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Commons, un nuovo modo di pensare ai beni comuni

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Commons, un nuovo modo di pensare ai beni comuni

Pubblicato 20 novembre 2012 da redazione

Per gli economisti e i sociologi, che studiano i beni comuni a livello globale, i commons sono le risorse materiali o immateriali condivise, cioè quelle che non sono di qualcuno in particolare e neppure rivali (cioè il cui uso da parte di qualcuno ne impedisca l’uso da parte di qualcun’altro), e che quindi sono usate (o prodotte) genericamente dalle comunità grandi e piccole.

Elinor OstromElinor Ostrom

La gestione dei beni comuni della collettività è rimasto uno tra i nodi più antichi, non ancora sciolti, della nostra civiltà. La domanda è sempre la stessa: come utilizzare le risorse comuni evitando eccessivi sfruttamenti e costi insostenibili. La privatizzazione è stata l’unica via fin qui sperimentata, ma ne esisterebbero altre che consentirebbero di creare istituzioni di autogoverno permanenti. Questo è quanto afferma Elinor Ostrom, Premio Nobel per l’Economia nel 2009, che ha postulato che i commons possono essere governati dal basso, assicurando così equità, rispetto degli ecosistemi e pari opportunità alle generazioni che verranno. Una via alternativa dunque, che spariglia completamente il sistema secolare della privatizzazione delle risorse, che imbriglia ancora oggi le politiche ambientali, ingessate da divieti, tasse, e limitazioni di ogni sorta al consumo. Questo nuovo modello genererebbe capitale sociale per e nelle comunità coinvolte e una maggior consapevolezza e responsabilità nello sperimentare nuovi modelli di gestione per risolvere le difficili situazioni in corso.

La nuova era post-industriale

La frenetica corsa alla produttività intensiva e massiccia, all’insegna di un imperante consumo per il consumo, è costato all’ambiente e all’umanità un innegabile degrado. Culturalmente ne è anche conseguito uno stravolgimento etico e valoriale del fare, e fare bene. Ora da più parti si avverte la necessità sempre più forte di un’inversione di tendenza. Molte sono infatti le iniziative che prospettano e sperimentano una nuova frontiera industriale, orientata a un ritorno alle origini. L’idea è quella di promuovere un sistema che pur avvalendosi di alte tecnologie, per dimensione e necessità produttive, si collochi a un livello quasi artigianale. L’obiettivo finale è soddisfare il mercato locale, quello dell’immediato circondario e da questo attingere ciò che serve per produrre quel che il mercato chiede. La nuova formula a chilometro zero, in uscita e in entrata, sia per la filiera produttiva sia per quella distributiva, permetterebbe di risparmiare maggiormente il costo dell’ambiente. Nulla che i nostri nonni non sapessero già.

orti verticali_3orti verticali_2Agricoltura pret-a-porté

Orti futuristi a chilometro zero sono già una realtà di alcune città americane. Questa è la risposta della Columbia University al disastro ambientale in atto in molte zone del pianeta. Si tratta di fattorie verticali costruite sulle pareti esterne di grandi edifici urbani. Una pista meccanica corre tutta intorno alle facciate di questi grattacieli agricoli e trasporta le cassette in cui vengono coltivati diversi tipi di verdure e ortaggi. Per proteggere la filiera agricola, tutto il circuito è rivestito da pannelli di vetro, che permettono alla luce naturale di filtrare e proteggono l’intero microclima dagli sbalzi di temperatura. Il periodo di coltura dei vegetali avviene ai piani alti. L’acqua e le sostanze nutritive vengono portate direttamente alle radici delle piante da un sistema di irrigazione e trattenute dall’argilla pomice che costituisce il terriccio di coltivazione. A crescita ultimata le cassette vengono portate dai “tapis roulants” ai piani inferiori della fattoria, dove il ciclo produttivo si conclude con il raccolto. La distribuzione locale dei prodotti annulla i costi di trasporto, che sono a chilometro zero. Alcuni grattacieli serra sono già attivi a Chicago, New York, Seattle e nel New Jersey. Queste coltivazioni futuristiche rispondono alla mancanza di terra fertile, alla desertificazione che minaccia un terzo del pianeta, alla diminuzione di acqua da cui dipendono le coltivazioni di un quinto delle risorse alimentari della Terra e alla sempre maggior richiesta di cibo dell’umanità. Rimane critico l’ambientalista George Monbiot, per il quale l’energia spesa per mantenere il consumo di luce artificiale di questi edifici è ancora troppo alto rispetto ai benefici. Massimo Iannetta, direttore del laboratorio di agrobiotecnologia, dell’Enea Casaccia, è invece ottimista: “Imparare a gestire edifici con funzioni tanto articolate significa affinare le tecniche di governo dei cicli nutrienti, dell’acqua, dell’energia: tutte competenze che si riveleranno sempre più preziose nel futuro.

Massimo Banziarduino scheda

La visione di Massimo Banzi, co-fondatore del progetto Arduino

Interaction designer, educatore, promotore del movimento hardware open source e co-fondatore del progetto Arduino, Banzi è il fondatore del primo FabLab italiano, da cui è nato a Torino un FabLab/Makerspace, l’Officine Arduino. Nel suo intervento durante una giornata di dibattito svoltosi al Made in Mage, a Sesto San Giovanni, tenutosi il 16 Novembre, Banzi ha ribadito la forza del cazzeggio o meglio del tempo speso a pensare, sperimentare e creare.

Alan_Kay

The Full Alan Kay Quote. “Don’t worry about what anybody else is going to do… The best way to predict the future is to invent it. Really smart people with reasonable funding can do just about anything that doesn’t violate too many of Newton’s Laws!” — Alan Kay, in an email on Sept 17, 1998 to Peter W. Lount

Come diceva Alan Kay, “Non preoccuparti di cosa sta per fare qualcun altro. Il miglior modo per predire il futuro è inventarlo”. Un modello alternativo, dunque, per immaginare l’innovazione, definita da Tim O’Reilly, sostenitore del software libero e dei movimenti open source, come un processo a 4 cilindri. Il primo cilindro è il divertimento: fare una cosa prima di tutto perché è divertente. Il secondo cilindro è sognare in grande. Terzo cilindro è quello di essere capaci di trasformare questo sogno in un’idea, in un prodotto. E alla fine se si vuole che questo sistema funzioni, il quarto cilindro consiste nel dare valore al mondo, più di quello che da questo si prende. Questo plus è quello che genera un sistema positivo e che ha determinato il successo dell’avventura dei fratelli Write, che pur non essendo ingegnieri sognavano di volare, o di Apple che sognava di portare il computer in tutte le case, di Google che con un click aspirava a “cercare e trovare” qualsiasi cosa in tutta la rete.

Il successo di piattaforme come Arduino, che ha realizzato una scheda made in Italy a micro-controller, utilizzata da tutti i creativi del mondo, è stato quello di provare a insegnare e distribuire conoscenza a chi non ha know-how, ma che desidera creare e inventare. Impari facendo e poi scopri i tuoi errori appoggiandoti a una comunità che cazzeggia come te per il piacere di capire e provare a inventare.

E ciò che viene creato dai cazzeggiatori, i maker, diventa valore anche per gli altri che fanno parte della comunità e condividono la piattaforma. Questa condivisione open source si estende a qualsiasi cosa, anche informazione o design e permette a tutti i condivisori di scalare la filiera della creazione fino a partorire un prodotto reale e originale.

di Adriana Paolini

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Relazione Europea 2018 sulla Droga

Relazione Europea 2018 sulla Droga

Pubblicato 20 gennaio 2019 da redazione

La Bayer, il colosso tedesco noto per la produzione dell’Aspirina, è anche il creatore dell’Eroina, usata in passato come farmaco.
La casa farmaceutica BAYER AG, nasce in Germania nel 1863 da Friedrich Bayer e Johann Friedrich Weskott e il suo primo, più importante, prodotto è proprio l’Eroina, immessa sul mercato nel 1899, come risulta dai suoi archivi interni (diari chimici di laboratorio, report di vendite e profitti e materiale promozionale, aperti nel 1990). Nome chimico diacetilmorfina, battezzata commercialmente Eroina, dal tedesco “Heroisch”- eroico, viene sintetizzata nel 1874, dal chimico inglese C.R. Wright.
Provata la molecola su rane e conigli, senza risultati clinici utili l’eroina e Wright vengono presto dimenticati.
Un secondo tentativo sperimentale viene poi, invece, fatto nel 1897 dal chimico della Bayer, Felix Hoffmann, che la risintetizzata. In quel periodo l’acetilazione era altamente diffusa dalla ricerca per rendere le molecole più attive. Così, Hoffmann acetilizza l’acido salicilico e ottiene l’Aspirina (o salicina, estratto in origine a livello popolare dalla corteccia del salice). Procede quindi, 11 giorni dopo, acetilizzando la morfina e ottiene l’Eroina, che risulta utile in diverse malattie, pneumologiche, neurologiche, ginecologiche o semplici nevralgie. Immessa sul mercato, l’Eroina riscuote presto un successo apprezzabile, ma viene poi vietata in tutto il mondo, in Italia nel 1925 e negli Stati Uniti negli anni Trenta, perché dà tossicodipendenza ed è pericolosa per la vita.

Ritenuta, infatti, efficace per sedare la tosse della tubercolosi e di altre patologie respiratorie, inizialmente è valutata positivamente, ma in realtà le sue supposte proprietà sedative, sono tali perché riducono il ritmo respiratorio, fino a dare la morte per overdose.

Flacone originale di Heroina, confezione Bayer.

Nel 1905 la città di New York consumava circa due tonnellate di Eroina all’anno, in Cina, sostituiva l’oppio, in Europa era molto diffusa e in Egitto nel 1930 si era calcolato che su 14 milioni di abitanti mezzo milione fossero eroinomani.

Fino alle più recenti guerre, l’Afghanistan produceva il 90% della produzione mondiale di papavero da oppio, per la realizzazione dell’eroina. Ora, invece, i paesi del triangolo d’oro (Birmania, Laos e Thailandia) hanno acquisito il know-how chimico necessario e non importano più oppio da raffinare, ma esportano direttamente eroina pronta all’uso, ma altri Paesi si stanno attrezzando. Cambiando le filiere produttive cambiano anche quelle distributive che rendono più accessibile il Mercato della Droga e al contempo tutte le sue implicazioni.

Preoccupa soprattutto l’aumento del consumo di certe droghe proprio come l’Eroina, che sembrava ormai un ricordo del passato, ma anche della più recente Cocaina e di tutte le new entry, che in un momento globale di incertezza e solitudini esistenziali, si accompagnano a città modello disneyland, all’insegna di un benessere esasperato.

Nell’epoca della mobilità, della competizione e della individualizzazione, la droga viene proposta quasi come scontata, e consumata come qualsiasi altro consumo. In realtà la dipendenza che crea, aliena ancora di più identità oggi sempre più difficili da costruire.

Cultura, spazi di confronto sociale, politiche per il lavoro e la partecipzione, per la famiglia e i giovani, dovrebbero essere maggiormente spinte per costruire un tessuto sociale vivo, attivo, umano, in cui trovare le risorse necessarie alla realizzazione di una vita piena, degna di essere vissuta, non schiava di dipendenze.

 

Relazione europea sulla droga, 2018
 


In allegato la Relazione Europea 2018 sulla Droga, di cui pubblichiamo di seguito alcuni stralci.
Il consumo di stupefacenti in Europa nel 2018 comporta sia problemi sanitari, sia sociali sia di sicurezza. Oggi, il problema della droga in Europa, dice il rapporto, sembra suggerire una disponibilità di stupefacenti elevata e in alcune aree persino in aumento. Ciò prospetta nuove importanti sfide nazionali ed europee. […] Per quanto riguarda cocaina ed eroina, le altre due principali sostanze illecite di origine vegetale, la produzione rimane concentrata nei paesi rispettivamente dell’America latina e dell’Asia. I dati globali suggeriscono che la produzione è in aumento per entrambe le sostanze. In che modo ciò incida sull’Europa è una questione che merita un esame minuzioso. Nel caso dell’eroina, nonostante la purezza relativamente elevata dello stupefacente a livello di strada, il consumo complessivo rimane stabile con tassi di iniziazione all’uso apparentemente bassi. Per quanto concerne la cocaina, al contrario, numerosi indicatori attualmente tendono al rialzo. Questo aspetto è discusso più dettagliatamente nel seguito. Per entrambe le sostanze, tuttavia, i dati relativi ai sequestri indicano alcuni cambiamenti recenti nella catena di produzione che potrebbero avere importanti implicazioni future. In Europa, si continuano a osservare la lavorazione secondaria e l’estrazione di cocaina dai «materiali di trasporto» nonché l’importazione di ingenti quantitativi di stupefacenti nascosti nei container marittimi. Per quanto riguarda l’eroina, un nuovo sviluppo è costituito dal fatto che, in diversi paesi europei, sono stati scoperti e smantellati laboratori che convertono la morfina in eroina. L’elemento chiave della questione risiede probabilmente nella maggiore disponibilità e nel costo notevolmente inferiore in Europa dell’anidride acetica, un precursore chimico fondamentale nella produzione di eroina, in un momento in cui i raccolti di papavero da oppio sono in aumento. Questa evoluzione illustra non solo la natura aggregata a livello globale delle moderne reti di produzione di droga, ma anche la necessità di inquadrare le risposte relative al controllo degli stupefacenti, come i controlli sui precursori, in una prospettiva generale.
Allo stesso modo, mentre gli sforzi europei e internazionali per limitare la produzione e la disponibilità di nuove sostanze psicoattive sembrano avere ora un certo effetto, vi sono anche state segnalazioni in merito alla pastigliatura e alla produzione di queste sostanze all’interno dei confini
europei. Ad oggi, tali sviluppi nella produzione di nuovi stupefacenti appaiono limitati. Tuttavia, i cambiamenti in quest’ambito hanno il potenziale di incidere rapidamente sui problemi in materia di droga e pertanto è necessaria vigilanza per assicurare che l’Europa sia pronta a rispondere in modo più adeguato alle potenziali minacce future in questo settore.

Vendite su Internet: l’Europa in un mercato globale
La vendita di stupefacenti su Internet rappresenta un altro buon esempio di come il cambiamento possa avvenire rapidamente, comportando sfide per i modelli di politica e di risposta esistenti e per la farmacovigilanza. Una recente relazione congiunta EMCDDA-Europol ha analizzato il ruolo dei fornitori e dei consumatori europei in questo mercato globale. Si stima che i fornitori dell’UE siano responsabili di quasi la metà delle vendite di droga nella «darknet» (rete oscura) effettuate tra il 2011 e il 2015. Le vendite on-line sono attualmente ridotte rispetto al mercato delle sostanze illecite nel suo complesso, ma sembrano in crescita. Mentre l’attenzione è spesso focalizzata sulla rete oscura, appare anche evidente che, per quanto riguarda le nuove sostanze psicoattive e l’abuso di medicinali, i social media e il web di superficie possono essere ugualmente importanti. Di particolare interesse qui è la progressiva affermazione di nuove sostanze correlate alle benzodiazepine. Dal 2015, 14 nuove benzodiazepine sono state segnalate al sistema di allerta rapido dell’UE. Queste sostanze non sono medicinali autorizzati nell’Unione europea e si sa ben poco in merito alla loro tossicologia; tuttavia, è probabile che i rischi aumentino quando vengono utilizzati insieme a sostanze illecite o alcol. La disponibilità di
benzodiazepine sia nuove sia consolidate sul mercato delle sostanze illecite sembra aumentare in alcuni paesi ed è noto che queste sostanze svolgono un ruolo importante, ma spesso trascurato, nelle morti per overdose da oppiacei. I recenti segnali relativi al possibile aumento del consumo di tali sostanze tra i giovani sono particolarmente preoccupanti. Questa è un’area che richiede ulteriori indagini, considerazioni politiche e sforzi in direzione della prevenzione. Il tema del consumo di benzodiazepine tra i consumatori di stupefacenti ad alto rischio è esaminato in un supplemento on-line alla presente relazione.

Le conseguenze dell’aumento dell’offerta di cocaina
L’aumento della produzione di cocaina in America latina sembra ora farsi sentire sul mercato europeo. In alcuni paesi, l’analisi delle acque reflue ha fornito un rapido allarme concernente un aumento della disponibilità e del consumo della droga in questione, il quale ora viene evidenziato anche da altre fonti di dati. Mentre i prezzi della cocaina sono rimasti stabili, la purezza della droga è attualmente al livello più elevato da oltre un decennio in Europa. Storicamente, la maggior parte della cocaina che entra in Europa è arrivata attraverso la penisola iberica.
Ingenti sequestri effettuati altrove di recente suggeriscono che l’importanza relativa di questa rotta potrebbe essere leggermente diminuita, essendo ora la cocaina sempre più importata illecitamente in Europa attraverso porti per grandi container. A tale proposito è degno di nota il fatto che, nel 2016, il Belgio abbia superato la Spagna come paese con il maggior quantitativo di cocaina sequestrato.
Nel complesso, le implicazioni del consumo di cocaina sulla salute pubblica sono difficili da misurare, poiché il suo ruolo nei problemi acuti e nei danni alla salute a lungo termine è difficile da monitorare e spesso può non essere riconosciuto. Tuttavia, ci si può aspettare un incremento dei problemi se aumenta la prevalenza del consumo e, in particolare, i modelli di consumo ad alto rischio. Uno dei segni di questa possibile evenienza è costituito dall’aumento osservato nel numero di primi accessi al trattamento specialistico legato alla cocaina, sebbene questi non siano ritornati ai livelli elevati osservati un decennio fa. Purtroppo, sebbene ancora raro, vi è anche un aumento nel consumo di cocaina crack, fenomeno che, si teme, possa iniziare a interessare più paesi.
Complessivamente, è ancora necessario capire meglio quale sia un trattamento efficace per i consumatori di cocaina e in particolare quale sia il modo migliore di rispondere ai problemi cocaina-correlati che possono coesistere con la dipendenza da oppiacei. […]

la Redazione

http://www.sipad.network/wp-content/uploads/2017/02/Depression-and-Other-Common-Mental-Disorders.pdf

http://www.emcdda.europa.eu/system/files/publications/8585/20181816_TDAT18001ITN_PDF.pdf

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Gardner, R. A. & Gardner, B. T. (1969)

Gardner, R. A. & Gardner, B. T. (1969)

Pubblicato 19 luglio 2018 da redazione

Insegnare la lingua dei segni a uno scimpanzé

Lo scopo di questo studio era dimostrare che uno scimpanzé ha la capacità di usare il linguaggio umano.

Ci sono stati molti tentativi di insegnare agli scimpanzè a usare il linguaggio. Tuttavia, alcuni dei primi tentativi erano destinati a fallire poiché questi studi (per esempio Kellogg e Kellogg 1933) stavano tentando di insegnare agli scimpanzé a parlare e il loro apparato vocale non era adatto a produrre suoni vocali.

Gardner e Gardner hanno tentato di insegnare a uno scimpanzé a usare una lingua non parlata utilizzando la lingua dei segni americana, utilizzata da molti sordi negli Stati Uniti.

È importante in primo luogo distinguere tra linguaggio e comunicazione come gran parte del dibattito sul fatto che i non umani possano usare il linguaggio o meno centri su queste definizioni di comunicazione e linguaggio.

La comunicazione è il processo di trasmissione di informazioni da un individuo o gruppo a un altro individuo o gruppo. Gli animali possono certamente comunicare tra loro. Il dibattito riguarda se possono usare qualcosa di simile al linguaggio umano per farlo.

La lingua è un piccolo numero di segnali (suoni, lettere, gesti) che da soli non hanno senso, ma che possono essere organizzati in combinazioni significative e usando determinate regole per creare un numero infinito di messaggi.

 

Procedura / Metodo
Lo studio è un report della prima fase di un progetto di formazione (Project Washoe) che coinvolge uno scimpanzé femmina chiamato Washoe. Si tratta di una sorta di case study in cui sono stati annotati i dettagli dei progressi di Washoe per un lungo periodo di tempo (32 mesi). Diversamente dalla maggior parte dei case study, non c’era alcun problema per il soggetto; questo era un tentativo deliberato di cambiare il comportamento del soggetto in un modo particolare per testare un’ipotesi. La variabile indipendente può essere pensata come il programma di allenamento e l’effettivo utilizzo dei segni la variabile dipendente Washoe.

 

I Gardner hanno deciso di usare uno scimpanzé come soggetto per una serie di motivi.

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Lo scimpanzé è intelligente, socievole e capace di forti attaccamenti agli esseri umani, anche se è stato riconosciuto che il forte attaccamento dello scimpanzé potrebbe causare una serie di difficoltà.

Sebbene studi precedenti avessero fallito nel tentativo di insegnare agli scimpanzé a vocalizzare come gli umani, i Gardner riconobbero che gli scimpanzè sviluppavano facilmente i gesti delle mani.

I Gardners hanno deciso di utilizzare l’American Sign Language (ASL) per una serie di motivi. Ovviamente, l’abilità manuale dello scimpanzé, ma anche l’equivalenza strutturale dell’ASL alla lingua parlata e ampiamente usata tra i non udenti nel Nord America. Ciò consentirebbe ai Gardner di fare confronti con bambini sordi.

I Gardner decisero di volere uno scimpanzé giovane così da poter osservare uno stadio critico iniziale. Poiché gli scimpanzé da laboratorio appena nati sono molto scarsi, si è deciso per un cucciolo selvatico.

Quando Washoe (che prese il nome dalla contea di Washoe, la casa dell’Università del Nevada) arrivò in laboratorio nel giugno del 1966, si stima avesse tra 8 e 14 mesi. Poiché Washoe era molto giovane aveva solo un controllo rudimentale della mano e della vista, aveva appena cominciato a gattonare e dormiva molto. Pertanto per i primi mesi si fecero pochi progressi.

I Gardners si assicurarono che Washoe avesse molti compagni umani che dovevano padroneggiare l’ASL. L’ambiente fù progettato per fornire la massima stimolazione con il minor numero possibile di restrizioni.

Washoe è stata istruita principalmente usando l’imitazione e il condizionamento operante. Il condizionamento operante rinforza il comportamento che si desidera. I Gardner hanno scoperto che Washoe avrebbe imparato alcuni segni osservando e imitando, ma spesso “modellando” con le sue mani le forme dei nuovi segni che le venivano insegnati. Il comportamento veniva premiato lodandola e facendole il solletico.

Infatti, se fosse stata sottoposta a pressioni eccessive per ottenere un segno corretto, sarebbe scappata, avrebbe fatto i capricci o avrebbe persino morso il tutor.

 

I risultati

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Una caratteristica interessante del linguaggio umano è la sceneggiata che i bambini fanno con molti suoni privi di significato linguistico. Anche se, non sorprende, durante la fase iniziale del progetto, Washoe non ha cercato di emettere suoni, ha invece fatto molti segni privi di significato, che i Gardner chiamavano “balbettio manuale”.

Nelle annotazioni si è tenuta traccia della quantità dei diversi comportamenti, della forma e del numero di segni utilizzati.

Ognuno di questi segni è stato segnalato da tre diversi osservatori, e si è verificato in un contesto appropriato e spontaneamente (cioè senza alcun suggerimento diverso da una domanda come “che cos’è?” O “cosa vuoi?”). Come criterio di acquisizione è stata presa come frequenza significativa quella di almeno un evento appropriato e spontaneo ogni giorno per un periodo di 15 giorni giorni consecutivi.

Alla fine dei 22 mesi del programma, almeno 30 segni soddisfacevano questo severo criterio. Washoe stava anche dimostrando lo spostamento – che si riferisce a cose che non erano presenti. Poteva anche combinare spontaneamente due segni, ad es. “fammi il solletico”.

 

Spiegazione
I Gardner credevano di essere in grado di verificare la loro ipotesi, ossia che il linguaggio dei segni fosse un mezzo appropriato di comunicazione a due vie per lo scimpanzé. I Gardner a questo punto dello studio (32 mesi del programma) credevano che Washoe avrebbe sviluppato ulteriormente i suoi tentativi di linguaggio dei segni e che i suoi risultati sarebbero stati probabilmente superati da un altro scimpanzé.

 

Critiche allo studio dei Gardner
Il principale punto di forza del metodo di studio di questo caso era la grande quantità di dati approfonditi che i Gardner erano in grado di raccogliere sull’uso del linguaggio dei segni da parte di Washoe.

Tuttavia vale la pena ricordare che, per quanto i risultati sembrino impressionanti, è stato necessario un programma di allenamento molto artificiale e basato sulla produzione per portare Washoe a questo livello. Questo, chiaramente, non è il modo in cui i bambini umani di solito acquisiscono il linguaggio, quindi forse qualsiasi paragone tra uno scimpanzé come Washoe è semplicemente invalido e ci dice poco sulla questione fondamentale: il linguaggio è univoco per gli esseri umani? Forse ciò che è richiesto è un esempio di linguaggio di apprendimento degli scimpanzé in un contesto meno strutturato e più naturale. Ci sono altre critiche allo studio, per esempio che è stato lo studio di un solo soggetto e questo rende difficile generalizzare.

Tuttavia una delle critiche principali è di natura etica. Lo studio era necessario? Gli scimpanzé dovrebbero essere allevati da cuccioli? Gli scimpanzé dovrebbero essere prelevati dal loro habitat naturale? E’ giusto insegnare a degli scimpanzé qualcosa di così “innaturale”. e così via?

Un famoso Gorilla parlante, chiamato Gerald ha detto che quando è stato catturato era completamente selvaggio. Lui rispose “Selvaggio. Ero assolutamente livido! ”

 

Valutazione conclusiva
Non tutti gli psicologi concordano sul fatto che Washoe abbia acquisito un linguaggio. Questo dibattito è incentrato sulla difficoltà di definire esattamente quale sia la lingua. Ad esempio aveva comprensione semantica, era in grado di generalizzare da un soggetto a un altro, era in grado di dimostrare lo spostamento, ed era creativa con il linguaggio come quando combinava le parole. Un criterio che viene spesso usato come dimostrazione del linguaggio è la dipendenza dalla struttura (la natura modellata del linguaggio e l’uso di “blocchi strutturati”, ad esempio l’ordine delle parole). Sebbene Washoe combinasse alcuni segni in un ordine coerente (ad esempio “baby mine” piuttosto che “mine baby” / “solleticami” piuttosto che “io solletico”), non sempre sembrava preoccuparsi dell’ordine dei segni, ad es. era probabile che segnalasse “go sweet” come “sweet go”. Questa mancanza di dipendenza dalla struttura supporta l’argomento secondo cui solo gli umani hanno una propensione innata ad acquisire un linguaggio.

Anche l’uso di ASL da parte dei Gardner è stato criticato in quanto si sostiene che concentrandosi solo sul linguaggio della mano, ASL non fosse correlato alla lingua parlata come invece avrebbe potuto essere.

 

 

Tuttavia, va anche notato che, sebbene il programma di insegnamento documentato durò 32 mesi, il programma fu svolto dai Gardner fino a quando Washoe compì cinque anni. All’età di 4 anni era in grado di segnalare 132 parole diverse. Poteva anche creare più di 30 combinazioni di due e tre parole. Questo non è molto impressionante se paragonato a un umano di 4 anni con più di 3000 parole, ma è ancora molto più di quanto molte persone avessero ritenuto possibile. I Gardner hanno anche messo a punto un test in doppio cieco, per escludere la possibilità che la performance di Washoe fosse semplicemente una questione di comportamento dei suoi allenatori nel vedere ciò che volevano vedere nel suo comportamento. In questo test, un osservatore è stato posizionato in modo tale da essere in grado di vedere l’immagine mostrata da Washoe. L’altro osservatore è stato posto in modo tale da poter vedere Washoe e il segno che stava facendo, ma non l’immagine dello stimolo. A Washoe è stato chiesto di fare un segno per ogni immagine e l’osservatore ha dovuto scrivere ciò che lei aveva rappresentato. La procedura è stata anche videoregistrata. I Gardner hanno scoperto che, in queste circostanze, Washoe ha rappresentato un segno accurato al 72% delle prove. Inoltre, quando commetteva degli errori, spesso dava un segno di qualcosa che riguardava l’immagine, come segnalare un gatto quando le veniva mostrata l’immagine di un cane.

Washoe ora era anche in grado di coniare nuove parole: la prima volta che vide un cigno il suo allenatore le chiese “Cos’è?” e lei ha risposto un “uccello acquatico”. Washoe spesso facevi dei segni spontaneamente, dando inizio a “conversazioni” nel linguaggio dei segni con i suoi istruttori. Ha anche sviluppato, abbastanza spontaneamente, delle “parolacce” – parole che ha aggiunto alle sue altre espressioni per indicare dispiacere. Ad esempio, avrebbe firmato “sporco” prima del nome di qualcuno se non le fosse piaciuto. Le implicazioni, quindi, sono che stava usando le parole che aveva imparato per soddisfare le intenzioni comunicative: in realtà stava usando il linguaggio, piuttosto che produrre un comportamento di risposta agli stimoli.

 

 

traduzione a cura della Redazione

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Hilda Bastian, dal 2015, sta popolando Wikipedia di scienziate

Hilda Bastian, dal 2015, sta popolando Wikipedia di scienziate

Pubblicato 11 marzo 2017 da redazione

Wikipedia lancia una Campagna per scoprire i volti nascosti della scienza al femminile e cerca di rintracciare le foto di scienziate e di quelle provenienti da gruppi etnici minoritari.

Uno sforzo per aggiungere foto di minoranza e scienziate a Wikipedia che comprende questa foto di Evelyn Fields (seconda a sinistra, nella foto nel 1974). Lei è la prima donna afro-americana e la prima a guidare il corpo degli ufficiali alla US National Oceanic & Atmospheric Administration.

Hilda Bastian, nel 2015, organizzando una ricerca per la US National Institutes of Health, per evidenziare il lavoro delle scienziate, si rese infatti conto di quanto fosse difficile trovare foto di donne scienziate.

“Ho scansionato migliaia di foto digitali passandomi in rassegna numerose gallerie di immagini, attraverso le pagine di Wikipedia“, dice Bastian, che lavora a Washington DC come editor per PubMed Salute, un servizio di informazione sanitaria – a cura del US National Library of Medicine.

 

 

Bastian ha notato una “forte polarizzazione” verso le foto di uomini e donne scienziati bianchi. “Sentivo la mia immagine di scienziata nella storia che cambiava.

Così per il Black History Month, del mese di febbraio, ha deciso di cercare le foto di ricercatrici afroamericane e aggiungerle alle loro rispettive pagine di Wikipedia. Il suo progetto è proseguito fino a marzo e ora include scienziate provenienti da altri ambiti sotto-rappresentati. Ha inoltre appena lanciato un account Twitter: @MissingSciFaces.

Euphemia Haynes (nella foto del 1914), è la prima donna afro-americana che ottiene un dottorato di ricerca in matematica e Aprille Ericsson-Jackson, un ingegnere aerospaziale della NASA.

“E ‘così importante per tutti noi, per non finire per diventare invisibili, annegati negli archivi storici e sociali degli scienziati, che hanno sempre sprofondato di più le nostre quote”, scrive in Bastian.

“E’ incredibile come facilmente le donne vengano trascurate”, dice Alice Dreger, uno storico della scienza, che ha inviato un tweet di approvazione del progetto. “E ‘importante riconoscere il successo delle donne nella scienza, così come le lotte che continuano ad affrontare.”

 

L’effetto Matilda

Bastian vuole che altri la aiutino, e ha scritto una guida su come raccogliere le immagini. Un sacco di materiale è disponibile on-line, scrive, ma richiede un po’ di ricerca. E consiglia di passare al setaccio Google Immagini, Flickr Commons, Newspapers.com, o addirittura di avvicinare i ricercatori o le loro famiglie o scattare foto di scienziate alle conferenze.

Fa notare che ottenere immagini prive di copyright è una problema per il progetto: solo le immagini di pubblico dominio possono essere pubblicate in una pagina Wikipedia, ad esempio, tramite repository del sito Wikimedia Commons.

 

Anatra International Research Laboratory, Cornell Univ.

Jessie Price.

 

La Cornell University ha rilasciato nel pubblico dominio questa immagine di Jessie Price (secondo da destra), una microbiologa veterinaria.

Il progetto di Bastian si propone di affrontare un fenomeno noto come il ‘Matilde Effect’ – un pregiudizio contro le donne che assegna la paternità della loro opera ai loro colleghi maschi. “Mentre l’effetto Matilda riguarda il pregiudizio contro le donne, non c’è alcun dubbio che il pregiudizio contro gli scienziati di gruppi sottorappresentati è ancora più grave”. Lo sforzo di Bastian è un piccolo passo per ristabilire l’equilibrio, ma è “molto concreto e perseguibile”.

Questo mese, Bastian prevede di sistematizzare le liste delle scienziati donne afroamericani su Wikipedia, e di incoraggiare altri a collaborare. In definitiva, dice, “Sarà un successo se non sarà più un mio progetto personale.”

