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Incidenti nucleari militari: 1987-1988

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Incidenti nucleari militari: 1987-1988

Pubblicato il 18 dicembre 2012 by redazione

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1987

Uno dei camion speciali costruiti per il trasporto di armi atomiche procede su un’autostrada inglese in direzione nord, verso le basi dei sottomarini nucleari in Scozia. I convogli, composti da numerosi mezzi tecnici e di scorta che viaggiano a poca distanza gli uni dagli altri, usano abitualmente strade di grande scorrimento, vicino a grandi centri abitati, come testimonia il cartello inquadrato nella foto. Probabilmente a bordo del mezzo inquadrato è custodito un missile nucleare balistico D5 Trident II, che costituisce attualmente l’arma di deterrenza strategica nucleare principale in dotazione alla Royal Navy. Le foto sono state scattate dall’attivista pacifista Margaret Downs il 13 novembre 2006. Gli attivisti seguono e fotografano i convogli per sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi corsi nel movimentare le armi di distruzione di massa. Dal sito http://oxford.indymedia.org.uk/2006/11/356129.html

1Gennaio 1987 (nota1) durante il trasporto di alcune bombe termonucleari a caduta libera WE177 in un convoglio stradale nella contea dello Wiltshire, uno dei camion corazzati che trasportavano gli ordigni slittò sulla strada ghiacciata e finì fuori strada nella scarpata sottostante, rovesciandosi su un fianco. L’autista dell’automezzo che seguiva, benché il convoglio stesse procedendo secondo il protocollo a bassa velocità e a distanza di sicurezza, non riuscì ad evitare il ghiaccio e perse il controllo del mezzo, ma evitò rocambolescamente che cadesse dalla sede stradale sull’altro mezzo. L’incidente fu causato da un’auto privata parcheggiata male sulla carreggiata. La commissione d’inchiesta militare concluse le indagini affermando che non vi fu mai alcun pericolo per le armi, custodite nei loro shelter speciali da trasporto WE165, specialmente di esplosioni accidentali, essendo prive di innesco. Il comportamento del personale del convoglio fu corretto e aderente alla procedura tecnica stabilita. Un convoglio stradale, ancora oggi, è il metodo considerato più sicuro ed economico per trasportare le testate tra gli stabilimenti in cui vengono costruite (e periodicamente sottoposte a revisione) e le basi militari in cui vengono custodite. Oltre a dare la possibilità di percorsi di trasporto alternativi a quelli su rotaia, per quanto anch’essi continuino a essere ampiamente usati. Ogni convoglio è molto complesso, consta di camion speciali e mezzi di scorta della polizia e delle squadre speciali antiterrorismo dei Royal Marines, assieme a personale specializzato nelle emergenze in campo NBC (Nucleare, Batteriologico e Chimico) con equipaggiamenti di primo intervento di contenimento e decontaminazione. I convogli spesso utilizzano autostrade oppure attraversano paesi e zone abitate (come le aree di città quali Londra, Birmingham, Leeds, Manchester, Newcastle, Edimburgo) per quanto strettamente seguiti e scortati, gli incidenti succedutisi negli anni testimoniano come non sia del tutto evitabile che qualche imprevisto accada, fosse anche una semplice “pannes” a uno dei mezzi del convoglio. Per raggiungere le basi della RAF (Royal Air Force, l’aeronautica militare), del Royal Army (l’esercito reale di Sua Maestà) e della Royal navy (la marina da guerra) i convogli spesso devono attraversare l’intera isola da Sud, ove si trovano le AWE (Atomic Estabilishment Weapon) di Aldermaston e Burghfield, in Berkshire, fino alle basi dei sottomarini nucleari di Coulport (base di stoccaggio e carico dei missili nucleari sui sottomarini) e Faslane, nel Nord della Scozia, le più lontane. Questi viaggi sono frequenti perché il materiale fissile delle testate (masse critiche in Plutonio 239 e Uranio 235, “bottiglie di gas di Trizio per l’innesco della fusione nucleare) decade con una certa velocità perdendo la propria piena capacità fissile. Per cui è necessario sostituire l’esplosivo nucleare con altro “ricaricato” e quindi più radioattivo, ma paradossalmente anche più stabile nella struttura chimico-fisica.  Inoltre le strumentazioni complesse e il corpo della bomba o del missile vanno costantemente controllati perché sono sottoposti all’usura continua delle radiazioni di Uranio e/o Plutonio contenuti nei “pit” delle armi.

In un’intervista rilasciata al giornalista Rob Evans del The Guardian, il fisico Frank Barnaby, che lavorò agli impianti di Aldermaston negli anni ’50, ha dichiarato che il rischio di esplosioni accidentali corso in incidenti con armi nucleari delle prime generazioni, dotate di sistemi di sicurezza più primitivi, è stato molto alto. Shaun Gregory, studioso dell’Università  di Bedford esperto in materia, ha anche sottolineato, secondo quanto riportato dal giornalista del Guardian, che l’elenco rilasciato dal ministero della Difesa nel 2003 sugli incidenti nelle basi militari e nel corso dei trasporti suona abbastanza “addolcito” in molti punti per non irritare l’opinione pubblica. In effetti, nel rapporto ufficiale non si fa menzione di alcun tipo di incidente prima del 1960, il che può essere certamente possibile, ma suona statisticamente improbabile, visti anche gli incidenti gravissimi subiti dalle forze Statunitensi proprio sul territorio metropolitano inglese, come quello accaduto a Lakenheat, che ha coinvolto un B47 dell’USAF ed un deposito di armi nucleari, nel 1956. E in ogni caso, secondo studi statistici, anche i moderni sistemi si sicurezza per quanto complessi possano essere, non riescono ad essere al 100% immuni da malfunzionamenti indotti da combinazioni di eventi non previsti, né prevedibili al momento della loro progettazione.

1 gennaio (nota 2) Se la data dell’incidente descritto prima non è certa, lo è invece quella che vide coinvolto l’HMS Splendid (codice S 106), sottomarino da attacco della Royal Navy a propulsione nucleare, nelle acque dell’Oceano Artico. In quei giorni il sottomarino, appartenente alla classe Swiftsure, stava pattugliando le acque del mare di Barents davanti al porto di Murmansk, usate da sottomarini e navi militari sovietiche appartenenti alla flotta russa del Nord per raggiungere le zone di operazione dell’Atlantico e del Baltico. Sottomarini della NATO, specie americani ed inglesi, abitualmente seguivano da vicino le attività di addestramento in mare della marina sovietica e i russi erano particolarmente nervosi riguardo all’essere controllati, spiati sin dentro ai propri “santuari”, specie per quel che riguardava la flotta strategica subacquea. Secondo una ricostruzione plausibile, avallata anche da fonti russe alcuni anni dopo, lo Splendid, nel compiere manovre evasive per raggiungere le acque profonde, entrò in collisione col sottomarino russo che stava seguendo, identificato come il TK 12, un lanciamissili nucleare (SSBN) appartenente alla classe Typhoon. Vero colosso dei mari, il più imponente tipo di sottomarino nucleare mai entrato in servizio con la sua lunghezza di 175 metri e le sue 48.000 tonnellate di stazza in immersione, armato con ben 20 missili intercontinentali RSM 52 (SS-N-20 nel codice NATO) a testata multipla (MIRV). Nella manovra di sganciamento reciproco, i sottomarini passarono pericolosamente vicini, tanto che il Typhoon russo finì per investire e agganciare il bulbo – sonar che l’HMS Splendid stava usando trainato con un cavo d’acciaio. Il cavo si spezzò e lo Splendid sfuggì all’abbraccio mortale del gigante russo rifugiandosi finalmente in acque più profonde. Probabilmente per i sovietici non fu un evento del tutto negativo, poiché in ambiente  NATO si è sempre sospettato che il bulbo trainato dall’HMS Splendid, contenente sistemi sonar e di rilevamento di ultima generazione, non andò disperso, ma rimase avvolto col cavo di traino al corpo del TK 12, permettendo così ai russi di entrare in possesso di apparecchiature di ultima generazione… Pare che lo Splendid riuscì a raggiungere la base inglese di Devonport, per le riparazioni, solo il 31 gennaio successivo.

Per giusta osservazione, alcune fonti riportano l’incidente accaduto alcuni giorni prima, tra il 24 e il 28 dicembre 1986 e identificano il battello come l’HMS Sceptre.

18 febbraio mentre stava effettuando una battuta di pesca a largo della costa irlandese, il peschereccio d’altura nord irlandese Summer Morn venne trainato per due ore e mezzo e percorrendo oltre 20 miglia, da un sottomarino in immersione che era entrato nelle sue reti (nota 3). Il peschereccio dovette tagliare parte delle proprie preziose attrezzature per non rischiare il naufragio. Una volta recuperate a bordo quelle restanti, i pescatori irlandesi vi trovarono incastrati da una boa di comunicazioni, del tipo utilizzato dai sottomarini statunitensi. Il Dipartimento della Difesa americano dovette confermare l’incidente, ma rifiutò di rivelare l’identità del sottomarino coinvolto. E’ l’ennesimo scontro fra mezzi civili e militari nell’area del mare d’Irlanda ricompresa fra la costa nord est della Scozia, l’Irlanda e l’isola di Man. Tra gli anni ‘70 e ‘90 dello scorso secolo questo braccio di mare vide crescere esponenzialmente gli incidenti tra imbarcazioni da pesca e sottomarini, il cui traffico attorno alle basi navali in Scozia era notevolmente aumentato (erano gli anni tesi della “Guerra Fredda”), costando la perdita di oltre cinquanta vite umane e di alcuni battelli. Sottomarini con armamento e propulsione nucleare appartenenti alle marine inglesi, americane, russe, ma anche mezzi convenzionali olandesi, francesi e tedesco occidentali incrociavano spesso le acque internazionali della regione, notoriamente molto frequentate anche dai pescatori d’altura di molti paesi nordeuropei  per la loro ricchezza di pesce e crostacei. Senza contare la presenza  sulla costa inglese del famoso impianto di riprocessamento per combustibile nucleare civile e militare di Sellafield, protagonista nel corso degli anni di malfunzionamenti con inquinamento ambientale più volte duramente contestati dalle associazioni locali e da mass media internazionali. Le autorità politiche dell’EIRE, delle comunità locali Scozzesi e Gallesi, delle isole del Canale d’Irlanda promossero un’azione di fronte alla International Maritime Organization per cercare di costringere il Governo Inglese e i suoi alleati (americani in primis) ad affrontare la situazione ed evitare disastri potenzialmente irreparabili in una zona biologicamente tra le più importanti dell’ecosistema dell’intero Atlantico.

25 aprile l’USS Daniel Boone, sottomarino nucleare lanciamissili appartenente alla classe James Madison, mentre stava rientrando da prove in mare nella sua base a Newport News, in Virginia, si arenò sul fondale del fiume St. James, il cui letto serve da canale per raggiungere le banchine del cantiere navale (nota 4). Il sottomarino era allora al termine di grandi lavori di aggiornamento a cui era stato sottoposto per 2 anni e mezzo e costati ben 115 milioni di dollari USA. L’incidente ritardò il calendario dei collaudi in mare e costrinse la Marina a stanziare altri fondi urgentemente per le riparazioni. La Marina americana sostenne che l’evento non causò alcun pericolo per  l’integrità del reattore S5W e quindi di contaminazione per l’equipaggio e per la popolazione delle zone circostanti la base, oltre che naturalmente per tutto l’ecosistema del fiume. (nota 5) Quando, nel 1985, il Daniel Boone entrò nel bacino per i lavori di potenziamento, la marina americana, con in linea 594 unità,  aveva quasi ultimato il programma “the 600 warships Navy”, fortemente sostenuto dall’amministrazione Reagan per portare a 600 le unità da guerra effettive, il più possibile moderne negli equipaggiamenti. Su 139 sottomarini, ben 136 erano a propulsione nucleare, secondo la tendenza “all nuclear” perseguita dalle maggiori potenze per le prestazioni militari dei battelli. Il budget riservato alla Marina aveva raggiunto i 274 miliardi di dollari, dimostrando l’importanza primaria del potere marittimo per gli strateghi militari del Pentagono.

