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Il regno solare del Marocco

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Il regno solare del Marocco

Pubblicato il 15 dicembre 2015 by redazione

Entro la fine del 2015 si inaugura la centrale solare più grande del mondo

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Il progetto di costruzione della centrale di Ouarzazate alla presenza del Re del Marocco Mohammed VI, nel 2013.

 

Nei pressi della suggestiva cittadina di Ouarzazate, in Marocco, scenario per le riprese di alcuni celebri film hollywoodiani come Lawrence d’Arabia e Il tè nel deserto, nascerà il regno solare del Marocco. L’agenzia marocchina MASEN (the Moroccan Agency for Solar Energy) è stata infatti incaricata per sviluppare un piano energetico che cambierà notevolmente l’economia del Paese. Il progetto lanciato nel 2009,con la selezione di 5 aree sparse sul territorio del Maghreb, prevede la costruzione di centrali solari all’avanguardia e si propone di raggiungere 2 GW di potenza entro il 2020, che copriranno il 14%del fabbisogno energetico nazionale.

Ouarzazate sarà la prima ad entrare in funzione, e una volta ultimata, con un estensione di 33 km² sarà la centrale solare più grande del mondo.

Secondo le fonti ufficiali nelle prossime settimane il Noor I di Ouarzazate diventerà operativo. La capacità di questa centrale sarà di 160 MW di potenza e, quando nel 2018 la centrale sarà completamente operativa, con l’ultimarsi del Noor II e del Noor III, la produzione raggiungerà i 500 MW di capacità. È stato inoltre stimato che la riduzione di emissioni scenderà di 760000 t l’anno.

 

La centrale solare in dettaglio

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La tecnologia CSP a cilindri parabolici del campo solare di Ouarzazate.

 

La centrale utilizza la tecnologia a concentrazione solare CSP (Concentrating Solar Power). Nonostante sia una tecnologia più costosa dei noti pannelli fotovoltaici, permette un sistema di accumulo di energia più efficace, che garantisce la distribuzione di corrente durante le ore di punta, ma anche di notte o in giornate nuvolose.

Il Noor I e il Noor II sono costituiti da un campo solare di circuiti a cilindri parabolici (parabolic troughs). Questa tecnologia CSP utilizza specchi parabolici che possono ruotare sul proprio asse (direzione nord-sud) per seguire il movimento del sole nel cielo. La radiazione solare viene catturata e riflessa in un tubo ricevitore che funge da fuoco. L’energia termica ricevuta per irraggiamento dal sole viene quindi incanalata e assorbita da un fluido termo-vettore (una miscela di sali fusi, dotata di un alto coefficiente di scambio termico e di un’elevata capacità termica) che scorre nel tubo ricevitore. Il fluido riceve calore che gli permette di innalzare la sua temperatura fino a 393°C e, a sua volta, utilizzando uno scambiatore di calore, alza la temperatura dell’acqua facendola evaporare. Il gas, raggiunti i 400°C, viene fatto espandere in turbina per produrre energia elettrica.

L’impianto, inoltre, prevede un accumulatore termico indirect two-tank molten salt storage, componente che simultaneamente immagazzina energia termica. Questo sistema utilizza un circuito diverso dal principale e consiste sostanzialmente in due serbatoi riempiti di sali fusi a temperatura diversa. Il fluido dal serbatoio di stoccaggio a bassa temperatura fluisce attraverso uno scambiatore di calore supplementare, assorbendo calore dal fluido termovettore ad alta temperatura. Il fluido di stoccaggio, riscaldato, fluisce nel serbatoio di stoccaggio dove viene mantenuto ad alta temperatura, mentre il fluido termovettore, raffreddato, ritorna nel circuito dei ricevitori solari.

In questo modo, solo nel Noor I vengono garantite tre ore a pieno carico di energia termica immagazzinata da poter utilizzare all’evenienza.

 

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Circuito semplificato di una centrale solare CSP che utilizza un sistema di accumulo termico indirect two-tank molten salt storage.