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New Job: 27 Aprile 2015

New Job: 27 Aprile 2015

Pubblicato 27 aprile 2015 da redazione

http://www.massacritica.eu/wp-content/uploads/2013/09/Job-in-progress_piccolissimo.jpg

 

Consultant, EU Financial Services Policy

Kreab, Brussels

Posted: 22 April, Deadline: 8 May

 

Associate Programme Officer – Democracy and Development

International IDEA – The International Institute for Democracy and Electoral Assistance, Stockholm

Posted: 22 April, Deadline: 12 May

 

European Affairs Manager

FNF Europe – Friedrich-Naumann-Stiftung für die Freiheit, Brussels

Posted: 22 April, Deadline: 22 May

 

Payroll Specialist (E&A HR Team) – 9-12 Month Fixed Term Contract

ICF International, Brussels

Posted: 22 April

 

Project Officers

Pohl Consulting & Associates, Berlin

Posted: 21 April

 

Press & Communications Officer

GUE/NGL – European United Left/Nordic Green Left Group in the European Parliament, Brussels

Posted: 21 April, Deadline: 15 May

 

Project Manager

ADA – Austrian Development Agency, Belgrade

Posted: 21 April, Deadline: 15 May

 

Office and Accounts Manager

Embassy of Ireland, Paris

Posted: 21 April, Deadline: 4 May

 

Scientists

EPO – European Patent Office, Munich and The Hague

Posted: 21 April, Deadline: 5 June

 

Engineers

EPO – European Patent Office, Munich and The Hague

Posted: 21 April, Deadline: 5 June

 

Registrar

CoE – Council of Europe, Strasbourg

Posted: 21 April, Deadline: 27 May

 

Communication Officer

Interreg Baltic Sea Region Programme, Rostock

Posted: 21 April, Deadline: 19 May

 

Assistant EU Affairs

Chevron Belgium, Brussels

Posted: 21 April

EU Policy Adviser (Justice)

Law Society Group, Brussels

Posted: 17 April, Deadline: 3 May

 

Media and Communications Officer

United Kingdom Joint Delegation to NATO, Brussels

Posted: 20 April, Deadline: 28 April

 

Business Development Trainee

Milieu Ltd, Brussels

Posted: 20 April

 

Outreach Assistant

EDMA – European Diagnostic Manufacturers Association, Brussels

Posted: 20 April, Deadline: 1 May

 

Senior Consultant, Health and Social Care – UK (London, Birmingham or Brussels)

ICF International, London, Birmingham or Brussels

Posted: 20 April

 

Research Assistant – HSC (London, Birmingham or Brussels)

ICF International, London, Birmingham or Brussels

Posted: 20 April

 

Deputy Secretary-General

Hudson Belgium, Brussels

Posted: 17 April, Deadline: 29 April

 

Un Responsable de Relations Bailleurs

Action Contre la Faim, Brussels

Posted: 17 April, Deadline: 17 May

 

Political Affairs Advisor

EHHA – European Holiday Home Association, Brussels

Posted: 17 April, Deadline: 8 May

 

Senior Associate

Cadwalader, Wickersham & Taft LLP, Brussels

Posted: 17 April, Deadline: 3 May

 

Mid-Level Associate

Cadwalader, Wickersham & Taft LLP, Brussels

Posted: 17 April, Deadline: 3 May

 

Head of Policy and Advocacy

YFJ – European Youth Forum, Brussels

Posted: 16 April, Deadline: 3 May

 

Executive Director Public Affairs

CEFIC – European Chemical Industry Council, Brussels

Posted: 16 April, Deadline: 15 May

 

Media Relations Manager

CEFIC – European Chemical Industry Council, Brussels

Posted: 16 April, Deadline: 24 April

 

Science Manager

CEFIC – European Chemical Industry Council, Brussels

Posted: 16 April, Deadline: 24 April

 

Public Affairs Manager

CEFIC – European Chemical Industry Council, Brussels

Posted: 16 April, Deadline: 24 April

 

Project Coordinator

Coffey International Development, Warsaw

Posted: 16 April, Deadline: 18 May

Lawyer (Course Director) in European Public Law

ERA – Academy of European Law, Trier

Posted: 15 April, Deadline: 15 May

 

Lawyer-Linguist with Maltese as Main Language and English Legal Editing Skils

ECB – European Central Bank, Frankfurt am Main

Posted: 15 April, Deadline: 11 May

 

Legal Administrator

ESA – European Space Agency, Paris

Posted: 15 April, Deadline: 7 May

 

Senior Programme Officer – West Africa

International IDEA – The International Institute for Democracy and Electoral Assistance, Addis Ababa, Ethiopia

Posted: 14 April, Deadline: 4 May

 

Senior EU Policy Officer – Anti-Corruption Policies

TI – Transparency International Liaison Office to the EU, Brussels

Posted: 14 April, Deadline: 18 May

Marketing and Communication Manager

Euralarm, Brussels

Posted: 10 April

 

Deputy House of Commons Representative to the EU

House of Commons, Brussels

Posted: 13 April, Deadline: 27 April

 

Communication Officer

INTERREG IV A 2 Seas Programme, Lille

Posted: 13 April, Deadline: 10 May

 

Juristische/n Referent/in

Österreichische Notariatskammer, Brussels

Posted: 13 April

 

Heads of Administration in EU Delegations

EEAS – European External Action Service, International

Posted: 13 April, Deadline: 12 May

 

EuropeAid Partnership Manager (Maternity Cover)

Plan EU Office, Brussels

Posted: 13 April, Deadline: 24 April

 

Financial Market Infrastructure Lawyer

ECB – European Central Bank, Frankfurt am Main

Posted: 13 April, Deadline: 30 April

 

Head of Unit – Knowledge Management & Communications

EIGE – European Institute for Gender Equality, Vilnius

Posted: 10 April, Deadline: 26 April

 

Abteilungsdirektor für Bankenaufsicht – Regulierung und Finanzen

VÖB – Bundesverband Öffentlicher Banken Deutschlands, Brussels

Posted: 10 April

 

Research Analyst

BIS – Bank for International Settlements, Basel

Posted: 10 April, Deadline: 23 April

 

Secretary General

PGEU – Pharmaceutical Group of the European Union, Brussels

Posted: 10 April, Deadline: 25 April

 

Head of Press and Public Affairs

British Embassy Paris, Paris

Posted: 9 April, Deadline: 23 April

 

EU Paralegal

Hays Legal, Brussels

Posted: 9 April

 

Regional Manager

IDF – International Diabetes Federation, Brussels

Posted: 9 April, Deadline: 24 April

 

EU Policy Officer – Corporate Transparency

TI – Transparency International Liaison Office to the EU, Brussels

Posted: 9 April, Deadline: 27 April

EU Communications Officer

Greenpeace European Unit, Brussels

Posted: 8 April, Deadline: 27 April

 

Director, MENA (Middle East North Africa) Program

EWI – EastWest Institute, Brussels

Posted: 7 April

 

Business Development Manager

Human Dynamics, Vienna

Posted: 7 April, Deadline: 4 May

 

Talent Management Officer

EIB – European Investment Bank, Luxembourg

Posted: 8 April, Deadline: 27 April

 

Banking and Finance Lawyer (Central Europe)

EIB – European Investment Bank, Luxembourg

Posted: 8 April, Deadline: 6 May

 

Heavy-Duty Vehicle Researcher

ICCT – International Council on Clean Transportation, Berlin

Posted: 8 April

 

Banking and Finance Lawyer

EIB – European Investment Bank, Luxembourg

Posted: 8 April, Deadline: 6 May

 

Public Affairs Manager

FEVE – The European Container Glass Federation, Brussels

Posted: 7 April, Deadline: 30 April

 

Policy Advisor

ISOC – Internet Society, Geneva

Posted: 7 April

 

Field Accounting Coordinator

MSF – Medecins Sans Frontieres, Brussels

Posted: 7 April, Deadline: 19 April

 

Senior Consultant, Competition Practice

Avisa Partners, Brussels

Posted: 7 April, Deadline: 5 May

 

Communications & Fundraising Officer

Carbon Market Watch, Brussels

Posted: 7 April, Deadline: 19 April

 

Political Affairs Advisor – Electricity Grids

EWEA – European Wind Energy Association, Brussels

Posted: 7 April, Deadline: 27 April

 

Director for Membership, Marketing and Business Development

EWEA – European Wind Energy Association, Brussels

Posted: 7 April, Deadline: 27 April

 

Senior Lawyer/Lawyer

ClientEarth, London or Brussels

Posted: 7 April, Deadline: 6 May

Director of Public Affairs

ECPA – European Crop Protection Association, Brussels

Posted: 1 April

 

IT Project Management Officer (P-3)

UNFCCC – United Nations Framework Convention on Climate Change, Bonn

Posted: 1 April, Deadline: 28 April

 

Marketing Manager – Europe

RISI, Brussels

Posted: 30 March

 

Internship – Business Development Assistant for the International Development Unit

MWH, La Hulpe

Posted: 3 April, Deadline: 13 April

 

Project Director, Education and/or Vocational Training Specialist

SOFRECO, Paris

Posted: 3 April

 

Policy Advisor

Milieu Ltd, Brussels

Posted: 3 April, Deadline: 24 April

 

Finance Manager

ILGA – International, Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association, Geneva

Posted: 3 April, Deadline: 2 May

 

Head of Unit – Change and Project Management

EIB – European Investment Bank, Luxembourg

Posted: 2 April, Deadline: 29 April

 

Industry Officer

EMBL – European Molecular Biology Laboratory, Heidelberg

Posted: 2 April, Deadline: 30 April

 

External Relations Officer

EMBL – European Molecular Biology Laboratory, Heidelberg

Posted: 2 April, Deadline: 17 May

 

Executive Manager and Public Relations Officer

IEE-ULB – Institute for European Studies of the Université Libre de Bruxelles, Brussels

Posted: 2 April

 

Communication Officer

EURELECTRIC – Union of the Electricity Industry, Brussels

Posted: 2 April, Deadline: 27 April

 

European Public Policy Manager

Royal Mail Group, London

Posted: 2 April, Deadline: 14 April

 

Economic and European Affairs Officer

GIRP – European Association of Pharmaceutical Full-line Wholesalers, Brussels

Posted: 1 April

 

Legal Intern/Trainee

Milieu Ltd, Brussels

Posted: 1 April, Deadline: 15 April

 

Policy Trainee, Public Health/OSH

Milieu Ltd, Brussels

Posted: 1 April, Deadline: 15 April

 

ANAEE Communication/Lobbying Officer

INRA – French National Institute for Agricultural Research, Paris

Posted: 1 April, Deadline: 22 April

 

Consultant, European Projects

ICF International, Brussels

Posted: 31 March

 

Temporary Framework Contract Administrator

ICF International, Brussels

Posted: 31 March

 

Policy Analyst/Senior Policy Analyst – EU External Relations

OSEPI – Open Society European Policy Institute, Brussels

Posted: 31 March, Deadline: 12 April

 

ACT Support Lawyer

Freshfields Bruckhaus Deringer, Brussels

Posted: 31 March

 

EU and International Senior Public Policy Officer

Aviva, London

Posted: 31 March

 

ER Organisational Health Officer

EIB – European Investment Bank, Luxembourg

Posted: 30 March, Deadline: 27 April

 

Science Officer

ICSU – International Council for Science, Paris

Posted: 30 March, Deadline: 11 May

 

Brussels Liaison Officer (German Speaker)

FBP – Fundació Barcelona Promoció, Brussels

Posted: 30 March

 

Executive Director

Inclusion Europe, Brussels

Posted: 27 March, Deadline: 15 April

 

Grants Evaluation and Monitoring Officer

EED – European Endowment for Democracy, Brussels

Posted: 27 March, Deadline: 16 April

 

Director for Buildings, Technical Installations and Property

EPO – European Patent Office, Munich

Posted: 27 March, Deadline: 27 April

 

Head of Communications

Permanent Secretariat of the Community of Democracies, Warsaw

Posted: 27 March, Deadline: 27 April

 

(Junior) Consultant/Researcher

Civic Consulting, Berlin

Posted: 27 March, Deadline: 19 April

 

Learning and Development Assistant

EIB – European Investment Bank, Luxembourg

Posted: 27 March, Deadline: 16 April

 

Program Coordinator

GMF – German Marshall Fund of the United States, Warsaw

Posted: 27 March

 

Human Resources Officer/Team Leader

GSA – European GNSS Agency (Global Navigation Satellite Systems Agency), Prague

Posted: 27 March, Deadline: 27 April

 

Stagiaire Consultant

Kellen Europe, Brussels

Posted: 27 March, Deadline: 15 April

 

Summer Fellowship Program

The Hague Institute for Global Justice, The Hague

Posted: 26 March, Deadline: 12 April

 

Junior Policy Adviser

Detailhandel Nederland – Dutch Retail Association, Brussels

Posted: 26 March, Deadline: 10 April

 

Regulations and Industrial Policy Officer

EDMA – European Diagnostic Manufacturers Association, Brussels

Posted: 26 March

 

EU Donor Adviser

NRC Europe – Norwegian Refugee Council, Brussels

Posted: 26 March, Deadline: 10 April

 

Press Officer

European Ombudsman, Brussels

Posted: 25 March, Deadline: 20 April

 

Statistics and Performance Officer

Falkland Islands Government, London

Posted: 24 March, Deadline: 24 April

 

Aarhus and Enlargement/Neighbourhood Policy Officer

EEB – European Environmental Bureau, Brussels

Posted: 24 March, Deadline: 13 April

 

EU Policy Manager

Bayer Group, Brussels

Posted: 24 March, Deadline: 17 April

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E-Book: contenuto o contenitore?

E-Book: contenuto o contenitore?

Pubblicato 17 novembre 2013 da redazione

Reader.

Reader.

Parole per un mondo che cambia in fretta

Fiumi di parole di inchiostro e digitali spese negli ultimi anni sui media e sul web riguardo alla paventata morte della carta ci hanno reso abbastanza familiare il concetto di libro eletronico: eppure c’è ancora tanta confusione su cosa sia effettivamente un ebook e cosa significhi per il lettore.

Innanzitutto, l’ebook, mentre se ne parla ancora come di una prospettiva, è già qui.

Tra il 2009 e il 2010 si è raggiunto il punto chiave della penetrazione di questa nuova tecnologia: la distribuzione di massa del supporto.

Ricalcando le meccaniche già viste all’estero, dove questo processo era cominciato già qualche anno prima, quel natale nei grandi magazzini italiani sono spuntati come funghi espositori con ebook reader di marche e modelli diversi, capeggiati dall’onnipresente Kindle di Amazon, e le catene librarie, volenti o nolenti, si sono subito adeguate.

In questi mesi del 2013, a tre anni di distanza, alla classica domanda “mi presti un libro” spesso si risponde “in quale formato?”

Quando si parla di libro elettronico in realtà si intendono due concetti distinti:

l’ebook in quanto tale, il file digitale che “trasporta” le parole e l’ebook reader, il supporto fisico tangibile, attraverso cui il lettore fruisce le parole stesse.

Testo e-ink.

A sinistra testo e-ink.

einkL’ebook come oggetto fisico,  dedicato e generico

È stato possibile realizzare degli ebook reader effettivamente “usabili” grazie alla comparsa dell’e-ink, una particolare tecnologia per gli schermi elettronici che ha la caratteristica di essere più simile all’inchiostro che al monitor di un computer. La lettura diventa quindi da un lato più simile a quella su carta, dall’altro più comoda: l’e-ink non stanca gli occhi, consuma quantità irrisorie di corrente, insomma è lo strumento giusto per rendere praticabile la lettura di testi su un supporto per la prima volta diverso dalla carta.

Quindi un lettore non basato su una tecnologia e-ink o affine non è strettamente parlando un ebook reader: Potremmo parlare di lettori generici (come i tablet) per contrapporli ai lettori specifici, i “veri” ebook reader.

Il tablet infatti sacrifica la comodità di lettura per non rinunciare ad una versatilità simile a quella di un pc.

Tra i dispositivi non dedicati, complice iPad con iTunes, è il più usato per la lettura digitale, tanto da essere spesso erroneamente identificato dai non addetti ai lavori con l’ebook tout-court.

L’ebook come oggetto immateriale

Un ebook reader, in quanto supporto può teoricamente contenere infiniti libri come nessuno. Il libro “in se” quindi è il file che si deve caricare sul lettore per poter fruire il contenuto. Questo contenuto ha caratteristiche precise:

– è basato sulla stessa tecnologia delle pagine web, quindi ha funzioni aggiuntive, come link interni e al web, e la possibilità di fare ricerche istantanee direttamente dentro il libro;

– è fluido: il contenuto rimane identico, ma la presentazione (ovvero l’impaginazione grafica) si adatta alle dimensioni del lettore;

– è manipolabile perché permette di sottolineare frasi di testo, prendere appunti, inserire dei segnalibro, copiare e incollare parti di testo e disporre poi del materiale così prodotto per qualunque uso, sulla rete e no.

– infine, eventualmente, stamparlo su carta.

Scissione tra contenuto e contenitore

Nel mondo anglofono, dove la traduzione non esiste, la penetrazione del mezzo digitale nel canale di distribuzione editoriale è immediata: si parla di un impressionante 60%, circa, di vendite di ebook sul totale pubblicato. Significa che il lettore percepisce il libro elettronico come un metodo per ottenere l’ultimo libro uscito, il prima possibile e non come un prodotto alternativo al libro cartaceo: identifica il libro con il suo contenuto, non con il tipo e la forma del suo contenitore.

Come abbiamo visto è proprio così: se il libro (il contenuto) può essere letto su diversi dispositivi, allora il libro può essere fruito indipendentemente dal contenitore, possibilità del tutto nuova nella storia della scrittura.

Ehnanced ebook

È sul punto di arrivare nelle nostre mani la prossima evoluzione del libro elettronico, già indicata come enhanced ebook, ebook potenziato, che dovrà traghettare l’ebook dal mondo delle pagine web a quello delle app per cellulare/tablet e dell’integrazione tra libro, applicazione e internet, aprendo le porte ad livello di convergenza e interrelazione, delle modalità di fruizione dei concetti, mai vista prima, ma forse anche ad una ancor piu profonda rivisitazione del concetto di “libro”. Sua caratteristica principale sarà la multimedialità, l’unione di lettura sequenziale, video, animazioni e suoni.

L’editoria vede in tali oggetti un possibile nuovo mercato, mentre i creativi troveranno nuovi strumenti espressivi.

Inoltre la tecnologia diffusa diventerà anche accessibile: qui un enhanced ebook per ipad realizzato da studenti di terza elementare con un tool specifico per i principianti.

Situazione del mercato

Nel quadro perennemente in crisi dell’editoria italiana, con vendite del libro fisico in caduta anche quest’anno (per il 2013 Nielsen stima un -14%), l’unione del canale di vendita online a quello cartaceo (Amazon) e del vero e proprio libro elettronico è l’unica nicchia di mercato a segnare un andamento timidamente positivo.

D’altronde i successi commerciali dell’editoria si basano esclusivamente sulla figura del lettore forte, quello di “almeno un libro letto ogni due settimane”, in Italia una rarità (per la precisione, solo il 5% della popolazione assorbe il 41% dei libri venduti).

Com’è logico, però, la nicchia dei fruitori “di ebook” è composta di soli lettori forti. Si tratta di una nicchia nella nicchia, costituita da chi legge molto e ha dimestichezza con la tecnologia. Essendo quindi composta da nuove generazioni, che tendono ad essere sempre più tecnologicamente alfabetizzate, a differenza delle altre, è la sola destinata ad espandersi.

Cory Doctorow.

Cory Doctorow.

Scrittura di massa

Avere a disposizione un lettore fisico diffuso che legge un formato uguale per tutti nell’era di Internet significa automaticamente poter gestire in modo digitale tutta la catena di produzione del contenuto, dall’ideazione alla distribuzione all’utente finale: in questo caso, lo scrittore redige il “manoscritto” con un pc, l’editore lo riceve per email, il revisore lo edita sullo stesso file, sempre da questo lo “stampatore digitale” crea il formato finale e la distribuzione e vendita finali non gravano più sul costo finale di copertina, tagliando di netto il complicato giro di trasporti e di resi che stracolmano i pesanti scatoloni pieni di libri in carta antiecologica. Con un semplice click sul tasto “scarica”, in un qualsiasi sito di e-commerce, previa transazione di denaro elettronico, si scarica un libro nel formato epub, mobi, pdf o qualsiasi altro disponibile. Inutile chiedersi se il modello funziona: iTunes e altri canali di distribuzione simili, con il successo degli Mp3 musicali, hanno aperto un’autostrada che corre veloce già da qualche anno e sulla quale anche gli EBook hanno già trovato un loro spazio non solo virtuale, ma parte integrante del nostro “reale quotidiano”.

Questa semplificazione del processo editoriale tra le altre cose ha fatto sì che nascesse anche un altro “mercato”, un “non-mercato”, legato a modelli economici nuovi e che proprio lo strumento ebook ha reso possibili. Le si chiamava “fanzine”, antologie autoprodotte, e facevano venire in mente ciclostile, inchiostro, spillatrici casalinghe e “distribuzione” manuale tra pochi intimi. Oggi sono diventati l’impiego più immediato dei nuovi canali digitali di distribuzione dei contenuti e sono laboratorio di vere e proprie nuove modalità di lavoro e di reddito per gli autori.

C’è chi sta ipotizzando, ad esempio, la figura dell’autore in affitto ai lettori: Grazie alla rete di contatti che Internet permette è possibile che un prodotto culturale in sé resti liberamente distribuibile, mentre il giusto compenso del lavoro autoriale venga coperto dai sostenitori attraverso fee associate ad un dato autore e non all’opera. Una sorta di mecenatismo diffuso.

Strumento di questa letteratura “alternativa” e gratuita è l’attribuzione non commeciale attraverso le creative commons: una forma particolare di copyright che oltre alle comuni garanzie sulla attribuzione della proprietà intellettuale dell’opera, garantisce anche i diritto di qualunque lettore di redistribuire, copiare e perfino modificare l’opera, a patto che l’attribuzione all’autore sia rispettata.

Nel caso delle Creative Commons lo scopo non è quello di produrre direttamente reddito per l’autore, ma diffondere quanto più possibile l’opera. Nell’ambito letterario ne è alfiere il canadese Cory Doctorow, scrittore, giornalista, informatico, edito anche in Italia con il suo “X”. Nei suoi speech dipinge un mondo senza editori, in cui la produzione letteraria è un rapporto diretto e immediato fra l’autore e il suo pubblico e il successo di un’opera non sottostà a regole commerciali.

Una nuova porta che apre luci e ombre

Nonostante esistano lati negativi nella struttura sociale che si sta evolvendo e che si crea intorno al concetto di ebook, resta il problema della gestione del copyright attraverso i DRM, o l’interrogativo su come si possa garantire una qualità editoriale in un mondo in cui l’editore perdeil ruolo di garante in favore della comunità dei lettori. Le possibilità invece che si aprono per la letteratura sono del tutto nuove, imprevedibili e finalmente possibili. Sarebbe ottuso non affrontarle con l’energia e la curiosità che si deve ad ogni nuova scoperta.

di Alessandro Aprile

Linkografia

http://editoria-digitale.com/2011/07/25/perche-si-parla-sempre-del-contenitore-e-non-del-contenuto/

cory doctorow in it

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Sviluppo di GNU/Linux

Sviluppo di GNU/Linux

Pubblicato 08 agosto 2013 da redazione

Tratteremo ora dello sviluppo che ha avuto dagli anni ’90 il sistema operativo GNU/Linux, che, per abitudine e brevità, chiameremo più semplicemente Linux, senza però dimenticare che, in effetti, tale nome è relativo al solo Kernel, intendendo, con la maiuscola, quello nato a partire dalla prima mail di Linus Torvalds.

Cosa è una distribuzione Linux

Come si è detto nell’articolo scorso, nel 1994, con l’uscita della prima versione stabile del Kernel il sistema Linux era di fatto stabile e funzionate, però non ancora facilmente fruibile per un utente normale. Infatti i singoli componenti, Kernel, bootloader, pacchetti ausiliari vari etc, dovevano essere compilati separatamente e in qualche modo uniti in un insieme stabile e funzionante, ciò naturalmente non era, come non è, a portata dell’utente medio, specie se interessato alla pura utilizzazione senza voler essere implicato in aspetti interni e tecnici del sistema e dell’hardware.

Ma qualcuno cominciò subito, già ben prima del rilascio del Kernel 1.0, a preparare questo insieme di software, detto distribuzione (distribution) o, semplicemente, distro proprio per facilitare la fruizione del sistema a ogni tipo di utente. Ogni distro ha ovviamente un nome seguito da numeri di versione, sottoversione etc., numeri che vengono dati con criteri diversi a secondo della distro. Talvolta una versione di una distro è identificata, oltre che dai numeri, anche da un nome definibile proprio.

E’ facile capire come, compilando e mettendo tutto assieme, si possano fare scelte diverse, privilegiando certe funzionalità invece di altre, e/o scegliendo software diversi o in versione diversa, oppure, semplicemente adottando una versione del Kernel ritenuta più stabile, scegliendo software più aggiornati oppure più stabili, inoltre creando distro generalistiche o specializzate per certe attività etc..

Va da se come, essendo tutti i sofware usati liberi e disponibili, chiunque sia in grado di farlo puo’ creare la sua distribuzione, ma, in generale, le distro sono composte e manutenute da società commerciali, fondazioni senza scopo di lucro, gruppi di hacker, o che talvolta nascono da un singolo cui di seguito si uniscono altri sviluppatori riconoscendone la validità o lo spirito.

Generalmente ad una distro contribuiscono più sviluppatori esterni, di solito a titolo volontario e non retribuito.

Quante sono le distribuzioni? Centinaia!

Il sito Distrowatchtiene un elenco delle prime 100, basato semplicemente sul numero di visite giornaliere.

Comunque non è possibile sapere quante sono le macchine che hanno installato una certa distro, anche perché, essendo di libera copia, chiunque può installare una o più distro su quanti pc vuole, personalmente ho installato Linux su almeno 50 macchine.

Distrowatch dà comunque una indicazione delle distro più in voga, nonché molte altre utili informazioni: release, pacchetti inclusi etc..

Il sito LiCo cerca in qualche modo di tenere un registro degli utenti e delle macchine con Linux, ma, anche in questo caso, i risultati sono solo indicativi, essendo la registrazione volontaria.

In effetti gli utenti Linux nel mondo sono senz’altro ben più degli attuali 119.604, registrati al 21.07.2013, idem per le macchine, e anche il numero stimato di 66.778.444 è tutt’altro che attendibile come spiegato sul LinuxCounter.net.

Anche alcune distro tengono un registro dei loro utenti, ma, ancora una volta, il loro numero è tutt’altro che affidabile.

Nel seguente link è riportato l’Albero genealogico delle distribuzioni GNU/Linux, con lo sviluppo temporale delle principali distro.

L’immagine, ripresa da Wikimedia, è veramente impressionante! L’impatto visivo di questa figura rende in modo chiaro la storia delle numerose distribuzioni, la loro nascita, talvolta da una distro madre, magari a sua volta figlia di una terza, e anche, spesso, della loro morte.

Il neofita di Linux è spesso frastornato dal numero delle distribuzioni nonché dal loro tumultuoso sviluppo: ci sono continuamente novità e, molto spesso, una distro muore per i motivi più diversi, mentre altre nascono dal nulla seguendo un filo logico difficile e forse impossibile da comprendere.

Diverso è invece il mondo dei sistemi operativi proprietari, lo sviluppo e l’aggiornamento dei quali, per la loro intrinseca natura tecnica e legale, dipendono solo e unicamente dalla software house che li ha creati. Succede anche, nel caso un SO non sia riuscito nel modo migliore o non incontri il favore dell’utente, che questo deve tenerselo in attesa di aggiornamenti e miglioramenti. Naturalmente puo’ sempre ritornare alla vecchia versione, ammesso che ne abbia la licenza, e comunque, in questo caso, possono sorgere problemi con i driver hardware, puo’ anche aspettare una nuova versione, ma, spesso, deve attendere alcuni anni e poi deve comunque sperare che, oltre a soddisfarlo e comunque pagarlo, la sua macchina sia in grado di reggerlo.

Ovviamente il tutto è accentuato quando si compra una macchina nuova dotata di sistema operativo proprietario.

Anche qui si puo’ notare la totale diversità di Linux rispetto ai sistemi proprietari: passati i primi momenti di sconcerto e magari avvalendosi della guida di un utente un po’ più esperto, è possibile scegliere una distro, tipicamente fra quelle generalistiche in testa alla classifica di Distrowatch.

In ogni caso, acquisendo una minima familiarità dopo un po’ d’uso, si potrà optare per una distro più adatta alle proprie esigenze, anche perché è possibile, si vedrà come, provarne quante se ne vuole senza installarle e comunque, toglierne e metterne a piacere, senza particolari problemi.

Deve anche essere precisato che molti aspetti di una distribuzione, in modo particolare estetici, sono spesso facilmente e variamente configurabili, in modo da poter soddisfare le più diverse esigenze.

In conclusione la notevole varietà delle distro è senz’altro un valore aggiunto del Software Libero, che fa della varietà un punto di forza, dando, fra l’altro, libertà di scelta all’utente che, a parte l’abitudine, non si ritrova legato a nessuna distribuzione in particolare.

Come è fatta una distribuzione GNU/Linux

Ora, prima di esaminare qualche distribuzione specifica, vedremo come è fatta, in generale, una distro GNU/Linux.

Innanzitutto ci riferiremo a distro generalistiche e in versione desktop, ovvero quelle per il normale utente casalingo, tralasceremo quindi totalmente le distribuzioni server, tenendo presente in ogni caso che la maggioranza di distro puo’ essere impiegata per uso professionale e che spesso esistono distro sia in versione desktop sia in versione server.

Schematizzando una distro è composta da:

– un Kernel

– una shell e un insieme di programmi necessari per il funzionamento del sistema e per la sua gestione, quali: bootloader, gestione pacchetti, gestori di finestre etc.

– software aggiuntivi quali web-browser (navigatore internet), suite d’ufficio, player musicali etc.

Il Kernel è il cuore e la parte più interna del sistema, una distro si puo’ caratterizzare principalmente con la versione del Kernel adottata.

Si rimanda alla pagina di Wikipedia per maggiori approfondimenti per le funzioni del kernel in generale, lo stesso per lo specifico Kernel Linux.

Nel già citato sito Kernel.org è presente l’archivio di tutte le versioni Kernel, ed è anche possibile seguirne lo sviluppo in tutti suoi particolari nei quali non scenderemo, è però interessante eseguire un download ad esempio dell’ultima versione stabile, che si presenta come un unico file, linux-3.10.3.tar.xz , di 73,2 MB, dove:

– tar ovvero file generato da sistema di archiviazione che permette di ottenere un file solo da più file, unendoli opportunamente.

In generale un programma non è composto di un solo file ma di più file i quali, al fine di distribuirlo facilmente, vengono archiviati (impacchettati) con un software all’uopo, creando quello che si chiama appunto un pacchetto. Esistono vari modi per impacchettare un software, tar è uno di questi ed è un acronimo di Tape Archive, con riferimento alle vecchie archiviazioni su nastro.

– xz ovvero un file compresso attraverso il programma xz, questo per renderlo dimensionalmente più piccolo, ma senza perdere informazioni.

In definitiva il sorgente del pacchetto Kernel si presenta come un archivio tar compresso xz.

L’impacchettamento e la compressione non sono prerogative dei sistemi Linux, esistono, in ogni caso, molti formati e software, proprietari e non, per eseguire tali operazioni.

Andiamo ora a decomprimere e spacchettare il Kernel.

figura 1

figura 1: Contenuto della cartella linux-3.10.3.

Usando la distro Ubuntu, ma non solo, basta cliccare col tasto destro (ds) e scegliere dal menù contestuale estrai qui, e automaticamente il file verrà decompresso e spacchettato in nella cartella linux-3.10.3 (figura 1), della dimensione di 498,4 MB, quindi l’impacchettamento e la compressione hanno permesso di ottenere un file grande meno del 15% dell’originale, non è poco!

Il Kernel vero e proprio è contenuto in una apposita cartella (kernel), aprendo la quale se ne vedono i numerosi componenti

Contenuto della cartella Kernel.

Contenuto della cartella Kernel.

(figura 2).
Come si può notare quasi tutti i files hanno estensione .c sono cioè file sorgenti in C, come già precedentemente avevamo detto.

 

Contenuto del file bounds.c

Contenuto del file bounds.c

Aprendone uno a caso, bounds.c (figura 3) ad esempio, se ne può apprezzare la struttura ordinata.

Si notino anche i commenti, in blu e compresi fra /* e */.

E’ inutile cercare di capire la funzione di questo file, serve solo a sottolineare, ancora una volta, quanto già è stato spiegato in articoli precedenti, e in particolare:

un file sorgente è comunque un semplice file di testo, in questo caso scritto in C;

sono da notare sia la struttura ordinata che la presenza dei commenti;Non si deve pensare a questi due aspetti come secondari o meramente estetici. Essi sono importantissimi per lo sviluppatore che è così messo nella migliore posizione per poter capire e analizzare facilmente la funzione del file stesso e quindi, potendo analizzare anche gli altri file, comprendere il modo di funzionare di tutto il sistema;

la disponibilità di sorgenti ordinati e commentati è pertanto garanzia di trasparenza di un qualsiasi pacchetto software.

Altri file contenuti nella cartella del linux-3.10.3

Dalla figura 1 si notano altri file tra i quali:

– COPIYNG che contiene la licenza con cui viene rilasciato il Kernel, in questo caso la GPL 2 del Giugno 1991
– CREDITS comprende la lista di tutti (o quasi) coloro che hanno contribuito allo sviluppo del Kernel: è interessante notare come lo stesso sia veramente un lavoro di gruppo e come i singoli componenti siano distribuiti ai quattro angoli del globo, inoltre, per ognuno, viene specificato l’oggetto del contributo, la mail etc.

Sono presenti anche sviluppatori italiani (almeno dal nome e indirizzo) tra i quali:

Andrea Arcangeli

Dario Ballabio

Daniele Bellucci

Mattia Dongili

Riccardo Facchetti

Luca Risolia

Alessandro Rubini

Alessandro Zumm.

Mi scuso se ne ho tralasciato qualcuno, naturalmente sono nomi che risulteranno sconosciuti alla stragrande maggioranza dei lettori, per non dire a tutti, in pratica sono dei Francesco Tarugi qualsiasi. No, non cercate questo nome sul web (non c’è, a differenza del manzoniano Carneade), e non è il cardinale Francesco Maria, eppure il Nostro prese il posto di un famosissimo italiano, anzi, uno dei più famosi a livello mondiale. A loro vanno i più sentiti ringraziamenti miei e, senz’altro, di tutti gli utenti Linux, ringraziamenti che, doverosamente, devono essere estesi a tutti i contributori.

– MAINTAINERS come CREDITS, ma per i manutentori, e qui troviamo un nome nuovo, Stefano Brivio, per il quale vale quanto già detto in precedenza.

Gli altri files presenti contengono le informazioni necessarie sulle modalità di riportare gli errori (REPORTING-BUGS), note di rilascio e istruzioni per la compilazione (README) e altro.

Per finire possiamo dire che il Kernel è veramente un software affidabile e stabile: è molto raro un suo crash (collasso), in genere il blocco è dovuto alle applicazioni.

Nei rari casi di blocco il Kernel lancia un avviso di Kernel panic , avviso che, usando la macchina in modo normale, pochissimi hanno avuto l’occasione di vedere.