30 giugno mentre si trova in navigazione nell’Oceano Pacifico, il sottomarino lanciamissili nucleari USS Nevada (SSBN 733) subì un guasto grave agli ingranaggi di riduzione dell’albero di trasmissione,  permettendo di controllare il regime di rotazione e la spinta dell’elica (nota 6). L’USS Nevada in quel momento era uno dei più moderni mezzi da attacco strategico nucleare in servizio nella US Navy. Appartenente alla classe Ohio, era armato con 24 missili Trident I ed in seguito anche Trident II (ciascuno capace di portare fino a 8 testate nucleari indipendenti), era stato accettato in servizio nel 1986 e la Marina lo aveva destinato al servizio nella flotta del Pacifico, inviandolo alla base sottomarini di Bangor, nello stato di Washington, al confine con la British Columbia canadese. In realtà, secondo quanto riportato dal quotidiano “The Day” di New London, già tra febbraio e aprile si erano manifestati dei problemi ai grandi ingranaggi di riduzione della turbina e dell’albero motore, tanto che furono sottoposti a smontaggio e controllo presso i cantieri navali di Newport News, in Virginia. Nei mesi successivi ad alcuni regimi di rotazione dell’albero di trasmissione, l’intero apparato aveva manifestato rumori anormali, che però non erano stati sottovalutati. Fino a quando la trasmissione cedette lasciando il sottomarino praticamente quasi privo di propulsione. La commissione di inchiesta, congiunta a livello politico-militare, accertò tra l’imbarazzo generale una situazione che ha dell’incredibile: le ispezioni fatte presso i cantieri di Newport News erano state affidate dalla Newport News Shipbuilding Company a una ditta in subappalto. Inoltre tale compagnia era già costruttrice di sottomarini per la Marina americana, montando tra l’altro le turbine ed i reattori nucleari costruiti dalla General Electric Boat Company, di Groton nel Connecticut, società sua diretta competitrice in questi appalti e, incidentalmente, ditta costruttrice proprio dell’USS Nevada. Per questioni di fretta (magari anche di costi) nelle riparazioni, nonché per valutare la capacità della Newport News Shipbuilding di misurarsi con sommergibili di grande complessità (gli Ohio erano i più grandi, nuovi e costosi battelli nell’arsenale subacqueo americano, con un valore di circa 1 miliardo di dollari dell’epoca per esemplare), la Marina affidò direttamente, senza gare d’appalto, i lavori sul Nevada. La General Electric Boat Company fu molto irritata dal comportamento della Marina militare e della Newport News Shipbuilding, che cercò di allontanare da sé il sospetto di aver condotto con negligenza i lavori, sostenendo velatamente la possibilità di difetti costruttivi di origine, ma evitò commenti fino alla conclusione delle indagini. In ogni caso l’incidente costrinse in porto per altri mesi un’unità nuova di zecca e comportò un costo aggiuntivo per i contribuenti, stimato (ma mai pubblicamente ammesso) di parecchi milioni di dollari. La US Navy affermò che nessun pericolo era stato corso dall’equipaggio o dal battello, che comunque era sempre rimasto in grado di manovrare e portare a termine i propri compiti. Restano comunque aperti alcuni dubbi: cosa sarebbe successo se l’avaria fosse incorsa in immersione mentre il battello era in pattugliamento vicino alle coste sovietiche della Kamchatka o della Siberia Orientale? Magari mentre era impegnato in manovre per eludere le attenzioni dei sottomarini da attacco russi, come di frequente abbiamo visto poteva accadere. Poteva potenzialmente essere investito da un inseguitore? E con quali conseguenze?

26 agosto  mentre è ormeggiato alla base alla base di Devonport, il sottomarino da attacco HMS Conqueror (S48) è vittima di un incendio che danneggia la sala macchine (nota 7). Benché sia citato nel report al parlamento del Sottosegretario di Stato alla Difesa del 2009 come incidente di media entità e le autorità della marina abbiano sostenuto che le fiamme erano state tenute lontane dal comparto del reattore, il rischio che venisse coinvolto l’Uranio con una conseguente catastrofe ambientale non può essere negato. Il Conqueror, appartenente alla classe Winston Churchill, è diventato famoso come l’unico sottomarino nucleare ad avere usato siluri in combattimento: infatti durante la guerra delle Falkland/Malvinas, nel 1982, aveva affondato l’incrociatore argentino General Beglrano. Il Conqueror, coinvolto in molte altre temerarie azioni segrete durante la guerra fredda, era fermo a Devonport per una revisione approfondita destinata a durare almeno 4 mesi.

Secondo il report presentato il 16 settembre 2009 dal Sottosegretario alla Difesa alle camere del Parlamento inglese, ufficialmente dal 1984 al 2006 sono scoppiati 266 incendi su mezzi a propulsione nucleare o che trasportavano armamento nucleare: 3 di entità tale da richiedere l’intervento di squadre speciali, 22 di medie dimensioni comunque affrontati dagli equipaggi senza superare i parametri di sicurezza e senza bisogno dell’intervento di personale specializzato, il resto di minima entità.

1 ottobre durante lavori di rimessaggio presso la base di Rosyth in Scozia, il sottomarino lanciamissili balistici HMS Renown (S 26) perse acqua radioattiva dal circuito secondario di raffreddamento, mentre parti del reattore venivano sottoposte a stress – test di funzionamento. Fonti della marina hanno minimizzato la quantità di liquido perso dall’impianto, (nota otto) dichiarando che il rischio di contaminazione esterna è stato minimo.

9 novembre un altro incidente nel mare di Irlanda: il peschereccio d’altura Angary, basato nella Contea di Down, mentre si trovava a 17 miglia nautiche a nord dell’isola di Man venne trainato per alcuni lunghi secondi, rischiando di affondare, finché l’attrezzatura da pesca fu strappata via all’altezza del ponte, staccando gli anelli di una catena capace di resistere alla trazione di 32 tonnellate, per poi sparire in mare. Chiaramente visti i precedenti e le modalità dell’incidente la causa più probabile fu considerata subito quella di aver intrappolato nelle reti un sottomarino, ma il Ministero della Difesa inglese negò la presenza di propri battelli nell’area al momento dell’incidente. Questo non vuol dire però che battelli di altre nazioni non stessero incrociando in quelle acque, a ridosso di alcune delle più importanti basi per sottomarini della NATO.

3 dicembre (nota 9) a causa di un errore umano aggravato da un difetto tecnico, non rilevato nella gru, nella base scozzese di Coulport, durante manovre di carico, un missile intercontinentale per sottomarini (probabilmente un Trident II) colpì il carrello di carico, danneggiando il contenitore dello stesso. Dato che l’incidente non portò alcuna conseguenza e la divulgazione di notizie avrebbe solo aiutato azioni terroristiche o spionistiche, sull’incidente non vennero fornite altre notizie. Già nei due decenni precedenti la delicata manovra di carico e scarico dai sottomarini di armi nucleari era stata causa di pericolosi incidenti e di forti proteste da parte delle comunità  locali circostanti alle basi.

1988

Un esemplare del missile a testata multipla termonucleare Lockheed Martin UGM 27 Polaris, che in varie versioni equipaggiò tra gli anni 60 e gli anni 90 molti tipi di sottomarini nucleari strategici americani e britannici. I mezzi in dotazione alla Royal Navy avevano elettronica e ordigni costruiti in Inghilterra. L’esemplare fotografato è esposto all’Imperial War Museum a Londra.

226 gennaio (nota 10) L’HMS Resolution (codice di individuazione S22) è stato il sottomarino capostipite della classe di lanciatori di missili nucleari balistici strategici che ne porta il nome. Costituita da 4 battelli, armati ciascuno con 16 missili di costruzione statunitense Lockheed Martin UGM 27 Polaris SLBM (Sea Launched Ballistic Missile, missile balistico lanciato dal mare), ciascuno equipaggiato da una testata multipla a 3 ordigni termonucleari. Consegnato nel 1967 con una cerimonia solenne nei cantieri Vickers Armstrong alla presenza della regina Madre Elisabetta, rappresentava la punta di lancia della forza di reazione rapida nucleare inglese. Quel mattino di gennaio il battello, veterano di molte crociere svolte attorno a tutto il globo, stava per uscire in mare per un pattugliamento di alcune settimane. Il reattore nucleare Vickers – Rolls Royce PWR 1 da 20.500 Kilowattore era già stato portato alla temperatura di servizio e gradualmente stava aumentando il livello di potenza erogata alla turbina. L’equipaggio nella sala motori staccò la linea che da terra forniva energia elettrica agli equipaggiamenti del reattore per passare all’alimentazione autonoma da parte dei generatori a bordo. Ma la linea interna non  si collegò e istantaneamente le pompe, che facevano circolare l’acqua per il raffreddamento delle barre di Uranio, cessarono di funzionare. Come nel peggiore degli incubi, man mano che gli addetti facevano scattare gli interruttori delle pompe di emergenza e il collegamento con le batterie di servizio, nessuno degli apparati rispondeva, mentre in pochi secondi la temperatura del reattore superava ogni record di risalita. Nemmeno il tentativo di tornare all’alimentazione esterna da terra riuscì…. Mentre la tensione saliva assieme alla temperatura nel nucleo, febbrilmente gli addetti alle macchine cercarono di far partire la procedura manuale per inserire le barre di controllo nel nocciolo del reattore, prima che fosse troppo tardi. Finalmente due marinai riuscirono a far partire un generatore ausiliario a motore Diesel e l’energia tornò a scorrere nell’impianto elettrico del sottomarino.

Secondo le indagini di alcuni giornalisti del quotidiano Observer, nei lunghi e terrificanti minuti in cui si rischiò la fusione del nucleo, i livelli di calore furono tali da danneggiare l’impianto primario di raffreddamento determinando una perdita, nell’ambiente, di acqua fortemente radioattiva, e di cui non si seppe mai l’entità. Inoltre le enormi emissioni di energia superarono le capacità di contenimento della schermatura del reattore, tanto che un marinaio venne sottoposto a procedure di decontaminazione e tenuto in osservazione per 24 ore per il pericolo di un avvelenamento acuto da radiazioni. Le fonti della Royal Navy sull’incidente hanno sempre sostenuto si sia trattato di un’avaria di minore entità e che quelli che hanno gridato al disastro, letteralmente “non sapevano di che cosa stessero parlando”… sinceramente una reazione un po’ insolita per un incidente definito di lieve entità e poco in linea col tipico ‘aplomb’ britannico.