 

Il vapore in uscita dalla turbina deve essere riportato allo stato liquido per poter chiudere il ciclo. Per fare ciò, fluisce in un condensatore, dove cede calore al fluido proveniente dal sistema di raffreddamento. La centrale NoorI utilizza un sistema wet cooling, mentre il Noor II e il Noor III utilizzeranno un sistema di raffreddamento dry cooling.

Il sistema di raffreddamentowet cooling, o evaporating cooling, prevede un ulteriore ciclo. L’acqua a bassa temperatura viene mandata nel condensatore, dove avviene lo scambio di calore con il vapore. L’acqua che fuoriesce, ad elevata temperatura, torna nella torre per essere raffreddata e quindi riutilizzata. Grazie a questo ciclo, solo una piccola percentuale di fluido viene perso per evaporazione nel raffreddamento e deve essere sostituito con nuova acqua.

 

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Sistema di raffreddamento Wet Cooling.

 

Il wet cooling viene utilizzato quando non sono disponibili grandi volumi di acqua, come nella regione arida di Ouarzazate. La centrale infatti attinge dal bacino idrico di Monsour Eddabhi, a 12 km di distanza. Inizialmente, tramite cisterne, si è realizzato un laghetto provvisorio nei pressi della centrale, e, in seguito, si è costruito un sistema di tubature provvisorie. In futuro le modalità di approvvigionamento idrico saranno determinate dalle aziende che vinceranno l’appalto.

Il dry cooling system utilizza invece aria per raffreddare il vapore che esce dalla turbina. Questo sistema è in grado di ridurre il consumo totale di acqua di oltre il 90%. Se da una lato si ha un notevole risparmio di acqua, dall’altro ci sono maggiori costi e una minore efficienza del sistema, rendendo in generale svantaggioso questo tipo di impianto.

Un altro esempio di tecnologia CSP è il sistema a torre centrale Power Tower, che verrà sviluppata nel Noor III. Si tratta di un campo circolare di specchi piatti (meno costosi rispetto a quelli parabolici), che cattura e riflette la radiazione solare nel ricevitore centrale in cima alla torre. Il calore assorbito viene trasformato in energia elettrica con un procedimento analogo a quello visto in precedenza. Questo sistema, rispetto alla tecnologia a collettori parabolici, permette di raggiungere temperature più elevate del fluido termovettore, e in generale di raggiungere un’efficienza superiore. Tuttavia la torre centrale è una tecnologia che utilizza un tracking and control software piuttosto sofisticato che per il momento la rende impopolare in commercio.

Ogni stazione di alimentazione sarà fornita di un meccanismo di accumulo termico per migliorare la distribuzione di energia. La centrale Noor II avrà una capacità di stoccaggio termico di 2800 MWh, corrispondenti a 5 ore di produzione durante il funzionamento a pieno regime. La centrale Noor III avrà una capacità di stoccaggio di energia termica di 2730 MWh, o 7 ore di produzione durante il funzionamento a pieno regime, aumentando così la capacità totale di stoccaggio di energia termica del progetto di 5530 MWh.

 

Il ruolo della Banca Mondiale e il piano visionario DESERTEC nelle regioni del EU-MENA

Secondo i dati pubblicati dalla Banca Mondiale (World Bank) il progetto Ouarzazate è costato in totale 2,67 miliardi di dollari ed è stato finanziato dai seguenti istituti: The Clean Technology FundThe African Development Bank, e diversi altri europei, European CommisionEuropean Investment BankFrench Agency For Development, International Bank For Recostruction And Development, Kreditanstalt Fur Wiederaufbau.

L’impegno della Banca Mondiale rientra in una nuova strategia di investimento nelle regioni del Medio Oriente e del Nord Africa intitolata: Economic and Social Inclusion for Peace and Stability in the Middle East and North Africa: A New Strategy for the World Bank Group. La strategia proposta è un tentativo brillante di risolvere le numerose problematiche che affliggono queste regioni, investendo nello sviluppo economico e sociale. In questo modo si alimenta anche la fiducia tra i cittadini, impotenti di fronte ai conflitti e ridotti alla povertà più estrema.