Conclusioni

In questo articolo si è visto come si è sviluppato il sistema GNU/Linux, e, in modo particolare, cosa sono le distribuzioni nonché si è brevemente esaminato come si presenta il Kernel nei suoi aspetti esteriori.

di Tullio Bertinelli

 

Linkografia

Naturalmente sul web esistono moltissimi link ai vari argomenti trattati, il rischio è di avere troppe informazioni, qui sono riportati quelli richiamati dal testo.

http://distrowatch.com/

http://linuxcounter.net/

http://linuxcounter.net/guessing.html

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/1b/Linux_Distribution_Timeline.svg

http://it.wikipedia.org/wiki/Kernel

http://it.wikipedia.org/wiki/Kernel_linux

https://www.kernel.org/

http://it.wikipedia.org/wiki/Carneade

http://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Maria_Tarugi

 

 

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Incidenti nucleari militari: 1987-1988

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Incidenti nucleari militari: 1987-1988

Pubblicato 18 dicembre 2012 da redazione

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1987

Uno dei camion speciali costruiti per il trasporto di armi atomiche procede su un’autostrada inglese in direzione nord, verso le basi dei sottomarini nucleari in Scozia. I convogli, composti da numerosi mezzi tecnici e di scorta che viaggiano a poca distanza gli uni dagli altri, usano abitualmente strade di grande scorrimento, vicino a grandi centri abitati, come testimonia il cartello inquadrato nella foto. Probabilmente a bordo del mezzo inquadrato è custodito un missile nucleare balistico D5 Trident II, che costituisce attualmente l’arma di deterrenza strategica nucleare principale in dotazione alla Royal Navy. Le foto sono state scattate dall’attivista pacifista Margaret Downs il 13 novembre 2006. Gli attivisti seguono e fotografano i convogli per sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi corsi nel movimentare le armi di distruzione di massa. Dal sito http://oxford.indymedia.org.uk/2006/11/356129.html

1Gennaio 1987 (nota1) durante il trasporto di alcune bombe termonucleari a caduta libera WE177 in un convoglio stradale nella contea dello Wiltshire, uno dei camion corazzati che trasportavano gli ordigni slittò sulla strada ghiacciata e finì fuori strada nella scarpata sottostante, rovesciandosi su un fianco. L’autista dell’automezzo che seguiva, benché il convoglio stesse procedendo secondo il protocollo a bassa velocità e a distanza di sicurezza, non riuscì ad evitare il ghiaccio e perse il controllo del mezzo, ma evitò rocambolescamente che cadesse dalla sede stradale sull’altro mezzo. L’incidente fu causato da un’auto privata parcheggiata male sulla carreggiata. La commissione d’inchiesta militare concluse le indagini affermando che non vi fu mai alcun pericolo per le armi, custodite nei loro shelter speciali da trasporto WE165, specialmente di esplosioni accidentali, essendo prive di innesco. Il comportamento del personale del convoglio fu corretto e aderente alla procedura tecnica stabilita. Un convoglio stradale, ancora oggi, è il metodo considerato più sicuro ed economico per trasportare le testate tra gli stabilimenti in cui vengono costruite (e periodicamente sottoposte a revisione) e le basi militari in cui vengono custodite. Oltre a dare la possibilità di percorsi di trasporto alternativi a quelli su rotaia, per quanto anch’essi continuino a essere ampiamente usati. Ogni convoglio è molto complesso, consta di camion speciali e mezzi di scorta della polizia e delle squadre speciali antiterrorismo dei Royal Marines, assieme a personale specializzato nelle emergenze in campo NBC (Nucleare, Batteriologico e Chimico) con equipaggiamenti di primo intervento di contenimento e decontaminazione. I convogli spesso utilizzano autostrade oppure attraversano paesi e zone abitate (come le aree di città quali Londra, Birmingham, Leeds, Manchester, Newcastle, Edimburgo) per quanto strettamente seguiti e scortati, gli incidenti succedutisi negli anni testimoniano come non sia del tutto evitabile che qualche imprevisto accada, fosse anche una semplice “pannes” a uno dei mezzi del convoglio. Per raggiungere le basi della RAF (Royal Air Force, l’aeronautica militare), del Royal Army (l’esercito reale di Sua Maestà) e della Royal navy (la marina da guerra) i convogli spesso devono attraversare l’intera isola da Sud, ove si trovano le AWE (Atomic Estabilishment Weapon) di Aldermaston e Burghfield, in Berkshire, fino alle basi dei sottomarini nucleari di Coulport (base di stoccaggio e carico dei missili nucleari sui sottomarini) e Faslane, nel Nord della Scozia, le più lontane. Questi viaggi sono frequenti perché il materiale fissile delle testate (masse critiche in Plutonio 239 e Uranio 235, “bottiglie di gas di Trizio per l’innesco della fusione nucleare) decade con una certa velocità perdendo la propria piena capacità fissile. Per cui è necessario sostituire l’esplosivo nucleare con altro “ricaricato” e quindi più radioattivo, ma paradossalmente anche più stabile nella struttura chimico-fisica.  Inoltre le strumentazioni complesse e il corpo della bomba o del missile vanno costantemente controllati perché sono sottoposti all’usura continua delle radiazioni di Uranio e/o Plutonio contenuti nei “pit” delle armi.

In un’intervista rilasciata al giornalista Rob Evans del The Guardian, il fisico Frank Barnaby, che lavorò agli impianti di Aldermaston negli anni ’50, ha dichiarato che il rischio di esplosioni accidentali corso in incidenti con armi nucleari delle prime generazioni, dotate di sistemi di sicurezza più primitivi, è stato molto alto. Shaun Gregory, studioso dell’Università  di Bedford esperto in materia, ha anche sottolineato, secondo quanto riportato dal giornalista del Guardian, che l’elenco rilasciato dal ministero della Difesa nel 2003 sugli incidenti nelle basi militari e nel corso dei trasporti suona abbastanza “addolcito” in molti punti per non irritare l’opinione pubblica. In effetti, nel rapporto ufficiale non si fa menzione di alcun tipo di incidente prima del 1960, il che può essere certamente possibile, ma suona statisticamente improbabile, visti anche gli incidenti gravissimi subiti dalle forze Statunitensi proprio sul territorio metropolitano inglese, come quello accaduto a Lakenheat, che ha coinvolto un B47 dell’USAF ed un deposito di armi nucleari, nel 1956. E in ogni caso, secondo studi statistici, anche i moderni sistemi si sicurezza per quanto complessi possano essere, non riescono ad essere al 100% immuni da malfunzionamenti indotti da combinazioni di eventi non previsti, né prevedibili al momento della loro progettazione.

1 gennaio (nota 2) Se la data dell’incidente descritto prima non è certa, lo è invece quella che vide coinvolto l’HMS Splendid (codice S 106), sottomarino da attacco della Royal Navy a propulsione nucleare, nelle acque dell’Oceano Artico. In quei giorni il sottomarino, appartenente alla classe Swiftsure, stava pattugliando le acque del mare di Barents davanti al porto di Murmansk, usate da sottomarini e navi militari sovietiche appartenenti alla flotta russa del Nord per raggiungere le zone di operazione dell’Atlantico e del Baltico. Sottomarini della NATO, specie americani ed inglesi, abitualmente seguivano da vicino le attività di addestramento in mare della marina sovietica e i russi erano particolarmente nervosi riguardo all’essere controllati, spiati sin dentro ai propri “santuari”, specie per quel che riguardava la flotta strategica subacquea. Secondo una ricostruzione plausibile, avallata anche da fonti russe alcuni anni dopo, lo Splendid, nel compiere manovre evasive per raggiungere le acque profonde, entrò in collisione col sottomarino russo che stava seguendo, identificato come il TK 12, un lanciamissili nucleare (SSBN) appartenente alla classe Typhoon. Vero colosso dei mari, il più imponente tipo di sottomarino nucleare mai entrato in servizio con la sua lunghezza di 175 metri e le sue 48.000 tonnellate di stazza in immersione, armato con ben 20 missili intercontinentali RSM 52 (SS-N-20 nel codice NATO) a testata multipla (MIRV). Nella manovra di sganciamento reciproco, i sottomarini passarono pericolosamente vicini, tanto che il Typhoon russo finì per investire e agganciare il bulbo – sonar che l’HMS Splendid stava usando trainato con un cavo d’acciaio. Il cavo si spezzò e lo Splendid sfuggì all’abbraccio mortale del gigante russo rifugiandosi finalmente in acque più profonde. Probabilmente per i sovietici non fu un evento del tutto negativo, poiché in ambiente  NATO si è sempre sospettato che il bulbo trainato dall’HMS Splendid, contenente sistemi sonar e di rilevamento di ultima generazione, non andò disperso, ma rimase avvolto col cavo di traino al corpo del TK 12, permettendo così ai russi di entrare in possesso di apparecchiature di ultima generazione… Pare che lo Splendid riuscì a raggiungere la base inglese di Devonport, per le riparazioni, solo il 31 gennaio successivo.

Per giusta osservazione, alcune fonti riportano l’incidente accaduto alcuni giorni prima, tra il 24 e il 28 dicembre 1986 e identificano il battello come l’HMS Sceptre.

18 febbraio mentre stava effettuando una battuta di pesca a largo della costa irlandese, il peschereccio d’altura nord irlandese Summer Morn venne trainato per due ore e mezzo e percorrendo oltre 20 miglia, da un sottomarino in immersione che era entrato nelle sue reti (nota 3). Il peschereccio dovette tagliare parte delle proprie preziose attrezzature per non rischiare il naufragio. Una volta recuperate a bordo quelle restanti, i pescatori irlandesi vi trovarono incastrati da una boa di comunicazioni, del tipo utilizzato dai sottomarini statunitensi. Il Dipartimento della Difesa americano dovette confermare l’incidente, ma rifiutò di rivelare l’identità del sottomarino coinvolto. E’ l’ennesimo scontro fra mezzi civili e militari nell’area del mare d’Irlanda ricompresa fra la costa nord est della Scozia, l’Irlanda e l’isola di Man. Tra gli anni ‘70 e ‘90 dello scorso secolo questo braccio di mare vide crescere esponenzialmente gli incidenti tra imbarcazioni da pesca e sottomarini, il cui traffico attorno alle basi navali in Scozia era notevolmente aumentato (erano gli anni tesi della “Guerra Fredda”), costando la perdita di oltre cinquanta vite umane e di alcuni battelli. Sottomarini con armamento e propulsione nucleare appartenenti alle marine inglesi, americane, russe, ma anche mezzi convenzionali olandesi, francesi e tedesco occidentali incrociavano spesso le acque internazionali della regione, notoriamente molto frequentate anche dai pescatori d’altura di molti paesi nordeuropei  per la loro ricchezza di pesce e crostacei. Senza contare la presenza  sulla costa inglese del famoso impianto di riprocessamento per combustibile nucleare civile e militare di Sellafield, protagonista nel corso degli anni di malfunzionamenti con inquinamento ambientale più volte duramente contestati dalle associazioni locali e da mass media internazionali. Le autorità politiche dell’EIRE, delle comunità locali Scozzesi e Gallesi, delle isole del Canale d’Irlanda promossero un’azione di fronte alla International Maritime Organization per cercare di costringere il Governo Inglese e i suoi alleati (americani in primis) ad affrontare la situazione ed evitare disastri potenzialmente irreparabili in una zona biologicamente tra le più importanti dell’ecosistema dell’intero Atlantico.

25 aprile l’USS Daniel Boone, sottomarino nucleare lanciamissili appartenente alla classe James Madison, mentre stava rientrando da prove in mare nella sua base a Newport News, in Virginia, si arenò sul fondale del fiume St. James, il cui letto serve da canale per raggiungere le banchine del cantiere navale (nota 4). Il sottomarino era allora al termine di grandi lavori di aggiornamento a cui era stato sottoposto per 2 anni e mezzo e costati ben 115 milioni di dollari USA. L’incidente ritardò il calendario dei collaudi in mare e costrinse la Marina a stanziare altri fondi urgentemente per le riparazioni. La Marina americana sostenne che l’evento non causò alcun pericolo per  l’integrità del reattore S5W e quindi di contaminazione per l’equipaggio e per la popolazione delle zone circostanti la base, oltre che naturalmente per tutto l’ecosistema del fiume. (nota 5) Quando, nel 1985, il Daniel Boone entrò nel bacino per i lavori di potenziamento, la marina americana, con in linea 594 unità,  aveva quasi ultimato il programma “the 600 warships Navy”, fortemente sostenuto dall’amministrazione Reagan per portare a 600 le unità da guerra effettive, il più possibile moderne negli equipaggiamenti. Su 139 sottomarini, ben 136 erano a propulsione nucleare, secondo la tendenza “all nuclear” perseguita dalle maggiori potenze per le prestazioni militari dei battelli. Il budget riservato alla Marina aveva raggiunto i 274 miliardi di dollari, dimostrando l’importanza primaria del potere marittimo per gli strateghi militari del Pentagono.

30 giugno mentre si trova in navigazione nell’Oceano Pacifico, il sottomarino lanciamissili nucleari USS Nevada (SSBN 733) subì un guasto grave agli ingranaggi di riduzione dell’albero di trasmissione,  permettendo di controllare il regime di rotazione e la spinta dell’elica (nota 6). L’USS Nevada in quel momento era uno dei più moderni mezzi da attacco strategico nucleare in servizio nella US Navy. Appartenente alla classe Ohio, era armato con 24 missili Trident I ed in seguito anche Trident II (ciascuno capace di portare fino a 8 testate nucleari indipendenti), era stato accettato in servizio nel 1986 e la Marina lo aveva destinato al servizio nella flotta del Pacifico, inviandolo alla base sottomarini di Bangor, nello stato di Washington, al confine con la British Columbia canadese. In realtà, secondo quanto riportato dal quotidiano “The Day” di New London, già tra febbraio e aprile si erano manifestati dei problemi ai grandi ingranaggi di riduzione della turbina e dell’albero motore, tanto che furono sottoposti a smontaggio e controllo presso i cantieri navali di Newport News, in Virginia. Nei mesi successivi ad alcuni regimi di rotazione dell’albero di trasmissione, l’intero apparato aveva manifestato rumori anormali, che però non erano stati sottovalutati. Fino a quando la trasmissione cedette lasciando il sottomarino praticamente quasi privo di propulsione. La commissione di inchiesta, congiunta a livello politico-militare, accertò tra l’imbarazzo generale una situazione che ha dell’incredibile: le ispezioni fatte presso i cantieri di Newport News erano state affidate dalla Newport News Shipbuilding Company a una ditta in subappalto. Inoltre tale compagnia era già costruttrice di sottomarini per la Marina americana, montando tra l’altro le turbine ed i reattori nucleari costruiti dalla General Electric Boat Company, di Groton nel Connecticut, società sua diretta competitrice in questi appalti e, incidentalmente, ditta costruttrice proprio dell’USS Nevada. Per questioni di fretta (magari anche di costi) nelle riparazioni, nonché per valutare la capacità della Newport News Shipbuilding di misurarsi con sommergibili di grande complessità (gli Ohio erano i più grandi, nuovi e costosi battelli nell’arsenale subacqueo americano, con un valore di circa 1 miliardo di dollari dell’epoca per esemplare), la Marina affidò direttamente, senza gare d’appalto, i lavori sul Nevada. La General Electric Boat Company fu molto irritata dal comportamento della Marina militare e della Newport News Shipbuilding, che cercò di allontanare da sé il sospetto di aver condotto con negligenza i lavori, sostenendo velatamente la possibilità di difetti costruttivi di origine, ma evitò commenti fino alla conclusione delle indagini. In ogni caso l’incidente costrinse in porto per altri mesi un’unità nuova di zecca e comportò un costo aggiuntivo per i contribuenti, stimato (ma mai pubblicamente ammesso) di parecchi milioni di dollari. La US Navy affermò che nessun pericolo era stato corso dall’equipaggio o dal battello, che comunque era sempre rimasto in grado di manovrare e portare a termine i propri compiti. Restano comunque aperti alcuni dubbi: cosa sarebbe successo se l’avaria fosse incorsa in immersione mentre il battello era in pattugliamento vicino alle coste sovietiche della Kamchatka o della Siberia Orientale? Magari mentre era impegnato in manovre per eludere le attenzioni dei sottomarini da attacco russi, come di frequente abbiamo visto poteva accadere. Poteva potenzialmente essere investito da un inseguitore? E con quali conseguenze?

26 agosto  mentre è ormeggiato alla base alla base di Devonport, il sottomarino da attacco HMS Conqueror (S48) è vittima di un incendio che danneggia la sala macchine (nota 7). Benché sia citato nel report al parlamento del Sottosegretario di Stato alla Difesa del 2009 come incidente di media entità e le autorità della marina abbiano sostenuto che le fiamme erano state tenute lontane dal comparto del reattore, il rischio che venisse coinvolto l’Uranio con una conseguente catastrofe ambientale non può essere negato. Il Conqueror, appartenente alla classe Winston Churchill, è diventato famoso come l’unico sottomarino nucleare ad avere usato siluri in combattimento: infatti durante la guerra delle Falkland/Malvinas, nel 1982, aveva affondato l’incrociatore argentino General Beglrano. Il Conqueror, coinvolto in molte altre temerarie azioni segrete durante la guerra fredda, era fermo a Devonport per una revisione approfondita destinata a durare almeno 4 mesi.

Secondo il report presentato il 16 settembre 2009 dal Sottosegretario alla Difesa alle camere del Parlamento inglese, ufficialmente dal 1984 al 2006 sono scoppiati 266 incendi su mezzi a propulsione nucleare o che trasportavano armamento nucleare: 3 di entità tale da richiedere l’intervento di squadre speciali, 22 di medie dimensioni comunque affrontati dagli equipaggi senza superare i parametri di sicurezza e senza bisogno dell’intervento di personale specializzato, il resto di minima entità.

1 ottobre durante lavori di rimessaggio presso la base di Rosyth in Scozia, il sottomarino lanciamissili balistici HMS Renown (S 26) perse acqua radioattiva dal circuito secondario di raffreddamento, mentre parti del reattore venivano sottoposte a stress – test di funzionamento. Fonti della marina hanno minimizzato la quantità di liquido perso dall’impianto, (nota otto) dichiarando che il rischio di contaminazione esterna è stato minimo.

9 novembre un altro incidente nel mare di Irlanda: il peschereccio d’altura Angary, basato nella Contea di Down, mentre si trovava a 17 miglia nautiche a nord dell’isola di Man venne trainato per alcuni lunghi secondi, rischiando di affondare, finché l’attrezzatura da pesca fu strappata via all’altezza del ponte, staccando gli anelli di una catena capace di resistere alla trazione di 32 tonnellate, per poi sparire in mare. Chiaramente visti i precedenti e le modalità dell’incidente la causa più probabile fu considerata subito quella di aver intrappolato nelle reti un sottomarino, ma il Ministero della Difesa inglese negò la presenza di propri battelli nell’area al momento dell’incidente. Questo non vuol dire però che battelli di altre nazioni non stessero incrociando in quelle acque, a ridosso di alcune delle più importanti basi per sottomarini della NATO.

3 dicembre (nota 9) a causa di un errore umano aggravato da un difetto tecnico, non rilevato nella gru, nella base scozzese di Coulport, durante manovre di carico, un missile intercontinentale per sottomarini (probabilmente un Trident II) colpì il carrello di carico, danneggiando il contenitore dello stesso. Dato che l’incidente non portò alcuna conseguenza e la divulgazione di notizie avrebbe solo aiutato azioni terroristiche o spionistiche, sull’incidente non vennero fornite altre notizie. Già nei due decenni precedenti la delicata manovra di carico e scarico dai sottomarini di armi nucleari era stata causa di pericolosi incidenti e di forti proteste da parte delle comunità  locali circostanti alle basi.

1988

Un esemplare del missile a testata multipla termonucleare Lockheed Martin UGM 27 Polaris, che in varie versioni equipaggiò tra gli anni 60 e gli anni 90 molti tipi di sottomarini nucleari strategici americani e britannici. I mezzi in dotazione alla Royal Navy avevano elettronica e ordigni costruiti in Inghilterra. L’esemplare fotografato è esposto all’Imperial War Museum a Londra.

226 gennaio (nota 10) L’HMS Resolution (codice di individuazione S22) è stato il sottomarino capostipite della classe di lanciatori di missili nucleari balistici strategici che ne porta il nome. Costituita da 4 battelli, armati ciascuno con 16 missili di costruzione statunitense Lockheed Martin UGM 27 Polaris SLBM (Sea Launched Ballistic Missile, missile balistico lanciato dal mare), ciascuno equipaggiato da una testata multipla a 3 ordigni termonucleari. Consegnato nel 1967 con una cerimonia solenne nei cantieri Vickers Armstrong alla presenza della regina Madre Elisabetta, rappresentava la punta di lancia della forza di reazione rapida nucleare inglese. Quel mattino di gennaio il battello, veterano di molte crociere svolte attorno a tutto il globo, stava per uscire in mare per un pattugliamento di alcune settimane. Il reattore nucleare Vickers – Rolls Royce PWR 1 da 20.500 Kilowattore era già stato portato alla temperatura di servizio e gradualmente stava aumentando il livello di potenza erogata alla turbina. L’equipaggio nella sala motori staccò la linea che da terra forniva energia elettrica agli equipaggiamenti del reattore per passare all’alimentazione autonoma da parte dei generatori a bordo. Ma la linea interna non  si collegò e istantaneamente le pompe, che facevano circolare l’acqua per il raffreddamento delle barre di Uranio, cessarono di funzionare. Come nel peggiore degli incubi, man mano che gli addetti facevano scattare gli interruttori delle pompe di emergenza e il collegamento con le batterie di servizio, nessuno degli apparati rispondeva, mentre in pochi secondi la temperatura del reattore superava ogni record di risalita. Nemmeno il tentativo di tornare all’alimentazione esterna da terra riuscì…. Mentre la tensione saliva assieme alla temperatura nel nucleo, febbrilmente gli addetti alle macchine cercarono di far partire la procedura manuale per inserire le barre di controllo nel nocciolo del reattore, prima che fosse troppo tardi. Finalmente due marinai riuscirono a far partire un generatore ausiliario a motore Diesel e l’energia tornò a scorrere nell’impianto elettrico del sottomarino.

Secondo le indagini di alcuni giornalisti del quotidiano Observer, nei lunghi e terrificanti minuti in cui si rischiò la fusione del nucleo, i livelli di calore furono tali da danneggiare l’impianto primario di raffreddamento determinando una perdita, nell’ambiente, di acqua fortemente radioattiva, e di cui non si seppe mai l’entità. Inoltre le enormi emissioni di energia superarono le capacità di contenimento della schermatura del reattore, tanto che un marinaio venne sottoposto a procedure di decontaminazione e tenuto in osservazione per 24 ore per il pericolo di un avvelenamento acuto da radiazioni. Le fonti della Royal Navy sull’incidente hanno sempre sostenuto si sia trattato di un’avaria di minore entità e che quelli che hanno gridato al disastro, letteralmente “non sapevano di che cosa stessero parlando”… sinceramente una reazione un po’ insolita per un incidente definito di lieve entità e poco in linea col tipico ‘aplomb’ britannico.

29 aprile L’USS Sam Houston (SSN 609)finisce per arenarsi nel Carr Inlet, un’insenatura all’estremità Sud – Est della Fox Island, nel Puget Sound, mentre sta effettuando prove di rumorosità in acque basse (nota 11). Il Sam Houston è un veterano della guerra fredda, essendo entrato in servizio nel 1962 come SSBN, ovvero sottomarino capace di lanciare in immersione missili intercontinentali balistici. Nel 1980, dopo 18 anni di servizio di prima linea, a seguito del trattato internazionale di riduzione di armamenti e vettori SALT 1, venne privato delle attrezzature di lancio e furono installati degli anelli di cemento nei silos dei missili, per renderne impossibile il trasporto ed il lancio. Venne trasformato così in SSN, un sottomarino da attacco antinave a propulsione nucleare. Fu anche adattato al ruolo di supporto per le forze speciali, come i Navy Seals, creando degli alloggiamenti per i soldati al posto di alcuni silos ed attrezzature per trasporto mezzi anfibi. Dopo l’incidente l’equipaggio immediatamente mise in moto la procedura per accertare gli eventuali danni, specialmente al sistema di propulsione, quindi cercò di liberare autonomamente il battello dal fondale, ma vista l’impossibilità attese l’arrivo il giorno dopo della nave appoggio e soccorso USS Florikan e di rimorchiatori dal Puget Sound Naval Shipyard di Bremerton. Una volta rientrati in porto vennero constatati danni alle strutture esterne. Ormai però lo Houston era un mezzo obsoleto, a fine carriera, con strutture logorate dall’uso, per cui il battello venne riparato, ma si preferì comunque ritirarlo dal servizio nel settembre 1991 ed avviarlo allo smantellamento attraverso il Submarine Recycle Program, concluso il 3 febbraio 1992.

18 maggio (nota12) L’HMS Conqueror (S48) ancora una volta fu abbastanza sfortunato protagonista di incidenti. Mentre era ormeggiato al porto di Gibilterra subì un principio di incendio immediatamente spento dal personale di servizio.

1 giugno il periodo negativo dell’HMS Conqueror continuò pochi giorni dopo. Rientrato dalla crociera nel Mediterraneo, mentre  prendeva parte ad una esercitazione sulla costa occidentale scozzese, venne colpito per errore da un siluro inerte da esercitazione sganciato da un elicottero ASW (Anti Submarine Warfare, ovvero con ruolo antisommergibile). La copertura del ponte del sottomarino rimase danneggiata, per cui il Conqueror dovette interrompere la navigazione e rientrare a Faslane per  le necessarie riparazioni.

2 luglio (nota 13) il traffico civile e militare navale nel Ireland North Channel fece un’altra vittima quando lo yacht Dalriada, appartenente alla Army Sail Training Association, venne investito sulla fiancata destra dal solito HMS Conqueror (per quanto alcune fonti parlino dell’HMS Corageous) in fase di emersione, a circa 11 miglia sud – ovest dal Mull of Kintyre, la punta estrema dell’omonima penisola sulla costa scozzese. L’equipaggio dello yacht lanciò immediatamente l’SOS, perchè  si rese conto che la barca sarebbe rapidamente affondata. Le chiamate del Dalriada e del Conqueror vennero raccolte dalla fregata HMS Battleaxle, che circa 35 minuti dopo il naufragio soccorse i dispersi nell’oscurità della sera e riportò a bordo i 4 membri dello yacht. Il Conqueror, per fortuna, non riportò danni degni di nota. Nel Canale d’Irlanda, d’altronde, la questione della convivenza fra il traffico militare e quello civile resta un problema irrisolto. Da un lato le bellissime coste di Irlanda, Scozia e Galles, e il loro mare ricco di risorse ittiche, richiama molto turismo marittimo; dall’altro in Scozia si concentra su sottomarini la forza di deterrenza nucleare britannica, nonché quella statunitense in forza alla NATO. Ovviamente si tratta di navigazioni ben diverse: in superficie piccole navi da turismo e da pesca, che solitamente procedono isolate, e in profondità grandi sottomarini, pressoché ciechi che per procedere utilizzano solo attrezzature elettroniche. Spesso, per ispezionare l’area circostante utilizzano sonar attivi (è il gioco del gatto col topo che le marine dei blocchi NATO e del Patto di Varsavia facevano attorno ad una delle coste più militarizzate), perché i sonar e gli idrofoni passivi non sempre sono attendibili. Per chi guarda la superficie attraverso un periscopio pochi centimetri sopra il pelo dell’acqua, la presenza all’orizzonte di un’imbarcazione relativamente piccola può restare nascosta dal gioco delle onde, fino a che non ci si trova ormai che a pochi metri di distanza. Inoltre tutte le politiche di riservatezza frapposte negli anni dalle autorità militari e politiche sono state percepite dalle comunità locali come un atteggiamento di arroganza. Il punto della questione è che pur ammettendo che una forza nucleare strategica sia ancora necessaria, in un mondo imperfetto in cui i rapporti fra gli stati erano (e sono) una questione di posizioni di forza, occorre migliorare i modi in cui viene gestita. In gioco ci sono le vite degli equipaggi e delle popolazioni residenti.

29 agosto mentre rientra nel porto di Norfolk in Virginia da una crociera nel Mediterraneo e nel Mare Arabico, iniziata a febbraio, la USS Dwight D. Eisenhover (CVN 69), portaerei nucleare della classe Nimitz, urta contro la nave carboniera spagnola Urdulitz, attraccata in banchina (nota 14). L’enorme portaerei che stazza oltre 110.000 tonnellate ed è lunga 340 metri faticava a manovrare negli spazi per lei relativamente stretti del Reach Channel, in una giornata di vento e correnti particolarmente forti. Proprio i venti che premevano sull’enorme struttura spinsero la portaerei lateralmente, senza che alcuna correzione posta in essere avesse effetto sull’inerzia dell’enorme massa metallica. La Eisenhower colpì la nave da carico spagnola, ancorata al molo in attesa di caricare, senza alcuna conseguenza per gli equipaggi. I danni alla Eisenhower furono valutati in 2 milioni di dollari, mentre quelli alla Urdulitz ammontarono a circa 300.000 dollari. L’impianto propulsivo costituito da 2 reattori nucleari Westinghouse A4W non fu messo in pericolo dalla collisione, avvenuta a bassa velocità, ma molto probabilmente nelle santabarbare a bordo erano custoditi armamenti nucleari in dotazione agli aerei da attacco della nave, potenzialmente più esposte  nel caso di incendio provocato dall’impatto.

3

L’operaia Wanda Hood chiude con cura uno dei fusti contenenti rifiuti contaminati dal Plutonio e fortemente radioattivi durante la demolizione della fabbrica per componenti di bombe nucleari a Rocky Flats, nel Colorado. Foto di Mark Leffingwell.

ottobre al Rocky Flats Nuclear Weapons Factory in Colorado un ispettore del D.O.E. (Department of Energy, il dipartimento governativo per l’energia) e due lavoratori restano contaminati per aver inalato micro polveri di Plutonio 238 (nota 15). Per l’impianto, posto a sole 15 miglia a nord ovest della città di Denver e ai piedi della catena delle Rocky Mountains, è l’ultimo di una lunga serie di incidenti e violazioni. Aperto nel 1952 come impianto per la produzzione di inneschi al Plutonio, le “bottiglie” di trizio e i “pit” corazzati per le bombe H, nel 1969 fù vittima di un grave incendio che fece temere una forte contaminazione esterna. Nel 1970 le polveri radioattive rilevate nell’area di Denver avevano portato a scoprire sistematiche violazioni nelle norme di sicurezza, smaltimento di residui di Uranio e Plutonio che andavano avanti da decenni e avevano irrimediabilmente compromesso vari strati del terreno attorno ai Rocky Flats e la falda acquifera superficiale. Al deposito 903 vennero misurati livelli di Plutonio e radionuclidi di elementi transuranici estremamente elevati. Dopo le denunce all’FBI da parte dei dipendenti, i poliziotti federali svolsero delle indagini riservate da cui risultò che l’inceneritore dell’impianto funzionava fino a tarda ora della notte. Scoprirono che fusti di scorie della lavorazione venivano seppelliti attorno all’impianto senza alcuna precauzione, mentre molti altri lasciati all’aperto, alle intemperie, risultavano gravemente danneggiati: all’interno era contenuto un letale mix di acidi, reagenti e polveri radioattive di Uranio. Già in passato le azioni legali promosse contro l’impianto avevano rivelato una grave spregiudicatezza nella gestione, tanto da provocare la cancellazione dell’appalto alla Dow Chemicals Company per la conduzione dell’impianto e il subentro della Rockwell International, ma nonostante le attività di decontaminazione svolte inizialmente dal nuovo gestore, nella sostanza non cambiò nulla. L’impianto era strategico per l’arsenale nucleare e gli standard produttivi richiesti andavano mantenuti, a qualsiasi costo. Il Department of Energy, organo anch’esso governativo, negli anni ‘80 aveva posto sotto stretta osservazione i laboratori. Ma le pressioni dall’alto per limitare lo scandalo furono enormi, tanto che uno degli agenti dell’FBI, Jon Lipsky, decise di rivelare i risultati delle indagini a cui aveva partecipato, pur prevedendone le conseguenze….Nel 1990 la EG & G, subentrata alla Rockwell International, inizia finalmente un serio programma di contenimento dell’inquinamento radioattivo. Nel 1992, a seguito dei trattati internazionali di disarmo e del mutato atteggiamento nell’opinione pubblica, l’impianto viene definitivamente fermato. Nel 1995 parte la più costosa e gigantesca opera di decontaminazione della storia statunitense (immagine 3): l’equivalente di 2000 autocarri di terreno e macerie contaminate vengono inviate ai siti di stoccaggio in Utah, Idaho e New Mexico, nonché al Nevada Test Range, dove si effettuano le esplosioni atomiche sperimentali. Oltre 1900 fusti di residui di Plutonio furono inviati al deposito militare specializzato di Savannah River e altre 21 tonnellate di materiali, a un grado di radioattività pari a quello del materiale fissile militare, vengono mandati alla decontaminazione. Solo nell’impianto di circolazione dell’aria viene recuperata l’incredibile quantità di 28 chili di polvere di Plutonio (per avvelenare un essere vivente, o provocargli il cancro al polmonne, basta una particella di un decimo di micron di diametro). L’operazione si conclude nel 2006 con un costo astronomico finale di 7 miliardi di dollari. Una class action promossa da associazioni di cittadini e ambientalisti, come “the Sierra Club”, forse la più antica e influente negli States, portarono alla condanna della Dow e della Rockwell al pagamento ciascuna di 117 milioni di dollari come risarcimento danni e rispettivamente di altri 110 per la Dow e 89 milioni per la Rockwell come sanzione per le violazioni delle leggi sulla protezione ambientale. Alcuni chilometri quadrati attorno a dove si trovavano i laboratori  resteranno troppo radioattivi per risiedervi per decine di migliaia di anni. L’area è stata dichiarata nel 2007 riserva per la fauna e la flora selvatica, che ha ripreso pieno possesso delle Rocky Flats, come successe a Chernobyl. La riserva da quest’anno è visitabile al pubblico, sebbene l’ombra del Plutonio continui ad aleggiare su tutta la regione, dove Uranio e Plutonio hanno lentamente continuato a depositarsi per 50 anni. Circa 4 chilometri quadrati, corrispondenti al centro degli impianti di lavorazione restano infatti sotto lo stretto controllo del DoE. Per tutti coloro che lavorarono o che vissero nelle vicinanze degli impianti, probabilmente resterà sempre il dubbio di essere stati fortemente esposti e dovranno convivere con la paura delle possibili conseguenze sulla loro salute. E il Plutonio ha un tempo di dimezzamento radioattivo di 24 mila anni…..

di Davide Migliore

 

NOTE E RIFERIMENTI

(1)  http://www.publications.parliament.uk/pa/cm199798/cmhansrd/vo980629/text/80629w03.htm

sito ufficiale del parlamento Britannico, Camera dei Comuni, interrogazioni parlamentari n. 46824 e 47804 al Segretario di Stato al Ministero della Difesa sulle armi termonucleari WE177 a caduta libera, produzione, stato di servizio, eliminazione, giugno 1998.

http://www.guardian.co.uk/environment/2003/oct/13/energy.nuclearindustry

articolo di Rob Evans sul quotidiano “The Guardian”, 23 ottobre 2003, lista degli incidenti di servizio ad armi nucleari di Sua Maestà rilasciata dal Ministry of Defence britannico.

http://www.nukewatch.org.uk/accidents.php

sito sugli incidenti incorsi a convogli di trasporto armi nucleari sul suolo inglese ed attività delle associazioni anti nucleari inglesi.

http://peacedevelopmentfund.wordpress.com/2011/04/02/nuclear-repercussions/

attivisti antinucleari contro gli spostamenti di armi e materiali minitari atomici negli U.S.A.

http://vimeo.com/20872194

video girato dal gruppo Camcorder Guerrillas sull’uso intensivo di convogli nucleari su strada in                 Inghilterra e delle attività dei volontari per protestare ed informare.