29 aprile L’USS Sam Houston (SSN 609)finisce per arenarsi nel Carr Inlet, un’insenatura all’estremità Sud – Est della Fox Island, nel Puget Sound, mentre sta effettuando prove di rumorosità in acque basse (nota 11). Il Sam Houston è un veterano della guerra fredda, essendo entrato in servizio nel 1962 come SSBN, ovvero sottomarino capace di lanciare in immersione missili intercontinentali balistici. Nel 1980, dopo 18 anni di servizio di prima linea, a seguito del trattato internazionale di riduzione di armamenti e vettori SALT 1, venne privato delle attrezzature di lancio e furono installati degli anelli di cemento nei silos dei missili, per renderne impossibile il trasporto ed il lancio. Venne trasformato così in SSN, un sottomarino da attacco antinave a propulsione nucleare. Fu anche adattato al ruolo di supporto per le forze speciali, come i Navy Seals, creando degli alloggiamenti per i soldati al posto di alcuni silos ed attrezzature per trasporto mezzi anfibi. Dopo l’incidente l’equipaggio immediatamente mise in moto la procedura per accertare gli eventuali danni, specialmente al sistema di propulsione, quindi cercò di liberare autonomamente il battello dal fondale, ma vista l’impossibilità attese l’arrivo il giorno dopo della nave appoggio e soccorso USS Florikan e di rimorchiatori dal Puget Sound Naval Shipyard di Bremerton. Una volta rientrati in porto vennero constatati danni alle strutture esterne. Ormai però lo Houston era un mezzo obsoleto, a fine carriera, con strutture logorate dall’uso, per cui il battello venne riparato, ma si preferì comunque ritirarlo dal servizio nel settembre 1991 ed avviarlo allo smantellamento attraverso il Submarine Recycle Program, concluso il 3 febbraio 1992.

18 maggio (nota12) L’HMS Conqueror (S48) ancora una volta fu abbastanza sfortunato protagonista di incidenti. Mentre era ormeggiato al porto di Gibilterra subì un principio di incendio immediatamente spento dal personale di servizio.

1 giugno il periodo negativo dell’HMS Conqueror continuò pochi giorni dopo. Rientrato dalla crociera nel Mediterraneo, mentre  prendeva parte ad una esercitazione sulla costa occidentale scozzese, venne colpito per errore da un siluro inerte da esercitazione sganciato da un elicottero ASW (Anti Submarine Warfare, ovvero con ruolo antisommergibile). La copertura del ponte del sottomarino rimase danneggiata, per cui il Conqueror dovette interrompere la navigazione e rientrare a Faslane per  le necessarie riparazioni.

2 luglio (nota 13) il traffico civile e militare navale nel Ireland North Channel fece un’altra vittima quando lo yacht Dalriada, appartenente alla Army Sail Training Association, venne investito sulla fiancata destra dal solito HMS Conqueror (per quanto alcune fonti parlino dell’HMS Corageous) in fase di emersione, a circa 11 miglia sud – ovest dal Mull of Kintyre, la punta estrema dell’omonima penisola sulla costa scozzese. L’equipaggio dello yacht lanciò immediatamente l’SOS, perchè  si rese conto che la barca sarebbe rapidamente affondata. Le chiamate del Dalriada e del Conqueror vennero raccolte dalla fregata HMS Battleaxle, che circa 35 minuti dopo il naufragio soccorse i dispersi nell’oscurità della sera e riportò a bordo i 4 membri dello yacht. Il Conqueror, per fortuna, non riportò danni degni di nota. Nel Canale d’Irlanda, d’altronde, la questione della convivenza fra il traffico militare e quello civile resta un problema irrisolto. Da un lato le bellissime coste di Irlanda, Scozia e Galles, e il loro mare ricco di risorse ittiche, richiama molto turismo marittimo; dall’altro in Scozia si concentra su sottomarini la forza di deterrenza nucleare britannica, nonché quella statunitense in forza alla NATO. Ovviamente si tratta di navigazioni ben diverse: in superficie piccole navi da turismo e da pesca, che solitamente procedono isolate, e in profondità grandi sottomarini, pressoché ciechi che per procedere utilizzano solo attrezzature elettroniche. Spesso, per ispezionare l’area circostante utilizzano sonar attivi (è il gioco del gatto col topo che le marine dei blocchi NATO e del Patto di Varsavia facevano attorno ad una delle coste più militarizzate), perché i sonar e gli idrofoni passivi non sempre sono attendibili. Per chi guarda la superficie attraverso un periscopio pochi centimetri sopra il pelo dell’acqua, la presenza all’orizzonte di un’imbarcazione relativamente piccola può restare nascosta dal gioco delle onde, fino a che non ci si trova ormai che a pochi metri di distanza. Inoltre tutte le politiche di riservatezza frapposte negli anni dalle autorità militari e politiche sono state percepite dalle comunità locali come un atteggiamento di arroganza. Il punto della questione è che pur ammettendo che una forza nucleare strategica sia ancora necessaria, in un mondo imperfetto in cui i rapporti fra gli stati erano (e sono) una questione di posizioni di forza, occorre migliorare i modi in cui viene gestita. In gioco ci sono le vite degli equipaggi e delle popolazioni residenti.

29 agosto mentre rientra nel porto di Norfolk in Virginia da una crociera nel Mediterraneo e nel Mare Arabico, iniziata a febbraio, la USS Dwight D. Eisenhover (CVN 69), portaerei nucleare della classe Nimitz, urta contro la nave carboniera spagnola Urdulitz, attraccata in banchina (nota 14). L’enorme portaerei che stazza oltre 110.000 tonnellate ed è lunga 340 metri faticava a manovrare negli spazi per lei relativamente stretti del Reach Channel, in una giornata di vento e correnti particolarmente forti. Proprio i venti che premevano sull’enorme struttura spinsero la portaerei lateralmente, senza che alcuna correzione posta in essere avesse effetto sull’inerzia dell’enorme massa metallica. La Eisenhower colpì la nave da carico spagnola, ancorata al molo in attesa di caricare, senza alcuna conseguenza per gli equipaggi. I danni alla Eisenhower furono valutati in 2 milioni di dollari, mentre quelli alla Urdulitz ammontarono a circa 300.000 dollari. L’impianto propulsivo costituito da 2 reattori nucleari Westinghouse A4W non fu messo in pericolo dalla collisione, avvenuta a bassa velocità, ma molto probabilmente nelle santabarbare a bordo erano custoditi armamenti nucleari in dotazione agli aerei da attacco della nave, potenzialmente più esposte  nel caso di incendio provocato dall’impatto.

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L’operaia Wanda Hood chiude con cura uno dei fusti contenenti rifiuti contaminati dal Plutonio e fortemente radioattivi durante la demolizione della fabbrica per componenti di bombe nucleari a Rocky Flats, nel Colorado. Foto di Mark Leffingwell.

ottobre al Rocky Flats Nuclear Weapons Factory in Colorado un ispettore del D.O.E. (Department of Energy, il dipartimento governativo per l’energia) e due lavoratori restano contaminati per aver inalato micro polveri di Plutonio 238 (nota 15). Per l’impianto, posto a sole 15 miglia a nord ovest della città di Denver e ai piedi della catena delle Rocky Mountains, è l’ultimo di una lunga serie di incidenti e violazioni. Aperto nel 1952 come impianto per la produzzione di inneschi al Plutonio, le “bottiglie” di trizio e i “pit” corazzati per le bombe H, nel 1969 fù vittima di un grave incendio che fece temere una forte contaminazione esterna. Nel 1970 le polveri radioattive rilevate nell’area di Denver avevano portato a scoprire sistematiche violazioni nelle norme di sicurezza, smaltimento di residui di Uranio e Plutonio che andavano avanti da decenni e avevano irrimediabilmente compromesso vari strati del terreno attorno ai Rocky Flats e la falda acquifera superficiale. Al deposito 903 vennero misurati livelli di Plutonio e radionuclidi di elementi transuranici estremamente elevati. Dopo le denunce all’FBI da parte dei dipendenti, i poliziotti federali svolsero delle indagini riservate da cui risultò che l’inceneritore dell’impianto funzionava fino a tarda ora della notte. Scoprirono che fusti di scorie della lavorazione venivano seppelliti attorno all’impianto senza alcuna precauzione, mentre molti altri lasciati all’aperto, alle intemperie, risultavano gravemente danneggiati: all’interno era contenuto un letale mix di acidi, reagenti e polveri radioattive di Uranio. Già in passato le azioni legali promosse contro l’impianto avevano rivelato una grave spregiudicatezza nella gestione, tanto da provocare la cancellazione dell’appalto alla Dow Chemicals Company per la conduzione dell’impianto e il subentro della Rockwell International, ma nonostante le attività di decontaminazione svolte inizialmente dal nuovo gestore, nella sostanza non cambiò nulla. L’impianto era strategico per l’arsenale nucleare e gli standard produttivi richiesti andavano mantenuti, a qualsiasi costo. Il Department of Energy, organo anch’esso governativo, negli anni ‘80 aveva posto sotto stretta osservazione i laboratori. Ma le pressioni dall’alto per limitare lo scandalo furono enormi, tanto che uno degli agenti dell’FBI, Jon Lipsky, decise di rivelare i risultati delle indagini a cui aveva partecipato, pur prevedendone le conseguenze….Nel 1990 la EG & G, subentrata alla Rockwell International, inizia finalmente un serio programma di contenimento dell’inquinamento radioattivo. Nel 1992, a seguito dei trattati internazionali di disarmo e del mutato atteggiamento nell’opinione pubblica, l’impianto viene definitivamente fermato. Nel 1995 parte la più costosa e gigantesca opera di decontaminazione della storia statunitense (immagine 3): l’equivalente di 2000 autocarri di terreno e macerie contaminate vengono inviate ai siti di stoccaggio in Utah, Idaho e New Mexico, nonché al Nevada Test Range, dove si effettuano le esplosioni atomiche sperimentali. Oltre 1900 fusti di residui di Plutonio furono inviati al deposito militare specializzato di Savannah River e altre 21 tonnellate di materiali, a un grado di radioattività pari a quello del materiale fissile militare, vengono mandati alla decontaminazione. Solo nell’impianto di circolazione dell’aria viene recuperata l’incredibile quantità di 28 chili di polvere di Plutonio (per avvelenare un essere vivente, o provocargli il cancro al polmonne, basta una particella di un decimo di micron di diametro). L’operazione si conclude nel 2006 con un costo astronomico finale di 7 miliardi di dollari. Una class action promossa da associazioni di cittadini e ambientalisti, come “the Sierra Club”, forse la più antica e influente negli States, portarono alla condanna della Dow e della Rockwell al pagamento ciascuna di 117 milioni di dollari come risarcimento danni e rispettivamente di altri 110 per la Dow e 89 milioni per la Rockwell come sanzione per le violazioni delle leggi sulla protezione ambientale. Alcuni chilometri quadrati attorno a dove si trovavano i laboratori  resteranno troppo radioattivi per risiedervi per decine di migliaia di anni. L’area è stata dichiarata nel 2007 riserva per la fauna e la flora selvatica, che ha ripreso pieno possesso delle Rocky Flats, come successe a Chernobyl. La riserva da quest’anno è visitabile al pubblico, sebbene l’ombra del Plutonio continui ad aleggiare su tutta la regione, dove Uranio e Plutonio hanno lentamente continuato a depositarsi per 50 anni. Circa 4 chilometri quadrati, corrispondenti al centro degli impianti di lavorazione restano infatti sotto lo stretto controllo del DoE. Per tutti coloro che lavorarono o che vissero nelle vicinanze degli impianti, probabilmente resterà sempre il dubbio di essere stati fortemente esposti e dovranno convivere con la paura delle possibili conseguenze sulla loro salute. E il Plutonio ha un tempo di dimezzamento radioattivo di 24 mila anni…..

di Davide Migliore

 

NOTE E RIFERIMENTI

(1)  http://www.publications.parliament.uk/pa/cm199798/cmhansrd/vo980629/text/80629w03.htm

sito ufficiale del parlamento Britannico, Camera dei Comuni, interrogazioni parlamentari n. 46824 e 47804 al Segretario di Stato al Ministero della Difesa sulle armi termonucleari WE177 a caduta libera, produzione, stato di servizio, eliminazione, giugno 1998.

http://www.guardian.co.uk/environment/2003/oct/13/energy.nuclearindustry

articolo di Rob Evans sul quotidiano “The Guardian”, 23 ottobre 2003, lista degli incidenti di servizio ad armi nucleari di Sua Maestà rilasciata dal Ministry of Defence britannico.

http://www.nukewatch.org.uk/accidents.php

sito sugli incidenti incorsi a convogli di trasporto armi nucleari sul suolo inglese ed attività delle associazioni anti nucleari inglesi.

http://peacedevelopmentfund.wordpress.com/2011/04/02/nuclear-repercussions/

attivisti antinucleari contro gli spostamenti di armi e materiali minitari atomici negli U.S.A.

http://vimeo.com/20872194

video girato dal gruppo Camcorder Guerrillas sull’uso intensivo di convogli nucleari su strada in                 Inghilterra e delle attività dei volontari per protestare ed informare.