Al termine di uno studio di ricerca (DESERTEC Concept) per lo sviluppo di un mercato fondato sulle energie rinnovabili nelle regioni EU-MENA (Europe, Middle East and North Africa), condotto in Germania dal 2003 da un’organizzazione volontaria di scienziati ed esperti, nel 2009 è nata una fondazione tedesca no profit chiamata DESERTEC Foundation per realizzare questo piano visionario. Sempre nel 2009, la fondazione ha costituito l’iniziativa industriale Dii Gmbh(DESERTEC Industrial Initiative) designata con lo scopo di valutare la realizzazione del progetto da un punto di vista industriale.

Il progetto, secondo gli studi condotti, avrebbe potuto garantire interamente il fabbisogno energetico nelle regioni MENA e rifornire il 15% del fabbisogno energetico europeo al 2050, con finanziamenti stimati intorno ai 400 miliardi di euro.

 

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Il piano energetico DESERTEC.

 

Negli ultimi anni il piano è stato fortemente compromesso, dopo l’abbandono di Siemens e Bosch e della stessa fondazione, anche altri degli azionisti iniziali hanno lasciato il consorzio.

Attualmente il progetto, diventato Dii Desertenergy e sostenuto dai tre azionisti “superstiti”(ACWA Power dell’Arabia Saudita, la tedesca RWE e la cinese State Grid) è attivo in Marocco, Algeria, Egitto, Arabia Saudita, Giordania e Tunisia.

Il Marocco, collegato tramite cavo elettrico sottomarino con la Spagna, in futuro potrebbe quindi beneficiare della sua posizione strategica per sviluppare un mercato in uscita sia verso l’Europa, ma anche verso le regioni confinanti del Nord Africa. Tuttavia, per un paese dipendente dai combustibili fossili, che attualmente importa il 94% dell’energia dall’estero, l’obiettivo principale rimane quello di ottenere una maggiore autonomia. Secondo le previsioni dell’agenzia MASEN con l’ultimarsi delle nuove centrali nel 2020, la produzione interna di energia elettrica coprirà il 42% della richiesta nazionale, 14% con il  solare, 14% con l’eolico e 14% con l’idroelettrico.

di Andrea Zanon

 

Linkografia:

http://www.ouarzazatesolar1.com/project.asp

http://edition.cnn.com/2015/11/03/africa/noor-ouarzazate-sola

http://www.worldbank.org/projects/P131256?lang=en

http://www.afdb.org/en/news-and-events/article/afdb-is-financing-a-real-sector-in-morocco-ouarzazate-solar-power-plant-takes-shape-13635/

http://www.solargcc.com/morocco-solar/

http://en.grupotsk.com/proyectos/energia-termosolar-5

http://www.nrel.gov/csp/solarpaces/by_project.cfm

http://www.power-technology.com/projects

http://energy.gov/eere/energybasics/articles/concentrating-sola

https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=0ahUKEwirn9bPhsjJAhUIc3IKHbD2CK8QFggpMAA&url=http%3A%2F%2Fwww.afdb.org%2Ffileadmin%2Fuploads%2Fafdb%2FDocuments%2FEnvironmental-and-Social-Assessments%2FMorocco_-_Ouarzazate_Solar_Power_Station_Project_II_-_ESIA_Summary.pdf&usg=AFQjCNG8VIf5GIgfXMil1bCzOrmEvMb7cQ

http://www.archimedesolarenergy.it/it_molten_salt.htm

http://www.worldbank.org/en/region/mena/brief/our-new-strategy

http://www.desertec.org/global-mission/milestones/

http://www.desertec.org/concept/

http://www.rinnovabili.it/storico/rinnovabili-%E2%80%93-aper-contro-la-calabria-distorce-il-mercato/

http://desertenergy.org/

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Che fine ha fatto l’idroelettrico?

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Che fine ha fatto l’idroelettrico?

Pubblicato il 17 aprile 2012 by redazione

diga in cascata

La prima fonte di energia rinnovabile utilizzata dall’uomo

L’energia contenuta da una corrente d’acqua sun un qualsiasi dislivello era già ben conosciuta da Greci e Romani, che tuttavia la sfruttavano solo per azionare mulini  da usare per macinare grano o produrre olio; nel Medioevo sistemi più complessi come la ruota idraulica vennero inventati per la bonifica dei campi o per l’irrigazione. Bisognerà quindi aspettare fine Ottocento affinché compaiano le prime vere e proprie turbine idrauliche moderne; fra queste sono ancora oggi regine indiscusse le turbine di tipo Pelton, le Francis e le Kaplan, che costituiscono praticamente la maggioranza delle installazioni.