(2)  http://en.wikipedia.org/wiki/HMS_Splendid_(S106)

http://everything2.com/title/Submarine+Collisions

http://www.skeptictank.org/treasure/GP5/UKNUC5.TXT

collisione tra l’HMS Splendid ed un sottomarino sovietico nel mare di Barents

 (3) http://historical-debates.oireachtas.ie/D/0387/D.0387.198903070132.html

Estratto dei dibattimenti del  7 maggio 1987 e del 7 marzo 1989 al Parlamento Irlandese sui frequenti  incidenti tra pescherecci d’altura irlandesi e sottomarini in immersione nel nord Atlantico

http://www.imo.org/Pages/home.aspx

sito dell’International Maritime Organisation, agenzia delle Nazioni Unite che promuove la navigazione  internazionale sicura e combatte le forme di inquinamento da parte di natanti

(4)  http://navysite.de/ssbn/ssbn629.htm

http://www.mesotheliomaweb.org/mesothelioma/veterans/submarines/uss-daniel-boone

http://en.wikipedia.org/wiki/USS_Daniel_Boone_(SSBN-629)#Operational_history

incidente all’USS Daniel Boone (SSBN 629)

(5)  http://www.navy.mil/navydata/cno/n87/history/chrono.html

Cronologia dello sviluppo dell’Arma sottomarina USA

 (6)  http://www.apnewsarchive.com/1987/Sub-Damage-Worse-Than-Previous-Report-Caused-By-Faulty-

Maintenance/id-7a2e648c72d1cf6fd05053bc69a69866

Associated Press Archive, july 14, 1987 – article on USS Nevada (SSBN 733) main transmission gear  failure

http://navysite.de/ssbn/ssbn733.htm

http://www.uscarriers.net/ssbn733history.htm

guasto nel Pacifico all’USS Nevada

(7)  http://en.wikipedia.org/wiki/HMS_Conqueror_(S48)

http://www.robedwards.com/2009/09/exposed-22-serious-fires-on-nuclear-submarines.html

Sito news di Rob Edwards, giornalista indipendente in campo scientifico ambientale

http://www.publications.parliament.uk/pa/cm200809/cmhansrd/cm090916/text/90916w0009.htm

Acts of UK Parliament, House of Commons, answer to deputies interrogation, 16 september 2009, Column 2223W: lista degli incendi scoppiati sui sottomarini a propulsione nucleare inglesi tra il 1984 e il 2009

(8) http://www.skeptictank.org/treasure/GP5/UKNUC5.TXT

HMS Renown leak reactor coolant

(9) http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&frm=1&source=web&cd=1&sqi=2&ved=0CDMQFjAA&url=http%3A%2F%2Fwww.mod.uk%2FNR%2Frdonlyres%2FCD66C835-C933-4F6E-8005D3301971E809%2F0%2Fnuclear_weapons_various_incidents_letter.pdf&ei=_2XGUPClHsTBswbXvoCgCQ&usg=AFQjCNEQ95OotIjHgESrUstoJ-yYCf1PTQ&sig2=OiaW7fxWL-VdZpXNeAuoRQ

Ministry of Defence, Directorate of Safety and Claims, letter 16 august 2007, Code File DSC_02_01_09 MoD FOI Ref: 08-05-2007-174033-010 : incidenti nucleari potenziali 1985/1987, dichiarazioni ufficiali al Parlamento inglese da parte del Governo

(10) http://en.wikipedia.org/wiki/HMS_Resolution_(S22)

http://www.hmsresolution.org.uk/index.php

http://hansard.millbanksystems.com/written_answers/1988/feb/19/hms-resolution#S6CV0127P0_19880219_CWA_73

http://www.banthebomb.org/archives/magazine/cracking.htm

The Scottish Campaign for Nuclear Disarmament and Faslane Peace Camp, “cracking under pressure” difetti e guasti dei sottomarini nucleari britannici Incidente in porto all’HMS Resolution , Sez. 6.2

http://www.bbc.co.uk/news/uk-scotland-15801357

BBC news, 18th November  2011, video “dismantling a nuclear submarine”

http://www.thecourier.co.uk/News/Fife/article/2995/damage-found-to-submarine-hms-resolution-

at-rosyth-dockyard.html

pericoli oggi per l’HMS Resolution e altri sottomarini dismessi.

(11)  http://navysite.de/ssbn/ssbn609.htm

Incidente all’USS Sam Houston

(12)  http://en.wikipedia.org/wiki/HMS_Conqueror_(S48)

HMS Conqueror incendio a Gibilterra.

http://www.plymouth.unisonplus.net/dig/dig.htm

 (13)  http://www.publications.parliament.uk/pa/cm200809/cmhansrd/cm090402/text/90402w0024.htm

HMS Conqueror, collisione con lo yacht Dalriada, Parliament query, answer n° HC 2 apr. 2009, Column 1396W                    

http://www.telegraph.co.uk/news/uknews/defence/8112935/Cuts-warning-as-nuclear-

submarine-crash-rate-nears-one-a-year.html

The Telegraph, “cuts warning as nuclear submarine crash rate nears one a year”, by John Bingham, 6 november 2010, lista degli incidenti che hanno coinvolto sottomarini nucleari Britannici tra il 1988 e il 2010, con commenti ufficiali del Ministry of Defence.

http://www.robedwards.com/2010/04/is-scotland-safe-from-nuclear-submarine-crashes-in-the-clyde.html

Sito news di Rob Edwards, giornalista indipendente in campo scientifico ambientale, citazione del Sunday Herald del 4 aprile 2010

 (14)  http://en.wikipedia.org/wiki/USS_Dwight_D._Eisenhower_(CVN-69)

http://www.uscarriers.net/cvn69history.htm

collisione nel porto di Norfolk per la USS Dwight D. Eisenhower (CVN69)

 (15) https://docs.google.com/viewer?a=v&q=cache:ASmnq3_IrRMJ:www.unm.edu/~bgreen/ME360/Rocky%2520Flats%2520Colorado.pdf+pdf+rocky+flats+colorado&hl=it&pid=bl&srcid=ADGEESgGL6z-Svq157YdEJsvV3eQhxoTvNLe34SLE0Vsrlc-jaFVmdhuWn6w8jgiR9hQxyrEHR6g48VB_8iVkFJpr1HHhr0nLHKI6E47AdK7R9E6fEyT0sO-3KHtPyhFuMPN1pqxnWYx&sig=AHIEtbTPRthTBJTWpAqE3NRWE3G6M3FAwQ

State University of Colorado: Rocky Flats Colorado Nuclear Weapons Production Facility 1952 – 1988

http://en.wikipedia.org/wiki/Rocky_Flats_Plant“Full body burden: growing up in the shadow of Rocky Flats”, Kristen Iversen, 2011 Random House Inc.

http://www.ens-newswire.com/ens/aug2010/2010-08-05-01.html

“Rocky Flats Nuclear Site Too Hot for Public Access, Citizens Warning”, from the “Environment News Service”,

Denver, Colorado, 5 august 2010.

http://prisonphotography.org/tag/the-rocky-flats-nuclear-weapons-plant/

“Incendiary iconography”, by A.W. Thompson – photographing the Rocky Flats Nuclear Facilities

 

Fonti generali

“L’Atomo Militare, tecniche, strategie, storia e prospettive”, Giuseppe Longo, Vittorio Silvestrini, Editori Riuniti 1987

“storia segreta degli incidenti nucleari”, Nico Sgarlato, AEREI – rivista aeronautica, n. 2, febbraio1991

“A Handbook of Nuclear Weapons Accidents”, Shaun Gregory – Alistair Edwards , University of Bradford, Bradford 1986

“SOMMERGIBILI NUCLEARI : PROBLEMI DI SICUREZZA ED IMPATTO AMBIENTALE” ,  F. Iannuzzelli, V.F. Polcaro, M. Zucchetti, Politecnico di Torino, 2004

“La Marina Sovietica”, Michele Cosentino – Ruggero Stanglini, ED.A.I., 1991

“ Lost Subs: From the Hunley to the Kursk, the greatest submarines ever lost  and found” Dunmore – Spencer, 1st ed. , Madison Press,  Toronto 2002

“Spy Sub”, Roger C. Dunham, 10th ed. New York: Penguin Books, 1997

“Big Red – three months on board a Trident missile submarine”, Waller, Douglas C. “1st ed. Harper Collins, New York 2001

 “The Hidden Cost of Deterrente:  Nuclear Weapons Accidents”, Shaun Gregory, Brassey’s UK, London, 1990

P.L. Olgaard , “Nuclear ship Accidents – Description and Analysis”, Technical University of Denmark,  Lyngby, May 1993

“the limits of safety”, Scott. D. Sagan, Princeton University Press, 1995.

http://www.progettohumus.it/public/forum/index.php?topic=428.0;wap2

incidenti nucleari o potenzialmente nucleari dal 1971 ad oggi

http://www.nuclear-weapons.info/vw.htm

interessante sito creato da Brian Burnell in cui ricostruisce la storia delle armi nucleari inglesi con lo sviluppo di ogni singola arma

http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&frm=1&source=web&cd=40&ved=0CG8QFjAJOB4&url=http%3A%2F%2Fwww.peaceheroes.com%2Fimages%2Fpdf%2Ftridentsubs_plrc_020799.pdf&ei=2_DFUJTNEojgtQap9YCoCw&usg=AFQjCNFuUj8TM3n8ECU0SNpi7jT2tK-QaQ&sig2=gx1MyyAayUu10MMByuIqdA

sottomarini americani ed inglesi operativi con missili Trident I e II, sviluppo e servizio.

http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&frm=1&source=web&cd=6&sqi=2&ved=0CFgQFjAF&url=http%3A%2F%2Fwww.rtna.ac.th%2Farticle%2FUS%2520Trident%2520Submarine%2520%26%2520Missile%2520Sytem.pdf&ei=GhfGUM3LJ8Xesgbe-oHoDQ&usg=AFQjCNGhCXRr5rFYlhXBxCgNEuj7XX0Pcg&sig2=3y1SaOR3QLC-9A54XCDF1A

documento PDF, Pacific Life Research Center, bollettino del 16 novembre 2002,  studi sui missili Trident I e II e operatività sui sottomarini classe Ohio

http://lists.peacelink.it/armamenti/msg00252.html

http://www.at1ce.org/themenreihe.p?c=United%20States%20submarine%20accidents

lista di incidenti a sottomarini e vascelli militari angloamericani dal 1945

http://www.cddc.vt.edu/host/atomic/accident/critical.html

Trinity Atomic Website, history, nuclear weapons and conseguences

http://spb.org.ru/bellona/ehome/russia/nfl/nfl8.htm#O17b

lista incidenti a sottomarini sovietici con cause

https://www.cia.gov/library/center-for-the-study-of-intelligence/csi-publications/books-and-monographs/a-cold-war-conundrum/source.htm sito ufficiale della C.I.A.

siti ufficiali della C.I.A. , Central intellige Agency

http://nuclearweaponarchive.org/Nwfaq/Nfaq0.html

the nuclear weapons archive

http://books.google.it/books?id=3wUAAAAAMBAJ&pg=PA23&lpg=PA23&dq=us+nuclear+submarine+accidents+1985&source=bl&ots=QvKSE3wTuu&sig=y6tbBUeneIb4ZiRAi6BYv-2tHOc&hl=it&sa=X&ei=3-mjUIuqFsfEsgbL-4DoAw&ved=0CCYQ6AEwATgK#v=onepage&q=us%20nuclear%20submarine%20accidents%201985&f=false

Bulletin of the Atomic Scientists, july /august 1989 issue

https://docs.google.com/viewer?a=v&q=cache:ASmnq3_IrRMJ:www.unm.edu/~bgreen/ME360/Rocky%2520Flats%2520Colorado.pdf+pdf+rocky+flats+colorado&hl=it&pid=bl&srcid=ADGEESgGL6z-Svq157YdEJsvV3eQhxoTvNLe34SLE0Vsrlc-jaFVmdhuWn6w8jgiR9hQxyrEHR6g48VB_8iVkFJpr1HHhr0nLHKI6E47AdK7R9E6fEyT0sO-3KHtPyhFuMPN1pqxnWYx&sig=AHIEtbTPRthTBJTWpAqE3NRWE3G6M3FAwQ

State University of Colorado: Rocky Flats Colorado Nuclear Weapons Production Facility 1952 – 1988 (PDF)

http://www.nukewatchinfo.org/nuclearweapons/index.html

informazioni aggiornate sulla produzione di armamenti, sulle conseguenze mediche e ambientali della produzione di armi, iniziative pacifiste e di eliminazione degli armamenti nucleari.

http://bispensiero.blogspot.it/2007_05_01_archive.html

blog con liste dei principali pericoli e situazione attuale della strategia atomica

http://archive.greenpeace.org/comms/nukes/chernob/rep02.html

http://www.rmiembassyus.org/Nuclear%20Issues.htm

http://www.web.net/~cnanw/a7.htm

10 mishaps that might have started an accidental nuclear war.

http://forum1.aimoo.com/American_Cold_War_Veterans/Cold-War-Casualties/Naval-Accidents-During-Cold-War-1-1579633.html

incidenti navali con vittime durante la Guerra Fredda

http://www.navsource.org

informations on naval accidents on duty and conseguences

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sopa

Wikipedia: Stop Online Piracy Act e PROTECT IP Act.

Pubblicato 19 gennaio 2012 da redazione

A seguito delle discussioni svoltesi nei giorni scorsi, esprimiamo solidarietà nei confronti della protesta in atto sulla versione inglese di Wikipedia contro le proposte di leggi note come Stop Online Piracy Act e PROTECT IP Act.

“Condividiamo con i nostri colleghi di lingua inglese le preoccupazioni sul pericolo che l’approvazione di tali leggi da parte del Congresso degli Stati Uniti potrebbe comportare per la libertà del Web in generale, e per Wikipedia in particolare, e desideriamo unire la nostra voce al coro di chi chiede che il Web stesso possa rimanere libero da censure e limitazioni, e non essere influenzato da leggi, decise da pochi, che cerchino di arginare questa libertà.

In quanto utenti di un Progetto basato sulla Licenza CC BY-SA e, nel nostro piccolo, autori anche noi, siamo particolarmente sensibili ai temi del rispetto del diritto d’autore e della proprietà intellettuale, e riconosciamo che i titolari dei diritti sulle opere d’ingegno abbiano ragione nel chiedere che tali diritti vengano rispettati: Wikipedia non approva la pirateria informatica, né la giustifica in alcun modo sulle pagine dell’enciclopedia. Gran parte del lavoro degli utenti di Wikipedia consiste in effetti nell’identificare e rimuovere, con la massima prontezza e velocità, le violazioni di copyright altrui che vengano inserite nelle voci.

Tuttavia, chiediamo a nostra volta che la lotta alla pirateria venga condotta con strumenti equi e responsabili, che non impediscano il lavoro o la semplice esistenza di quelle realtà che, sul web, operano per produrre opere culturali che siano accessibili e condivisibili da tutti e verso tutti. Riteniamo, condividendo in questo le opinioni della Wikimedia Foundation, di Creative Commons, della Electronic Frontier Foundation e di molte altre associazioni del web libero e OpenSource, che le leggi SOPA e PIPA proposte negli Stati Uniti impongano limitazioni inaccettabili alla libertà di Internet, limitazioni che, nate con l’obiettivo di combattere la pirateria, di fatto renderebbero impossibili il nostro lavoro: la costruzione di un’enciclopedia a contenuto libero, che sia fonte di ricchezza culturale per chiunque.

Wikipedia si basa sul principio della neutralità: non è schierata politicamente e non ritiene di poter o dover interferire con le decisioni dei Governi democraticamente eletti dei vari Stati. Tuttavia, rivendica il proprio diritto ad autodifendersi, qualora si veda minacciata da leggi o provvedimenti che possano ledere i principi su cui è costituita o che possano metterne in dubbio la stessa esistenza.

Per questo motivo, come esplicitato dal riassunto conclusivo delle discussioni sulla Wikipedia in lingua inglese, e dal comunicato ufficiale di Wikimedia Foundation, abbiamo deciso di condividere la protesta della Wikipedia in inglese con il banner visibile in cima alle pagine dell’enciclopedia. Riteniamo che questo sia il modo migliore sia per esprimere la nostra solidarietà e vicinanza ai colleghi di lingua inglese, sia per manifestare a nostra volta il nostro dissenso e per far giungere la nostra voce, per quanto possibile, ai membri della Camera dei Rappresentanti e del Senato statunitensi chiamati ad esprimersi su queste leggi.”

Gli utenti di Wikipedia in lingua italiana

Riassunto

Il 26 ottobre 2011 è stata proposta alla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti d’America una di legge nota come Stop Online Piracy Act (SOPA; si veda anche la voce in lingua inglese); tale legge è attualmente al vaglio della Commissione di Giustizia (House Judiciary Committee) statunitense. Parallelamente, il giorno 24 gennaio 2012 è prevista la discussione di una seconda legge, nota come PROTECT IP Act (PIPA, si veda anche la voce in lingua inglese). Tali leggi legiferano in materia di diritto d’autore sul web, proponendosi di arginare la pirateria informatica e in generale la violazione del diritto d’autore introducendo norme e sanzioni severe contro di esse.

Tali norme e sanzioni sono state considerate, dalla Wikimedia Foundation e da gran parte degli utenti della Wikipedia in lingua inglese, come potenzialmente lesive per Wikipedia, tanto da mettere in allarme gran parte della comunità wikipediana, timorosa dei risvolti che l’applicazione di tali leggi potrebbe avere per il Progetto e per la sopravvivenza stessa della enciclopedia on-line. Simili preoccupazioni sono state espresse anche da altre realtà del web libero e open-content, fra cui l’organizzazione Creative Commons.

Per questo motivo, sulla Wikipedia in lingua inglese è stata creata sin dal dicembre 2011 una pagina (en:Wikipedia:SOPA initiative) in cui i wikipediani anglofoni si sono confrontati per discutere sul tema, prendendo in considerazioni la messa in atto di proteste per sensibilizzare l’opinione pubblica (soprattutto statunitense ma non solo) sui rischi che queste leggi comporterebbero, nel tentativo di ostacolarne l’approvazione o quantomeno di farne modificare il testo. Attualmente, su tale pagina gli utenti si stanno esprimendo sull’opportunità di organizzare un’azione di protesta ed eventualmente sui suoi modi; da quanto emerso fino ad ora sembra che la comunità si stia orientando verso una limitazione o una sospensione totale degli accessi al sito nella giornata del 18 gennaio 2012.

Gli utenti di Wikipedia in lingua italiana, che attualmente si stanno a loro volta confrontando nella pagina Wikipedia:Bar/Discussioni/Stop SOPA initiative, condividono le preoccupazioni dei colleghi di en.wikipedia, e sembrano essere orientati a sostenere le loro proteste in modi ancora da definire (la discussione è attualmente in corso), ma che probabilmente coinvolgeranno banner e/o avvisi nelle voci, sebbene alcuni si dicano propensi a seguire en.wiki nell’oscurare temporaneamente il sito, qualora la comunità anglofona decidesse di mettere in atto questo tipo di protesta.

Il 16 gennaio 2012, stando a una notizia riportata da Examiner.com e dal giornale britannico The Guardian, sembra che la proposta di legge del SOPA stia per essere abbandonata (o sia stata effettivamente abbandonata), a seguito delle proteste e della minaccia di veto presidenziale preannunciata dal Presidente USA Obama. Non è chiaro come evolverà la situazione, ma l’edizione di Wikipedia in lingua inglese ha comunque deciso di oscurarsi in tutto il mondo il 18 gennaio 2012, anche perché rimarrebbe valida la PIPA.

I motivi della protesta

Che cos’è il SOPA

Il SOPA (Stop Online Piracy Act) è una proposta di legge in discussione al Congresso degli Stati Uniti che, nelle intenzioni dei suoi proponenti, vorrebbe consentire misure più drastiche e rapide contro la pirateria informatica e in generale contro le violazioni di copyright. In particolare, essa prevede che i titolari dei diritti lesi possano agire per vie legali non solo nei confronti di chi abbia materialmente commesso la violazione, ma anche nei confronti dei siti e dei portali che ospitano i contenuti in violazione di copyright, o che in generale “rendano possibile o comunque facilitino attività di violazione del copyright”.

Che cos’è il PIPA

Il PIPA (PROTECT IP Act) è una proposta di legge statunitense concepita anch’essa come difesa contro la pirateria informatica, che vorrebbe fornire ai titolari del copyright degli strumenti per “impedire l’accesso a quei siti fuorilegge che violano il diritto d’autore o contraffanno beni”. Si tratta della riscrittura di una precedente legge, la Combating Online Infringement and Counterfeits Act (COICA), già respinta dal Congresso. Tale legge prevede che un giudice possa imporre sanzioni non solo a quei siti (spesso situati al di fuori degli USA) che vendono o contraffanno beni protetti dal diritto d’autore, ma anche a quei provider e a quei siti di servizi on-line che permettano transazioni economiche con i siti “fuorilegge”, o che facciano pubblicità degli stessi o ancora che contengano collegamenti ad essi.

In cosa consiste la minaccia per Wikipedia

Wikipedia si basa su materiali rilasciati in CC-BY-SA, e da sempre dedica molta attenzione alla lotta alle violazioni di copyright (copyviol), eliminandole dal sito con la massima attenzione e velocità possibili. In particolare, su it.wiki (la versione in lingua italiana di Wikipedia) questo tema è molto sentito: esiste addirittura un progetto apposito (Progetto:Cococo) che ha l’unica finalità di controllare i contributi sospettati di essere violazioni di copyright, e nel caso di agire per eliminarli, nel rispetto delle leggi italiane ed estere e della licenza Creative Commons. Da questo punto di vista, dunque, Wikipedia e in generale i siti della Wikimedia Foundation non possono certamente essere accusati di favorire le violazioni di diritti d’autore e/o la pirateria.

I termini della legge, tuttavia, sono tanto larghi da arrivare a toccare la stessa Wikipedia (in tutte le sue versioni linguistiche) e i suoi progetti fratelli: secondo le valutazioni legali effettuate dagli esperti di WMF, e riassunte in un post di un consigliere dell’associazione, Geoff Brigham, i rischi per Wikipedia dovuti al SOPA sono reali e tangibili. Ai termini del disegno di legge, infatti, potrebbero essere ritenuti responsabili di “favorire la pirateria” non solo i siti che pubblichino e ospitino materiali in violazione di copyright, ma anche quei siti che contengano link o riferimenti a siti che infrangano il copyright. Nelle parole di Brigham:

(EN)

« A federal prosecutor could obtain a court order mandating that the Wikimedia Foundation remove links to specified “foreign infringing sites” or face at least contempt of court sanctions. The definition of “foreign infringing sites” is broad and could well include legitimate sites that host mostly legal content, yet have other purported infringing content on their sites. »
(IT)

« Un giudice federale potrebbe ottenere un mandato per obbligare la Wikimedia Foundation a rimuovere i link a “siti stranieri che violino il copyright”, sotto pena di sanzioni. La definizione di “siti stranieri che violino il copyright” è vaga, e potrebbe includere anche siti che contengano in larga parte materiali legittimi ma includano nello stesso tempo qualche elemento in presunta violazione »
(Geoff Brigham, How SOPA will hurt…)

In generale, la legge richiederebbe una monitorazione, da parte di WMF e/o degli utenti di Wikipedia, di tutti i centinaia di milioni di contributi inseriti, in tempo reale e costante, su tutte le milioni di voci che costituiscono le diverse edizioni di Wikipedia, allo scopo di eliminare non solo qualunque violazione di copyright (cosa che, come detto più sopra, già viene fatta, anche se talvolta con ritardi e tempi tecnici che dipendono dalla difficoltà e dalla delicatezza di questo tipo di controlli), ma anche di qualunque link a qualunque sito che possa violare il copyright. Di fatto si tratta di una richiesta impossibile da adempiere, per come è strutturata l’enciclopedia.

Anche se la proposta di legge ha subito alcune modifiche, per la WMF e per la maggior parte degli utenti di en.wiki (e di molte altre edizioni linguistiche di wikipedia, che in questo momento si stanno esprimendo nella pagina en:Wikipedia:SOPA initiative), il SOPA resta un’inaccettabile limitazione alla libertà del Web, libertà che è il prerequisto essenziale all’esistenza di Wikipedia stessa e in generale di tutti i progetti OpenSource, che del web rappresentano una ricchezza. Citando nuovamente Geoff Brigham:

(EN)

«  In short, though there have been some improvements with the new version, SOPA remains far from acceptable. Its definitions remain too loose, and its structural approach is flawed to the core. It hurts the Internet, taking a wholesale approach to block entire international sites, and this is most troubling for sites in the open knowledge movement who probably have the least ability to defend themselves overseas. The measured and focused approach of the DMCA has been jettisoned. Wikimedia will need to endure significant burdens and expend its resources to comply with conceivably multiple orders, and the bill will deprive our readers of international content, information, and sources. »
(IT)

« In breve, anche se ci sono stati dei miglioramenti nella nuova versione [della legge], il SOPA rimane di gran lunga inaccettabile. I suoi termini rimangono troppo vaghi, ed il suo impianto strutturale imperfetto sin dalla radice. Colpisce il web, con un approccio grossolano che imporrebbe l’intero blocco di tutti i siti internazionali, e avrebbe le ripercussioni peggiori su quei siti dei movimenti per la cultura libera che hanno probabilmente minori probabilità di difendersi oltreoceano. Inasprisce le misure oculate ed accorte della DMCA. Wikimedia si vedrà costretta a farsi carico di oneri significativi e dovrà spendere le proprie risorse per andare incontro alle innumerevoli ingiunzioni, e il disegno di legge priverà i nostri lettori di contenuti internazionali, di informazioni e di fonti.  »
(Geoff Brigham, How SOPA will hurt…)

Iniziative proposte

NB: si ricorda che i progetti Wikimedia sono organizzati in base alla lingua parlata, e non alla nazionalità. Quindi per en.wikipedia si intende “Wikipedia in lingua inglese”, e non Wikipedia inglese (o statunitense); similmente it.wikipedia è la “Wikipedia in lingua italiana”, non la Wikipedia “dell’Italia”.

Iniziative su en.wikipedia

Nella Wikipedia in lingua inglese gli utenti, dopo essersi organizzati nella pagina en:Wikipedia:SOPA initiative/Action, hanno deciso di oscurare il sito a livello mondiale nella giornata del 18 gennaio, a partire dalle ore 05:00 UTC.

Sono stati proposti diversi avvisi da inserire nel sito, visionabili nella pagina en:Wikipedia:SOPA initiative/Proposed Messages, e anche delle schermate (che sostituirebbero le pagina dell’enciclopedia, qualora si decidesse effettivamente di procedere con il “blocco”), visionabili invece nella pagina en:Wikipedia:SOPA initiative/Blackout screen designs. Per avvisare i contributori dell’imminente blocco, hanno sviluppato un banner informativo.

Comunicato ufficiale di en.wiki

Da Wikipedia:Bar/Discussioni/Protesta di Wikipedia contro le proposte legislative statunitensi:
Riassunto e conclusioni della discussione sulla Wikipedia:SOPA initiative svoltasi su Wikipedia in lingua inglese.

(comunicato originale) (traduzione non ufficiale)
Wikipedia is an online encyclopedia that has been developed by tens of thousands of volunteers from all over the world over the last 11 years. Together, we have created millions of articles containing billions of facts, referenced to hundreds of thousands of sources from around the world. We have grown to be one of the most frequently accessed websites in the world. Wikipedians are fiercely proud and protective of our ability to freely share knowledge with the rest of the world, as the first of 846 related projects in 280 languages working under the umbrella of the Wikimedia Foundation.
In late 2011, the United States Congress proposed two legislative bills, the Stop Online Piracy Act (SOPA) and the PROTECT IP Act (PIPA), which legal scholars and others have advised have the potential to significantly change the way that information can be shared through the Internet. It is the opinion of the English Wikipedia community that both of these bills, if passed, would be devastating to the free and open web.
Over the course of the past 72 hours, over 1800 Wikipedians have joined together to discuss proposed actions that the community might wish to take against SOPA and PIPA. This is by far the largest level of participation in a community discussion ever seen on Wikipedia, which illustrates the level of concern that Wikipedians feel about this proposed legislation. The overwhelming majority of participants support community action to encourage greater public action in response to these two bills. Of the proposals considered by Wikipedians, those that would result in a “blackout” of the English Wikipedia, in concert with similar blackouts on other websites opposed to SOPA and PIPA, received the strongest support.
On careful review of this discussion, the closing administrators note the broad-based support for action from Wikipedians around the world, not just from within the United States. The primary objection to a global blackout came from those who preferred that the blackout be limited to readers from the United States, with the rest of the world seeing a simple banner notice instead. We also noted that roughly 55% of those supporting a blackout preferred that it be a global one, with many pointing to concerns about similar legislation in other nations. For example, one British editor stated “American law is America’s business, but law that affects Wikipedia worldwide is an issue of worldwide interest”, a principle we felt had considerable support.
Therefore, on behalf of the English Wikipedia community, the Wikimedia Foundation is asked to allocate resources and assist the community in blacking out the project globally for 24 hours starting at 05:00 UTC on January 18, 2012, or at another time as determined by the Wikimedia Foundation. This should be carried out while respecting technical limitations of the underlying software, and should specifically prevent editing wherever possible. Provisions for emergency access to the site should be included in the blackout software. In order to assist our readers and the community at large to educate themselves about SOPA and PIPA, these articles and those closely related to them will remain accessible for reading purposes if possible. Wikipedians are urged to work with WMF staff to develop effective messaging for the “blackout screens” that directs readers to suitable online resources. Sister projects, such as the German and Italian Wikipedias and Wikimedia Commons, have indicated an intention to support the same principles with banners on those sites, and the support of other projects is welcome and appreciated.
Internal Wikipedia processes that are dependent upon time-specific discussions, such as Wikipedia:Requests for adminship and Wikipedia:Articles for deletion discussion should be considered suspended during the course of the blackout, and their scheduled duration extended 24 hours.
Signed,
NW (Talk) 23:46, 16 January 2012 (UTC)
Risker (talk) 23:48, 16 January 2012 (UTC)
— billinghurst sDrewth 23:49, 16 January 2012 (UTC)
On behalf of the Wikimedia Foundation, I thank all editors who participated in the conversations, and we accept the recommendations, and will work hard to follow the recommendations to the best of our ability. Particular thanks to the closing administrators for their hard (and very fast!) work. Philippe Beaudette, Wikimedia Foundation (talk) 23:52, 16 January 2012 (UTC)
Wikipedia è un’enciclopedia online che è stata sviluppata da decine di migliaia di volontari provenienti da tutto il mondo negli ultimi 11 anni. Insieme abbiamo creato milioni di articoli che contengono miliardi di fatti, si fa riferimento a centinaia di migliaia di fonti provenienti da tutto il mondo. Siamo cresciuti fino a diventare uno dei siti più consultati al mondo. I Wikipediani sono fieramente orgogliosi e protettivi della nostra capacità di condividere liberamente le conoscenze con il resto del mondo, nel ruolo di primo di 846 progetti correlati in 280 lingue di lavoro che operano sotto l’egida della Wikimedia Foundation.
Alla fine del 2011, il Congresso degli Stati Uniti ha presentato due progetti di legge, la legge per fermare la pirateria online (SOPA) e il PROTECT IP Act (PIPA), che studiosi del diritto ed altri hanno sottolineato contenere un potenziale per cambiare significativamente il modo in cui le informazioni possono essere condivise attraverso Internet. E’ parere della comunità della versione di Wikipedia inglese che entrambi questi disegni di legge, se approvati, sarebbero devastanti per il web libero e aperto.
Nel corso delle ultime 72 ore, oltre 1.800 wikipediani si sono riuniti per discutere le azioni proposte che la comunità intenda adottare contro SOPA e PIPA. Questo è di gran lunga il maggior livello di partecipazione ad una discussione della comunità mai visto su Wikipedia, il che illustra il livello di preoccupazione che i wikipediani avvertono a proposito di queste proposte di legge. La stragrande maggioranza dei partecipanti sostiene l’azione della comunità per sollecitare una più vasta azione pubblica in risposta a queste due proposte di legge. Tra le proposte prese in considerazione dai wikipediani, quelle che si tradurrebbero in un “blackout” della Wikipedia in inglese, di concerto con black-out simili su altri siti web che si oppongono a SOPA e PIPA, hanno ricevuto l’approvazione più ampia.
Nell’attenta analisi di questa discussione, gli amministratori hanno sottolineato l’ampio sostegno all’azione pervenuto da wikipediani di tutto il mondo, non solo dall’interno degli Stati Uniti. L’obiezione principale ad un blackout globale, è venuta da coloro che preferivano che il blackout fosse limitato ai lettori dagli Stati Uniti, con il resto del mondo che avesse visto un semplice banner di avviso, invece. Abbiamo anche notato che circa il 55% di coloro che sostenevano un blackout avrebbe preferito che fosse globale, mostrando preoccupazione in riferimento a legislazioni simili di altre nazioni. Per esempio, un utente britannico ha affermato che “la legge americana è un affare americano, ma la legge che colpisce Wikipedia in tutto il mondo, è un problema di interesse mondiale”, un principio che abbiamo riscontrato aver ricevuto notevole sostegno.
Pertanto, a nome della comunità di Wikipedia in lingua inglese, si richiede alla Wikimedia Foundation di allocare le risorse ed assistere le comunità nell’oscurare il Progetto a livello mondiale per 24 ore a partire alle 05:00 UTC del 18 gennaio 2012, o in un altro momento determinato dalla Wikimedia Foundation. Questo dovrebbe essere effettuato nel rispetto delle limitazioni tecniche del software di base, e deve in particolare impedire l’edizione, ove possibile. Strumenti per l’accesso di emergenza al sito dovrebbero essere inclusi nel software di blackout. Al fine di assistere i nostri lettori e la comunità in generale per informare su SOPA e PIPA, questi articoli e quelli strettamente legati ad essi rimarranno accessibili per consentirne la lettura, se possibile. I Wikipediani sono caldamente invitati a collaborare con il personale WMF per lo sviluppo di messaggistica efficace per le “pagine di blackout” che indirizzano i lettori ad adeguate risorse on-line. I Progetti fratelli, come la Wikipedia tedesca e italiana e Wikimedia Commons, hanno annunciato l’intenzione di supportare gli stessi principi con banner su tali siti, e il sostegno di altri progetti è benvenuto e apprezzato.
Le procedure interne di Wikipedia che dipendono da discussioni a tempo determinato, come ad esempio richieste di adminship e di cancellazioni devono essere considerate sospese nel corso del blackout, e la loro durata prevista estesa di 24 ore.
Firmato,
NW (talk) 23:46, 16 gennaio 2012 (UTC)
Risker (talk) 23:48, 16 gennaio 2012 (UTC)
– Billinghurst sDrewth 23:49, 16 gennaio 2012 (UTC)
A nome della Wikimedia Foundation, ringrazio tutti gli utenti che hanno partecipato alla discussione, accettiamo le raccomandazioni, e lavoreremo duro per seguire le raccomandazioni al meglio delle nostre capacità. Un ringraziamento particolare agli amministratori per il difficile (e molto veloce!) lavoro svolto. Philippe Beaudette, Wikimedia Foundation (talk) 23:52, 16 gennaio 2012 (UTC)

Iniziative su it.wikipedia

Su it.wiki le discussioni sono state portate avanti nella pagina Wikipedia:Bar/Discussioni/Stop_SOPA_initiative; dove è stato organizzato anche un sondaggio informale per raccogliere le opinioni. Successivamente la discussione è proseguita nella pagina Wikipedia:Bar/Discussioni/Stop SOPA initiative 2 (il cambiamento di pagina è stato dovuto unicamente a motivi di spazio e di leggibilità) dove, a partire dalla tarda mattinata del 17 gennaio (ora italiana) è stato organizzato un nuovo sondaggio per decidere quale iniziativa scegliere, anche alla luce della decisione finale degli utenti di en.wikipedia di attuare il blocco totale del sito.

