorni, più volte al giorno, almeno per cinque minuti; inoltre sarebbe consigliabile posizionare dei contenitori con un po’ d’acqua per umidificare l’ambiente.

Altro consiglio è quello di seguire una dieta equilibrata, ricca di verdura, frutta e soprattutto antiossidanti.

Consiglio semplice, ma di fondamentale importanza, attenzione ai bambini! Bassi e sempre esposti alle emissioni dei gas di scarico delle macchine sono i soggetti maggiormente a rischio anche a causa della loro maggiore frequenza respiratoria e del metabolismo rapido. Sembra incredibile, ma in soli vent’anni, a partire dagli anni 70, la presenza dei sintomi asmatici nei bambini a livello nazionale è aumentata del 200%. I suggerimenti per i genitori possono essere di insegnare ai bambini a respirare dal naso (in quanto è un organo che funge da filtro naturale per il nostro corpo); se l’aria è troppo pesante è inutile stare a lungo ai giardinetti, inoltre il fumo di sigaretta va tenuto assolutamente lontano.

Anche gli animali domestici o selvatici non sfuggono agli effetti dell’inquinamento atmosferico. L’azione nociva di certi agenti inquinanti si è manifestata nei bovini, nei cavalli, nelle pecore ed anche nelle api e nei bachi da seta. Gli effetti dell’inquinamento sui vegetali sono abbastanza conosciuti. Alcune piante sono state utilizzate come indicatori permanenti del grado di inquinamento per gli effetti di questo sulle loro funzioni vitali. I licheni sopravvivono solo in nuclei urbani non inquinati. L’anidride solforosa attacca il pino ed altre conifere causando anche la distruzione nei boschi. L’inquinamento ha un grave effetto distruttivo anche sul patrimonio artistico di un paese, intaccando costruzioni storiche, annerendo pareti (Duomo di Milano ecc.). A Parigi la pulizia ed il mantenimento degli edifici costano annualmente circa 300 € per abitante.

Inquinamento, ma quanto ci costi?

Oltre ai danni causati alla salute e alle spese annesse per le cure, bisogna ricordare che la produttività per persona è ridotta del 15%. Ma non finisce qui, altri costi extra e danni causati dall’inquinamento sono per:

– l’agricoltura e l’allevamento di bestiame;

– le perdite dovute alla corrosione;

– le spese per il restauro del patrimonio artistico danneggiato (corrosione delle statue, edifici storici, chiese ecc.);

– spese per la manutenzione delle case, auto, ecc;

– aumento del costo dell’energia elettrica, consumata per eliminare la polvere e per trattamenti antinquinanti, per anticipare l’accensione delle lampade a causa della bassa visibilità, ecc.

A livello ecologico le principali vittime sono gli esseri viventi. Molte specie sono a rischio estinzione: 280 specie di mammiferi, 350 specie di uccelli e circa 20.000 specie di vegetali. Molti ecosistemi sono quindi minacciati e corrono il rischio, in tempi brevi, di essere totalmente distrutti in maniera irreversibile… tra quelli ci siamo anche noi

di Mariacristina Carboni

(Per un calcolo del numero di persone presenti sulla Terra, aspettativa di vita, dati sulle nascite, morti etc. consiglio di utilizzare questo simpatico programma messo a disposizione dalla BBC: http://www.bbc.co.uk/news/world-15391515)

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Che fine ha fatto l’idroelettrico?

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Che fine ha fatto l’idroelettrico?

Pubblicato il 17 aprile 2012 by redazione

diga in cascata

La prima fonte di energia rinnovabile utilizzata dall’uomo

L’energia contenuta da una corrente d’acqua sun un qualsiasi dislivello era già ben conosciuta da Greci e Romani, che tuttavia la sfruttavano solo per azionare mulini  da usare per macinare grano o produrre olio; nel Medioevo sistemi più complessi come la ruota idraulica vennero inventati per la bonifica dei campi o per l’irrigazione. Bisognerà quindi aspettare fine Ottocento affinché compaiano le prime vere e proprie turbine idrauliche moderne; fra queste sono ancora oggi regine indiscusse le turbine di tipo Pelton, le Francis e le Kaplan, che costituiscono praticamente la maggioranza delle installazioni.