(2)  http://en.wikipedia.org/wiki/HMS_Splendid_(S106)

http://everything2.com/title/Submarine+Collisions

http://www.skeptictank.org/treasure/GP5/UKNUC5.TXT

collisione tra l’HMS Splendid ed un sottomarino sovietico nel mare di Barents

 (3) http://historical-debates.oireachtas.ie/D/0387/D.0387.198903070132.html

Estratto dei dibattimenti del  7 maggio 1987 e del 7 marzo 1989 al Parlamento Irlandese sui frequenti  incidenti tra pescherecci d’altura irlandesi e sottomarini in immersione nel nord Atlantico

http://www.imo.org/Pages/home.aspx

sito dell’International Maritime Organisation, agenzia delle Nazioni Unite che promuove la navigazione  internazionale sicura e combatte le forme di inquinamento da parte di natanti

(4)  http://navysite.de/ssbn/ssbn629.htm

http://www.mesotheliomaweb.org/mesothelioma/veterans/submarines/uss-daniel-boone

http://en.wikipedia.org/wiki/USS_Daniel_Boone_(SSBN-629)#Operational_history

incidente all’USS Daniel Boone (SSBN 629)

(5)  http://www.navy.mil/navydata/cno/n87/history/chrono.html

Cronologia dello sviluppo dell’Arma sottomarina USA

 (6)  http://www.apnewsarchive.com/1987/Sub-Damage-Worse-Than-Previous-Report-Caused-By-Faulty-

Maintenance/id-7a2e648c72d1cf6fd05053bc69a69866

Associated Press Archive, july 14, 1987 – article on USS Nevada (SSBN 733) main transmission gear  failure

http://navysite.de/ssbn/ssbn733.htm

http://www.uscarriers.net/ssbn733history.htm

guasto nel Pacifico all’USS Nevada

(7)  http://en.wikipedia.org/wiki/HMS_Conqueror_(S48)

http://www.robedwards.com/2009/09/exposed-22-serious-fires-on-nuclear-submarines.html

Sito news di Rob Edwards, giornalista indipendente in campo scientifico ambientale

http://www.publications.parliament.uk/pa/cm200809/cmhansrd/cm090916/text/90916w0009.htm

Acts of UK Parliament, House of Commons, answer to deputies interrogation, 16 september 2009, Column 2223W: lista degli incendi scoppiati sui sottomarini a propulsione nucleare inglesi tra il 1984 e il 2009

(8) http://www.skeptictank.org/treasure/GP5/UKNUC5.TXT

HMS Renown leak reactor coolant

(9) http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&frm=1&source=web&cd=1&sqi=2&ved=0CDMQFjAA&url=http%3A%2F%2Fwww.mod.uk%2FNR%2Frdonlyres%2FCD66C835-C933-4F6E-8005D3301971E809%2F0%2Fnuclear_weapons_various_incidents_letter.pdf&ei=_2XGUPClHsTBswbXvoCgCQ&usg=AFQjCNEQ95OotIjHgESrUstoJ-yYCf1PTQ&sig2=OiaW7fxWL-VdZpXNeAuoRQ

Ministry of Defence, Directorate of Safety and Claims, letter 16 august 2007, Code File DSC_02_01_09 MoD FOI Ref: 08-05-2007-174033-010 : incidenti nucleari potenziali 1985/1987, dichiarazioni ufficiali al Parlamento inglese da parte del Governo

(10) http://en.wikipedia.org/wiki/HMS_Resolution_(S22)

http://www.hmsresolution.org.uk/index.php

http://hansard.millbanksystems.com/written_answers/1988/feb/19/hms-resolution#S6CV0127P0_19880219_CWA_73

http://www.banthebomb.org/archives/magazine/cracking.htm

The Scottish Campaign for Nuclear Disarmament and Faslane Peace Camp, “cracking under pressure” difetti e guasti dei sottomarini nucleari britannici Incidente in porto all’HMS Resolution , Sez. 6.2

http://www.bbc.co.uk/news/uk-scotland-15801357

BBC news, 18th November  2011, video “dismantling a nuclear submarine”

http://www.thecourier.co.uk/News/Fife/article/2995/damage-found-to-submarine-hms-resolution-

at-rosyth-dockyard.html

pericoli oggi per l’HMS Resolution e altri sottomarini dismessi.

(11)  http://navysite.de/ssbn/ssbn609.htm

Incidente all’USS Sam Houston

(12)  http://en.wikipedia.org/wiki/HMS_Conqueror_(S48)

HMS Conqueror incendio a Gibilterra.

http://www.plymouth.unisonplus.net/dig/dig.htm

 (13)  http://www.publications.parliament.uk/pa/cm200809/cmhansrd/cm090402/text/90402w0024.htm

HMS Conqueror, collisione con lo yacht Dalriada, Parliament query, answer n° HC 2 apr. 2009, Column 1396W                    

http://www.telegraph.co.uk/news/uknews/defence/8112935/Cuts-warning-as-nuclear-

submarine-crash-rate-nears-one-a-year.html

The Telegraph, “cuts warning as nuclear submarine crash rate nears one a year”, by John Bingham, 6 november 2010, lista degli incidenti che hanno coinvolto sottomarini nucleari Britannici tra il 1988 e il 2010, con commenti ufficiali del Ministry of Defence.

http://www.robedwards.com/2010/04/is-scotland-safe-from-nuclear-submarine-crashes-in-the-clyde.html

Sito news di Rob Edwards, giornalista indipendente in campo scientifico ambientale, citazione del Sunday Herald del 4 aprile 2010

 (14)  http://en.wikipedia.org/wiki/USS_Dwight_D._Eisenhower_(CVN-69)

http://www.uscarriers.net/cvn69history.htm

collisione nel porto di Norfolk per la USS Dwight D. Eisenhower (CVN69)

 (15) https://docs.google.com/viewer?a=v&q=cache:ASmnq3_IrRMJ:www.unm.edu/~bgreen/ME360/Rocky%2520Flats%2520Colorado.pdf+pdf+rocky+flats+colorado&hl=it&pid=bl&srcid=ADGEESgGL6z-Svq157YdEJsvV3eQhxoTvNLe34SLE0Vsrlc-jaFVmdhuWn6w8jgiR9hQxyrEHR6g48VB_8iVkFJpr1HHhr0nLHKI6E47AdK7R9E6fEyT0sO-3KHtPyhFuMPN1pqxnWYx&sig=AHIEtbTPRthTBJTWpAqE3NRWE3G6M3FAwQ

State University of Colorado: Rocky Flats Colorado Nuclear Weapons Production Facility 1952 – 1988

http://en.wikipedia.org/wiki/Rocky_Flats_Plant“Full body burden: growing up in the shadow of Rocky Flats”, Kristen Iversen, 2011 Random House Inc.

http://www.ens-newswire.com/ens/aug2010/2010-08-05-01.html

“Rocky Flats Nuclear Site Too Hot for Public Access, Citizens Warning”, from the “Environment News Service”,

Denver, Colorado, 5 august 2010.

http://prisonphotography.org/tag/the-rocky-flats-nuclear-weapons-plant/

“Incendiary iconography”, by A.W. Thompson – photographing the Rocky Flats Nuclear Facilities

 

Fonti generali

“L’Atomo Militare, tecniche, strategie, storia e prospettive”, Giuseppe Longo, Vittorio Silvestrini, Editori Riuniti 1987

“storia segreta degli incidenti nucleari”, Nico Sgarlato, AEREI – rivista aeronautica, n. 2, febbraio1991

“A Handbook of Nuclear Weapons Accidents”, Shaun Gregory – Alistair Edwards , University of Bradford, Bradford 1986

“SOMMERGIBILI NUCLEARI : PROBLEMI DI SICUREZZA ED IMPATTO AMBIENTALE” ,  F. Iannuzzelli, V.F. Polcaro, M. Zucchetti, Politecnico di Torino, 2004

“La Marina Sovietica”, Michele Cosentino – Ruggero Stanglini, ED.A.I., 1991

“ Lost Subs: From the Hunley to the Kursk, the greatest submarines ever lost  and found” Dunmore – Spencer, 1st ed. , Madison Press,  Toronto 2002

“Spy Sub”, Roger C. Dunham, 10th ed. New York: Penguin Books, 1997

“Big Red – three months on board a Trident missile submarine”, Waller, Douglas C. “1st ed. Harper Collins, New York 2001

 “The Hidden Cost of Deterrente:  Nuclear Weapons Accidents”, Shaun Gregory, Brassey’s UK, London, 1990

P.L. Olgaard , “Nuclear ship Accidents – Description and Analysis”, Technical University of Denmark,  Lyngby, May 1993

“the limits of safety”, Scott. D. Sagan, Princeton University Press, 1995.

http://www.progettohumus.it/public/forum/index.php?topic=428.0;wap2

incidenti nucleari o potenzialmente nucleari dal 1971 ad oggi

http://www.nuclear-weapons.info/vw.htm

interessante sito creato da Brian Burnell in cui ricostruisce la storia delle armi nucleari inglesi con lo sviluppo di ogni singola arma

http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&frm=1&source=web&cd=40&ved=0CG8QFjAJOB4&url=http%3A%2F%2Fwww.peaceheroes.com%2Fimages%2Fpdf%2Ftridentsubs_plrc_020799.pdf&ei=2_DFUJTNEojgtQap9YCoCw&usg=AFQjCNFuUj8TM3n8ECU0SNpi7jT2tK-QaQ&sig2=gx1MyyAayUu10MMByuIqdA

sottomarini americani ed inglesi operativi con missili Trident I e II, sviluppo e servizio.

http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&frm=1&source=web&cd=6&sqi=2&ved=0CFgQFjAF&url=http%3A%2F%2Fwww.rtna.ac.th%2Farticle%2FUS%2520Trident%2520Submarine%2520%26%2520Missile%2520Sytem.pdf&ei=GhfGUM3LJ8Xesgbe-oHoDQ&usg=AFQjCNGhCXRr5rFYlhXBxCgNEuj7XX0Pcg&sig2=3y1SaOR3QLC-9A54XCDF1A

documento PDF, Pacific Life Research Center, bollettino del 16 novembre 2002,  studi sui missili Trident I e II e operatività sui sottomarini classe Ohio

http://lists.peacelink.it/armamenti/msg00252.html

http://www.at1ce.org/themenreihe.p?c=United%20States%20submarine%20accidents

lista di incidenti a sottomarini e vascelli militari angloamericani dal 1945

http://www.cddc.vt.edu/host/atomic/accident/critical.html

Trinity Atomic Website, history, nuclear weapons and conseguences

http://spb.org.ru/bellona/ehome/russia/nfl/nfl8.htm#O17b

lista incidenti a sottomarini sovietici con cause

https://www.cia.gov/library/center-for-the-study-of-intelligence/csi-publications/books-and-monographs/a-cold-war-conundrum/source.htm sito ufficiale della C.I.A.