In seguito a tali discussioni e votazioni, che sono state molto partecipate e sentite da parte della comunità, si è giunti alle seguenti conclusioni:

  • Molti utenti avevano chiesto, come misura di protesta, di introdurre un blocco ai contenuti dell’enciclopedia limitato agli utenti che avessero provato ad accedere dagli USA, ma tale opzione (pur ricevendo la maggioranza dei voti) non è stata implementata a causa delle difficoltà tecniche che avrebbe richiesto.
  • Vista l’impossibilità della prima soluzione, la maggioranza si è espressa per introdurre un banner informativo, attualmente (18 gennaio) visibile in cima a tutte le pagine dell’enciclopedia, ed una “skip-page”, ovvero un messaggio di avviso a tutto schermo visualizzato al primo accesso al sito. Nel banner è stato deciso, sempre dietro discussioni, di inserire un link ad un Comunicato ufficiale, firmato da “Gli utenti della Wikipedia in lingua italiana”, in cui viene espressa la posizione di dissenso della comunità italiana in merito al SOPA e al PIPA, nonché si comunica solidarietà e vicinanza agli utenti della Wikipedia in lingua inglese, e sostegno alla loro protesta

Reazioni ed iniziative extra-wikipediane

Banner di protesta del sito ufficiale della Electronic Frontier Foundation.

Non è stata solo Wikipedia e la Wikimedia Foundation ad esprimere preoccupazioni per i risvolti negativi che il SOPA ed il PIPA potrebbero avere per la libertà del web; anche molte altre associazioni e realtà operanti in Internet hanno dato giudizi negativi sugli effetti di tali leggi, con reazioni ora preoccupate, ora apertamente arrabbiate e polemiche.

La Electronic Frontier Foundation ha dedicato molta attenzione al SOPA, analizzandone la pericolosità in termini delle limitazioni alla libertà di parola e definendo senza troppi complimenti la legge come un atto di “censura“. In un post intitolato Hollywood’s New War on Software Freedom and Internet Innovation apparso sul sito ufficiale dell’organizzazione nel novembre 2011, la EFF considerava come la legge andrebbe a colpire anche i produttori e gli sviluppatori di software, oltre che gli internet provider (inclusi i motori di ricerca), e definendo il SOPA e “la sua compagna” PIPA “una legge oltraggiosa e gravemente fuorviata”.

Altre aziende o assiociazioni che operano nel web hanno annunciato di aderire alla protesta, e fra queste le seguenti hanno annunciato un “blackout” o una sospensione del servizio sui relativi siti nella giornata del 18 gennaio: Reddit.com [1], the Cheezburger network [2][3], Minecraft [4], Tucows [5], XDA [6], MLGS [7]. Sembra inoltre essere certo (sebbene manchino conferme ufficiali) che la Mozilla foundation si unirà alle azioni di protesta.

L’associazione Creative Commons ha fatto sentire la propria voce nell’opporsi alla legge: in un posto apparso sul suo blog ufficiale nel novembre 2011, intitolato Stop U.S. American censorship of the Internet e firmato dal vice presidente Mike Linksvayer si legge come, a detta dell’Associazione, la SOPA “minacci ogni singolo sito internet”, ma in particolare i progetti Commons che utilizzano software libero e licenze copyleft, che vedrebbero “aumentare i i costi ed i rischi legali nel fornire piattaforme per la condivisione e la collaborazione” (nominando anche fra questi esplicitamente Wikipedia).

Anche sul piano istituzionale la legge sta incontrando dei detrattori: fra questi la House Minority Leader Nancy Pelosi, ed il deputato Darrell Issa e il candidato presidente Ron Paul, repubblicani, i quali hanno firmato, insieme a nove deputati del Partito Democratico statunitense, una lettera indirizzata agli altri parlamentari in cui si sottolinea che, a loro parere, il SOPA porterebbe a “un’esplosione di cause e processi che avrebbero ucciso il progresso tecnologico” (fonte: Articolo su Ars Technica).

Pagine correlate e collegamenti esterni

 

How SOPA will hurt the free web and Wikipedia

Posted by Geoff on December 13th, 2011 (modificato 12 gennaio 2012)

For the past several days, Wikipedia editors have been discussing whether to stage a protest against the proposed Stop Online Piracy Act (SOPA). I’ve been asked to give some comments on the bill and explain what effect the proposed legislation might have on a free and open Internet as well as Wikipedia. My goal in this blog post is to provide some information and interpretation that I hope will be helpful to Wikipedia editors as they discuss the bill.

SOPA has earned the dubious honor of facilitating Internet censorship in the name of fighting online infringement. The Wikimedia Foundation opposed that legislation, but we should be clear that Wikimedia has an equally strong commitment against copyright violations. The Wikimedia community, which has developed an unparalleled expertise in intellectual property law, spends untold hours ensuring that our sites are free of infringing content. In a community that embraces freely-licensed information, there is no room for copyright abuses.

We cannot battle, however, one wrong while inflicting another. SOPA represents the flawed proposition that censorship is an acceptable tool to protect rights owners’ private interests in particular media. That is, SOPA would block entire foreign websites in the United States as a response to remove from sight select infringing material. This is so even when other programs like the Digital Millennium Copyright Act have found better balances without the use of such a bludgeon. For this reason, we applaud the excellent work of a number of like-minded organizations that are leading the charge against this legislation, including the Electronic Frontier Foundation, Public Knowledge, Creative Commons, Center for Democracy and Technology, NetCoalition, the Internet Society, AmericanCensorship.org, and others.

On Tuesday, after receiving input on the original version of the bill, the House Judiciary Committee issued a new version of SOPA for its mark-up scheduled for this coming Thursday. A vote on that mark-up may take place on the same day. At the end of this article, I provide a summary of the most relevant parts of this new version of SOPA as well as a summary of the legislative process (which you can also follow here).

In honesty, this new version of the bill is better (and credit goes to the Judiciary staff for that). But, it continues to suffer from the same structural pitfalls, including its focus on blocking entire international sites based on U.S.-based allegations of specific infringement. Criticism has been significant. [1] Representative Darrell Issa, a California Republican, for example, felt the bill “retains the fundamental flaws of its predecessor by blocking Americans’ ability to access websites, imposing costly regulation on Web companies and giving Attorney General Eric Holder’s Department of Justice broad new powers to police the Internet.”

Members of our community are weighing whether a protest action is appropriate. I want to be very clear: the Wikimedia Foundation believes that the decision of whether to stage a protest on-wiki, such as shutting down the site or putting a banner at the top, is a community decision. The Wikimedia Foundation will support editors in whatever they decide to do. The purpose of this post is to provide information for editors that will aid them in their discussions.

I’ve been asked for a legal opinion. And, I will tell you, in my view, the new version of SOPA remains a serious threat to freedom of expression on the Internet.

  • The new version continues to undermine the DMCA and federal jurisprudence that have promoted the Internet as well as cooperation between copyright holders and service providers. In doing so, SOPA creates a regime where the first step is federal litigation to block an entire site wholesale: it is a far cry from a less costly legal notice under the DMCA protocol to selectively take down specified infringing material. The crime is the link, not the copyright violation. The cost is litigation, not a simple notice.
  • The expenses of such litigation could well force non-profit or low-budget sites, such as those in our free knowledge movement, to simply give up on contesting orders to remove their links. (Secs. 102(c)(3); 103(c)(2)) The international sites under attack may not have the resources to challenge extra-territorial judicial proceedings in the United States, even if the charges are false.
  • The new version of SOPA reflects a regime where rights owners may seek to terminate advertising and payment services, such as PayPal, for an alleged “Internet site dedicated to theft of U.S. property.” (Sec. 103(c)(2)) A rights owner must seek a court order (unlike the previous version) (Sec. 103(b)(5)). Most rights owners are well intentioned, but many are not.[2] We cannot assume that litigious actions to block small sites abroad will always be motivated in good faith, especially when the ability to defend is difficult.
  • Although rendering it discretionary (Secs.102(c)(2)(A-E); 103(c)(2)(A-B)), the new bill would still allow for serious security risks to our communications and national infrastructure. The bill no longer mandates DNS blocking but still allows it as an option. As Sherwin Siy, deputy legal director of Public Knowledge, explained: “The amendment continues to encourage DNS blocking and filtering, which should be concerning for Internet security experts . . . .”
  • The Electronic Frontier Foundation advises that the new proposed legislation still targets tools that might be used to “circumvent” the blacklist, even though those tools are essential to human rights activists and political dissidents around the world.

More specifically with respect to Wikimedia, the new version is an improvement, but, in addition to the reasons listed above, it remains unacceptable:

Wikipedia arguably falls under the definition of an “Internet search engine,” [3] and, for that reason, a federal prosecutor could obtain a court order mandating that the Wikimedia Foundation remove links to specified “foreign infringing sites” or face at least contempt of court sanctions. [4] The definition of “foreign infringing sites” is broad[5] and could well include legitimate sites that host mostly legal content, yet have other purported infringing content on their sites. Again, many international sites may decide not to defend because of the heavy price tag, allowing an unchallenged block by the government.

The result is that, under court order, Wikimedia would be tasked to review millions upon millions of sourced links, locate the links of the so-called “foreign infringing sites,” and block them from our articles or other projects. It costs donors’ money and staff resources to undertake such a tremendous task, and it must be repeated every time a prosecutor delivers a court order from any federal judge in the United States on any new “foreign infringing site.” Blocking links runs against our culture of open knowledge, especially when surgical solutions to fighting infringing material are available.

Under the new bill, there is one significant improvement. The new version exempts U.S. based companies – including the Wikimedia Foundation – from being subject to a litigation regime in which rights owners could claim that our site was an “Internet site dedicated to theft of U.S. property.” Such a damnation against Wikimedia could have easily resulted in demands to cut off our fundraising payment processors. The new version now exempts U.S. sites like ours. (Sec. 103(a)(1)(A)(ii)) In short, though there have been some improvements with the new version, SOPA remains far from acceptable. Its definitions remain too loose, and its structural approach is flawed to the core. It hurts the Internet, taking a wholesale approach to block entire international sites, and this is most troubling for sites in the open knowledge movement who probably have the least ability to defend themselves overseas. The measured and focused approach of the DMCA has been jettisoned. Wikimedia will need to endure significant burdens and expend its resources to comply with conceivably multiple orders, and the bill will deprive our readers of international content, information, and sources.

Geoff Brigham
General Counsel
Wikimedia Foundation

Geoff’s notes on the bill

H.R. 3261 – STOP ONLINE PIRACY ACT

Section 102

Section 102
A “foreign infringing site” is a:

  • U.S. directed site:
    • Definition: Foreign Internet site used to conduct business directed to U.S. residents OR that otherwise demonstrates the existence of minimum contacts sufficient for the exercise of personal jurisdiction over the owner or operator of the Internet site consistent with the U.S. Constitution; according doesn’t not cover such sites as .com, .org, .biz, etc.;
  • Used by users in the U.S.; and
  • Operated in a manner that would, if it were a domestic Internet site, subject it (or its associated domain name) to:
    • Seizure or forfeiture in the U.S. in an action brought by the Attorney General, by reason of an act prohibited by sections 2318, 2319, 2319A, 2319B, or 2320, or chapter 90, of 18 U.S.C.; or
    • Prosecution by the Attorney General under sections 1204 of title 17, United States Code, by reason of a violation of section 1201 of such title.

If a foreign Internet site is a “foreign infringing site,” the Attorney General (AG) can:

  • Commence an action in personam against a registrant of a domain name used for the foreign infringing site OR an owner or operator of a foreign infringing site.
  • Commence an action in rem against the foreign infringing site or the foreign domain used by such site if it cannot commence an action in personam.

On application of the AG, after commencement of either of the above actions, the court may issue a temporary restraining order, a preliminary injunction, or an injunction against:

  • A registrant of a domain name used by the foreign infringing site or an owner or operator of the foreign infringing site if the action is in personam; or
  • The foreign infringing site or the domain name used by such site, to cease and desist from undertaking any further activity as a foreign infringing site if the action is in rem.

After an order is issued and served, the AG can require the following of:

  • Internet search engines:
    • Definition: a service made available via the Internet whose primary function is gathering and reporting, in response to a user query, indexed information or Web sites available elsewhere on the Internet and does not include a service that retains a third party that is subject to service in the U.S. to gather, index or report information available elsewhere on the Internet.
    • Measures: Technically feasible and “commercially” reasonable, and taken as expeditiously as possible, rather than within 5 days.
    • Order: Applicable to search engines must be narrowly tailored to be consistent with the First Amendment as the least restrictive means of achieving the goals of this Title.
  • Service Provider:
    • Measures: Least burdensome, technically feasible and reasonable to prevent resolving to the foreign infringing site domain name’s IP address, taken as expeditiously as possible, rather than within 5 days.
  • Payment network providers/ Internet advertising services:
    • Measures: Technically feasible and “commercially” reasonable to halt payment processing, and taken as expeditiously as possible, rather than within 5 days

Section 103

Definitions were changed and none of the Wikimedia.org properties (or any other U.S. registered sites) are covered by this section.

New definition of “Internet site dedicated to theft of U.S. property”:

  • U.S. directed site OR Site for which the registrant of the domain name used, and the owner or operator are not located and cannot be found within U.S.;
    • Wikimedia is outside of this definition because based on the “U.S. directed site” definition outlined above; Wikimedia is not a foreign Internet site.
  • Site is used by users within the U.S.; and
  • Site is primarily designed or operated for the purpose of, has only limited purpose or use other than, or is marketed by operator or another acting in concert with that operator primarily for use in, offering goods or services in violation of sections 501 or 1201 of title 17 or certain provisions of the Lanham Act OR the operator of the site operates the site with the object of promoting, or has promoted, its use to carry out acts that constitute a violation of section 501 or 1201 of title 17, as shown by clear expression or other affirmative steps taken to foster such violation.

Qualifying plaintiff:

  • Definition has been narrowed down to be “any person with standing to bring a civil action for violations described in paragraph 1(C),” which requires infringement, rather than any holder of intellectual property rights harmed by activities of the site.

 

Process

SOPA Legislative Process[6]
House
  • Full committee markup (Thursday)
    • Members of the committee study the viewpoints presented in detail. Amendments may be offered to the bill, and the committee members vote to accept or reject these changes.
      • At the conclusion of deliberation:
        • A vote of committee members is taken to determine what action to take on the bill.
        • It can be reported, with or without amendment, or tabled (which means no further action on it will occur).
        • If no vote is taken, another markup will be scheduled
  • Manager’s Amendment
    • Possible amendments to the bill that were not voted on in committee.
      • This new bill is the one that is submitted to the floor.
  • Rules Committee Hearing
    • Determines whether the bill will be considered under a closed rule (no amendments), an open rule (any amendment in order), or a modified closed rule (in which only some amendments are in order).
  • Floor time (probably not until early January):
    • If the bill is voted on and approved to move to the Floor, floor time must be scheduled.
      • Vote to recommit: vote to send the bill back to committee might be requested.
    • Vote on final passage: if the bill is voted on and passed by the House, it moves out to conference committee.
    • It can also be sent back and forth between the House and Senate in order to avoid a conference.
Senate
  • The bill is already out of Committee
  • Hold on the bill:
    • Senator Wyden has placed a hold on the bill
    • Senator Reid can override the hold or call a cloture vote to defeat it.
  • Manager’s Amendment
    • Possible amendments to the bill that were not voted on in committee.
      • This new bill is the one that is submitted to the floor
  • Floor time (probably early next year):
    • If the hold is defeated or overridden, then floor time must be scheduled.
      • Bill voted on by roll call vote, voice vote, unanimous consent, or division.
    • If the bill is passed, it is sent out to conference committee.
    • It can also be sent back and forth between the House and Senate in order to avoid a conference committee.
Conference Committee
  • Once a bill leaves the House and the Senate, it must be reconciled if anything in the two versions of the bill is different otherwise it is sent to the President (see below)
  • The house in which the bill originated is given a copy of the bill with its differences.
    • If the changes are minor, they might be accepted by the originating house with no debate.
    • If changes are of a more substantial nature a conference is called.
  • The conference can be closed and informal or open and very formal.
  • Following negotiations, the managers make reports back to their houses. If they are able to agree on the bill, the bill is re-voted upon in both houses.
    • If they were able to agree only on some parts of the bill or unable to agree at all, the bill may go back to a new conference committee, be referred back to the committees in the two houses, or it may just die because the differences are too vast to bridge.
President
  • Officially, all bills that pass both houses are signed by the Speaker of the House and the President of the Senate before being presented to the President.
    • This process could delay a bill a day or two.
  • Then, the bill is delivered to the President.
    • The President may sign the bill at any time after its deliverance.
    • If it sits unsigned for more than a 10-day period, it becomes law regardless of his signature or not.
      • The exception to this 10-day period is a pocket veto, in which the President can kill a bill if it goes unsigned and Congress adjourns prior to the 10-day time limit.
    • If the President vetoes the bill, a veto message is sent back to Congress.
      • The two houses of Congress may decide to revote, and two-thirds is needed to override the veto and have the bill become a law.
        • If no immediate revote is taken, the bill can be tabled for later vote or sent back to the committee to have further work done.
        • If a vote is taken to override, and the vote fails, the bill dies.

 

References and notes

  1. ^ http://www.cato-at-liberty.org/the-new-sopa-now-with-slightly-less-awfulness/
    http://cdt.org/blogs/david-sohn/1312proposed-revision-sopa-some-welcome-cuts-major-concerns-remain
    https://www.eff.org/deeplinks/2011/12/sopa-manager’s-amendment-sorry-folks-it’s-still-blacklist-and-still-disaster
  2. ^ See http://www.chillingeffects.org/resource.cgi?ResourceID=101 (providing a list of articles documenting abuses that certain rights owners have engaged in within the DMCA context).
  3. ^ An “Internet Search Engine” is defined as “a service made available via the Internet whose primary function is gathering and reporting, in response to a user query, indexed information or web sites available elsewhere on the Internet.” Sec. 101(15)(A). This definition does not include services that retain “a third party that is subject to service of process in the United States to gather, index, or report information available elsewhere on the Internet.” Sec. 101(15)(B). Although not conceding the point, Wikimedia arguably does not appear to fall under this exemption.
  4. ^ Sec. 102(c)(3)(A)(i). To ensure compliance with orders issued under Section 102, the Attorney General may bring an action for injunctive relief against any Internet Search Engine that knowingly and willfully fails to comply with the requirements of section 102(c)(2)(B) to compel such entity to comply with such requirements.
  5. ^ Generally speaking, a “foreign infringing site” is any U.S.-directed site, used by users in the United States, being operated in a manner that would, if it were a domestic Internet site, subject the site to liability for criminal copyright infringement, as well as other federal copyright or trade secret violations. See Sec. 102(a)(1-2).
  6. ^ http://www.house.gov/content/learn/legislative_process/
    http://www.usconstitution.net/consttop_law.html.

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agcom

Regolamento Agcom

Pubblicato 07 dicembre 2011 da redazione

DELIBERA N. 398 /11/

CONSULTAZIONE PUBBLICA SULLO SCHEMA DI REGOLAMENTO IN MATERIA DI TUTELA DEL DIRITTO D’AUTORE SULLE RETI DI COMUNICAZIONE ELETTRONICA

L’AUTORITÀ NELLA sua riunione del Consiglio del 6 luglio 2011; VISTA la legge 31 luglio 1997, n. 249, recante “Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo”, pubblicata nel Supplemento ordinario n. 154/L alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 31 luglio 1997, n. 177, ed in particolare l’art.1, comma 6, lettera b), punto 4 bis; VISTA la legge 22 aprile 1941, n. 633 recante “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 16 luglio 1941, n. 166, e successive modificazioni ed integrazioni, ed in particolare l’art. 182 bis; RILEVATO, in particolare, che il citato articolo 182-bis della legge del 22 aprile 1941, n. 633, introdotto dall’articolo 11 della legge 18 agosto 2000, n. 248, al fine di prevenire ed accertare violazioni delle prescrizioni in materia di diritto d’autore, attribuisce all’Autorità funzioni di vigilanza da svolgere in coordinamento con la Società Italiana degli autori e degli editori (SIAE), ciascuna nell’ambito delle rispettive competenze previste dalla legge; VISTO il decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, recante “Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico”, pubblicato nel Supplemento ordinario n. 61 alla Gazzetta Ufficiale del 14 aprile, n. 87, ed in particolare gli artt. 14, comma 3, 15, comma 2, e 16, comma 3; RILEVATO che gli articoli 14, 15 e 16 del citato decreto legislativo n. 70/2003, ai citati commi, dispongono che l’autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza può esigere anche in via d’urgenza, che il prestatore, nell’esercizio delle proprie attività come ivi definite, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse; VISTO il decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, recante il “Codice delle comunicazioni elettroniche”, pubblicato nel Supplemento ordinario n. 150 alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 15 settembre 2003, n. 214, e successive modificazioni e integrazioni;

VISTO il decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, pubblicato nel Supplemento ordinario n. 150 alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 208 del 7 settembre 2005, come modificato dal decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 73 del 29 marzo 2010, recante il “Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici” e in particolare gli articoli 3 e 32-bis; RILEVATO che l’art. 3 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, così come modificato dall’articolo 17, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44, include, tra i principi fondamentali del sistema dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, “la tutela della libertà di espressione di ogni individuo, inclusa la libertà di opinione e quella di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza limiti di frontiere, l’obiettività, la completezza, la lealtà e l’imparzialità dell’informazione, la tutela dei diritti d’autore e di proprietà intellettuale”; RILEVATO che l’art. 32-bis, comma 2, lett. b), del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, così come inserito dall’articolo 17, comma 1, lettera ee), del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44, dispone che “I fornitori di servizi di media audiovisivi operano nel rispetto dei diritti d’autore e dei diritti connessi, ed in particolare: (…) b) si astengono dal trasmettere o ri-trasmettere, o mettere comunque a disposizione degli utenti, su qualsiasi piattaforma e qualunque sia la tipologia di servizio offerto, programmi oggetto di diritti di proprietà intellettuale di terzi, o parti di tali programmi, senza il consenso di titolari dei diritti, e salve le disposizioni in materia di brevi estratti di cronaca”; VISTO il documento contenente gli esiti dell’indagine conoscitiva condotta dall’Autorità sul tema “Il diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica”, pubblicato sul sito web dell’Autorità in data 12 febbraio 2010; VISTA la delibera n. 668/10/CONS del 17 dicembre 2010, recante “Lineamenti di provvedimento concernente l’esercizio delle competenze dell’Autorità di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica”, con la quale è stata indetta una consultazione pubblica sul documento che ha definito gli elementi essenziali del provvedimento concernente l’esercizio delle competenze dell’Autorità nell’attività di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica; CONSIDERATO che, in materia di tutela del diritto d’autore, l’Autorità ha visto accrescere progressivamente il proprio ruolo grazie a interventi del legislatore che poggiano su tre pilastri normativi ben identificati. Il primo riconoscimento di competenze è avvenuto nel 2000, con la legge n. 248, che, nell’aggiornare le disposizioni della legge n. 633/41, inseriva l’articolo 182-bis, con cui si attribuivano all’Autorità e alla SIAE, nell’ambito delle rispettive competenze previste dalla legge, poteri di vigilanza. La norma in questione attribuisce altresì all’Autorità, al comma 3, poteri di ispezione, da espletarsi tramite i propri funzionari,

agendo in coordinamento con gli ispettori della SIAE, con l’obbligo di informare gli organi di polizia giudiziaria in caso di accertamento di violazioni. A tale generale potere di vigilanza e di ispezione si sono affiancati, nel 2010, i poteri di regolazione attribuiti dall’articolo 32-bis del d.lgs. n. 44, che, dopo aver introdotto tra i principi fondamentali all’art. 3 “la tutela dei diritti d’autore e di proprietà intellettuale”, impone ai fornitori di servizi di media audiovisivi il rispetto dei diritti d’autore e dei diritti connessi nell’esercizio della propria attività, prevedendo altresì che l’Autorità emani le disposizioni regolamentari necessarie per rendere effettiva l’osservanza dei limiti e dei divieti di cui alla norma citata. L’articolo 32-bis del Testo unico e l’articolo 182-bis della legge sul diritto d’autore si integrano, poi, con le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 70 del 2003, di recepimento della direttiva sul commercio elettronico, che traccia contenuti e limiti delle responsabilità degli internet service provider (di seguito ISP), a seconda che svolgano attività di mere conduit, di caching e hosting di contenuti digitali, e, nell’introdurre il doppio binario di tutela – amministrativa e giudiziaria –, prevede che l’autorità “amministrativa avent[e] funzioni di vigilanza” possa esigere, al pari di quella giudiziaria, che il prestatore di servizi “impedisca o ponga fine alle violazioni commesse”; AVUTO RIGUARDO ai numerosi contributi, tra cui, l’Associazione editori software videoludico italiana, l’Associazione italiana editori, l’Associazione Italiana Internet Provider, l’Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali, l’Associazione Nazionale Produttori Autori Disc, l’Associazione Nazionale videonoleggiatori italiani, l’Associazione produttori televisivi, l’Associazione content service provider, l’Associazione ridistributori del settore home entertainment, l’Assotelecomunicazioni, la Business Software Alliance, la camera di commercio USA, lo studio legale CBM & partners, Confindustria cultura, Confindustria sistemi innovativi e tecnologici, EMI Music Italy, la Federazione antipirateria audiovisiva, FASTWEB, FEDERAZIONE ITALIANA DEGLI AUTORI, la Federazione operatori web, la Federazione Editori Musicali, la Federazione media digitali indipendenti, la Federazione Italiana Editori Giornali, la Federazione Industria Musicale Italiana, FOX, GOOGLE, il Prof. Gustavo Ghidini, il Nuovo Istituto per la tutela dei diritti degli artisti interpreti esecutori, l’Avv. Marco Provvidera, Massimiliano Santoni, il Movimento per la difesa dei cittadini, MEDIASET, MICROSOFT, la Motion Picture Association of America, il centro studi NEXA Politecnico di Torino, i Produttori musicali indipendenti, RAI, RTI, SACT, SCAMBIO ETICO, la Società Italiana Autori ed Editori, SKY, THE SPACE CINEMA, Telecom Italia, Telecom Italia Media, UNIVERSAL MUSIC, UNIVERSAL PICTURES, l’Unione italiana editoria audiovisiva, VODAFONE, WARNER BROS, WARNERMUSIC, WIND, l’iniziativa SITONONRAGGIUNGIBILE (che comprende Agorà digitale, Studio legale Sarzana, Assoprovider, Altroconsumo, Adiconsum), la categoria dei videonoleggiatori (che comprende Alphamatic, Busterpoint, Cast Video e musica, Centro Professionale, Centro Video, Cinecittà Videoclub Sas, Dvd Planet, Effetti speciali sas, Euroself, Filminvideo, Hollywoodcinema, il grande cinema Biancavilla, il Grande Cinema di Agliozzo Gaetano, Movie 24h, Moviestation, Nonsolovideo, PCP Fratelli Paolini, Planet movie, Ricupero Rocco Santi, Robovideo, Selfvideo sas, Tamtam video, Tecnovideo sas, Tigervideo, Videobox snc, Videoclub93, Videoexpress, Videoline, Videomania OK, Videomusic house, Videonauta, Videonews, Videosound, Videostore Sas, Videoteca Rocca Saverio, Videovoglia), pervenuti in sede di consultazione sui “lineamenti di provvedimento concernente l’esercizio delle competenze dell’Autorità nell’attività di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica” e alle osservazioni formulate nel corso delle audizioni svolte con i soggetti interessati che ne hanno fatto richiesta, che hanno dato luogo, in sintesi, alle osservazioni seguenti: 1. Il quadro normativo di riferimento (cfr. punti 1 e 2 dell’allegato B alla delibera n. 668/10/CONS) Posizioni principali dei soggetti intervenuti Con riferimento al tema dei poteri attribuiti all’Autorità, in linea generale, parte dei soggetti hanno attestato di condividere il quadro normativo come ricostruito dall’Autorità. Tuttavia, alcune categorie di soggetti, hanno avanzato obiezioni, ritenendo che la competenza dell’Autorità sia limitata ai soli fornitori di servizi di media audiovisivi e radiofonici, come definiti dal Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (di seguito, Testo Unico), assumendo escluso ogni potere sanzionatorio in capo all’Autorità nei confronti degli ISP e, più in generale, degli operatori di rete e dei gestori di siti internet privati. In altri termini, l’Autorità non avrebbe né alcun potere di accertare condotte di immissione di file in rete, potere che spetterebbe semmai agli organi giudiziari, né la possibilità di esercitare poteri inibitori o di rimozione selettiva che sarebbero, nel caso, riservati dalla legge, in via esclusiva, al giudice penale. Alcuni operatori individuano nell’Autorità il soggetto titolato a intervenire in questo settore e accolgono con favore l’intervento della stessa. Altri, pur condividendo l’analisi dell’Autorità e apprezzando l’intervento di quest’ultima, manifestano alcune riserve. Uno di questi auspica un intervento legislativo che miri a riorganizzare e modernizzare la normativa in materia, mentre un altro osserva che l’ordinamento italiano dovrebbe essere adeguato alla Direttiva UE sul commercio elettronico recepita con D.lgs. n. 70/2003, attraverso la rimozione degli ingiustificati ostacoli alla responsabilità degli ISP, e ritiene opportuno che l’Autorità individui un modello di regolazione della materia che tuteli equamente i consumatori, gli autori e i soggetti che veicolano contenuti protetti in rete, obiettivo che passa necessariamente attraverso l’adozione di opportune misure di contrasto della pirateria. Un altro partecipante suggerisce che, in fase successiva all’emanazione del regolamento, onde evitare conflitti con l’Autorità Giudiziaria Ordinaria, il legislatore provveda ad una complessiva revisione delle leggi vigenti in materia di diritto d’autore. C’è altresì chi, pur ravvisando l’idoneità della normativa di riferimento a conferire efficacia e solidità all’emanando regolamento, invita a un’attenta valutazione della questione, a fronte del probabile rischio di impugnazione dello stesso da parte di soggetti interessati a impedirne l’applicazione per la sua capacità di interferire su attività di impresa basate sullo sfruttamento senza titolo della proprietà intellettuale altrui. Anche un altro operatore invita alla cautela, al fine di evitare tensioni normative, nonché sovrapposizioni ed incoerenze tra i diversi livelli di enforcement delle regole. Un altro soggetto, infine, reputa fondamentale l’intervento del legislatore e del regolatore per la propria parte di competenza, purché ciò non leda in alcun modo le dinamiche concorrenziali del mercato della distribuzione dei prodotti audiovisivi. Un’altra parte dei rispondenti si oppone alle posizioni espresse dall’Autorità. In particolare, uno di essi fa presente che l’analisi contenuta nel Documento posto in consultazione corre il rischio di apparire limitata, non tenendo conto dell’effettiva ampiezza del mercato di riferimento, in cui l’offerta dei contenuti digitali, oltre a internet e tv-on-demand, avviene altresì tramite telefono cellulare (dispositivi mobili); posizione analoga è quella espressa da un altro partecipante, che ritiene l’analisi condotta dall’Autorità incompleta in quanto sbilanciata a favore di problematiche concernenti il mercato audiovisivo a svantaggio di quello musicale. Sulla stessa linea si pone un altro operatore, che osserva che le misure proposte si caratterizzano per una spiccata propensione all’analisi delle criticità tipiche dei media audiovisivi, dei gestori dei siti web, dei fornitori di connettività e di servizi di caching/hosting, lasciando invece nell’ombra la questione dei rapporti tra editori e operatori di comunicazione elettronica, e trascurando di tutelare tutte le opere dell’ingegno di artisti, scrittori, giornalisti ed editori, su qualsiasi piattaforma esse vengano distribuite, a cominciare dalla rete. Diversi soggetti intervenuti non ravvisano, nel combinato disposto dagli articoli 32-bis del Testo unico e 182-bis e 182-ter della legge n. 633/1941, alcun fondamento ad un potere regolamentare dell’Autorità sui contenuti digitali immessi in rete, stante la limitazione dell’ambito di applicazione dello stesso ai soli servizi di media audiovisivi e radiofonici, e ritengono che qualsiasi disposizione che incida sulla tutela dei diritti d’autore, in primis i provvedimenti inibitori, debba essere introdotta esclusivamente attraverso norme di rango primario. Sulla stessa linea si pone un altro partecipante, che reputa illegittimo qualsiasi intervento dell’Autorità che esuli dalle competenze di vigilanza ai fini della segnalazione agli organi di polizia giudiziaria ad essa attribuite dagli articoli 182-bis e 182-ter della legge n. 633/1941, e richiama l’attenzione sulla necessità di incrementare tale attività di vigilanza, con particolare riguardo a internet. Dello stesso avviso anche un altro intervenuto, che esprime perplessità sul coordinamento tra le diverse norme che attribuiscono competenze all’Autorità in questa materia, e di conseguenza sul fondamento giuridico dei poteri di intervento di quest’ultima. Due operatori, infine, considerata l’obsolescenza dell’attuale impianto normativo nazionale in materia di diritto d’autore, invitano l’Autorità ad una sospensione della procedura in attesa delle iniziative che il Parlamento vorrà assumere in materia all’esito di un più ampio dibattito.