Quando poi nel 1901 dopo una lunga disputa  George Westinghouse riuscì a installare un sistema a corrente alternata sull’impianto idroelettrico delle cascate del Niagara, vincendo contro Edison e la sua amata corrente continua, fu finalmente possibile trasportare su larga scala l’energia elettrica prodotta da centrali anche lontane, sancendo di fatto l’ascesa di questa fonte energetica. Ne derivò una crescita esponenziale soprattutto nel la prima metà del 21 secolo, in cui vennero costruite dighe a ritmi sempre più incalzanti che interessarono anche i Paesi in via di sviluppo; nel frattempo però  già si faceva forte la voce delle prime contestazioni che avrebbero poi  portato questa tecnologia in secondo piano.

Tanto gentile e tanto onesta pare?

Tralasciando le immancabili critiche sullo scarsa estetica che molti vedono in opere così imponenti  (contro le quali invece altri, soprattutto gli ingegneri, sostengono addiritura l’esistenza di una Bellezza delle dighe da rintracciare nell’imponenza e nei dettagli architettonici che le rendono uniche), occupiamoci invece subito di impatto ambientale.

Un impianto idroelettrico di grandi dimensioni, pur producendo  energia completamente pulita (sono assenti infatti emissioni gassose o liquide che possano inquinare l’aria o l’acqua a contatto con la turbina) presenta maggiori problemi di inserimento ambientale, in quanto la realizzazione di una diga comporta vari cambiamenti all’ecosistema dell’area.

Innanzitutto creando un invaso a monte della diga, si trasforma un regime di acque correnti in un regime di acque ferme, con tempi di ricambi dell’acqua maggiori, il che può portare a una variazione della qualità dell’acqua e quindi una possibile modificazione della vegetazione; a ciò bisogna poi aggiungere le possibili ripercussioni sulla fauna, come ad esempio i pesci che si vedono letteralmente sbarrata la strada.  Diventa quindi sempre più evidente che sfruttare l’acqua dei corsi fluviali per produrre energia non sempre è possibile, soprattutto quando le zone interessate presentano ecosistemi che andrebbero tutelati.

A questo vanno poi aggiunti i capricci della natura: l’acqua si presenta infatti come una “fonte” di energia aleatoria e poco affidabile, la sua disponibilità in quantità tali da poter generare energia elettrica è fortemente influenzata dal clima, dalla semplice alternanza delle stagioni  nelle varie aree geografiche. A tal proposito si ricorre spesso a sistemi con bacini artficiali al posto di quelli ad acqua fluente, con notevoli vantaggi dal punto di vista della capacità installata. L’acqua inoltre diventa sempre più per l’umanità una risorsa scarsa e limitata, tanto da essersi meritata l’appellativo di Oro Blu e tanto da rivestire un’importanza sempre più rilevante nei rapporti tra gli Stati, con il rischio di dare origine a violenti conflitti.

turbina  diga

Tra le obiezioni più dure avanzate contro gli impianti idroelettrici vi è poi lo stravolgimento delle zone abitate da destinare alla costruzione delle dighe; negli anni Novanta furono innumerevoli gli episodi di veri e propri espropri, sfratti coatti, violenze perpetrate soprattutto dai governi dei Paesi in via di sviluppo forti dell’appoggio sia economico che politico della Banca Mondiale. Tra gli episodi più sanguinari è nostro dovere ricordare quello del massacro di 480 indigeni, compresi donne e bambini, appartenenti al popolo Maya di lingua Achì nel villaggio di Rio Negro in Guatemala, tra il 1980 e il 1982. La comunità autoctona aveva infatti rifiutato di lasciare le proprie terre e si opponeva con forza alla costruzione della Diga Chixoy il cui progetto era controllato dall’impresa italiana Impregilo e largamente finanziata dalla Banca Mondiale, che anzi anche dopo la strage seguitò a incentivare l’opera [per saperne di più: Centro Documentazione Conflitti Ambientali, sezione acqua  http://www.cdca.it/spip.php?article115].