siti ufficiali della C.I.A. , Central intellige Agency

http://nuclearweaponarchive.org/Nwfaq/Nfaq0.html

the nuclear weapons archive

http://books.google.it/books?id=3wUAAAAAMBAJ&pg=PA23&lpg=PA23&dq=us+nuclear+submarine+accidents+1985&source=bl&ots=QvKSE3wTuu&sig=y6tbBUeneIb4ZiRAi6BYv-2tHOc&hl=it&sa=X&ei=3-mjUIuqFsfEsgbL-4DoAw&ved=0CCYQ6AEwATgK#v=onepage&q=us%20nuclear%20submarine%20accidents%201985&f=false

Bulletin of the Atomic Scientists, july /august 1989 issue

https://docs.google.com/viewer?a=v&q=cache:ASmnq3_IrRMJ:www.unm.edu/~bgreen/ME360/Rocky%2520Flats%2520Colorado.pdf+pdf+rocky+flats+colorado&hl=it&pid=bl&srcid=ADGEESgGL6z-Svq157YdEJsvV3eQhxoTvNLe34SLE0Vsrlc-jaFVmdhuWn6w8jgiR9hQxyrEHR6g48VB_8iVkFJpr1HHhr0nLHKI6E47AdK7R9E6fEyT0sO-3KHtPyhFuMPN1pqxnWYx&sig=AHIEtbTPRthTBJTWpAqE3NRWE3G6M3FAwQ

State University of Colorado: Rocky Flats Colorado Nuclear Weapons Production Facility 1952 – 1988 (PDF)

http://www.nukewatchinfo.org/nuclearweapons/index.html

informazioni aggiornate sulla produzione di armamenti, sulle conseguenze mediche e ambientali della produzione di armi, iniziative pacifiste e di eliminazione degli armamenti nucleari.

http://bispensiero.blogspot.it/2007_05_01_archive.html

blog con liste dei principali pericoli e situazione attuale della strategia atomica

http://archive.greenpeace.org/comms/nukes/chernob/rep02.html

http://www.rmiembassyus.org/Nuclear%20Issues.htm

http://www.web.net/~cnanw/a7.htm

10 mishaps that might have started an accidental nuclear war.

http://forum1.aimoo.com/American_Cold_War_Veterans/Cold-War-Casualties/Naval-Accidents-During-Cold-War-1-1579633.html

incidenti navali con vittime durante la Guerra Fredda

http://www.navsource.org

informations on naval accidents on duty and conseguences

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Tatcher, Reagan, Gorbaciov: gli ordigni nucleari degli anni ottanta e ottantuno

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Tatcher, Reagan, Gorbaciov: gli ordigni nucleari degli anni ottanta e ottantuno

Pubblicato il 18 luglio 2012 by redazione

Thatcher and ReaganGorbachev, soviet Politburo member poses with British PM Margaret Thatcher at Chequers during his December 1984 visit to the UK.

Arrivati agli anni ottanta nel nostro excursus degli incidenti che hanno coinvolto armi ed impianti militari, troviamo che l’avanzamento tecnologico, pagato con l’investimento di spaventose risorse monetarie e materiali, ha portato ad un grado di letalità degli ordigni nucleari, solo pochi decenni fa, inimmaginabile …. I trattati di disarmo e di eliminazione di arsenali non hanno mai fermato le spese in questo settore, anzi, semmai sono serviti a sostituire i mezzi ormai obsoleti con altri ben più “efficienti”.

L’elettronica ha dato un grande supporto alla sicurezza degli armamenti, retaggio delle dolorose esperienze del passato nella gestione di quanto di più distruttivo l’uomo abbia potuto creare. Ma questo non ha conseguito una infallibilità tecnologica…

Gli incidenti hanno continuato ad accadere, solo che è cambiato il modo di fornire notizie o di commentare i fatti.

Sono anni in cui il confronto ideologico e strategico torna a farsi durissimo, dall’invasione sovietica dell’Afghanistan all’elezione del presidente degli Stati Uniti, il repubblicano Ronald Reagan. Conservatore convinto, Regan aprì un periodo, durato due mandati, conclusosi con l’accordo epocale sugli armamenti con l’allora presidente russo Mikhail Gorbaciov.

La conseguenza di questo accordo, paradossalmente, fù il proseguimento degli investimenti nella ricerca militare da entrambe le parti e al contempo un confronto ideologico dovuto ad una visione polarizzata del mondo: da un lato i Paesi democratici liberi (quindi i buoni), dall’altro le dittature del proletariato, dove il controllo dei mezzi di comunicazione e della politica era completo. Quest’ultimi erano fedeli all’ideologia anticapitalista ed espansionistica dei regimi comunisti nel mondo (i cattivi).

La propaganda politica di quegli anni fece leva anche su un ritrovato sentimento di appartenenza nazionale che riavvicinò l’opinione pubblica americana alle istituzioni, specie quelle militari.

Dopo le tremende vicende della sconfitta in Vietnam, il disorientamento culturale negli anni 70, fù caratterizzato da presidenze abbastanza deboli politicamente, come Carter e Ford, oltre a un lungo periodo di stagnazione economica.

Proprio la “Reaganomics”, la politica economica di liberalizzazione, basata sulla riduzione delle tasse e sulla contrazione dei bilanci statali, aveva un contraltare naturale nella politica dell’allora primo ministro inglese, Margaret Thatcher, l’interlocutore storicamente, ma anche militarmente, più vicino agli Stati Uniti.

In realtà l’enorme rilancio dell’industria bellica e la decisa ripresa nella politica antisovietica impedì il calo del debito e si mangiò i risparmi faticosamente ottenuti. Dall’altro lato della cortina di ferro, la paura di restare indietro nella ricerca tecnologica, specie quella informatica, generò il terrore che la superiorità occidentale si traducesse nel temuto “attacco a sorpresa”, senza che alcuna crisi politica o escalation militare la giustificasse.

L’investimento gigantesco operato dai vertici politici sovietici portò al collasso, alla fine del decennio, dell’economia dei cosiddetti Paesi del Socialismo reale.

La corsa fu proprio qualitativa. Le tecnologie furono privilegiate rispetto alla quantità degli armamenti. Basti pensare al programma costosissimo delle “star wars”, le guerre stellari (nome mutuato dal famoso film) che prevedevano l’uso dello spazio esterno dell’atmosfera, ufficialmente con funzioni di difesa antimissile, che sfruttava una rete di satelliti e di stazioni di controllo per contrastare un possibile attacco missilistico a sorpresa. Alla fine del decennio lo schieramento dei paesi del Socialismo reale imploderà anche per questo, schiacciato dalla spesa militare insostenibile. Ma andiamo per gradi e torniamo a immergerci in un aspetto della storia un po’ trascurato, ma tra i più problematici che l’umanità debba affrontare, ogni giorno: i nostri ordigni nucleari dispersi in vario modo negli anni ottanta. La quantità di eventi è tale che siamo costretti a dividere questa cronistoria in più parti che pubblicheremo nei mesi successivi.

1980

Il 2 o 3 giugno, la data non è certa, al NORAD, North Aerospace Defense Command – Comando di Difesa Aerospaziale del Nord America (note1, 2), la grande centrale di difesa  creata da Stati Uniti e Canada che ha sede sotto la Cheyenne Mountain in Colorado, un computer di analisi dati improvvisamente iniziò a proiettare sugli schermi tracce di lancio di missili intercontinentali dal territorio dell’Unione Sovietica, mandando il sistema di difesa Americano e NATO a DefCon 1 (Defence Condition, la scala di allarme del sistema militare). Dopo alcuni minuti di tensione altissima (anzi di vero panico secondo il ricordo di alcuni testimoni) che quasi portarono allo scoppio della terza guerra mondiale, si scoprì che un tecnico aveva caricato un nastro da esercitazione che simulava un lancio di missili nucleari intercontinentali, ma non aveva inserito nel grande computer che processava i dati il programma di avviso test in corso, per cui la macchina aveva preso per reali i dati, così come gli uomini del NORAD. Il comando strategico del Pacifico (PAF – Pacific Air Force)aveva allertato e fatto alzare in volo i B52 armati di armi nucleari, in attesa del codice di lancio da parte del Presidente, mentre  il SAC (lo Strategic Air Command) non aveva fatto decollare i B52  né messo in allarme i silos di lancio dei missili, convinto si trattasse di un errore, sulla scorta di un incidente simile a quanto pare avvenuto nel 1979. La polemica che sorse indicò anche la diversa interpretazione fra gli organi della gerarchia militare e quindi una potenziale mancanza di controllo univoco sullo strumento nucleare…

6 giugno Per la cronaca l’incidente si ripeté il ma questa volta per un difetto in un processore di una centralina che riceveva dati dai satelliti, per cui il computer riproduceva dati a caso di tracce radar. Per 15 minuti, i più lunghi della storia dell’umanità, comandanti militari e politici, il presidente in primis in quanto detentore della “chiave atomica”, cercarono disperatamente di comprendere se quello che stava succedendo fosse reale, se dovessero prendere la decisione che avrebbe sicuramente cancellato la vita sul pianeta. Quando dati più diretti indicarono che non c’era stato alcun decollo dalle basi in Russia e nei Paesi del Patto di Varsavia, ogni installazione venne subito fatta uscire dallo stato di allerta e riportata a livello DefCon 6, ma non prima che 100 B52 e centinaia di missili a lungo e corto raggio, sia a terra che in mare, fossero stati posti in condizione di decollo, con i motori caldi e le coordinate degli obbiettivi registrati nel computer di navigazione. E non si conosce ancora bene quale fu la reazione nella parte avversa, alla quale i segnali di un massiccio preparativo di attacco non sfuggirono di certo… Il 4 ottobre seguente venne presentato alla Commissione Difesa del Senato degli Stati Uniti un rapporto congiunto dal Senatore Democratico Americano Gary Hart e dal Senatore Repubblicano Americano Barry Goldwater, intitolato “Recenti falsi allarmi nel Sistema di Allarme Strategico per Attacco Nucleare Balistico”: nel rapporto venivano documentati 147 falsi allarmi al NORAD  in diciotto mesi, dal 1° gennaio 1979, al 30 giugno 1980, di cui 4 gravi ed uno, quello del 6 giugno 1980, potenzialmente catastrofico. La paura che l’intero sistema di attacco nucleare venisse completamente affidato all’elettronica  e con esso il destino dell’umanità, fu anche il tema di un film del 1983, “Wargames”, dove un giovane hacker (siamo agli albori di internet, nata come rete inizialmente proprio per le comunicazioni militari e governative sicure) si introduce nel computer del NORAD e per equivoco quasi scatena la guerra termonucleare globale. Una parte del film è stata ambientata proprio nella sede del NORAD.

20 luglio dello stesso anno, mentre è alla fonda  nella baia di San Diego in California, l’USS Gurnard (SSN 662), sottomarino cacciasommergibili a propulsione nucleare perde 30 galloni di acqua radioattiva del sistema di raffreddamento del reattore, equivalenti a circa 113 litri di liquido radioattivo. Fonti ufficiali della marina rassicurarono che immediate analisi delle acque non avevano evidenziato aumenti della radioattività di fondo. L’incidente sarebbe stato provocato da un marinaio addetto al reattore che avrebbe per errore aperto una valvola esterna.

29 luglio, mentre è in navigazione nel braccio di mare fra le Filippine ed il Borneo, la portaerei USS Midway viene investita dal mercantile Cactus, battente bandiera panamense. L’incidente danneggiò la nave, non seriamente secondo fonti ufficiali, ma due marinai morirono e tre caccia F4 Phantom II sul ponte rimasero danneggiati.  Questo è uno dei tanti incidenti che coinvolsero navi da guerra, per quanto enormi come le portaerei oceaniche americane, ma non solo. La preoccupazione in questi casi, come avvenuto in passato, è la possibilità che gli incidenti  provochino gravi incendi  su questi aeroporti naviganti. Nel caso specifico, la USS Midway era a propulsione convenzionale, ma nelle sue santabarbare potenzialmente possono essere custoditi armamenti nucleari in dotazione agli aerei da attacco, per quanto dopo gli anni 60 la politica delle forze nucleari occidentali è stata di disciplinare e limitare al massimo la movimentazione di ordigni atomici solo in caso di effettive crisi internazionali.