Osservazioni dell’Autorità

Il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento Alla luce di quanto già evidenziato nei lineamenti di provvedimento, si ritiene di poter confermare la ricostruzione delle competenze in capo all’Autorità, tenuto conto del quadro normativo e giuriprudenziale di seguito illustrato. Cenni alla normativa nazionale In materia di tutela del diritto d’autore, l’Autorità ha visto accrescere progressivamente il proprio ruolo grazie a interventi del legislatore che poggiano su tre pilastri normativi ben identificati. Il primo riconoscimento di competenze è avvenuto nel 2000, con la legge n. 248, che, nell’aggiornare le disposizioni della legge n. 633/41, inseriva l’articolo 182-bis, con cui si attribuivano all’Autorità e alla SIAE, nell’ambito delle rispettive competenze previste dalla legge, poteri di vigilanza. La norma in questione attribuisce altresì all’Autorità, al comma 3, poteri di ispezione, da espletarsi tramite i propri funzionari, agendo in coordinamento con gli ispettori della SIAE, con l’obbligo di informare gli organi di polizia giudiziaria in caso di accertamento di violazioni. A tale generale potere di vigilanza e di ispezione si sono affiancati, nel 2010, i poteri di regolazione attribuiti dall’articolo 32-bis del d.lgs. n. 44, il quale, dopo aver introdotto tra i principi fondamentali all’art. 3 anche “la tutela dei diritti d’autore e di proprietà intellettuale”, impone ai fornitori di servizi di media audiovisivi il rispetto dei diritti d’autore e dei diritti connessi nell’esercizio della propria attività, prevedendo altresì che l’Autorità emani le disposizioni regolamentari necessarie per rendere effettiva l’osservanza dei limiti e dei divieti di cui alla norma citata. L’articolo 32-bis del Testo unico e l’articolo 182-bis della legge sul diritto d’autore si integrano, poi, con le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 70 del 2003, di recepimento della direttiva sul commercio elettronico, che traccia contenuti e limiti delle responsabilità degli ISP, a seconda che svolgano attività di mere conduit (art. 14), di caching (art. 15) e hosting (art. 16) di contenuti digitali e, nell’introdurre il doppio binario di tutela – amministrativa e giudiziaria –, prevede che l’autorità “amministrativa avent[e] funzioni di vigilanza” possa esigere, al pari di quella giudiziaria, che il prestatore di servizi “impedisca o ponga fine alle violazioni commesse”. In tutte e tre le disposizioni, viene sancito il principio generale per cui il prestatore è esente da responsabilità, a condizione che non intervenga in alcun modo sui contenuti stessi o non sia venuto a conoscenza del loro carattere illecito. Aspetto, questo, ribadito dal successivo articolo 17 che stabilisce, in favore degli ISP, il principio della “assenza dell’obbligo generale di sorveglianza”. Se è vero che l’ISP “non è assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, né ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite”, tuttavia la medesima disposizione, al comma successivo, impone comunque un duplice onere: questi è infatti tenuto, oltre che, ovviamente, ad adempiere all’ordine impartitogli dall’autorità giudiziaria ovvero amministrativa, anche a: a. informare senza indugio l’autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza, qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un destinatario del servizio da questi fornito; b. fornire senza indugio, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in suo possesso che consentano l’identificazione del destinatario dei servizi da questo forniti, al fine di individuare e prevenire attività illecite. Inoltre, il comma 3 del citato art. 17 statuisce in capo al prestatore una forma di responsabilità civile rispetto al “contenuto dei servizi nel caso in cui, richiesto dall’autorità giudiziaria o amministrativa avente funzioni di vigilanza, non ha agito prontamente per impedire l’accesso a detto contenuto, ovvero se, avendo avuto conoscenza del carattere illecito o pregiudizievole per un terzo del contenuto di un servizio al quale assicura l’accesso, non ha provveduto ad informarne l’autorità competente”. La responsabilità del prestatore viene dunque definita in negativo: la generale presunzione di irresponsabilità viene a decadere nel momento in cui ricorrano le circostanze di cui al d.lgs. 70/2003, cioè quando questo viene a conoscenza dell’illecito. Come infatti precisato al considerando 48 della direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico, la medesima direttiva “non pregiudica la possibilità per gli Stati membri di chiedere ai prestatori di servizi, che detengono informazioni fornite dai destinatari del loro servizio, di adempiere al dovere di diligenza che è ragionevole attendersi da loro ed è previsto dal diritto nazionale, al fine di individuare e prevenire taluni tipi di attività illecite”. Cenni ad iniziative regolamentari in altri Stati membri Al fine di collocare l’azione italiana all’interno del dibattito in corso nel contesto europeo, si forniscono di seguito alcune notazioni sullo stato dell’arte negli Stati membri che si sono segnalati per interventi recenti in materia di diritto d’autore. Regno Unito L’8 aprile 2010 è entrato in vigore il Digital Economy Act che ha attribuito all’Ofcom il compito di adottare le disposizioni attuative (un Codice) per l’esecuzione delle disposizioni inerenti le violazioni del copyright. Il 28 maggio 2010 lo schema di codice dell’Ofcom è stato sottoposto a consultazione pubblica che si è conclusa il 30 luglio 2010, ma non sono ancora stati pubblicati gli atti conclusivi. Il meccanismo descritto nel Codice dell’Ofcom sottoposto a consultazione si articola nel seguente modo:

1) Il titolare del diritto notifica all’ISP gli indirizzi IP utilizzati per veicolare contenuti illegali trasmettendo, sempre all’ISP, un Report di violazione (“copyright infringement report” detto anche CIR), 2) l’ISP notifica all’utente di aver ricevuto un Report di violazione, e possono aversi fino a tre Notifiche (la seconda in caso di violazione reiterata nei 6 mesi, la terza in caso di reiterazione di violazione nel mese), 3) alla terza notifica l’utente viene iscritto in un Registro tenuto dall’ISP, 4) gli utenti iscritti nel Registro possono essere destinatari di misure tecniche da parte degli ISP sulla base di quanto sarà stabilito dal Ministro competente a valle di un rapporto dell’Ofcom decorso un anno dall’entrata in vigore del Codice, 5) su richiesta dei titolari dei diritti gli ISP trasmettono loro una Lista dei Report di violazione dei diritti di loro spettanza, 6) l’utente può ricorrere avverso il Report, le Notifiche o la Lista ad un organo indipendente chiamato Body (costituito da una singola persona fisica) nominato dall’Ofcom e dinanzi al quale si svolge il procedimento in contraddittorio tra le parti, alla fine del quale il Body adotta una decisione vincolante, 7) i titolari dei diritti e gli ISP possono chiedere all’Ofcom di risolvere una controversia che riguardi rapporti tra loro (indipendentemente dal caricamento di contenuti illegali da parte di utenti) con decisione vincolante tra le parti, 8) l’Ofcom può irrogare nei confronti degli ISP o dei titolari (ma non nei confronti dell’utente) sanzioni pecuniarie fino a 250.000 pound (320.000 euro) per violazioni del Codice che vengono versati a suo beneficio. La legge ha suscitato aspre critiche e ha dovuto superare il vaglio dell’Alta corte a seguito di un ricorso di British Telecom e Talk Talk perché prevede la possibilità per il Ministro competente, previo parere favorevole del Parlamento e del giudice, di bloccare l’accesso dell’utente ai siti sui quali vengono veicolati contenuti illegali. L’Alta corte ha respinto il ricorso di British Telecom e Talk Talk stabilendo che la legge non infrange le direttive comunitarie in materia di tutela della privacy e telecomunicazioni, accogliendo parzialmente la questione relativa al rimborso parziale dei costi sostenuti dagli ISP da parte dei titolari dei diritti. Il 1 febbraio 2011 il Dipartimento di Stato competente ha chiesto all’Ofcom di esaminare le diverse implicazioni tecniche ed economiche connesse ai meccanismi di blocco degli accessi ai siti. Allo stato, il pacchetto di norme non è ancora divenuto operativo. Francia Nell’ottobre 2009 è stata approvata la legge sulla Diffusione delle Opere e la Protezione dei Diritti d’Autore con lo scopo di contrastare il download illecito di opere musicali e cinematografiche, incoraggiando al contempo le pratiche legali. L’impianto normativo ha come braccio operativo l’Alta Autorità per la Diffusione delle Opere e la Protezione dei Diritti su Internet (HADOPI) che è incaricata di monitorare le attività degli utenti e dissuaderli in modo graduale da pratiche illecite (due warning preliminari saranno seguiti, in caso di recidiva, da sanzioni, comprendenti anche la disconnessione da internet, comminabile in via giudiziale). Il sistema ha iniziato a funzionare dall’ottobre 2010, entrando ora nella piena operatività: dopo aver proceduto all’individuazione degli utenti (sarebbero per ora circa 100 mila), l’Autorità sta inviando la prima serie di avvisi preliminari. Sarà dunque necessario attendere un pieno rodaggio del meccanismo prima di trarre valutazioni. Quale tentativo di contenimento del fenomeno delle violazioni dei diritti d’autore in internet, la disciplina sinora delineata non sembrerebbe generare risultati pienamente positivi, tanto più in considerazione del carattere transnazionale che caratterizza il web. Peraltro, come recentemente annunciato sulla stampa, saranno probabilmente avviate delle rivisitazioni della legge, tant’è che già si parla di un’HADOPI 3 (essendo la HADOPI 2 intervenuta a seguito della pronuncia del Consiglio costituzionale francese del 10 giugno 2009). Germania Il dibattito attualmente in corso in Germania vede contrapporsi, da un lato, le tesi del “Partito dei Pirati” e dei cd. nativi digitali che ritengono superate le regole del mondo analogico, basate su un’obsoleta concezione della proprietà intellettuale, e rivendicano la libera e piena fruizione dell’accesso alla rete, anche ove ciò si traduca nell’appropriazione in maniera gratuita delle prestazioni intellettuali altrui e, dall’altro, i tentativi di interessi corporativi di strumentalizzare il diritto d’autore per salvaguardare modelli economici di sviluppo superati. La riflessione riguarda l’individuazione degli strumenti da adottare per un’efficace applicazione della normativa esistente, in aggiunta alla diffida utilizzata da tempo nel diritto civile per affermare pretese in via extragiudiziale. Tra le possibili alternative, sono state scartate a priori misure come la legge HADOPI e blocchi di accesso a internet, considerate invasive ingerenze nella libertà di comunicazione, nonché il cd. “flat rate” della cultura (quota forfettaria che ogni titolare di una connessione internet dovrebbe pagare per l’utilizzo di tutti i contenuti della rete) ritenuto non valido in quanto implicante una collettivizzazione forzata dei diritti e un conseguente violento conflitto tra autori per la ripartizione delle entrate, riducendo inoltre il diritto d’autore a una mera pretesa di indennizzo.

Spagna In materia di lotta alla pirateria informatica si è sviluppato in Spagna un vivace dibattito tra gli addetti ai lavori e non, sia per la mancanza di una regolamentazione ad hoc, sia per via del peso dell’industria culturale spagnola sull’economia del Paese. Per colmare tale lacuna, il Ministro Sinde ha inserito una normativa anti pirateria informatica nel quadro della più organica “Legge per un’Economia Sostenibile”, approvata il 4 marzo 2011. Il provvedimento contempla procedure snelle che consentiranno ad un’apposita Commissione sulla proprietà intellettuale in seno al Ministero della cultura di oscurare le pagine web che offrono illegalmente contenuti tutelati dai diritti d’autore. Tuttavia, l’entrata in vigore della legge rimane subordinata al varo del relativo regolamento esecutivo in corso di elaborazione. La citata Commissione avrà il compito di valutare le denunce ricevute da chi ritiene di avere subito la violazione del proprio copyright. Se questa ritiene fondata la denuncia, invita gli autori di tale condotta a ritirare, entro 48 ore, i contenuti illegali dalla rete. Viene prevista la possibilità di appellarsi a tale richiesta, producendo le relative prove documentali. Gli autori della denuncia potranno altresì presentare le loro argomentazioni e la Commissione dovrà esprimersi entro tre giorni. Tale risoluzione dovrà poi essere ratificata da un giudice amministrativo, che potrà emettere un’ordinanza per raccogliere i dati degli autori del reato e delle pagine internet illegali e, infine, deliberare sul loro eventuale oscuramento. Paesi Bassi L’11 aprile 2011 è stato presentato un disegno di legge volto a prevenire la diffusione illegale di contenuti in rete in modo da rafforzare la fiducia nella tutela del diritto d’autore e rafforzare la posizione degli artisti e degli esecutori nelle negoziazioni contrattuali. A tal fine, la materia è stata depenalizzata ed è stata prevista la possibilità di inibire l’accesso anche ai siti stranieri (per quelli nazionali era già possibile) il cui scopo sia la messa a disposizione di materiale illegale una volta fallito ogni tentativo di contatto con il gestore del sito. Tale ordine è disposto con provvedimento del giudice. Oltre alle misure repressive, il pacchetto si articola in una serie di iniziative volte a tutelare la posizione dei titolari dei diritti mediante il rafforzamento degli enti preposti alla raccolta dei compensi per il diritto d’autore, l’imposizione di un sistema di tassazione sui dispositivi di riproduzione dei contenuti che sostituisca l’equo compenso per la copia privata, la semplificazione degli accordi di copyright al fine di tenere il passo con le novità derivanti dai diritti di sfruttamento delle opere in internet e l’incoraggiamento dell’eccezione per il cd. fair use al fine di incentivare la diffusione di contenuti creativi senza fini di lucro.

Cenni alle iniziative in corso in ambito comunitario La Commissione europea, preso atto di come il progresso tecnologico verificatosi negli ultimi anni abbia alterato le dinamiche di gestione dei diritti di proprietà intellettuale in rete, ha pubblicato, in data 22 dicembre 2010, un rapporto sull’applicazione della direttiva 2004/48/CE, c.d. enforcement, negli Stati membri dell’Unione. In tale atto, la Commissione rilevava come, nonostante il generale miglioramento delle procedure volte ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, “il volume e il valore finanziario delle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale sono allarmanti”. Prosegue la Commissione: “La natura multifunzionale di internet agevola la commissione di una grande varietà di violazioni dei diritti di proprietà intellettuale. […] Lo scambio di file con contenuti protetti da diritto d’autore è divenuto onnipresente, in parte perché lo sviluppo dell’offerta legale di contenuti digitali non è riuscito a tenere il passo della domanda, specie su base transfrontaliera […]. Molti siti web ospitano o facilitano la distribuzione in linea di opere protette e senza il consenso dei titolari. In questo contesto può essere necessario valutare chiaramente i limiti del quadro normativo esistente”. Con l’intento di avviare una riflessione generale su nuove e più efficaci forme di protezione dei diritti di proprietà intellettuale, la Commissione ha avviato una consultazione pubblica, terminata il 31 marzo 2011, volta a raccogliere le opinioni delle istituzioni comunitarie, degli Stati membri, del Comitato economico e sociale europeo e di tutte le altre parti interessate, organizzando altresì, per il 7 giugno 2011, un’audizione collettiva e pubblica che consentisse un ulteriore momento di acquisizione di posizioni. Durante tale incontro la Commissione ha anticipato che tale consultazione pubblica è prodromica a una proposta di direttiva che sarà presentata nei primi mesi del 2012. Quello della direttiva enforcement non è tuttavia l’unico fronte su cui si stanno concentrando iniziative degne di nota da parte della Commissione europea. In un’altra consultazione pubblica, terminata nel novembre del 2010, avente ad oggetto la direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico, recepita in Italia dal citato decreto legislativo n. 70/2003, la Commissione non mancava di rilevare la stretta correlazione tra sviluppo di internet e diffusione della pirateria. Inoltre in data 24 maggio 2011 la Commissione ha rilasciato una comunicazione (COM(2011) 287) avente ad oggetto un Piano d’azione per la riforma delle disposizioni riguardanti i diritti di proprietà intellettuale, tra cui rientrano i diritti di proprietà industriale, il diritto d’autore e i diritti connessi. In ragione della crescente diffusione delle nuove tecnologie e della forte espansione di internet, che hanno profondamente modificato il contesto di riferimento dei diritti della proprietà intellettuale, “la combinazione in vigore tra normativa europea e nazionale non risponde più alle esigenze attuali e va modernizzata”. Per tali motivi, la Commissione ha adottato una strategia globale di riforma del quadro giuridico dei diritti di proprietà intellettuale, con l’obiettivo di consentire agli stakeholder di adeguarsi alle nuove circostanze e di aumentare le opportunità commerciali. Si inseriscono in tal senso anche le proposte di istituire biblioteche digitali europee, le novità di regolamentazione delle c.d. opere orfane, con lo scopo di renderle disponibili on line. Il Commissario Ue per il mercato interno, Michel Barnier, il 24 maggio 2011 ha dichiarato “Per l’economia europea è essenziale che all’interno del mercato unico sia garantito il giusto livello di tutela dei diritti di proprietà intellettuale (…) Il progresso ha bisogno di nuove idee e conoscenze, non ci sarà nessun investimento nell’innovazione senza tutela dei relativi diritti. D’altra parte la prosperità di nuovi modelli commerciali e della diversità culturale dipendono dall’accesso ai contenuti culturali, ad esempio alla musica online, da parte di consumatori e utenti. Il nostro obiettivo è trovare un equilibrio tra queste esigenze per un rispetto globale dei diritti di proprietà intellettuale e per far sì che il quadro europeo della proprietà intellettuale costituisca una risorsa per imprese e cittadini, stando al passo con l’era digitale e con la concorrenza delle idee di un mondo globalizzato”. Sulla necessità di un intervento congiunto da parte di Commissione e Stati membri per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale si è pronunciato in più occasioni anche il Parlamento europeo. In particolare, nel Documento di seduta A7-0175/2010 del 3 giugno 2010, recante “Relazione sull’applicazione dei diritti di proprietà intellettuale nel mercato interno – (2009/2178(INI)”, il Parlamento, evidenziando come il fenomeno delle violazioni dei diritti della proprietà intellettuale on line abbia raggiunto proporzioni preoccupanti, in particolare a danno dell’industria dei contenuti creativi, si focalizza sui possibili interventi. L’ambito giuridico vigente viene ritenuto difficilmente capace di garantire in modo efficace la protezione dei diritti su internet e, nel contempo, un’equilibrata tutela del diritto di accesso alla cultura e ai contenuti. Il Parlamento, nell’invitare la Commissione a predisporre, in tema di diritti di proprietà intellettuale, “una strategia organica che sia atta a rimuovere gli ostacoli alla creazione di un mercato unico nell’ambiente online e che adatti il quadro normativo europeo in materia alle attuali tendenze della società come pure agli sviluppi tecnologici”, pone tuttavia l’accento altresì sulla necessità di incentivare la promozione e lo sviluppo dell’offerta legale, in quanto “lo sviluppo di questi servizi legali è inibito dalla crescita dei contenuti caricati illegalmente on line”. Infatti, un’offerta legale diversificata, attraente e visibile per il consumatore può contribuire a riassorbire il fenomeno della violazione online. Il Parlamento riconosce che le carenze che colpiscono il mercato interno europeo nel settore digitale costituiscono un grosso ostacolo allo sviluppo delle offerte legali on line, sottolineando, a tale scopo, l’esigenza di una campagna di educazione e sensibilizzazione, soprattutto tra i giovani consumatori europei, sulla necessità del rispetto della creatività e dei diritti che la tutelano. Il Parlamento europeo è tornato ad esprimersi in materia di proprietà intellettuale con la Risoluzione del 12 maggio 2011 su ”Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare”. In tale atto, nel ribadire la necessità di un intervento teso ad educare il consumatore al rispetto dei diritti d’autore e ad informarlo sulle alternative rese possibili dall’offerta legale, il Parlamento chiede alla Commissione di pervenire alla stesura di un Libro bianco, in considerazione della sempre crescente importanza delle industrie culturali e creative, nonché con l’obiettivo di rafforzare questo settore di strategica rilevanza per il conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020.

Propone, altresì, la realizzazione di un sistema di licenze paneuropee che innesti, su quello esistente, modelli di concessione di licenze per diritti individuali e collettivi multiterritoriali e faciliti il lancio di servizi con un’ampia scelta di contenuti, incrementando in questo modo l’accesso legale a contenuti culturali on line, incentivando la Commissione e gli Stati membri a promuovere lo scambio di best practices in materia di metodi efficaci per sensibilizzare l’opinione pubblica circa l’impatto delle violazioni in materia. Alla luce di quanto esposto, si palesa come le iniziative in materia di diritti della proprietà intellettuale da parte della Commissione e del Parlamento europeo non siano da considerarsi momenti isolati, ma, bensì, facciano parte di un disegno più generale delle istituzioni comunitarie di incrementare la crescita e la competitività del mercato interno all’Unione, promuovendo l’accesso a beni e servizi tutelati dai diritti di proprietà intellettuale, puntando al giusto equilibrio tra sostegno della creatività e innovazione, garantendo riconoscimenti e investimenti agli autori, prevedendo l’intensificazione della lotta alla pirateria e alla contraffazione. L’evoluzione della giurisprudenza Cenni alla giurisprudenza nazionale Nella cornice normativa sopra descritta sul sistema della responsabilità e delle condotte giuridicamente rilevanti poste in essere dall’ISP, è intervenuta più volte la giurisprudenza al fine di sopperire alle riscontrate criticità applicative delle norme in esame. Si ritiene opportuno effettuare una, se pur rapida, rassegna di alcune delle più rilevanti pronunce che si sono susseguite con riferimento alla responsabilità dei provider – ovvero i noti casi Peppermint, Pirate Bay, FAPAV c. Telecom Italia, RTI c. YouTube e Vividown c. Google, per concludere con le recentissime ordinanze nei casi PFA Film c. Yahoo! Italia e BtJunkie e con la sentenza nel caso RTI c. Italia On Line (IOL) – da cui l’interpretazione data dall’Autorità del disposto del d.lgs. n. 70/2003 e, conseguentemente, risulta corroborata e rafforzata. Il caso Peppermint (ordinanza della IX sezione civile del Tribunale di Roma del 16 luglio 2007) traeva origine dall’istanza dell’etichetta discografica tedesca Peppermint nei confronti di più di 3.600 utenti di aver violato la legge, condividendo illegalmente file di cui la società deteneva il diritto d’autore – in particolare Peppermint aveva monitorato i consumatori nel loro uso personale di internet riuscendo, con l’ausilio dei loro provider, ad ottenere i dati relativi ai movimenti effettuati dagli utenti senza che questi ne avessero cognizione. Su tale questione il giudice ha stabilito che non può essere richiesta all’ISP l’ostensione dei dati anagrafici relativi agli intestatari di linee telefoniche che, connettendosi a reti peer-to-peer, avrebbero condiviso file di opere tutelate in violazione del diritto d’autore, in quanto la tutela della riservatezza delle comunicazioni elettroniche e telematiche tra privati, quale valore fondamentale della persona, prevale, nel giudizio di bilanciamento dei due diritti, sulla tutela del diritto d’autore.

Nel caso Pirate Bay (sentenza della III sezione penale della Corte di cassazione del 23 dicembre 2009, n. 49437), all’origine del quale vi era l’azione della Federazione Industria Musicale Italiana (FIMI) contro il sito di download di c.d. file torrent (una particolare estensione per file utilizzato da programmi peer-to-peer) chiamato Pirate Bay, già condannato in Svezia dove erano ubicati i relativi server, il giudice ha, in primo luogo, stabilito che l’utilizzo di tecnologie di trasmissione peer-to-peer non esclude la configurabilità del reato di messa a disposizione del pubblico attraverso internet di opere protette dal diritto d’autore in capo al titolare del sito web. Ciò sebbene, attraverso la tecnologia in questione, il titolare del sito non “detenga” mai nei propri database l’opera protetta, che al contrario si trova presso gli utenti, e da questi stessi trasferita ad altri soggetti. In secondo luogo, il giudice ha sancito la legittimità dell’eventuale ordinanza cautelare che disponga che gli ISP – pur estranei al reato – inibiscano agli utenti l’accesso al sito, nonché respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione fondata sulla mera localizzazione all’estero dell’hardware del sito. Nel caso FAPAV c. Telecom Italia (ordinanza della IX sezione civile del Tribunale di Roma del 12 dicembre 2009), che traeva origine dalla richiesta di FAPAV di fornire i nominativi degli utenti che avrebbero prelevato in modo illecito materiale coperto dalle leggi a tutela del diritto d’autore, di oscurare l’accesso ai siti di file sharing e di inviare avvisi a coloro che commettono violazioni al diritto d’autore, il giudice aveva ritenuto che l’ISP che effettuasse attività di mere conduit non potesse essere ritenuto responsabile del contenuto dei dati che questo trasportasse, in quanto non sottoposto ad oneri di controllo e, soprattutto, che l’ISP non potesse agire sui contenuti illeciti, rimuovendoli o sospendendo il servizio, come era stato richiesto a Telecom Italia da FAPAV, senza un previo ordine dell’autorità giudiziaria, ai sensi del combinato disposto dei citati articoli 14 e 17 del d.lgs. n. 70/2003. Nel caso RTI c. YouTube (ordinanza della IX sezione civile del Tribunale di Roma del 15 dicembre 2009), la società italiana aveva avviato un’azione legale in via cautelare avente ad oggetto l’upload di alcuni video del programma televisivo “Grande fratello” sulla piattaforma di YouTube, chiedendone l’immediata rimozione dai server e la conseguente immediata disabilitazione all’accesso di tutti i contenuti riproducenti – in tutto o in parte – sequenze di immagini fisse o in movimento relative al programma in questione. Il Tribunale di Roma ha accolto entrambe le richieste, ritenendo che YouTube avesse una diretta responsabilità nella segmentazione delle clip, traesse vantaggio dalla pubblicità che è affiancata alle clip e fosse, in conclusione, parificabile, relativamente alla responsabilità, a un editore. Inoltre, aggiunge il giudice, esso dispone di regole che consentono la rimozione dei contenuti pedopornografici, si è dotato di una policy di notice and take-down, riservandosi il diritto di “controllare i contenuti”: per questo motivo dovrebbe vigilare in maniera autonoma sulle violazioni del diritto d’autore. Nel caso Vividown c. Google (sentenza della IV sezione penale del Tribunale di Milano del 24 febbraio 2010), conseguente a un atto di cd. cyber-bullismo, ovvero l’upload sul sito di Google di un video che mostra un ragazzino affetto da sindrome di Down malmenato ed ingiuriato da alcuni coetanei, il Tribunale di Milano ha condannato tre dirigenti della società a sei mesi di reclusione, condanna poi sospesa, per l’insufficiente comunicazione degli obblighi di legge nei confronti degli uploader, configurandosi così, in capo a Google, la responsabilità per colpa, con l’aggravante del fine di lucro (i profitti che la società ha ricavato dalla visualizzazione dei video caricati sulla propria piattaforma) e non soltanto per semplice noncuranza. “La distinzione tra content provider e service provider è sicuramente significativa” sostiene il giudice di Milano “ma, allo stato ed in carenza di una normativa specifica in materia, non può costituire l’unico parametro di riferimento ai fini della costruzione di una responsabilità penale degli internet providers”. A seguito di tale pronuncia, Google ha concluso un accordo stragiudiziale con l’Associazione Vividown (cui era iscritta anche la vittima dell’episodio di pestaggio ripreso dal video incriminato) offrendo ad essa un canale privilegiato per la segnalazione di contenuti lesivi, riconoscendola in sostanza come “trusted user” (utente certificato). L’applicazione concreta dell’accordo prevede la possibilità di segnalare i video offensivi attraverso una casella di posta privilegiata a cui indirizzare le segnalazioni che potranno divenire nelle successive 24 ore richieste di rimozione concreta del materiale, sulla base dell’istituto del notice and take-down. Nel caso PFA Film c. Yahoo! (ordinanza della IX sezione civile del Tribunale di Roma del 20 marzo 2011), il giudice ordinava al motore di ricerca Yahoo!, a seguito di istanza presentata da PFA Film, società licenziataria in esclusiva dei diritti di sfruttamento economico di un film (in ispecie, About Elly), la rimozione dai propri server dell’accesso ai file audiovisivi del film non autorizzati e la inibitoria della prosecuzione delle violazioni. La sezione specializzata del Tribunale di Roma ha così riconosciuto la responsabilità del gestore del motore di ricerca, ritenendo che, seppure nella fase di selezione e posizionamento delle informazioni in generale esso non svolga un ruolo attivo e quindi non abbia conoscenza dei contenuti dei siti sorgente a cui è effettuato il link, né eserciti un controllo preventivo sugli stessi, dall’altro però, una volta venuto a conoscenza del contenuto illecito di specifici siti, identificati da c.d. URL (Uniform Resource Locator), è in condizione di esercitare un controllo successivo e di impedirne la indicizzazione e il collegamento. Sostiene, infatti, il giudice che la norma di esonero da responsabilità, speciale e derogatoria rispetto al principio generale di responsabilità dell’impresa per le proprie attività, rinviene la propria ratio nella generale presunzione di inesigibilità di un controllo del gestore sulle informazioni presenti in rete, per gli eccessivi costi che questo porrebbe a carico dell’impresa e che questa passerebbe al consumatore. Tuttavia, essendo stato Yahoo! reso edotto dell’illiceità dei contenuti da una previa diffida della società attrice, la mancata attivazione del gestore del motore di ricerca in tal senso lo ha reso responsabile di un concorso nella contraffazione dei diritti di proprietà intellettuale, non essendo il suo agire, nella consapevolezza dell’illecito, coperto dalla esenzione di responsabilità, dovendo quindi considerarsi Yahoo!, in tale frangente, destinatario delle misure di inibitoria preventiva previste dalla legge sul diritto di autore, in quanto intermediario i cui servizi sono utilizzati per la violazione.