A mano a mano emersero tante altre vicende precedentemente insabbiate che costrinsero finalmente la Banca Mondiale e la World Conservation Union a fondare nell’Aprile del 1997 la World Commission on Dams (Commissione mondiale sulle dighe), con il compito di studiare a fondo l’impatto ambientale, economico e sociale derivante dalla costruzione di grandi dighe a livello mondiale. Dal rapporto della commissione emersero non solo tutti gli episodi di violenza e lesione dei diritti umani di intere popolazioni, ma anche i fraudolenti interessi di costruttori e lobby pro dighe che ponevano l’accento solo su presunti benefici economici mentre sottovalutavano o addirittura ignoravano le conseguenze sull’ambiente e i civili. Inoltre la commissione denunciò come la maggior parte delle opere realizzate fosse di scarsa qualità sia nell’edilizia che nella sicurezza, tanto da causare spesso incidenti catastrofici come il disastro del Vajont del 1963 con 1981 morti accertati o l’incidente presso la diga del bacino di Banqiao in Cina che conta oggi 171000 vittime.

Il lavoro della commissione ebbe come principale ripercussione un ripensamento generale sulle dighe, che in alcuni casi si concretizzò addirittura con lo smantellamento di alcune di esse. Oggi la costruzione di una diga è un progetto imponente che richiede importanti sforzi di valutazione di rishio e impatto socio-ambientale che possono protrarsi anche per molti anni.

Idee per il futuro

L’ondata di critiche che per la fine del secolo scorso ha letteralmente sommerso il mondo dell’energia idroelettrica derivava principalmente dall’evidente incapacità di governi e costruttori e dalla negligenza e superficialità di questi nel considerare seriamente le tematiche ambientali e umani, il che ha ingiustamente  gettato nell’ombra una tecnologia molto promettente. Per fortuna la ricerca è invece proseguita sui suoi passi e oggi mette a disposizione turbine sempre più efficienti, mentre sul fronte della progettazione un ruolo sempre più significativo è svolto dalle costruzioni più piccole, ovvero le “piccole” dighe che sfruttano modesti salti d’acqua (anche inferiori ai 5 m) e che possono quindi essere più facilmente inserite nel contesto ambientale senza sconvolgere eccessivamente gli ecosistemi.Per le ridotte dimensioni di questi impianti si parla infatti ormai di micro-idroelettrico e anzi alcuni progetti  sembrano ormai decisi a voler fare a meno delle dighe. L’idea generale è quella di porre turbine idrauliche progettate ad hoc direttamente nei letti di grandi corsi fluviali caratterizzati da una portata più o meno costante (anche se teoricamente il mini-idroelettrico potrebbe essere applicato anche a canali di scarico di industrie e acquedotti urbani). Le micro-turbine verrebbero posizionate su piloni ancorati al fondale e permetterebbero di sfruttare anche i dislivelli più modesti evitando così di provocare ulteriori danni all’ambiente. Un progetto importante è già in via di sviluppo negli Stati Uniti, dove la Federal Energy Regulatory Commission (FERC) americana ha approvato le indagini preliminari per valutare la proposta di Free Flow Power di installare centinaia turbine idroelettriche nelle acque del fiume Mississippi. Va inoltre ricordato il contributo fondamentale di SMART  [info al sito: http://www.smarthydro.eu/] un progetto della Provincia di Cremona cofinanziato dal Programma Intelligent Energy Europe della Commissione Europea e che si propone di promuovere e incentivare il micro-idroelettrico a livello locale e globale andando a sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica sulla necessità di esplorare una tecnologia idroelettrica meno invasiva.

Insomma il futuro dell’energia idroelettrica non è da dare per spacciato, anzi le idee non mancano e si direbbe che il mondo della ricerca è in fermento per preparare un ritorno in grande stile della Signora delle rinnovabili.

di Corinne Nsangwe Businge

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