12 agosto fu il sottomarino da attacco a propulsione nucleare HMS Sovereign, classe di appartenenza Swiftsure, che restò vittima di un’avaria in navigazione nel Plymouth Sound. Per quanto le fonti ufficiali della Royal Navy avessero descritto il guasto meccanico non grave, il sottomarino rimase senza energia, incapace di manovrare o muoversi, “dead in the water” come si dice in gergo e dovette essere trainato da un’altra unità al porto di partenza, a Devonport.

Figura 1: decollo su allarme di un B52 del 92nd Bombardment Wing in allerta nucleare sulla Fairchild Air Base. L’immagine è degli anni 60 ma è indicativa dell’attività degli equipaggi del SAC durante quasi tutto il periodo della cosiddetta ‘guerra fredda’.

Il 15 settembre (figura 1) è di nuovo il mezzo aereo a essere protagonista di un rischio nucleare: Un Boeing B52 H è sulla pista della base di Grand Forks, nel North Dakota, in attesa di un decollo durante un’esercitazione. Ai piloni subalari interni sono assicurati 8 missili Cruise AGM 69 a testata nucleare. Il Cruise è una delle nuove frontiere dell’armamento nucleare. Permette di lanciare l’arma lontano dalle difese aeree dell’avversario, sarà il missile a raggiungere l’obiettivo con un volo a bassissima quota grazie al TFR, il radar che segue il profilo del suolo. Questo letale nuovo giocattolo è la risposta ai missili a medio raggio autotrasportabili SS 20 che l’Unione Sovietica ha schierato dalla metà degli anni 70 sul teatro europeo soprattutto. L’enorme bombardiere è pronto al decollo, quando improvvisamente un incendio violentissimo appare dal nulla e avvolge l’aereo. L’immediato intervento delle squadre dei pompieri ed un forte vento tengono le fiamme lontano dagli ordigni atomici, ma il fuoco consuma l’aereo per più di tre ore, alimentato dal carburante JP4 stivato a migliaia di litri nei serbatoi. Dopo lo spegnimento venne accertato che l’incendio era iniziato proprio per un cedimento del serbatoio alare numero 3 e se il vento avesse spinto verso l’asse longitudinale invece che lateralmente tutte le testate (armate) sarebbero state investite dalle fiamme.

Figura 2 : lo spaccato di un tipico complesso di lancio dei missili LGM25C Titan II, operativi tra gli anni 50 ed 80.

19 settembre (figura 2) Solo 4 giorni dopo avvenne un altro incidente con un rischio elevatissimo di detonazione nucleare. (Nota 3) Nell’area sotto la responsabilità della Little Rock Air Force Base è dislocato il 308 Strategic Missile Wing, composto dal 373 e dal 374 Strategic Missile Squadron. L’unità è una delle tre armate con il missile intercontinentale balistico (ICBM) Martin Marietta LGM25C Titan II, il più grande nell’arsenale occidentale, con i suoi 31 metri di altezza per oltre 154.000 chilogrammi di peso in condizioni operative, dotato di una testata termonucleare da 9 megatoni W53, può colpire bersagli a oltre 10.000 chilometri dalla base di lancio, nel cuore del territorio sovietico, oppure cinese, con un volo di pochi minuti. Ogni silo è dotato di una camera di controllo collegata con sistemi di comunicazione sicura e tunnel di accesso a vari piani per la manutenzione del missile. Per evitare pericoli di lanci intenzionali, gli operatori sono due dotati ciascuno di una chiave di lancio da utilizzare contemporaneamente, il tutto protetto da una struttura in acciaio e cemento capace di resistere a un’esplosione nucleare diretta… All’esterno, ogni silo è ben dissimulato sul territorio, per evitare che venga individuato dai satelliti spia russi.  Grazie al tipo di propellente liquido ipergolico, ovvero composto da due componenti (un carburante ed un ossidante) che si incendiano per reazione chimica una volta mescolati, il missile può essere lanciato entro 58 secondi da che  gli operatori ricevano il codice segreto di lancio dal Presidente. Il carburante A50 del missile è economico e molto efficiente ma forse più pericoloso della testata stessa , in quanto i suoi componenti chimici sono potentemente tossici e corrosivi. Periodicamente vanno sostituiti e rigenerati, in quanto soggetti a deterioramento. Ci sono stati tragici precedenti: l’8 agosto 1965 ben 53 lavoratori civili che stavano eseguendo lavori in un altro silo morirono un tremendo incendio quando venne accidentalmente perforato un serbatoio di stoccaggio del carburante, mentre il 27 gennaio 1978 nello stesso silo 374-7 due avieri furono uccisi dai vapori dell’ossidante fuoriusciti da una falla nel missile, causando anche una nube tossica che sfuggì dal silo colpendo tutta la zona circostante.

18 settembre Quella sera nel silo 374 – 7, posto nella campagna della Contea di Van Buren, un aviere stava effettuando un’operazione di manutenzione periodica sul missile Titan. Il militare perse una pesante chiave a bussola, che dopo un volo di quasi 30 metri rimbalzò sulla parete del silo e perforò il serbatoio del carburante del primo stadio del missile. Immediatamente venne formata una squadra di emergenza e la polizia militare iniziò l’evacuazione del personale e dei civili dalla zona. Solo due avieri restarono nel silo cercando con tute protettive di riparare la perdita, ma inutilmente. Nelle prime ore del 19 settembre la concentrazione di vapori nell’aria raggiunse il livello massimo ed i due uscirono dal silo chiudendo le porte stagne. Pochi istanti dopo la struttura del missile cedette (la pressione del carburante nei serbatoi ha anche una funzione strutturale di sostegno) innescando una terrificante esplosione. Il portello esterno  corazzato, pesante 740 tonnellate, venne divelto e scagliato ad una altezza di oltre 70 metri, mentre le macerie del silo si abbatterono nel raggio di 700 metri dall’installazione. Il modulo di rientro con la testata W53 venne ritrovato ad oltre 180 metri, ammaccato ma sostanzialmente intatto e disarmato dai sistemi di sicurezza automatici. Uno dei due coraggiosi avieri morì in ospedale mentre l’altro, assieme a 21 persone della squadra di emergenza, rimase ferito nell’esplosione. La commissione di inchiesta valutò il costo della riparazione del silo l’astronomica cifra di 225 milioni di dollari. La pericolosità dei carburanti liquidi ed programmi di ammodernamento dell’arsenale nucleare avviati dall’amministrazione Reagan portarono all’annuncio nel 1981 del ritiro dal servizio del Titan II, con la distruzione dei silo sotterranei, che vennero demoliti,  riempiti di terra e detriti. Oggi ne esiste solo uno,  trasformato in museo e visitabile. Il suo Titan, un esemplare da addestramento mai operativo, è l’ultimo dei 63 esemplari costruiti, il resto fu utilizzato come vettori per satelliti oppure demolito e venduto come rottame.

30 novembre, nella grande base di  Severodvinsk il reattore del sottomarino K 122 (nota 4 e video su youtube al link http://www.youtube.com/watch?hl=en&v=hQvgLxpsKHE&gl=US), unico rappresentante della classe Papa nel codice NATO, andò fuori controllo durante prove di potenza non autorizzate e svolte senza rispettare le norme di sicurezza. Un numero imprecisato di persone fu fortemente irradiata come l’area del bacino attorno. Il K122 era un primatista dei mari, con il suo scafo al Titanio poteva raggiungere profondità attorno ai 1000  metri e la velocità incredibile di 45 nodi in immersione, ovvero circa 85 chilometri all’ora…troppo costoso e complesso, fu utilizzato per missioni speciali di spionaggio e per testare le soluzioni applicate sui  sottomarini d’attacco classe Alfa. Dopo l’incidente non fu mai più pienamente operativo. L’anno si conclude con ancora due rischi potenziali in mare (nota 5).

1 dicembre l’HMS Dreadnought, primo sottomarino nucleare ad entrare in servizio nella flotta inglese, subisce una rottura catastrofica al circuito secondario di raffreddamento del motore (un reattore S5W di costruzione statunitense) per cui lo stesso viene immediatamente spento e il battello resta alla deriva in alto mare. L’unità, che ha alle spalle ormai quasi vent’anni di intenso servizio e parecchi acciacchi, viene giudicata non riparabile e posta in disarmo.

3 dicembre il sottomarino statunitense USS Hawkbill (SSN 666, insolito codice, visto che le autorità  sono sempre state “sensibili” agli umori degli equipaggi, parecchio superstiziosi…) si trovava presso i cantieri navali del Puget Sound Naval Shipyard, nello stato di Washington, per essere sottoposto a test di routine sui suoi apparati. Durante una prova al circuito di raffreddamento del reattore, oltre 560 litri di acqua radioattiva sfuggirono da una valvola difettosa e contaminarono 5 lavoratori del cantiere. Fonti della marina assicurarono che il liquido venne prontamente pompato in contenitori al piombo per essere smaltito, ma che il livello di radioattività era comunque basso, tanto che i lavoratori subirono un’esposizione inferiore a quella di una radiografia. Il sottomarino nel giugno dell’anno prima era stato oggetto di un incidente da perdita di liquido radioattivo in navigazione, probabilmente i test in corso avevano lo scopo di controllare il battello prima che tornasse operativo.

1981

L’anno inizia con un incidente occorso all’USS Birmingham (SSN 695) il 23 gennaio (nota 6): durante la navigazione nel mediterraneo subisce un danneggiamento dell’apparato sonar e deve entrare in porto a Gibilterra per riparazioni. Non si conosce la causa o l’entità dell’incidente. ( in questa sequenza la partenza  del Birmingham per una crociera nel Pacifico nel 1990 prima della Guerra del Golfo. Le immagini mostrano un classico momento operativo dei sottomarini da attacco nucleare http://www.youtube.com/watch?v=ps4WdZ1yJ2o&feature=relmfu ).

26 marzo l’USS Guardfish, già coinvolto in passato in un imbarazzante incidente nucleare, urtò il fondale nel canale di San Pedro, mentre rientrava alla base navale di San Diego. Ufficialmente non vi furono danni.