Nel caso BtJunkie (ordinanza del Pubblico Ministero della procura di Cagliari del 21 aprile 2011) è stata ordinata l’inibizione, per il tramite della Guardia di Finanza, dell’accesso nei confronti del sito www.BtJunkie.org, la maxi-piattaforma digitale per scaricare musica, film, libri e videogiochi in modo illegale, in qualche modo erede di Pirate Bay. Tale ordinanza è stata adottata sulla base della normativa sul commercio elettronico, ovvero gli articoli 14 e seguenti del decreto legislativo n. 70 del 2003, dove si prevede che l’autorità giudiziaria possa esigere, anche in via d’urgenza, che l’ISP impedisca o ponga fine alle violazioni commesse. A queste pronunce si aggiunge il sequestro dei siti internet www.gameternity.com e www.downloadzone.altervista.org. eseguito dalla Guardia di Finanza su provvedimento del Tribunale di Arezzo. Deve citarsi, in conclusione, la recentissima sentenza n. 7680/2011, depositata il 7 giugno 2011, con cui il Tribunale di Milano si è pronunciato sulla causa RTI c. IOL, instauratasi tra Reti televisive italiane spa (di seguito RTI) e Italia Online srl (di seguito IOL, proprietaria del portale libero.it). RTI, in qualità di società attrice, contestava alla IOL, società convenuta, l’illecita presenza, sulla piattaforma telematica di cui questa è titolare (il Portale IOL) che consente l’upload e la condivisione di contenuti audiovisivi caricati dagli utenti, di numerosi filmati di proprietà di RTI, peraltro associati a molteplici messaggi pubblicitari (c.d. link sponsorizzati) tramite l’utilizzazione dei titoli dei programmi stessi quali parole-chiave. Il tribunale di Milano ha ritenuto che “le modalità di prestazione di tale servizio, ormai del tutto comuni ai soggetti che svolgono attività analoghe, si sono distaccate dalla figura individuata nella normativa comunitaria (la direttiva 2000/31/CE, ndr), mentre i servizi offerti si estendono ben al di là della predisposizione del solo processo tecnico che consente di attivare e fornire “accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione”, finendo nell’individuare (se non un vero e proprio content provider, soggetto cioè che immette contenuti propri o di terzi nella rete e che dunque risponde di essi secondo le regole comuni di responsabilità), una diversa figura di prestatore di servizi non completamente passivo e neutro rispetto all’ organizzazione della gestione dei contenuti immessi dagli utenti (cd. hosting attivo), organizzazione da cui trae anche sostegno finanziario in ragione dello sfruttamento pubblicitario connesso alla presentazione (organizzata) di tali contenuti”. Il Tribunale di Milano ha pertanto riconosciuto che la diffusione sulla Sezione Video del Portale IOL di brani e di filmati tratti dai programmi televisivi di RTI costituisce violazione degli artt. 78-ter e 79 della legge n. 633/1941, inibendone l’ulteriore diffusione e fissando, altresì, una sanzione pecuniaria. Cenni alla giurisprudenza comunitaria La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha avuto più volte l’occasione di esprimersi su tematiche concernenti il tema della tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica, come nei casi Promusicae c. Telefonica, Google c. Louis Vuitton, SGAE c. Padawan, Scarlet c. Sabam e Sabam c. Netlog,. Nella questione pregiudiziale relativa al caso Promusicae (sentenza della Corte di giustizia del 29 gennaio 2008, causa C-275/06), che traeva origine dall’iniziativa giudiziaria dell’associazione spagnola a tutela degli interessi degli autori ed editori (Promusicae appunto) nei confronti del provider Telefonica il quale si era opposto alla richiesta di fornire identità e indirizzo fisico degli utenti accusati di scaricare con programmi peer-to-peer contenuti protetti, al fine di tutelarne la privacy, la Corte di giustizia ha affermato che “la comunità non impone agli Stati membri l’obbligo di comunicare i dati personali degli utenti dell’internet in caso di contenzioso civile. […] La comunicazione dei dati richiesti è autorizzata esclusivamente nell’ambito di un’indagine penale o per la tutela della pubblica sicurezza e della difesa nazionale.” Nel caso Vuitton (sentenza della Corte di giustizia del 23 marzo 2010, causa C-236/08 e 238/08), relativo all’impiego di parole chiave corrispondenti a marchi altrui nell’ambito di un servizio di posizionamento su internet (AdWords) – in particolare, la Vuitton aveva fatto constatare che, utilizzando il motore di ricerca di Google, l’inserimento da parte degli utenti di internet dei termini costituenti i suoi marchi faceva apparire, nella rubrica «link sponsorizzati», alcuni link verso siti che offrivano imitazioni di prodotti della Vuitton – , il giudice comunitario ha affermato che l’art. 14 della direttiva sul commercio elettronico, deve essere interpretato nel senso che essa “si applica al prestatore di un servizio di posizionamento su internet qualora detto prestatore non abbia svolto un ruolo attivo atto a conferirgli la conoscenza o il controllo dei dati memorizzati. Se non ha svolto un siffatto ruolo, detto prestatore non può essere ritenuto responsabile per i dati che egli ha memorizzato su richiesta di un inserzionista, salvo che, essendo venuto a conoscenza della natura illecita di tali dati o di attività di tale inserzionista, egli abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l’accesso agli stessi.” Nel caso SGAE c. Padawan, (sentenza della Corte di giustizia del 21 ottobre 2010, causa C-467/08) la Sociedad General de Autores y Editores de España (SGAE), società di gestione collettiva dei diritti di proprietà intellettuale in Spagna, pretendeva dalla società Padawan che commercializza Cd-R, Cd-Rw, Dvd-R nonché apparecchi MP3, la corresponsione del “prelievo per copie private” per i supporti digitali da questa commercializzati nel periodo compreso tra il 2002 e il 2004. Ritenendo che l’applicazione di tale prelievo – indipendentemente dall’uso privato, professionale o commerciale cui i supporti siano destinati – fosse contraria alla menzionata direttiva, la Padawan si rifiutava di adempiere. La Corte, chiamata dal giudice spagnolo a determinare i criteri da prendere in considerazione ai fini della determinazione dell’importo e del sistema di riscossione dell’equo compenso, ha osservato che questo deve essere considerato quale contropartita del pregiudizio subìto dall’autore per effetto della riproduzione non autorizzata della sua opera protetta, essendo necessario il mantenimento di un “giusto equilibrio” tra i titolari dei diritti e gli utenti dei materiali protetti. Tuttavia, la Corte ha rilevato che un sistema di “prelievo per copie private” risulta compatibile con detto “giusto equilibrio” solamente qualora le apparecchiature, i dispositivi e i supporti di riproduzione di cui trattasi possano essere utilizzati ai fini della realizzazione di copie private e, conseguentemente, possano causare un pregiudizio all’autore dell’opera protetta. Nei casi Scarlet e Sabam (cause C-70/10 e 360/10) tuttora pendenti dinanzi la Corte di giustizia, il giudice comunitario dovrà stabilire se le direttive in materia di diritto d’autore e di commercio elettronico consentano agli Stati membri di autorizzare un giudice nazionale, adito nell’ambito di un procedimento nel merito e in base ad una norma che si limiti a prevedere che esso possa ordinare ad un fornitore di servizi di hosting di predisporre, nei confronti della sua intera clientela, in abstracto e a titolo preventivo, esclusivamente a sue spese e senza limitazioni nel tempo, un sistema di filtraggio della maggior parte delle informazioni che vengono memorizzate sui suoi server, al fine di individuare file elettronici contenenti opere protette dal diritto d’autore. In data 14 aprile 2011 l’Avvocato generale della Corte di giustizia ha depositato le proprie conclusioni relativamente alla causa Scarlet, ritenendo che un siffatto sistema di filtraggio, volto ad impedire la circolazione di contenuti in violazione del diritto d’autore, comporterebbe il controllo di tutte le comunicazioni diffuse sulla rete di Scarlet, con la conseguenza che un ordine di un giudice in tal senso imporrebbe un obbligo generale di sorveglianza, in contrasto con il disposto dell’articolo 15 della direttiva sul commercio elettronico. Conseguentemente, l’Avvocato generale ha concluso che tali restrizioni potrebbero essere possibili solo ove fossero legislativamente previste in base a criteri equi e trasparenti. 2. La promozione di un’offerta legale sul mercato, l’accesso ai contenuti premium e l’interoperabilità delle piattaforme (cfr. punti da 3.1 a 3.3.3 dell’allegato B alla delibera n. 668/10/CONS) Posizioni principali dei soggetti intervenuti Sulla promozione di un’offerta legale La maggior parte dei partecipanti alla consultazione condivide ampiamente l’orientamento dell’Autorità e si dichiara favorevole ad iniziative volte alla promozione dell’offerta legale sul mercato. Diversi soggetti intervenuti condividono l’analisi dell’Autorità e riconoscono le criticità strutturali che impediscono lo sviluppo di un’offerta legale di contenuti digitali, quali le modalità di acquisizione e sfruttamento dei contenuti premium e il sistema delle finestre di programmazione. Alcuni di essi sottolineano in particolare il ruolo svolto dai c.d. “walled garden”, ovvero le pratiche competitive poste in essere da alcune major che, determinando situazioni di monopolio nel possesso e messa a disposizione del pubblico di determinati contenuti, innalzano barriere all’ingresso al mercato a scapito di soggetti terzi che potrebbero offrire ai clienti servizi in concorrenza, su tutta la filiera, anche su diverse piattaforme. Altri soggetti intervenuti, pur dichiarandosi totalmente o parzialmente concordi con l’orientamento dell’Autorità, raccomandano che qualsiasi provvedimento assunto a tale fine non debba comunque in alcun modo ledere le dinamiche concorrenziali che caratterizzano il mercato della distribuzione del prodotto audiovisivo e la libera iniziativa economica dei soggetti interessati, mentre un soggetto rispondente ritiene che l’intervento regolamentare vada sospeso in attesa di una revisione legislativa complessiva della materia. Vi sono poi altri soggetti che auspicano un intervento regolamentare a promozione di un’offerta legale in primo luogo in quanto strumento di contrasto al dilagare della pirateria e di comportamenti illeciti da parte dei consumatori. Quest’obiettivo è da conseguire, secondo un soggetto rispondente, anche attraverso interventi volti ad orientare il pubblico verso siti che offrono contenuti legali, a scapito di quelli pirata. Alcuni soggetti chiedono che venga smentita l’equazione tra legalità e gratuità dell’offerta, anche attraverso un eventuale intervento legislativo, ritenendo che il mercato attuale non premierebbe tale strategia distributiva. Si dichiara favorevole un soggetto, anche se reputa limitativo che, nel riferirsi ai “contenuti digitali”, l’Autorità prenda in esame esclusivamente quelli audiovisivi. Due soggetti ritengono condivisibile l’analisi dell’Autorità ma esprimono perplessità, uno sulla visione delle dinamiche di mercato che da essa traspare, a suo avviso dirigistica ed accademica, l’altro su alcuni elementi non adeguatamente evidenziati, quali il diritto sancito dalla Costituzione ad una libera comunicazione e l’applicazione di una “generale competenza” come normale attività di controllo. Alcuni soggetti sono favorevoli ad un intervento istituzionale volto ad incoraggiare lo sviluppo dell’offerta legale, soprattutto per arginare i danni causati dalla pirateria, pur rappresentando che in rete esistono già, allo stato attuale, forme ampie e diversificate sia di contenuti legali che di modalità e condizioni di fruizione per gli utenti. Analoghe precisazioni vengono espresse da altri rispondenti alla consultazione Quest’ultima, pur non condividendo l’analisi svolta dall’Autorità sul punto, riconosce la sussistenza di criticità, in particolare per quanto attiene la garanzia dell’offerta lecita on line. Alcuni soggetti sono in parziale disaccordo con l’orientamento dell’Autorità. Uno in particolare non ravvisa nella disponibilità di contenuto legale la risposta per diminuire la pirateria, auspicando l’intervento delle autorità italiane affinché l’apertura del mercato al contenuto legale si ottenga principalmente attraverso la lotta alla pervasiva messa a disposizione in rete di prodotti pirata, particolarmente alta nel settore dei videogiochi. I rimanenti soggetti hanno espresso una posizione più neutrale, ad esempio non rilevando particolari problemi nello sviluppo dell’offerta legale nel settore dell’editoria, e non ritenendo che la risposta a tale quesito sia di competenza delle associazioni industriali. Sull’accesso ai contenuti premium Con riferimento all’accesso ai contenuti premium e alle finestre di programmazione, in via generale, alcuni soggetti concordano con le ipotesi di sviluppo proposte, al contrario un soggetto non la considera sufficiente. In via propositiva, mentre qualcuno auspica soluzioni tecnologiche che possano favorire lo sviluppo dell’offerta legale, un altro soggetto altro indica il “dialogo” quale misura più efficace per individuare nuove aperture del mercato. Alcuni rispondenti alla consultazione non condividono l’orientamento dell’Autorità. In particolare un partecipante osserva che la soluzione ipotizzata mette in discussione il principio basilare della cessione in esclusiva dei diritti di sfruttamento delle opere audiovisive e sarebbe tale da provocare l’erosione dei ricavi provenienti dai canali tradizionali, sovvertendo i complessi equilibri raggiunti dal mercato. Altri soggetti concordano con tale evidenza ritenendo che la libertà contrattuale rappresenti il fondamento su cui poggia il settore audiovisivo e, pertanto, debbano essere i titolari dei diritti a gestire la contrattazione delle finestre e delle altre modalità di sfruttamento dei propri diritti anche in ambito di offerta legale sulla rete, nel rispetto delle norme nazionali e internazionali. Ad avviso di un soggetto non sono necessarie particolari misure per l’apertura del mercato, in quanto, ridotta l’illegalità, sarà il mercato stesso che si orienterà verso la forma e la piattaforma, fisica o digitale, che più soddisferà le esigenze di fruizione. Con particolare riferimento ai contenuti premium, un partecipante ritiene che, stante l’attuale assetto regolamentare comunitario e nazionale, l’imposizione di eventuali rimedi o obblighi ex ante non possa prescindere da un’analisi delle condizioni concorrenziali nei mercati rilevanti e suggerisce di introdurre per via legislativa eventuali misure per un più facile accesso. Un altro propone l’eliminazione dell’offerta abusiva attraverso l’oscuramento dei siti che fungono da portali e la limitazione del peer-to-peer con l’adozione di un controllo sulla fruizione privata. Taluni suggeriscono di individuare un quadro normativo e misure in grado di favorire la disponibilità di contenuti pregiati. Per incentivare l’offerta legale di contenuti, qualcuno ritiene che sia necessario promuovere modelli di business alternativi, focalizzati ad esempio sulla pubblicità on line, che siano in grado, da una parte, di remunerare adeguatamente i titolari dei diritti e, dall’altra, di consentire agli utenti di accedere a contenuti di qualità a prezzi competitivi. Un soggetto propone di mettere gli utenti nella condizione di acquistare i diritti loro necessari al riutilizzo di un contenuto (audio/video) mediante una procedura semplificata (solo on line) e di ottenere la certezza giuridica di divenire con ciò licenziatari di tutti i diritti loro necessari. Un altro ritiene che gli attuali meccanismi stiano funzionando correttamente, come testimoniato dal mercato dei video su richiesta (di seguito anche VOD), in crescita nonostante la pirateria. Secondo un partecipante, la forma di apertura al mercato premium passa attraverso una offerta tecnologica di livello superiore, sia con politiche di cablaggio delle utenze, magari con liberalizzazione dell’ultimo miglio, sia con un’offerta multimediale di pregio. Altri ritengono che, per aggirare l’ostacolo della fruizione illegittima, occorra avere la disponibilità sul mercato di offerte legali di contenuti premium a condizioni economicamente interessanti e facilmente fruibili per i consumatori e che garantiscano l’apertura del mercato a tutte le piattaforme. Con riferimento all’interoperabilità, alcuni si dichiarano favorevoli. Qualcuno auspica un approfondimento in merito, mentre qualcun altro propone di favorire la stessa prevedendo, a livello normativo, benefici fiscali/economici per chi decida di rendere la propria piattaforma interoperabile ed evidenziando, al contempo, come essa debba riguardare anche i pagamenti per la fruizione dei contenuti a gestione dei clienti. Un altro soggetto sottolinea che, accanto a modelli c.d. “walled garden”, sono in fase avanzata di sviluppo nuovi sistemi di “Universal DRM” basati su tecnologia UltraViolet, che consentiranno la fruizione di un film acquistato su qualsiasi terminale. Un ultimo soggetto ritiene che debba essere il mercato ad individuare le migliori soluzioni, ma non è contraria ad un intervento istituzionale per incoraggiare soluzioni interoperabili e standard comuni. Sul ruolo di mediazione dell’Autorità La maggior parte dei rispondenti esprime posizione favorevole al ruolo di mediazione che l’Autorità propone di svolgere tra le parti coinvolte. Pur condividendo la proposta, alcuni ritengono che il contributo dell’Autorità risulterebbe più efficace qualora essa fosse investita della competenza a decidere su eventuali controversie sorte nell’esecuzione di tali contratti. Un soggetto, in particolare, valuta con favore l’applicazione dei principi generali della disciplina dei diritti secondari di cui all’articolo 2 del Regolamento approvato dall’Autorità con delibera n. 30/11/CSP. Ad avviso di un altro, qualsiasi intervento in materia deve essere successivo a quello mirato a garantire il pieno rispetto dei diritti e non deve modificare settori economici vitali in un momento di seria crisi economica generale. Qualcuno, in aggiunta, ritiene necessari ulteriori interventi di natura regolatoria mentre un altro suggerisce che tale tema debba essere meglio affrontato in seno al Tavolo tecnico. Al contempo un partecipante auspica che si eviti ogni tipo di discriminazione nei confronti dei produttori di contenuti e del libero mercato, garantendo reale protezione dagli utilizzi illeciti. Qualcun altro sottolinea come, in particolare, l’intervento dell’Autorità dovrebbe essere mirato a garantire che le piattaforme distributive non pongano condizioni di accesso discriminatorie ai fornitori di contenuto. Un soggetto ritiene che vadano sostenute logiche di carattere scalare che possano favorire lo sviluppo di sistemi analitici e di identificazione certa dei contenuti, mentre un altro auspica una maggiore responsabilizzazione degli ISP. Alcuni suggeriscono una maggiore incisività degli interventi proposti. In particolare, il primo suggerisce di applicare il regime introdotto dall’articolo 14 del decreto legislativo n. 9/2008, recante “Disciplina della titolarità e della commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi e relativa ripartizione delle risorse” il quale stabilisce che i diritti audiovisivi destinati alle piattaforme emergenti debbano essere offerti su base non esclusiva e che il prezzo di acquisto da parte degli operatori attivi su piattaforme emergenti debba essere commisurato al loro effettivo utilizzo, e di ampliare il più possibile l’applicabilità di tale impianto, introducendo meccanismi analoghi di tutela del copyright per i diritti audiovisivi diversi da quelli sportivi (cinema, serie TV ecc.) disciplinati da tale decreto. Il secondo, di contro, ritiene che l’intervento dell’Autorità non debba limitarsi alla mediazione, ma spingere fattivamente l’industry ad un’apertura concorrenziale della cessione dei diritti di distribuzione dei contenuti. Considera, altresì, necessaria una rivalutazione delle revenues. In via propositiva, un soggetto ritiene che, con riferimento al mercato dei contenuti digitali per la telefonia mobile, sia obbligatorio aggiungere l’ostacolo rappresentato dal limite di prezzo imposto dal Piano di numerazione nel settore delle comunicazioni (PNN). Un altro suggerisce il ricorso a tariffe differenziate nei service contracts di accesso internet, a seconda della volontà del consumatore di accedere in tempi brevi ai contenuti premium. Alcuni partecipanti non concordano con la proposta dell’Autorità. Un soggetto, in particolare, ritiene che interventi in tal senso dell’Autorità fuoriescano dall’ambito di applicazione del decreto Romani, mentre altri non ritengono utile la proposta, preferendo soluzioni di natura precettiva; per altro verso, qualcuno ritiene che essa inciderebbe negativamente sull’autonomia contrattuale e qualcun altro sottolinea che vincoli all’interoperabilità possono nascere da tentativi di altri operatori, più a valle nella filiera commerciale, di imporre formati proprietari al fine di creare o sfruttare posizioni dominanti. Un soggetto è dell’idea che, adottando tale tipologia di intervento, apparirebbe poi sproporzionato imporre procedure obbligatorie e vincolanti soltanto in capo ad alcune categorie di operatori. Un altro, dal suo canto, vede nell’eventuale Tavolo tecnico il luogo ideale volto all’individuazione di possibili nuove opportunità. Una soggetto è di posizione contraria poiché ritiene che il compito dell’Autorità sia soltanto quello di controllo, di indirizzo del mercato e, solo in presenza di difformità precise, di sanzione. Osservazioni dell’Autorità L’Autorità condivide le riflessioni contenute all’interno della Comunicazione della Commissione europea “Sui contenuti creativi online nel mercato unico” (COM/2007/836) con particolare riferimento all’assunto secondo cui il trasferimento dei servizi di contenuti creativi verso un ambiente on line comporta un cambiamento sistemico. Per poter trarre il massimo beneficio da tali cambiamenti, secondo la Commissione europea, occorre conseguire tre obiettivi: “la garanzia che i contenuti europei contribuiscano nella misura del possibile alla competitività europea e favoriscano la disponibilità e la diffusione dell’ampia diversità della creazione di contenuti europei e del patrimonio linguistico e culturale dell’Europa; aggiornare o chiarire le eventuali disposizioni giuridiche che ostacolano inutilmente la diffusione online dei contenuti creativi on line nell’UE, riconoscendo nel contempo l’importanza dei diritti d’autore per la creazione; incoraggiare il ruolo attivo degli utilizzatori nella selezione, diffusione e creazione di contenuti”. In tale ottica, l’Autorità reputa molto importante l’attuazione di azioni di sviluppo e incentivazione dell’offerta legale all’interno del mercato italiano dei contenuti digitali, sulla scia degli esempi di Gran Bretagna, Spagna e Olanda, che sia volta a favorire migliori condizioni di fruizione per i consumatori, un equo compenso e la tutela degli autori su internet. La Commissione europea riconosce un ruolo centrale alle Istituzioni pubbliche nel promuovere i mercati dei contenuti digitali. Nella sua Comunicazione “Un’Agenda digitale europea” (COM/2010/245), al punto 2.1.1. “Aprire l’accesso ai contenuti”, Questa sottolinea altresì come i consumatori si aspettino di poter accedere ai contenuti on line con la stessa facilità con cui accedono ai contenuti non in linea. Occorre, pertanto, promuovere “la distribuzione digitale di contenuti culturali, giornalistici e creativi, meno costosa e più rapida”, la quale consente agli autori e ai fornitori di contenuti di raggiungere un pubblico nuovo e più ampio. Allo stesso tempo “la disponibilità di un’offerta online legale, ampia e interessante costituirebbe anche una risposta efficace alla pirateria”. L’ultimo rapporto dell’International Intellectual Property Alliance (IIPA) descrive il mercato italiano come un bacino di circa 30 milioni di potenziali clienti, dove tuttavia l’offerta legale di contenuti online è ostacolata dall’attuale situazione di contesto. Il rapporto, peraltro, evidenzia un aumento delle forme di pirateria che utilizzano reti mobili per la fruizione illecita di musica e videogiochi: questo dato sembra peraltro trovare riscontro nell’analisi condotta da Nextplora (indagine Mobile-Next 2011) che riguarda le modalità di navigazione degli utenti di smartphones, condotta su un campione di 5mila clienti di telefonia mobile. Dallo studio emerge che l’ultimo biennio ha segnato un forte incremento del download di applicazioni, giochi, loghi e musica via cellulare, che oggi rappresenta una modalità di fruizione diffusa tra 5,2 milioni di utenti. In particolare, il cellulare rappresenta la seconda modalità di ascolto della musica (42%) dopo la radio (67%), ed ha pertanto superato i lettori di CD e DVD (41%) e quelli MP3 (35%). Nel caso dei videogiochi, invece, prevalgono ancora computer e web (42%). Anche alla luce di quanto è emerso nel corso della consultazione, le linee di azione volte a promuovere una maggiore apertura del mercato come presentate nel documento sottoposto a consultazione non sembrano compatibili con un’azione impositiva ex ante da parte dell’Autorità in questo specifico ambito, circoscritta dal perimetro dell’art. 5, comma 1, lett. f), del Testo unico, che impone alle emittenti, anche radiofoniche digitali, e ai fornitori di servizi di media a richiesta, “in caso di cessione dei diritti di sfruttamento di programmi, di osservare pratiche non discriminatorie tra le diverse piattaforme distributive, alle condizioni di mercato, fermi restando il rispetto dei diritti di esclusiva, le norme in tema di diritto d’autore e la libera negoziazione tra le parti”. Le linee di azione proposte nel documento posto a consutlazione sono, pertanto, volte a favorire lo sviluppo del mercato dei contenuti digitali, promuovendo l’eliminazione di ostacoli che ne frenano la naturale evoluzione, stimolando gli operatori a proporre un’offerta di contenuti legali più ricca e competitiva, in un’ottica a vantaggio, altresì, del cittadino/utente. Tali azioni potranno utilmente essere esplicate nell’ambito del Tavolo tecnico con la partecipazione di tutti gli attori interessati. Nel corso delle audizioni svolte durante la consultazione pubblica, non è mancato un proficuo confronto con gli stakeholder, da cui sono emersi numerosi spunti degni di ulteriore riflessione: tra questi, una misura particolarmente efficace ed utile appare quella relativa alla possibilità di prevedere e pubblicizzare adeguatamente una “white list”, ovvero una sorta di certificazione di qualità dei siti che offrono contenuti audiovisivi legali. In tal modo si potrebbe offrire un valido contributo alla divulgazione dei siti che offrono contenuti nel rispetto della normativa sul diritto d’autore, rendendo preferibile la trasmissione legittima dei materiali a scapito dei siti pirata, promuovendo azioni di incentivazioni quali la possibilità per i siti certificati di trasmettere contenuti in HD o avere accesso a contenuti premium. Per quanto riguarda la questione dell’interoperabilità delle piattaforme rispetto ai sistemi di pagamento, alla luce di quanto evidenziato da molti operatori in ordine alla difficile implementabilità di meccanismi di tal tipo, soprattutto in considerazione della pendenza del processo di recepimento della direttiva comunitaria sui servizi di pagamento 2007/64/CE che individua le categorie di prestatori di servizi di pagamento che possono legittimamente operare in tutta l’Unione europea e introduce un nuovo tipo di intermediario (l’istituto di pagamento) con uno statuto giuridico coordinato a livello comunitario, si terrà conto degli approfondimenti in corso presso la Banca d’Italia. 3. Le finestre di distribuzione (cfr. punto 3.3.3 dell’allegato B alla delibera n. 668/10/CONS) Posizioni principali dei soggetti intervenuti Sulla rimodulazione delle finestre Le posizioni degli operatori intervenuti si dividono in favorevoli a una revisione generale del sistema delle “windows”, parzialmente favorevoli, contrari e neutrali, ovvero soggetti che non hanno fornito alcuna risposta ai quesiti. Diversi soggetti si dichiarano favorevoli ad un ripensamento complessivo del sistema delle finestre di distribuzione e delle licenze di sfruttamento dei diritti in esclusiva, ritenendo che l’eccessiva durata delle finestre sia una delle principali ragioni che inducono a commettere atti di pirateria digitale. Numerosi soggetti condividono l’auspicio di una rimodulazione delle finestre, tuttavia avanzano alcune osservazioni di merito. In particolare, alcuni raccomandano che siano rispettate le condizioni di libera negoziazione tra le parti interessate e che si tengano in considerazione le specifiche esigenze e interessi dei differenti comparti della filiera dell’industria audiovisiva. Altri ritengono opportuno incentivare forme di licenze di tipo creative commons e realizzare piattaforme di distribuzione on line idonee a consentire l’acquisizione di tutti i diritti necessari alle più ricorrenti forme di utilizzo dei contenuti. Un soggetto è favorevole solo a condizione che siano osservate adeguate tutele nei confronti degli esercenti cinematografici, quali una contestuale e sostanziale riduzione dei canoni di noleggio praticati dai distributori cinematografici per l’utilizzo theatrical delle proprie opere audiovisive e l’imposizione di compensi condivisi tra tutti i soggetti parte della filiera di distribuzione dei contenuti digitali per le attività di promozione di opere filmiche svolte da parte degli esercenti cinematografici. Un altro, se da un lato accoglie favorevolmente un ripensamento del sistema delle windows, dall’altro non condivide né ritiene giuridicamente praticabile alcun intervento sul contenuto delle licenze di sfruttamento dei diritti in esclusiva. Un intervenuto, pur ritenendo condivisibile un ripensamento complessivo del sistema delle finestre, e auspicando la messa a disposizione del pubblico attraverso internet dei contenuti audiovisivi contestualmente alla loro messa in circolazione nei circuiti tradizionali a condizioni competitive, non reputa sufficiente un eventuale intervento di mediazione o di moral suasion dell’Autorità, e lamenta la mancanza di proposte di misure prescrittive in materia di concorrenza e tutela dei consumatori nel mercato delle comunicazioni elettroniche. Un soggetto approva l’iniziativa proposta dall’Autorità, purché venga garantito il rispetto di tempistiche massime per la messa a disposizione su piattaforme emergenti dei contenuti premium, mentre per un altro, per arginare il fenomeno della pirateria ma nel rispetto di tutti i canali di sfruttamento, sarebbe auspicabile una riduzione delle finestre di distribuzione tra cinema e home video oppure un loro abbattimento per tutti i canali distributivi. Tra i soggetti contrari all’orientamento dell’Autorità alcuni non ritengono praticabile né risolutivo un intervento regolatorio sulle finestre di distribuzione, in quanto ciò costituirebbe una ingerenza impropria da parte dell’Autorità sull’autonomia contrattuale delle parti e sulla libertà delle dinamiche di mercato. Analoga la posizione di un soggetto in particolare, che sottolinea l’importanza della facoltà dei titolari di diritti d’autore di decidere tempi e modalità di sfruttamento delle proprie opere. Altri soggetti intervenuti non si pronunciano oppure manifestano una posizione di neutralità rispetto alla tematica oggetto del quesito.

Sullo scarto temporale tra i canali distributivi Diversi soggetti sono pienamente favorevoli ad una riduzione dello scarto temporale tra i canali di distribuzione e concordano nell’attribuire al ritardato rilascio su internet di opere dell’ingegno la causa della diffusione non legale di contenuti. Un soggetto ritiene che non sia da escludere, nella più ampia libertà contrattuale delle parti interessate, un intervento da parte dell’Autorità per contribuire positivamente alla definizione degli accordi necessari. Ciò andrebbe valutato caso per caso e lo propone come argomento per il Tavolo tecnico. Una parte dei soggetti intervenuti è parzialmente favorevole: uno tra questi propone l’adozione di pratiche commerciali e modelli di business virtuosi e comunque idonei ad aumentare l’offerta legale di contenuti on line; un altro, pur reputando utile l’intervento proposto dall’Autorità, non confida nell’accoglimento da parte dei detentori dei diritti di sfruttamento delle opere nei canali tradizionali, senza misure realmente incisive ben diverse da una semplice moral suasion; Altri ancora raccomandano che vengano salvaguardate le dinamiche di mercato. Diversi soggetti manifestano un’assoluta chiusura all’ipotesi di un intervento di mediazione dell’Autorità per la riduzione dello scarto temporale tra canali tradizionali e innovativi in quanto, oltre a dubitare dell’efficacia di un siffatto intervento contro la pirateria, vi ravvisano altresì una indebita limitazione alla libertà negoziale degli operatori. Altri soggetti intervenuti non si pronunciano oppure manifestano una posizione di neutralità rispetto alla tematica oggetto del quesito. Osservazioni dell’Autorità Appare quanto mai opportuno ribadire, in questa sede, quanto già espresso nel documento sottoposto a consultazione pubblica, e cioè che il contributo che l’Autorità intende offrire all’industria sul tema specifico non ha natura regolamentare, ma si esplicherà in un’attività di promozione e mediazione tra gli interessi contrapposti, affinché i soggetti interessati, ove ne condividano la necessità, avviino una riflessione condivisa, finalizzata a rivedere le tempistiche delle cd. finestre di distribuzione. L’Autorità è infatti ancora persuasa che il fattore “tempo”, se non gestito correttamente, rappresenti uno dei principali incentivi alla pirateria multimediale: se un contenuto audiovisivo non è legalmente disponibile per mesi, l’appassionato che vuole disporre subito di una copia è incentivato a procurarsi la medesima sui canali illegali. Viceversa, se lo scarto temporale è ridotto, ed è presente quindi un’offerta legale, tale incentivo è sensibilmente ridotto. Collocato in tale ottica, sotto forma di moral suasion, l’intervento dell’Autorità appare in linea con il quadro normativo vigente, che ha rimesso la definizione delle finestre di distribuzione alla libera contrattazione tra le parti. Esso infatti non è destinato ad incidere sulla libertà negoziale delle parti. L’Autorità ritiene pertanto di poter legittimamente confermare la posizione espressa nel documento sottoposto a consultazione di operare da organo propulsore di una riflessione di tutti i soggetti coinvolti, con l’obiettivo di ridurre significativamente lo scarto temporale di uscita delle opere cinematografiche tra i diversi canali di distribuzione tradizionali (sale cinematografiche, home video e pay tv) e quelli sorti più di recente con la tecnologia digitale (servizi on demand), così da rendere i secondi realmente competitivi rispetto ai canali non autorizzati, senza intaccare comunque la libertà negoziale né le strategie commerciali delle imprese della catena di valore. In particolare, l’Autorità intende sottoporre all’attenzione degli stakeholder la possibilità di mettere a disposizione su internet, in tempi rapidi, la versione dell’opera cinematografica in qualità standard, in modo da disincentivare l’accesso a siti che consentano illecitamente la versione in streaming o il download dei file e riservare, ad esempio, le versioni in alta definizione (HD) e quella in tecnologia blu-ray (contraddistinte da un altro target di mercato, costituito principalmente da appassionati dotati di una maggiore disponibilità economica) al mercato dell’home video che fruirebbe a sua volta di una finestra con uno scarto temporale più breve. Agendo in tal modo, i canali di distribuzione già esistenti e quelli di nuova generazione potrebbero adeguatamente integrarsi, assumendo una valenza alternativa e non sostitutiva. Non si può non considerare, peraltro, il rilevante contributo che potrebbe essere offerto al riguardo dalla diffusione della banda larga in Italia. Come sottolineato di recente in occasione della Relazione annuale dell’Autorità presentata al Parlamento il 14 giugno 2011, il nostro Paese, oltre ad essere ai primi posti a livello mondiale per la pirateria, occupa anche gli ultimi posti del ranking dei Paesi europei sul fronte dell’accesso ad internet. Secondo i dati del Digital Agenda Scoreboard 2011 (il report sui progressi fatti dai paesi membri nel raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda Digitale), la Commissione Europea rileva che l’Italia ha investito bene sul mercato della banda larga mobile, con una crescita che si attesta al 10,2% a fronte di un 7,3% europeo, essendo tra i primi paesi per la penetrazione delle reti ultra-veloci, ma resta indietro per la diffusione della banda larga fissa. Nel nostro Paese, solo il 59% delle famiglie ha una connessione a internet, l’83% di queste è a banda larga, mentre la percentuale degli utenti italiani che usa regolarmente internet, è tra le più basse in Europa, con il 48%. Non a caso l’Agenda Digitale Europea (COM/2010/245), “si prefigge di tracciare la strada per sfruttare al meglio il potenziale sociale ed economico delle TLC, in particolare di internet, che costituisce il supporto essenziale delle attività socioeconomiche, che si tratti di creare relazioni d’affari, lavorare, giocare, comunicare o esprimersi liberamente.” Nei Paesi dove la banda larga è più sviluppata, come l’Olanda, la Germania e il Regno Unito, e il tasso di alfabetizzazione digitale esteso, l’uso consapevole di internet e una maggiore presenza di offerta legale influiscono in maniera sostanziale sul decremento della pirateria on line. Secondo uno studio effettuato sul traffico mondiale, di cui è data evidenza nell’indagine conoscitiva dell’Autorità del febbraio 2010, anche il fenomeno del peer-to-peer appare in diminuzione (dal 40% al 19% dell’intero traffico dal 2007 al 2009), al crescere del numero di abbonamenti a banda larga. La diffusione della banda larga può fungere pertanto da propulsore allo sviluppo del mercato legale dei contenuti digitali audiovisivi e, favorendo l’accessibilità di contenuti anche premium, agire da deterrente nei confronti della pirateria il cui tasso decresce nei Paesi dove la larga banda è più sviluppata. L’Autorità ritiene che anche tale tematica possa essere efficacemente affrontata nel corso del Tavolo tecnico che s’intende avviare, in modo da addivenire a soluzioni ragionate con tutte le parti interessate e il più possibile condivise. 4. Attività informativa e di “educazione alla legalità” (cfr. punto 3.4 dell’allegato B alla delibera n. 668/10/CONS) Posizioni principali dei soggetti intervenuti Sulla campagna di informazione ed educazione Con riferimento alle ipotesi di articolazione di una campagna di informazione ed educazione, i partecipanti hanno ritenuto, in via generale, pregevole l’iniziativa e si sono resi disponibili a collaborare. Alcuni soggetti suggeriscono il ricorso a spot educativi non soltanto dai toni repressivi e intimidatori, ma che veicolino messaggi positivi e accattivanti soprattutto per un pubblico giovane. Un altro suggerisce di inserire le campagne nell’ambito dei programmi più seguiti dai ragazzi e di farle promuovere da personaggi da loro amati, quali ad esempio i protagonisti dei talent show, un altro ancora sottolinea l’importanza di una strategia di comunicazione ben definita e orientata. Qualcuno propone anche l’uso della cartellonistica nei centri commerciali e megastore, mentre qualcun altro ritiene utile che la comunicazione dia altresì una corretta informazione dei rischi tecnici e sanzionatori. Considerando il web quale medium più efficace, inoltre, alcuni pongono l’accento sull’importanza di un diretto coinvolgimento degli ISP, o di favorire il raggiungimento di intese fra gli ISP al fine di stabilire i contenuti dei messaggi. Qualcuno, altresì, suggerisce di estendere alle suddette campagne di informazione il trattamento riservato ai messaggi di utilità sociale ai sensi dell’art. 3 della legge n. 150/2000 e di disporre sul sito dell’Autorità la pubblicazione di una lista aggiornata dei siti internet che offrono contenuti legali. Dello stesso avviso sono altri partecipanti alla consultazione, che propongono di indicare chiaramente la normativa di riferimento, le iniziative di prevenzione e di accertamento delle violazioni in materia di diritto d’autore realizzate nel Paese e in tutta l’area comunitaria, e infine i rischi generati dalla pirateria; una promozione delle forme sperimentali di consumo legale; una campagna informativa mirata sui principali mezzi di comunicazione, intesa principalmente a sensibilizzare l’utenza sul tema del rispetto della legalità e della valorizzazione della creatività.