Quando poi nel 1901 dopo una lunga disputa  George Westinghouse riuscì a installare un sistema a corrente alternata sull’impianto idroelettrico delle cascate del Niagara, vincendo contro Edison e la sua amata corrente continua, fu finalmente possibile trasportare su larga scala l’energia elettrica prodotta da centrali anche lontane, sancendo di fatto l’ascesa di questa fonte energetica. Ne derivò una crescita esponenziale soprattutto nel la prima metà del 21 secolo, in cui vennero costruite dighe a ritmi sempre più incalzanti che interessarono anche i Paesi in via di sviluppo; nel frattempo però  già si faceva forte la voce delle prime contestazioni che avrebbero poi  portato questa tecnologia in secondo piano.

Tanto gentile e tanto onesta pare?

Tralasciando le immancabili critiche sullo scarsa estetica che molti vedono in opere così imponenti  (contro le quali invece altri, soprattutto gli ingegneri, sostengono addiritura l’esistenza di una Bellezza delle dighe da rintracciare nell’imponenza e nei dettagli architettonici che le rendono uniche), occupiamoci invece subito di impatto ambientale.

Un impianto idroelettrico di grandi dimensioni, pur producendo  energia completamente pulita (sono assenti infatti emissioni gassose o liquide che possano inquinare l’aria o l’acqua a contatto con la turbina) presenta maggiori problemi di inserimento ambientale, in quanto la realizzazione di una diga comporta vari cambiamenti all’ecosistema dell’area.

Innanzitutto creando un invaso a monte della diga, si trasforma un regime di acque correnti in un regime di acque ferme, con tempi di ricambi dell’acqua maggiori, il che può portare a una variazione della qualità dell’acqua e quindi una possibile modificazione della vegetazione; a ciò bisogna poi aggiungere le possibili ripercussioni sulla fauna, come ad esempio i pesci che si vedono letteralmente sbarrata la strada.  Diventa quindi sempre più evidente che sfruttare l’acqua dei corsi fluviali per produrre energia non sempre è possibile, soprattutto quando le zone interessate presentano ecosistemi che andrebbero tutelati.

A questo vanno poi aggiunti i capricci della natura: l’acqua si presenta infatti come una “fonte” di energia aleatoria e poco affidabile, la sua disponibilità in quantità tali da poter generare energia elettrica è fortemente influenzata dal clima, dalla semplice alternanza delle stagioni  nelle varie aree geografiche. A tal proposito si ricorre spesso a sistemi con bacini artficiali al posto di quelli ad acqua fluente, con notevoli vantaggi dal punto di vista della capacità installata. L’acqua inoltre diventa sempre più per l’umanità una risorsa scarsa e limitata, tanto da essersi meritata l’appellativo di Oro Blu e tanto da rivestire un’importanza sempre più rilevante nei rapporti tra gli Stati, con il rischio di dare origine a violenti conflitti.

turbina  diga

Tra le obiezioni più dure avanzate contro gli impianti idroelettrici vi è poi lo stravolgimento delle zone abitate da destinare alla costruzione delle dighe; negli anni Novanta furono innumerevoli gli episodi di veri e propri espropri, sfratti coatti, violenze perpetrate soprattutto dai governi dei Paesi in via di sviluppo forti dell’appoggio sia economico che politico della Banca Mondiale. Tra gli episodi più sanguinari è nostro dovere ricordare quello del massacro di 480 indigeni, compresi donne e bambini, appartenenti al popolo Maya di lingua Achì nel villaggio di Rio Negro in Guatemala, tra il 1980 e il 1982. La comunità autoctona aveva infatti rifiutato di lasciare le proprie terre e si opponeva con forza alla costruzione della Diga Chixoy il cui progetto era controllato dall’impresa italiana Impregilo e largamente finanziata dalla Banca Mondiale, che anzi anche dopo la strage seguitò a incentivare l’opera [per saperne di più: Centro Documentazione Conflitti Ambientali, sezione acqua  http://www.cdca.it/spip.php?article115].