9 aprile il sottomarino lanciamissili nucleari USS George Washington (SSBN598) (nota 7), speronò in emersione il mercantile giapponese Nisso Maru nel Mar Cinese Orientale, a circa 200 chilometri dal porto di Sasebo.  La nave giapponese affondò nel giro di 15 minuti portando con se 2 dei 15 marinai a bordo. Il sottomarino riportò solo alcuni danni alla torre. L’affondamento causò un grave incidente diplomatico tra Giappone e U.S.A. : un’ondata di indignazione percorse il paese, poiché le autorità statunitensi ci misero ben 24 ore a segnalare ufficialmente la collisione e né l’equipaggio del sottomarino né quello di un aereo pattugliatore P3C a quanto pare andarono immediatamente in soccorso dei naufraghi giapponesi. Inoltre il governo di Tokio volle sapere cosa ci faceva un’unità nucleare a meno di 20 miglia nautiche dalla costa e perché il sottomarino fosse emerso senza controllare la superficie. Il Giappone, di fronte agli incidenti con vascelli ed armi nucleari avvenuti a poca distanza dalle sue coste, ancora con il doloroso ricordo dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaky, aveva vietato l’ingresso già negli anni 60 nelle acque territoriali a battelli a propulsione nucleare o che portassero armamenti atomici. Non estranea fu anche la prova che i militari americani avevano sistematicamente mentito su  contaminazioni nei loro porti dovute alla presenza della flotta sottomarina americana…. L’US Navy continuò nella sua politica di “non poter confermare né negare la presenza” di armamenti atomici su suoi mezzi navali o aerei coinvolti in incidenti, anche se il Presidente Reagan personalmente assicurò alle autorità di Tokyo che non c’era mai stato alcun pericolo di versamenti in mare di materiale radioattivo e che sarebbe stata accertata la dinamica dell’incidente. Inizialmente, lo scontro fu giustificato con la scarsa visibilità dovuta alla pioggia e alla nebbia e che agli occhi dei marinai americani la nave giapponese non sembrava essere in difficoltà. Tesi piuttosto difficili da sostenere, che fecero ancora di più arrabbiare l’opinione pubblica del Sol Levante. Dopo alcuni mesi  di dure polemiche, sotto una forte pressione politica, la U.S. Navy dichiarò la propria responsabilità nell’incidente, mentre il Dipartimento della Marina si offerse di pagare un risarcimento per i danni subiti. Fu dichiarato che l’incidente fu causato da una serie di sfortunate coincidenze assieme al comportamento negligente del comandante e dell’ufficiale di plancia del George Washington, che furono destinati ad altro incarico con una nota di biasimo ufficiale sullo stato di servizio. Un po’ poco per il rischio corso: sul Washington erano presenti 16 silos di lancio per missili intercontinentali Polaris e probabilmente siluri a testata nucleare.

13 aprile l’USS William H. Bates (SSN-680) finì dentro delle reti da pesca fisse nel canale di Hood, stato di Washington. Non si conoscono altri particolari.

27 dello stesso mese (nota 8) l’USS Jack (SSN 605) mentre è ormeggiato a fianco della USS Trenton nel porto di Alessandra d’Egitto, va a colpire la fiancata del Trenton causando danni agli scafi di entrambi i battelli. Non furono denunciati problemi con il reattore.

25 e il 26 maggio (nota 9) Nella notte un aereo da guerra elettronica Grumman EA6B Prowler, appartenente al corpo dei Marines, si schianta mentre cerca di appontare, a corto di carburante,  sulla portaerei nucleare USS Nimitz (CVN68), in navigazione a 70 miglia nautiche da Jaksonville (Florida). L’aereo investì altri apparecchi in parcheggio sul ponte e prese fuoco. Mentre le squadre di emergenza stanno domando l’incendio, un missile aria-aria AIM7E Sparrow appeso ad uno degli aerei esplose, ravvivando l’incendio, che durò oltre un’ora. Alla fine il bilancio fu di 14 militari morti e 45/48 feriti, secondo le fonti, oltre a una diecina di velivoli distrutti o danneggiati (tra cui 3 allora nuovissimi caccia Grumman F 14A Tomcat), per un totale di danni valutato ben in 100 milioni di Dollari. Una forte polemica politica sorse quando le autopsie su  alcuni dei marinai deceduti dimostrarono presenza di Mariujana. Il presidente Reagan da allora istituì controlli ferrei sul personale militare per escludere l’uso di alcool o droghe, per quanto l’incidente in se non fosse da imputare a quella causa. I due reattori nucleari A4W della nave non subirono alcun danno, né corsero alcun rischio secondo fonti della Marina. (nota 10)

21 agosto, toccò a un sottomarino sovietico nucleare classe Echo I, probabilmente il K 122, a subire un incendio grave in sala macchine, nel Mar Cinese a circa 85 miglia marine dall’isola giapponese di Okinawa. Secondo fonti nipponiche 9 uomini dell’equipaggio restarono soffocati dal fumo e dal monossido di carbonio che saturarono gli angusti spazi del compartimento macchine. Una nave mercantile  russa soccorse l’unità trasbordando buona parte dell’equipaggio, mentre un rimorchiatore da Vladivostock raggiunse  il battello assieme ad alcune unità di scorta per trainare l’unità. Il governo giapponese rifiutò il permesso di ingresso nelle acque territoriali fino a che la marina russa non avesse assicurato la messa in sicurezza del reattore, nonché l’assenza di perdite di materiali radioattivi e  di armi nucleari a bordo. Fino al 24 agosto le autorità Sovietiche non assicurarono nulla, strettamente seguite da mezzi aerei e navali giapponesi, ma anzi entrarono nelle acque territoriali di Tokyo. Finalmente dopo tale data, sotto la tensione internazionale creatasi, il governo sovietico assicurò che non vi erano state perdite al reattore e non vi era alcun inquinamento dell’oceano, né armi nucleari attive sul sottomarino. Campionature effettuate sia in aria che in acqua (nonché fotografie scattate al personale del sottomarino) dimostrarono invece perdite di una certa consistenza con contaminazione evidente. Per giusta citazione, alcune fonti riportano l’incidente come avvenuto nel 1980.

27 dello stesso mese l’USS Dallas (SSN 700) (nota 11)urtò violentemente il fondo mentre stava per entrare nell’ “Atlantic Undersea Test and Evaluation Center” ad Andros Island, nelle Bahamas, per condurre delle prove sul sistema sonar con e le sofisticate apparecchiature del laboratorio sottomarino. Le superfici di manovra e la parte inferiore della poppa del battello rimasero danneggiate. Dopo alcune ore di intensi sforzi da parte dell’equipaggio, il sottomarino fu in grado di ritornare in superficie e raggiungere la base di New London, nel Connecticut, per le riparazioni.

27 ottobre grave incidente diplomatico. Un sottomarino russo classe Whiskey, il K363,  si incagliò in un canale a 10 chilometri dalla base navale svedese di Karlskrona, durante una evidente missione di spionaggio militare. Il comandante Anatoly Guscin si giustificò genericamente con cattivo tempo ed un guasto al sistema inerziale di navigazione. Il 29 un tentativo di entrare nelle acque territoriali svedesi da parte di un rimorchiatore e di un sottomarino di tipo non identificato furono respinti dagli elicotteri e dalle navi da guerra svedesi. Mentre uno scanning eseguito a distanza  con spettrometri sensibili alle radiazioni gamma dimostrarono che il Whiskey, anche se propulsione convenzionale diesel-elettrica,  era armato sicuramente con siluri a testata atomica. Il 6 novembre il battello venne trainato fuori dalle acque territoriali svedesi e preso in consegna da unità russe che lo scortarono verso l’unione Sovietica. L’incidente fu chiuso col pagamento di 212.000 Dollari da parte dell’Unione Sovietica come risarcimento allo stato svedese. La Svezia, nazione neutrale e non allineata ad alcuno schieramento, subì parecchie ingerenze da entrambe le parti. Solo pochi mesi prima il cacciatorpediniere Halland aveva lanciato cariche di profondità su un sottomarino non identificato che aveva violato le acque  svedesi. Il recente ritrovamento casuale del relitto di un altro sottomarino classe Whiskey nella zona però autorizza a pensare che anch’esso fu vittima della reazione della marina svedese, come molti altri scontri non ufficiali venne seppellito fra gli ingombranti segreti della guerra fredda. Ad oggi nessuno sa se nel relitto vi siano armamenti nucleari.

2 novembre nella base di Holy Loch, in Scozia, un missile Poseidon cadde dal ponte della nave appoggio USS Holland per un errore dell’operatore della gru che lo stava spostando. Le sicure automatiche bloccarono la caduta, ma l’esplosivo convenzionale di innesco della testata, tipo LX09, abbastanza instabile, avrebbe potuto detonare e spargere materiale radioattivo su una vasta area. Un identico incidente era già occorso nell’agosto 1977  nella base navale di Coulport durante il caricamento di un missile Polaris. Per cui la Marina americana fu duramente criticata sui giornali britannici prima per aver nascosto l’incidente e in seguito non aver informato le comunità attorno alla base sui rischi corsi nella movimentazione degli armamenti dei sottomarini nucleari. La lapidaria risposta ufficiale della US Navy fu che non vi era stato alcun danno materiale, nessuno era rimasto ferito e che non era stato corso alcun serio pericolo…..

di Davide Migliore

Riferimenti e bibliografia

(1)  http://www.norad.mil/ : sito ufficiale del NORAD ;

http://www.ippnw-italy.org/site/ippnwitaly/documenti-relazioni-comunicati/viii-summit-dei-premi-nobel-per-la-pace

la guerra nucleare non intenzionale, quando l’umanità gioca alla roulette russa…

(2)http://www.ippnw-italy.org/site/ippnwitaly/documenti-relazioni-comunicati/helsinki-1984-ed-il-concetto-di-guerra-nucleare-non-intenzionale-nella-storia-del-disarmo-nucleare-in-europa

(3) http://www.titanmissilemuseum.org ; http://en.wikipedia.org/wiki/Titan_Missile_Museum ;

http://encyclopediaofarkansas.net/encyclopedia/entry-detail.aspx?entryID=2543

http://www.308smw.com/ ;http://www.titan2icbm.org/index.html  ;

http://encyclopediaofarkansas.net/encyclopedia/entry-detail.aspx?entryID=2543

l’incidente al missile Titan II alla Little Rock Air Force Base, Arkansas.

(4)http://www.marinebuzz.com/2008/07/25/worlds-fastest-russian-nuclear-submarine-k-222-being-dismantled/

SOMMERGIBILI NUCLEARI : PROBLEMI DI SICUREZZA ED IMPATTO AMBIENTALE , Politecnico di Torino, 2004 – F. IANNUZZELLI, V.F. POLCARO, M. ZUCCHETTI

http://www.deepstorm.ru/DeepStorm.files/45-92/nsrs/661/k-162/k-162.htm

(5) http://www.submarineheritage.com/gallery_dreadnought.html  ; http://www.hmsdreadnought.co.uk/

http://www.rnsubs.co.uk/Boats/BoatDB2/index.php?id=2&BoatID=680&flag=class

(6) http://www.hullnumber.com/SSN-695

(7) http://navysite.de/ssbn/ssbn598.htm

(8)http://uss-jack.org/ ; http://en.wikipedia.org/wiki/USS_Jack_(SSN-605)

(9)http://en.wikipedia.org/wiki/USS_Nimitz_(CVN-68) ; http://navysite.de/cvn/cvn68.html  USS Nimitz

(10) http://it.wikipedia.org/wiki/Classe_Echo_I/II

http://russian-ships.info/eng/submarines/project_659.htm

http://silentseawolvesmsw.devhub.com/blog/463924-strategic-missile-submarine-operations/

l’incidente al sottomarino sovietico K 122

(11) http://www.uscarriers.net/ssn700history.htm

incidente all’USS Dallas

 

Fonti:

http://www.progettohumus.it/public/forum/index.php?topic=428.0;wap2

incidenti nucleari o potenzialmente nucleari dal 1971 ad oggi

http://lists.peacelink.it/armamenti/msg00252.html

lista di incidenti a sottomarini e vascelli militari angloamericani dal 1945 .

http://spb.org.ru/bellona/ehome/russia/nfl/nfl8.htm#O17b

lista incidenti a sottomarini sovietici con cause

https://www.cia.gov/library/center-for-the-study-of-intelligence/csi-publications/books-and-monographs/a-cold-war-conundrum/source.htm sito ufficiale della C.I.A.

http://nuclearweaponarchive.org/index.html

the nuclear weapons archive

http://www.nukewatchinfo.org/nuclearweapons/index.html

informazioni aggiornate sulla produziione di armamenti, sulle conseguenze mediche e ambientali della produzione di armi, iniziative pacifiste e di eliminazione degli armamenti nucleari.

http://bispensiero.blogspot.it/2007_05_01_archive.html

blog con liste dei principali pericoli e situazione attuale della strategia atomica

http://archive.greenpeace.org/comms/nukes/chernob/rep02.html

http://www.rmiembassyus.org/Nuclear%20Issues.htm

http://www.web.net/~cnanw/a7.htm

10 mishaps that might have started an accidental nuclear war.

http://forum1.aimoo.com/American_Cold_War_Veterans/Cold-War-Casualties/Naval-Accidents-During-Cold-War-1-1579633.html

incidenti navali con vittime durante la Guerra Fredda, registro di fonte U.S.A.

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Le radici della crisi economica del mondo occidentale

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Le radici della crisi economica del mondo occidentale

Pubblicato il 06 maggio 2012 by redazione

L’Italia si sfalda e sfuma il progetto di un’economia nazionale

Triangolo-To-Mi-GeNegli anni 50’ si parlava del Nord Italia come del triangolo industriale, Milano-Torino-Genova, deputato e demandato allo sviluppo del Paese.

Negli anni 80’ cresceva la media impresa, che esportava sul mercato internazionale il “made in Italy” e al triangolo industriale si aggiungevano Treviso, Vicenza, Cuneo e Alessandria: l’occupazione cresceva in maniera straordinaria. Allora la Lombardia era il fulcro del Pil nazionale. Milano, dunque, capitale del terziario e della moda, e Torino votata all’industria; Milano città mercato, Torino l’organizzazione. La Lombardia negli anni si stabilizza e si rafforza e Milano si fa città globale, secondo alcuni la 7° città globale del Mondo. Torino invece resta indietro, perde la sfida e manca l’affaccio sui mercati internazionali.

Nel 2008 inizia la crisi, o meglio si manifesta. Milano, internazionale, sfrutta l’occasione europea e si colloca oltre oceano, non rispecchia più l’Italia risorgimentale che vedeva il Sud come grande serbatoio interno di manodopera a basso costo per le grande industrie del Nord, o per quelle trasversali al Paese come le autostrade, ma guarda ai grandi mercati del mondo, spingendosi verso la produzione di beni immateriali,  completamente scollata dal resto del Paese e ad un certo punto ottusamente votata al federalismo con un’assoluta mancanza di senso dello Stato e di Nazione, fino alle estreme conseguenze, che vedono la nascita della Lega e del Berlusconismo. Una Milano egoista, che sogna per sé e non ne vuol sapere del resto dell’Italia.

Dall’altra parte il Sud dopo varie migrazioni, prima verso l’America, tra la fine dell’Ottocento e i primi quarant’anni del Novecento, poi, alla fine della seconda guerra mondiale, verso il Nord del paese, si rivolge infine allo Stato come Welfaregate, per trovare le risposte ai propri bisogni economici: lo Stato si fa volano dello sviluppo economico e sociale del Paese.

anni50Alla fine degli anni 80’ si tirano le somme di questo forte statalismo, che ora è visto come impedimento allo sviluppo, e si decide di tagliare le strutture pubbliche e insieme a queste anche i grandi poli industriali come, per esempio, quello dell’Italsider, con la dismissione di 5000 operai. Questo è l’inizio della fine della grande industria e al contempo della grande classe operaia. In quegli anni qualcuno, semplificando, denunciava che non c’erano più soldi, che bisognava darsi da fare, che lo Stato assistenziale era finito e che al Sud l’industria non era riuscita a decollare perché c’era stato troppo Stato. Al Nord nel frattempo nascono e fioriscono invece le piccole e medie imprese, orfane di un progetto economico comune e nazionale, che la Lega traduce come ragione e giustificazione del non dover più stare insieme. A seguito di questo e di una maggior globalizzazione, anche lo Stato nazionale perde un po’ della sua funzione, ma soprattutto cambiano i presupposti capitalistici, che evolvono da industria a finanza: il capitale non più ancorato al territorio, va dove vuole, dove ha più convenienza. Nel Sud del Paese le risorse dello Stato si interrompono, così come quelle europee e il Meridione si arena completamente, privato di ogni ammortizzatore sociale. Anche le infrastrutture restano carenti e l’alta velocità riesce ad arrivare solo fino a Napoli. Il centro del Mediterraneo, il cuore del Sud dell’Europa, sembra proprio aver perso l’opportunità di affermare la propria centralità geopolitica e di far emergere tutte le sue possibili valenze, che se ben valorizzate e incanalate potrebbero evolvere in nuove economie sostenibili. C’è poi il problema della criminalità organizzata che con il suo clientelismo e la sua nuova vocazione finanziaria non permette facilmente l’evolversi di aziende e imprese terziarie. Anzi, i fiumi di denaro destinati alle imprese del Sud vengono invece recuperati dalle aziende del Nord e gli impianti acquistati, rivenduti ai Paesi del Terzo Mondo. E’ una battaglia difficile, che si combatte direttamente sul territorio e vede impegnate tutte le forze dell’ordine e della magistratura, ma che ha parte dei suoi gangli, radicati proprio nell’amministrazione e nella politica, troppo legata ai grandi interessi economici del territorio. L’integrità morale è saltata, cosi come la correttezza, e lo sviluppo economico si ritrova strettamente imbrigliato nelle sue maglie, così come il suo destino. Anche per questo l’Europa rappresentava per l’Italia una grande via di fuga, uno sbocco verso lo sviluppo, in ritardo di 40 anni rispetto a tutti gli altri paesi, persino verso la Spagna.


2006 crisi immobiliare degli Stati Uniti d’America

Nell’America di Grissman la politica monetaria pompava prestiti a gogò, e a basso interesse, alimentando bombe speculative, sia per i mutui delle case che per le aziende e invogliando gli americani a vivere al di sopra dei propri mezzi per almeno una decina d’anni. Raggiunto un alto livello di indebitamento individuale rifinanziavano il mutuo, basandosi su una tenuta stabile del valore delle case. Le banche a quel punto, dovendo accollarsi il rischio, decisero di impacchettare questi debiti e di cederli a terze parti finanziarie, facendo così crescere il rischio immobiliare fino all’esplosione della bolla e della crisi totale di tutto il sistema finanziario della cartolarizzazione (alias derivati), che provocò la sfiducia massiccia degli investitori e degenerò in un effetto domino globale, che mandò in crisi imprese e stati: dopo quella del 29’, questa è stata la crisi economica più pericolosa. I governi sapevano già dove si stava andando, ma non dove si sarebbe arrivati. All’inizio era infatti tutto abbastanza scontato: abbassare il costo delle case, facilitare l’accesso ai mutui, spingere verso una ripresa economica, movimentare il denaro liquido. In Spagna l’indebitamento immobiliare è arrivato al 27%. L’azzardo si è spinto molto oltre fino a incriccare il sistema finanziario globale, ma nessuno ha chiesto conto a questi esperti finanziari, confezionatori di derivati avariati, di assumersi le proprie responsabilità. Perché le banche non hanno controllato, perché le società di raiting cinesi, francesi, americane, non hanno segnalato i forti guadagni che entravano a fiumi nelle casse dei protagonisti di questo colossale affare. Quali sono gli organismi mondiali che dovevano monitorare, segnalare e porre rimedio ai danni ancora in essere, creando nuove regole a garanzia di tutti. Sta di fatto che la forbice tra ricchi e poveri si è aperta molto di più. Anche lo squilibrio tra le grandi nazioni come Cina e America è aumentato drasticamente e vede il 50% dei debiti americani concentrati sulle spese militari e solo il 25% sullo sviluppo. Di contro l’impegno cinese sullo sviluppo è massimo e su quello militare è quasi nullo. Risultato: la crescita economica cinese galoppa e la Cina siede ai tavoli più importanti del mondo e fa pesare il proprio voto nelle grandi decisioni globali. Il mondo è visibilmente cambiato e gli stipendi medi cinesi stanno raggiungendo quelli medi americani (lo stipendio di un ingegnere cinese è già pari alla metà di un ingegnere europeo), fermi invece al 1973 (30000 dollari netti all’anno), proprio come lo sviluppo economico americano.


Quo vadis EuropeQuo vadis Europa ?

L’Europa dal canto suo resta unita solo come moneta, interessata unicamente a salvare gli interessi dei paesi membri più forti, ma non a costituire una vera unità economica, politica e sociale: ovunque si sta facendo politica industriale, mediata dal governo e dal sindacato, il governo Obama ne è un esempio lampante, ma non in Europa.

L’attuale situazione produttiva europea, nell’ambito delle aziende manifatturiere è sinteticamente questa: Germania 27%, Francia 11%, Spagna e Inghilterra 11% e Italia (Nord) 6%.

La disparità con il sistema mondo è enorme. C’è di buono che la Cina riconosce ancora oggi il primato della moneta all’euro e non al dollaro, e implicitamente con questa preferenza mette in crisi e sottolinea di non accettare la supremazia, fino ad ora incontrastata, dell’egemonia economica americana. Fatto non da poco se si pensa al peso demografico cinese: 1/5 dell’intero mondo, 22.000 km di binari ferroviari completati entro il 2020, una camicia di buona qualità a un prezzo medio di 5 euro.

In Europa questa pressione-concorrenza con gli altri grandi paesi del mondo non solo sta bloccando la crescita economica, l’occupazione e il potere d’acquisto di uno stipendio medio, ma sta già mettendo in crisi pericolosamente anche i servizi-diritti sociali (scuola, sanità, tutele sindacali e pensioni).

L’Unione Europea ha forti responsabilità verso tutti i Paesi membri perché non ha rifiutato la globalizzazione, ma si è lasciata attrarre anch’essa dai miraggi finanziari e invece di promuovere una vera integrazione, ha promosso solo una politica monetaria a favore di interessi privati, condannando i Paesi membri più poveri a pagare il prezzo e il sostegno delle politiche economiche dei Paesi europei più ricchi.

L’Europa ha dei doveri e delle responsabilità che ormai non può più rifiutare, fosse anche, e non è poco, perché con la sua moneta rappresenta la seconda potenza economica del mondo. Ma come potenza è decisamente stravagante, non dispone neppure di una rappresentanza internazionale unica e siede ai tavoli del mondo con tutti i suoi Stati membri che detengono il potere di voto. Ogni Stato membro mantiene la possibilità di fare nel suo territorio tutto quello che vuole, così ad esempio ogni stato può stabilire dei dazi interni. L’Unione non si fa carico degli impegni presi dalle istituzioni pubbliche locali, né dei debiti che le stesse maturano in ogni singolo Paese. L’Unione non si impegna ad aiutare i Paesi in difficoltà, salvo fargli un prestito. Se però uno Stato membro va a gonfie vele e alza il livello di qualità della vita e dei servizi europei, impone di fatto un impegno economico maggiore agli Stati membri più poveri (un po’ come in una società per azioni quando qualcuno fa un rialzo di capitale: chi non riesce a stare al passo è fuori) che decidono sempre meno e che, per pagare, si indebitano sempre di più proprio con le “banche centrali europee”. Eppure senza Unione Europea, non si resta nel mondo e anche questo è un fatto. Forse davvero,  si dovranno stampare gli eurobond, riservandone una parte per il rilancio economico di tutta l’Unione ma, cosa non meno importante, bisognerà guardare all’Europa come veicolo di salvezza della democrazia. Questa, infatti, investita dalla fine del capitalismo, dagli interessi della nuova finanza, dai nuovi imperi protezionistici, sta scivolando in un pericoloso populismo che richiama echi aberranti neofascisti e antisemiti. I Paesi membri più ricchi hanno dunque una forte responsabilità nei confronti del mondo occidentale, che nei prossimi anni non si dovrà limitare a ricercare soluzioni alla crisi economica, ma che si dovrà seriamente impegnare nella difesa della democrazia.

di Adriana Paolini

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