A mano a mano emersero tante altre vicende precedentemente insabbiate che costrinsero finalmente la Banca Mondiale e la World Conservation Union a fondare nell’Aprile del 1997 la World Commission on Dams (Commissione mondiale sulle dighe), con il compito di studiare a fondo l’impatto ambientale, economico e sociale derivante dalla costruzione di grandi dighe a livello mondiale. Dal rapporto della commissione emersero non solo tutti gli episodi di violenza e lesione dei diritti umani di intere popolazioni, ma anche i fraudolenti interessi di costruttori e lobby pro dighe che ponevano l’accento solo su presunti benefici economici mentre sottovalutavano o addirittura ignoravano le conseguenze sull’ambiente e i civili. Inoltre la commissione denunciò come la maggior parte delle opere realizzate fosse di scarsa qualità sia nell’edilizia che nella sicurezza, tanto da causare spesso incidenti catastrofici come il disastro del Vajont del 1963 con 1981 morti accertati o l’incidente presso la diga del bacino di Banqiao in Cina che conta oggi 171000 vittime.

Il lavoro della commissione ebbe come principale ripercussione un ripensamento generale sulle dighe, che in alcuni casi si concretizzò addirittura con lo smantellamento di alcune di esse. Oggi la costruzione di una diga è un progetto imponente che richiede importanti sforzi di valutazione di rishio e impatto socio-ambientale che possono protrarsi anche per molti anni.

Idee per il futuro

L’ondata di critiche che per la fine del secolo scorso ha letteralmente sommerso il mondo dell’energia idroelettrica derivava principalmente dall’evidente incapacità di governi e costruttori e dalla negligenza e superficialità di questi nel considerare seriamente le tematiche ambientali e umani, il che ha ingiustamente  gettato nell’ombra una tecnologia molto promettente. Per fortuna la ricerca è invece proseguita sui suoi passi e oggi mette a disposizione turbine sempre più efficienti, mentre sul fronte della progettazione un ruolo sempre più significativo è svolto dalle costruzioni più piccole, ovvero le “piccole” dighe che sfruttano modesti salti d’acqua (anche inferiori ai 5 m) e che possono quindi essere più facilmente inserite nel contesto ambientale senza sconvolgere eccessivamente gli ecosistemi.Per le ridotte dimensioni di questi impianti si parla infatti ormai di micro-idroelettrico e anzi alcuni progetti  sembrano ormai decisi a voler fare a meno delle dighe. L’idea generale è quella di porre turbine idrauliche progettate ad hoc direttamente nei letti di grandi corsi fluviali caratterizzati da una portata più o meno costante (anche se teoricamente il mini-idroelettrico potrebbe essere applicato anche a canali di scarico di industrie e acquedotti urbani). Le micro-turbine verrebbero posizionate su piloni ancorati al fondale e permetterebbero di sfruttare anche i dislivelli più modesti evitando così di provocare ulteriori danni all’ambiente. Un progetto importante è già in via di sviluppo negli Stati Uniti, dove la Federal Energy Regulatory Commission (FERC) americana ha approvato le indagini preliminari per valutare la proposta di Free Flow Power di installare centinaia turbine idroelettriche nelle acque del fiume Mississippi. Va inoltre ricordato il contributo fondamentale di SMART  [info al sito: http://www.smarthydro.eu/] un progetto della Provincia di Cremona cofinanziato dal Programma Intelligent Energy Europe della Commissione Europea e che si propone di promuovere e incentivare il micro-idroelettrico a livello locale e globale andando a sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica sulla necessità di esplorare una tecnologia idroelettrica meno invasiva.

Insomma il futuro dell’energia idroelettrica non è da dare per spacciato, anzi le idee non mancano e si direbbe che il mondo della ricerca è in fermento per preparare un ritorno in grande stile della Signora delle rinnovabili.

di Corinne Nsangwe Businge

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