Per quanto riguarda i costi delle campagne, taluni auspicano che essi siano interamente a carico delle finanze pubbliche. Alcuni ritengono che le campagne debbano essere condotte esclusivamente o prevalentemente sulle reti di comunicazione elettronica interessate dalla pirateria digitale ed in particolare su internet. Di questi, un soggetto in particolare suggerisce di prospettare ai destinatari della campagna stessa non solo i rischi legati ad usi illeciti ma anche, in via promozionale, concrete soluzioni come il ricorso alle offerte di contenuti legali on line. Un altro, altresì, evidenzia l’opportunità che le campagne siano discusse e messe appunto dai principali attori del mercato in questione, ovvero gli ISP, aggregatori di contenuti e i fornitori di contenuti. Ampliandone l’oggetto, alcuni suggeriscono di focalizzare l’attenzione anche su temi quali la sicurezza del consumatore, oltre che sulla funzionalità del software e dell’hardware utilizzato e sul globale impatto economico negativo della pirateria, evidenziando anche i casi di fishing. Qualcuno sottolinea l’importanza della collocazione temporale della campagna, sia al fine di poter progettare le modalità di intervento nell’ambito dei lavori del Tavolo tecnico, sia per poterne valutare gli effetti. Qualcun altro propone di coinvolgere anche le associazioni di tutela degli utenti e quelle specificamente rivolte alla salvaguardia dei minori, oltre che di evidenziare l’importante distinzione tra le campagne di “consapevolezza” e le strategie per ottenere dei “cambiamenti nelle attitudini”. In un’ottica di collaborazione con l’Autorità, un soggetto si dichiara disposto a valutare la possibilità di sviluppare forme di comunicazione verso l’utenza con riferimenti più specifici alle attività che si intende contrastare e/o vietare e a recepire proposte di tipo pedagogico che l’Autorità stessa intenderà presentare, mentre un altro chiede di fornire un preventivo parere in sede di Tavolo tecnico. Sui contratti di hosting e caching Sul tema dei contratti di hosting e caching, la maggior parte dei soggetti intervenuti concorda con l’ipotesi formulata dall’Autorità. Di questi, qualcuno sottolinea la necessità di una maggiore responsabilizzazione degli ISP, qualcun altro ritiene tuttavia che il testo di questa informativa, che deve essere naturalmente standardizzato per tutti gli operatori, debba essere il frutto di un accordo unanime tra gli attori del mercato, da raggiungersi in seno ad un Tavolo tecnico permanente. Alcuni soggetti sottolineano l’importanza di una maggiore responsabilizzazione degli ISP, mentre qualcuno suggerisce di evidenziare il reato che l’utente compie nell’accedere a fruizioni illegali. Un soggetto suggerisce di chiarire anche qual è il ruolo e quali sono i poteri dell’Autorità, possibilmente anche fornendo agli utenti un elenco di associazioni rappresentative dei diritti d’autore sulle varie opere digitali che possono transitare tramite internet, in modo che l’utente abbia conoscenza certa di almeno alcuni dei soggetti titolati allo svolgimento di attività di enforcement nell’ambito del diritto d’autore. Lo stesso rileva infine che sarebbe opportuno anche considerare di rendere le informazioni in questione disponibili e fruibili dall’utente in altri modi e/o luoghi valutando l’inserimento di banner o link particolarmente visibili. Pur condividendo la proposta dell’Autorità, alcuni soggetti sottolineano che generalmente già tutti (o quasi) i contratti in essere prevedono espressamente il divieto per l’utente di violare diritti di terzi. Tra questi, secondo qualcuno, l’ulteriore integrazione delle condizioni generali di contratto attualmente vigenti, a cui il cliente finale non presta molta attenzione, non stimolerebbe una maggiore presa di coscienza. Taluni soggetti non ritengono condivisibile la proposta dell’Autorità. Un soggetto in particolare, data la natura essenzialmente all’ingrosso (B2B) di questo tipo di contratti, ritiene preferibile prevedere l’inserimento di eventuali campagne di informazione/formazione nelle carte dei servizi, onde evitare di incorrere nelle previsioni di cui al comma 4 dell’articolo 70 del Codice delle comunicazioni elettroniche (D. lgs. n. 259/2003) il quale prevede la possibilità per l’utente di recedere dal contratto senza penali nel caso di modifiche alle condizioni contrattuali. Allo stesso modo, un secondo soggetto sottolinea la difficoltà pratica di modificare i contratti in essere con nuove clausole e propone l’eventualità che le indicazioni possano essere fornite attraverso opportune informative da inserire nelle sezioni dedicate dei siti internet. Un terzo suggerisce la possibile adozione di appositi numeri di emergenza (hot line), che permettano ai cittadini di segnalare contenuti illegali e di informare gli organismi in grado di intervenire (ad esempio, il provider del servizio internet o la Polizia postale). Qualcuno non ritiene condivisibile la proposta in quanto i contratti rappresentano la cristallizzazione dei diritti e degli obblighi delle parti, non uno strumento di educazione sui temi in oggetto, e non producono effetti sugli utenti finali. Dello stesso avviso è un altro soggetto che ritiene, altresì, l’inserimento come un’implicita assunzione di responsabilità da parte dell’ISP. Con riferimento alle modalità di pagamento e degli m-payment un soggetto auspica un chiarimento circa il preciso significato della frase “modalità di pagamento per fruire dei contenuti legali anche mediante forme di m-payment”. Un altro soggetto pur condividendo in generale l’opportunità di individuare forme di pagamento come m-payment, fa notare che la disponibilità di piattaforme di m-payment potrebbe essere utilizzata da operatori integrati di servizi fissi e mobili per concentrare l’offerta di contenuti sulle proprie piattaforme di hosting e caching. Suggerisce quindi di prevedere che tutti i fornitori di contenuti e tutti gli operatori di piattaforme di caching ed hosting possano accedere a condizioni eque e non discriminatorie alle piattaforme di m-payment degli operatori integrati nei servizi fissi e mobili. Coglie infine l’occasione per segnalare all’Autorità l’opportunità di avviare una analisi di mercato sugli impatti che le modalità di m-payment generano sulle piattaforme distributive e di pagamento dei contenuti audiovisivi. Un rispondente alla consultazione, considerando la già scarsa propensione in Italia ai pagamenti con carte di credito e altri metodi elettronici, ritiene importante anche un’azione propositiva dell’Autorità per favorire l’adozione di modelli di pagamento innovativi. Lo stesso sottolinea, in aggiunta, che i pagamenti possono basarsi su abbonamenti o tariffe flat incluse nel servizio di connessione dell’operatore che offre il servizio di messa a disposizione di contenuti legali, o, come proposto dall’Autorità, basati su m-payment. Inoltre suggerisce – in considerazione dell’esiguità dei pagamenti stessi – la possibilità per gli operatori di comunicazioni elettroniche e di utenze ADSL/banda larga di far pagare in bolletta ai propri utenti o clienti la fruizione di musica legale. Alcuni soggetti sono essenzialmente d’accordo sull’azione propositiva dell’Autorità per favorire l’adozione di modelli di pagamento innovativi che semplifichino l’acquisizione dei contenuti sulle piattaforme legali da parte dei consumatori. Di questi qualcuno ritiene più opportuno fare riferimento a “tutte le possibili forme di pagamento”, senza indicarne una specifica. Un soggetto, in particolare, giudica superfluo e limitante il proposto riferimento agli m-payment, poiché quella elettronica è ormai la forma di pagamento più utilizzata dagli utenti; suggerisce, pertanto, al pari di un altro soggetto, di ricorrere all’espressione “qualsiasi forma di pagamento ammessa dalla normativa vigente”. Qualcuno ritiene che queste debbano essere comunicate ai consumatori nel corso delle campagne promozionali dei servizi legali organizzate dagli operatori del mercato. Un altro non lo ritiene necessario, essendo i contenuti digitali già fatturabili all’interno del conto telefonico e/o traffico prepagato, ai sensi del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11 in attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, Più articolata la posizione di un soggetto che, con riferimento alle forme di pagamento, ritiene opportuna l’individuazione di modalità semplici e all’avanguardia, a condizione che le piattaforme in cui tali pagamenti avvengono siano interoperabili e che non si costituiscano posizioni di gate-keeping da parte di soggetti che le gestiscono nei confronti dei fornitori di contenuti, con conseguenti effetti negativi sulla dinamica del prezzo. Alcuni soggetti sono in disaccordo con la proposta avanzata dall’Autorità. Tra questi qualcuno ritiene che i costi per la fruizione legale dei contenuti non andrebbero attribuiti agli utenti. A riguardo, qualcun altro chiede che anche per ciò che concerne le forme di pagamento, venga lasciata la massima libertà alla collettività, affinché la libertà del mercato conduca automaticamente alla creazione di nuove forme di pagamento. Mail informativa La gran parte dei soggetti intervenuti concorda con l’ipotesi di una mail informativa prospettata dall’Autorità. Tra questi un soggetto solleva dubbi circa la praticabilità della soluzione e propone di richiedere agli hosting provider di impiegare il massimo impegno per la conservazione di informazioni aggiornate e accurate riguardo ai propri utenti. Un altro consiglia di segnalare al titolare della connessione anche la necessità di proteggere tali sistemi da utilizzi impropri e non consentiti. Un altro, ancora, suggerisce che la procedura in esame debba riguardare i casi di primo accesso ad internet da parte degli utenti che abbiano sottoscritto un nuovo contratto e non gli accessi successivi, alcuni considerano più efficace un invio periodico o anche collegato a eventuali e comprovati accertamenti di violazioni che gli ISP sono in grado di verificare agevolmente e di disciplinare anche in via contrattuale con i propri clienti. Un soggetto altresì, propone un accordo con gli ISP per l’invio di avvisi informativi nel caso in cui si rilevi l’accesso a contenuti illegali da parte degli utenti. Mentre per un soggetto, è importante una responsabilizzazione dell’utente, un altro si richiama nuovamente alla necessità di definire una strategia comunicativa orientata non soltanto alla trasmissione di messaggi repressivi, ma anche alla promozione dell’offerta legale. Un soggetto reputa difficile valutarne l’utilità specifica e ritiene probabile che un uso moderato di questo mezzo possa contribuire a richiamare l’attenzione dell’utenza sulla materia. Un altro suggerisce di prendere in considerazione anche l’eventualità in cui l’effettivo utente sia diverso dall’intestatario dell’abbonamento di connessione. Un partecipante ritiene auspicabile che eventuali comunicazioni siano discusse e concertate tra gli attori del mercato coinvolti nelle campagne informative, nell’ambito del Tavolo tecnico. All’interno dei soggetti contrari alla disposizione, taluni avvalorano la propria posizione con motivazioni a supporto. Qualcuno, a titolo esemplificativo, ritiene che l’Autorità si ponga ad un livello di controllo dell’accesso alla rete che esula dalle sue competenze. Un partecipante ritiene sufficiente la realizzazione della campagna di educazione alla legalità e rappresenta il rischio che tale azione possa risultare fuorviante per il cliente, il quale, ricevendo una simile comunicazione dal proprio operatore, potrebbe essere indotto a ritenere che quest’ultimo eserciti un ruolo di controllo e verifica sulle sue potenziali attività illecite on line. Un altro, infine, considera più efficaci i messaggi recapitati tramite il software di navigazione utilizzato dall’utente (per esempio i “pop-up”). Osservazioni dell’Autorità L’Autorità ritiene che promuovere l’educazione alla legalità possa contribuire a favorire la diffusione di un utilizzo informato e consapevole della rete internet. Utilizzo che si rende più necessario a fronte di una fruizione di contenuti on line sempre più addentro alla vita quotidiana dei cittadini. Le nuove modalità di consumo di contenuti, promosse dalla nascita di ambienti digitali in grado di accogliere qualunque tipo di contenuto accessibile su una molteplicità di dispositivi, dal cd. processo di “rimediazione” dei mezzi di comunicazione tradizionali e elettronici – ovvero il processo di concorrenza e integrazione tra vecchi e nuovi media –, concorrono al cambiamento delle nuove forme di comunicazione avallate dalla rete che non cambiano solo il modo con cui gli individui e i gruppi si rapportano tra di loro; ma anche il modo di rapportarsi con le cose, rivoluzionando volumi e standard di fruizione della Società dell’Informazione. La Commissione europea, già nel 2007, nella sua Comunicazione “Un approccio europeo all’alfabetizzazione mediatica nell’ambiente digitale” (COM/2007/833), sottolinea come l’alfabetizzazione mediatica costituisca una competenza fondamentale all’interno di suddetta società e riconosce tra le caratteristiche sostanziali della stessa “l’essere consapevoli dei problemi di copyright, essenziali per una “cultura della legalità”, specie per le generazioni più giovani nella loro duplice veste di consumatori e produttori di contenuti”. Con particolare riferimento alla alfabetizzazione mediatica on line, inoltre, sottolinea come sia indispensabile “sviluppare le competenze in materia di produzione e la creatività digitale e incoraggiare la consapevolezza dei problemi connessi al copyright” oltreché “fare opera di sensibilizzazione sul modus operandi dei motori di ricerca ed imparare ad utilizzare meglio i motori stessi”. La percentuale di utenti che fruiscono di contenuti audiovisivi è in costante aumento, ed è altrettanto in crescita il numero degli utenti che utilizzano la rete per accedere a contenuti coperti da copyright senza il consenso dell’autore e senza essere sempre consapevoli di adottare comportamenti in violazione delle regole poste a presidio dello stesso. Tra questi i giovani rappresentano la fascia di popolazione che utilizza in misura più intensa la rete (specialmente nel campo dell’intrattenimento), che ha maggiore dimestichezza con il mezzo e, sovente, una minore disponibilità economica. Di conseguenza, è probabile che essi mostrino una maggiore propensione al consumo di prodotti digitali distribuiti attraverso i canali illegali. Considerando, inoltre, che il mercato italiano, secondo i dati del citato Digital Agenda Scoreboard del 2011, è sostanzialmente in linea con la media europea anche per quanto riguarda il costante aumento e utilizzo di contenuti on line “user-generated” disponibili sul web, la quota di utenti italiani che caricano contenuti audiovisivi on line è prossima alla media europea (30%) quando l’attività riguarda la creazione di video, mentre è nettamente superiore quando i contenuti user-generated riguardano i contenuti testuali, ad esempio i c.d. post. Questo dato trova peraltro riscontro nell’ampia diffusione di social network, dove l’Italia risulta tra i principali mercati europei, anche per gli accessi da rete mobile. D’altra parte, l’incremento di banda disponibile grazie agli investimenti in banda larga, e il trend positivo nell’espansione degli utenti internet, lasciano presumere che l’importanza degli user-generated content sia destinata a crescere. Ciò significa che tende ad aumentare il numero di soggetti che possono mettere in circolazione illegalmente materiali protetti anche in assenza di finalità lucrative. La tendenza diffusa all’utilizzo della rete, inoltre, promuove l’affermarsi di scenari prima inediti in cui gli smartphone, i tablet e le chiavette amplificano l’interazione e lo scambio fra individui, ma consumano banda e postulano una connessione always on, un internet ubiquitario. Tutto ciò implica non solo volumi di traffico esponenzialmente crescenti ma anche esigenze di velocità, qualità e affidabilità senza precedenti e postula, quindi, una disponibilità di banda su una scala mal confrontabile con il fabbisogno considerato negli anni addietro. Ciò premesso e inteso che l’efficacia delle campagne informative è potenziata da una proposta comunicativa diversificata, di qualità, di semplice accesso e comprensione, e attrattiva per i consumatori, la stessa appare massimizzata – a conferma di quanto specificato nel documento sottoposto a consultazione pubblica – nel momento in cui i messaggi sono diffusi su diversi mezzi di comunicazione (canali televisivi, emittenti radiofoniche, stampa specializzata e, naturalmente, siti internet). Al contempo, la probabilità che il messaggio sia effettivamente compreso dai consumatori è maggiore quando è ripetuto su più canali, ma univoco nelle forme verbali prescelte. Ne deriva che un’azione di coordinamento, soprattutto nella predisposizione dei contenuti, nella scelta dei mezzi di comunicazione orientata al target, e nel rispetto delle specificità dei singoli soggetti interessati, agevoli il successo della campagna informativa. Con riferimento alle campagne di informazione ed educazione, in accoglimento dell’unanime consenso manifestato dai partecipanti alla consultazione sull’efficacia delle misure volte a informare, con modalità più chiare e precise, gli utenti circa la portata della normativa a tutela del diritto d’autore e dei rischi generati dalla pirateria, appare opportuno demandare all’apposito Tavolo tecnico l’individuazione delle misure idonee a tale proposito, anche con il coinvolgimento delle istituzioni deputate. In questi termini, un’efficace azione di informazione degli utenti volta a chiarire i confini dei diritti concernenti uno specifico prodotto digitale e a renderli più consapevoli dei costi sociali della pirateria (in termini di deterioramento della qualità oppure di capacità innovativa del settore) può costituire un valido argomento di confronto all’interno del già menzionato Tavolo tecnico. Nelle more delle opzioni di scelta del messaggio comunicativo da diffondere, è considerato quale ulteriore beneficio all’efficacia delle campagne informative non tanto il sentimento di criminalizzazione del singolo utente, quanto piuttosto l’enfatizzazione di temi positivi quali i vantaggi in termini di sistema e di sviluppo che il rispetto della normativa sul diritto d’autore consente. Con riferimento alla proposta avanzata da taluni soggetti di estendere alle suddette campagne di informazione il trattamento riservato ai messaggi di utilità sociale ai sensi dell’art. 3 della legge n. 150/2000, si ritiene che tale estensione possa essere connessa altresì alle modalità di organizzazione delle campagne istituzionali, secondo quanto disposto dall’articolo 13, comma 2, della medesima legge, recante previsioni circa “l’obiettivo della comunicazione, la copertura finanziaria, il contenuto dei messaggi, i destinatari e i soggetti coinvolti nella realizzazione” oltreché “la strategia di diffusione con previsione delle modalità e dei mezzi ritenuti più idonei al raggiungimento della massima efficacia della comunicazione”. Tali prescrizioni, pur riferendosi alla realizzazione dei piani di comunicazione propri delle amministrazioni pubbliche, potrebbero risultare adattabili ai piani di comunicazione a valle delle campagne di educazione alla legalità. Le caratteristiche dei piani sono altresì meglio specificate nella Direttiva di attuazione sulle attività di informazione e comunicazione delle Amministrazioni pubbliche, emanata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica il 7 giugno del 2002, cd. Direttiva Frattini, in cui, al punto 3 si evidenzia come il programma debba contenere: “la definizione degli obiettivi e della strategia della comunicazione integrata (azioni di comunicazione interna, esterna, on-line, pubblicitaria etc.); la descrizione delle singole azioni con l’indicazione dei tempi di realizzazione (calendarizzazione per fasi); la scelta dei mezzi di diffusione e il budget; la pianificazione delle attività di monitoraggio e valutazione dell’efficacia delle azioni (sia in itinere al progetto sia ex post)”. In ogni caso, tali opzioni saranno oggetto di un confronto all’interno dei lavori del Tavolo tecnico. La definizione di ulteriori articolazioni all’interno della contrattualistica dei provider non può che essere concertata tra le parti, così come l’individuazione degli strumenti informativi all’utente in materia di uso lecito di internet. Pertanto si ritiene di inserire tali aspetti tra i temi prioritari per il costituendo Tavolo tecnico. 5. Provvedimenti a tutela del diritto d’autore (cfr. punto 3.5 dell’allegato B alla delibera n. 668/10/CONS) Posizioni principali dei soggetti intervenuti Sulla rimozione selettiva dei contenuti illegali Nell’ambito della consultazione pubblica è stata riscontrata una considerevole diversità di opinioni in merito alla proposta avanzata dall’Autorità in materia di rimozione selettiva di contenuti illegali a tutela del diritto d’autore. Le posizioni degli stakeholder che hanno prestato il loro contributo presentano, infatti, considerevoli divergenze, riconducibili alla distanza degli interessi di cui sono portatori. Analizzando le diverse posizioni, il giudizio di alcuni in merito all’efficacia della procedura appare generalmente favorevole, sebbene siano emerse precise istanze di integrazione e correzione dell’intervento proposto. Altri si sono dimostrati favorevoli in linea di principio all’introduzione di sistemi alternativi di prevenzione e repressione, basati su sanzioni graduali, ragionevoli e proporzionate, nei confronti dei soggetti che pongono in essere violazioni della normativa sul diritto d’autore nelle forme considerate dal documento sottoposto a consultazione pubblica. La procedura di enforcement delineata dall’Autorità incontra il generale apprezzamento da parte di alcuni partecipanti. D’altro canto, la valutazione da parte di altri del modello procedimentale del notice and take-down è complessivamente sfavorevole, mentre alcuni rispondenti hanno manifestato perplessità, pur apportando numerosi spunti di riflessione. Unanimemente negativa è la valutazione data da alcuni in merito alla procedura di segnalazione e rimozione.

L’analisi delle indicazioni pervenute da parte alcuni soggetti favorevoli all’implementazione della procedura di enforcement evidenzia una richiesta pressoché uniforme di riduzione della tempistica ipotizzata dall’Autorità. Il termine di 48 ore entro il quale il gestore del sito è tenuto a rimuovere i contenuti diffusi in violazione della normativa sul diritto di autore è infatti considerato eccessivo da diversi soggetti, i quali assumono una posizione radicale, alcuni sollecitando la rimozione immediata dei contenuti, altri evidenziando il notevole danno economico che deriva dalla permanenza in rete anche di una sola copia illegale di un film, scaricabile e riproducibile migliaia di volte. A questo proposito alcuni soggetti qualificano congruo un termine di 24 ore. È da evidenziare l’indicazione pervenuta da alcuni soggetti, che, allo scopo di realizzare una contrazione dei tempi procedurali, suggeriscono di prevedere la contemporaneità della richiesta di rimozione al gestore e all’Autorità. Un soggetto invita l’Autorità ad implementare misure disincentivanti per tentativi dilatori e segnalazioni pretestuose. Si registra la posizione contrastante di un soggetto che ha manifestato perplessità specifiche in relazione alle tempistiche procedimentali individuate, ritenendole manifestamente non idonee a garantire il rispetto del principio del contraddittorio, anche a causa della presumibilmente elevata quantità di notificazioni di cui potrebbe essere destinatario il gestore del sito. Allo stesso modo diversi soggetti lamentano l’eccessiva ristrettezza dei tempi procedimentali, che comprometterebbe il corretto instaurarsi del contraddittorio e l’esercizio del diritto di difesa. Per quanto riguarda la verifica in contraddittorio fra le parti, un soggetto suggerisce di individuare soluzioni diversificate in base alla complessità del caso, sollevando la necessità di ridurre il temine di 5 giorni “nel caso in cui le violazioni siano invece particolarmente conclamate, come in caso di recidiva”. Voci concordi auspicano altresì la contrazione dei termini procedurali della fase successiva all’ordine di rimozione del materiale trasmesso in violazione della normativa sul diritto d’autore. Molti soggetti ritengono che, in caso di inottemperanza all’ordine di rimozione, l’Autorità debba immediatamente ed automaticamente predisporre un intervento sanzionatorio. In particolare alcuni suggeriscono espressamente che all’ordine di rimozione si accompagni l’avvertenza che l’inottemperanza comporterà l’applicazione immediata delle sanzioni. Dal punto di vista pratico, taluni soggetti segnalano che l’ingente quantità di segnalazioni giornaliere di violazione del copyright di cui l’Autorità verrebbe investita non sarebbe gestibile nei tempi brevi ipotizzati e che richiederebbe di conseguenza una dotazione di risorse umane esperte nella materia, con un notevole incremento di costi. Ulteriori indicazioni emergono in merito alla necessità di estendere la procedura di segnalazione e rimozione anche ai siti internet che “linkano” a materiale illegale presente altrove, allo scopo di renderne possibile la tempestiva rimozione. Si incontrano su posizioni analoghe diversi soggetti, di cui uno propone di estendere la disciplina a qualsiasi sito distributivo, inclusi quelli di indicizzazione, un altro che espressamente auspica soluzioni idonee al caso in cui i server cui i link rinviano potrebbero essere all’estero, altri ancora, che a loro volta evidenziano la rilevanza del ruolo dei social network, in considerazione del fatto che molti link di collegamento a materiale illegale vengono regolarmente pubblicati sulle pagine individuali degli stessi. In accordo con quanto appena esposto, un soggetto suggerisce di segnalare all’hosting provider e non al gestore o operatore del sito la rimozione del materiale illegale memorizzato nel server. La rilevanza del ruolo dei social network viene sottolineata anche da un soggetto che sollecita l’adozione di misure specifiche per i motori di ricerca oltre che per i social network, in considerazione del ruolo che entrambi svolgono per la veicolazione di contenuti protetti utilizzati illecitamente. Rispetto al ruolo del gestore del sito nella valutazione della fondatezza delle richieste del titolare dei diritti, alcuni soggetti hanno manifestato perplessità nei confronti dell’attività di tipo valutativo “paragiudiziale”, come definita da un soggetto. Secondo un altro soggetto, non è possibile imporre al gestore del sito un’attività di valutazione che sarebbe, al contrario, di competenza di un organo giudicante. Da parte di alcuni soggetti, di contro, si auspica che l’Autorità stabilisca ex ante i requisiti minimi delle notifiche, eventualmente attraverso la predisposizione di “linee guida”. Un soggetto sollecita invece la creazione di una “banca dati / casistiche” che consenta una più agevole individuazione di violazioni e reiterazioni degli illeciti. Altrettanto uniformemente si ripropone l’esigenza di una più accurata definizione dei ruoli soggettivi coinvolti (distinti da alcuni partecipanti in hosting provider, content provider, access provider), rispetto alla quale diversi soggetti ritengono che sia necessario procedere al più presto, per consentire una chiara individuazione delle responsabilità dei soggetti coinvolti, in particolare rispetto al mere conduit. Per ciò che concerne la fase sanzionatoria, ad opinione di alcuni soggetti è necessario fornire precisazioni in merito a tempistica, modalità e procedura, mentre solo un soggetto suggerisce di prevedere per la recidiva ulteriori sanzioni, oltre a quelle economiche, in linea con quanto già disposto dal d.lgs. n. 70/2003 sul commercio elettronico. Sempre in merito alla repressione della recidiva, un soggetto suggerisce di introdurre un meccanismo di inibizione forzata, da parte del gestore del sito, dell’accesso per quegli utenti che caricano ripetutamente contenuti illegali. Viene altresì proposto di inibire l’accesso al sito se è lo stesso gestore che effettua l’upload dei contenuti illegali e la predisposizione per i siti di banner informativi relativi alla normativa vigente in materia di diritto d’autore, da realizzarsi da parte dell’Autorità medesima. Diversi soggetti ritengono poi che l’inottemperanza all’ordine di rimozione impartito dall’Autorità sia l’unica ipotesi nella quale sia possibile comminare sanzioni agli operatori. Ulteriori perplessità condivise da un soggetto e, in parte, da un altro, riguardano l’eventuale impugnazione degli ordini di rimozione dell’Autorità dinanzi alla giustizia amministrativa, nonché la esatta e puntuale qualifica dell’ordine di rimozione (provvedimenti di natura sommaria e cautelare o provvedimenti sommari, non reclamabili e dotati di efficacia a tempo determinato), anche allo scopo di valutare il diritto al risarcimento per il danno da rimozione ingiustificata. In merito altri soggetti ritengono necessario introdurre disposizioni di esonero della responsabilità in capo all’operatore che proceda alla rimozione di un contenuto nel caso in cui i presupposti della rimozione stessa si rivelino insussistenti. Un’ulteriore obiezione mossa da un soggetto è costituita dalla considerazione che l’ordine di rimozione dell’Autorità possa avere ad oggetto contenuti aventi portata informativa o costituenti esercizio del diritto di cronaca, oggetto di tutela costituzionale e come tali non regolamentabili nelle modalità proposte. Al riguardo un altro soggetto segnala l’opportunità di prevedere delle eccezioni e delle limitazioni al copyright a scopo informativo, didattico, educativo, conoscitivo ecc simile alla nozione statunitense di “fair use”. Secondo un soggetto occorre individuare strumenti utili a dirimere gli eventuali conflitti tra copyright e diritto di cronaca. Analogamente un soggetto propone l’individuazione di un regime differenziato per i contenuti destinati a studio e ricerca. Come corollario ad interventi di tipo repressivo, un soggetto propone misure premiali per i comportamenti virtuosi di siti e provider che ottemperino puntualmente alle fondate richieste dei titolari dei diritti e misure disincentivanti per siti scarsamente collaborativi, coordinate con l’istituzione un sistema di certificazione dei siti distributivi secondo un modello simile agli standard ISO, con conseguenti possibili agevolazioni fiscali o misure economiche di sostegno. Un soggetto suggerisce la predisposizione di misure preventive idonee a identificare anticipatamente i contenuti illegali, impedendone il caricamento, soprattutto nel caso in cui esso avvenga su uno o più siti internet fisicamente stabiliti in Italia. Si otterrebbero, così, risultati ulteriori rispetto alla rimozione, impedendo a priori la circolazione dei contenuti illegali. Da un soggetto giunge la proposta di riservare l’uso del modello procedimentale di notifica e rimozione nei confronti di soggetti che svolgono una funzione meramente tecnica, operando cioè in posizione di “indifferenza” rispetto ai contenuti. Per i casi in cui si realizzi un lucro diretto derivante dallo sfruttamento dei contenuti illegali (la raccolta pubblicitaria o accesso dietro corrispettivo), anche caricati da terzi, suggerisce invece il ricorso a strumenti di tutela che prescindano dalla preventiva notifica della presunta infrazione, attivabili anche d’ufficio da parte dell’Autorità. Un altro soggetto condivide l’iniziativa e la auspica, anche in considerazione del fatto che l’Italia è presente nella “Watch list” della Special 301 (documento elaborato dallo US Trade Office per valutare l’efficacia della tutela della proprietà intellettuale nei vari paesi del mondo) proprio a causa dell’impossibilità di implementare una procedura di enforcement.

Un soggetto rileva la necessità di un coordinamento fra la normativa penale che disciplina i reati in materia di copyright (e la competenza dell’Autorità giudiziaria ordinaria) e l’intervento dell’Autorità amministrativa attuato attraverso la rimozione selettiva. Un altro soggetto solleva la necessità di individuare preventivamente una valida e definita modalità di intervento sui siti non presenti sul territorio nazionale che violano la normativa sul diritto d’autore. Secondo questo partecipante, infatti, un intervento che prenda in considerazione solo i siti stabiliti in Italia è del tutto privo di efficacia. Si evidenzia altresì l’obiezione preliminare mossa da un altro soggetto intervenuto, basata sull’esperienza di paesi esteri, volta ad evidenziare la parzialità dell’efficacia della procedura di notifica e rimozione. Alcuni soggetti hanno eccepito una valutazione di incompetenza dell’Autorità, in quanto ad essa si riconoscono meri poteri di vigilanza e non anche ordinatori, accertativi o sanzionatori nei confronti degli operatori coinvolti. Viene ribadito, peraltro, che l’Autorità dispone del potere di emanare disposizioni regolamentari volte ad assicurare esclusivamente che i fornitori di servizi di media audiovisivi operino nel rispetto dei diritti d’autore e dei diritti connessi, in forza dell’art. 32-bis del Testo unico. Questa posizione è condivisa da alcuni soggetti, di cui uno rileva l’opportunità di un intervento normativo di rango primario finalizzato anche ad una più puntuale individuazione delle competenze e dei poteri dell’Autorità sulla materia. Sul punto alcuni ipotizzano un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato e un tentativo di espropriazione dei poteri della Magistratura. Alquanto radicata l’opinione che la procedura di notice and take-down sia incompatibile con la normativa italiana, sovranazionale ed europea, condivisa da alcuni soggetti, mentre uno in particolare la reputa del tutto sproporzionata rispetto allo scopo. Un soggetto, inoltre, esprime ulteriori dubbi derivanti dall’incompatibilità con gli accordi TRIPS di una procedura di rimozione suscettibile di applicazione indiscriminata in relazione a qualsivoglia genere di contenuto audiovisivo, ivi inclusi quelli aventi portata informativa e/o costituenti esercizio di diritto di cronaca e/o inserite nell’ambito di testate telematiche regolarmente registrate. Sull’inibizione dell’accesso ai siti illegali Dall’analisi dei contributi pervenuti dai soggetti coinvolti nella consultazione pubblica, appare evidente l’attenzione per la misura che comporta l’inibizione all’accesso ai siti che utilizzano contenuti in violazione di legge mediante il blocco del nome di dominio o dell’indirizzo IP. La predisposizione di black list è stata invece frequentemente ritenuta inefficace e di difficile implementazione. Su questa posizione concordano diversi soggetti di cui uno, in particolare, auspica il blocco amministrativo per quei siti scarsamente collaborativi con i titolari dei diritti e i produttori o con server all’estero e che traggono profitto dall’uso illegittimo dei contenuti; altri soggetti, oltre a concordare chiedono l’applicazione in maniera congiunta del blocco dell’indirizzo IP e del nome di dominio, sistema che è stato molto efficace nel caso Piratebay; diversi soggetti suggeriscono l’estensione della misura di inibizione anche ai siti che forniscono unicamente link ad ulteriori contravventori. Di diverso avviso sono altri soggetti, che riconoscono la validità di entrambe le misure, da usare in maniera complementare. In particolare un soggetto suggerisce un uso congiunto degli interventi, sollecita alcuni chiarimenti dal punto di vista procedurale, chiarendo che è necessario prevedere questo tipo di intervento non solo nei confronti di siti posti all’estero che svolgano unicamente attività illecite, ma anche nei confronti di tutti quei siti che siano primariamente o prevalentemente dediti allo svolgimento di attività illecite. Secondo il parere di altri soggetti, invece, la misura più adeguata sembra essere quella della predisposizione di una black list, meno invasiva del blocco dell’indirizzo IP o del DNS, riservando a quest’ultima un ruolo residuale per le ipotesi di maggiore gravità. In contrasto con le proposte dell’Autorità in materia di inibizione dell’accesso ai siti si pongono alcuni soggetti che ritengono entrambe le misure non implementabili per ragioni legate alla presunta incompatibilità delle stesse con la normativa europea per ciò che concerne il ruolo del mere conduit. In particolare un soggetto sostiene che la procedura di predisposizione di black list realizzata dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato non è suscettibile di applicazione analogica. Alcuni soggetti ribadiscono che l’unica modalità giuridicamente accettabile di blocco dei siti dovrebbe necessariamente prevedere l’intervento dell’Autorità giudiziaria. Un soggetto ha invece sottolineato come ogni intervento che preveda un ruolo attivo dell’ISP nel meccanismo di controllo e rimozione del contenuto debba essere considerato come extrema ratio, ribadendo la necessità di decisa affermazione del principio di irresponsabilità dell’ISP per gli atti di terzi perpetrati attraverso le risorse di rete. La società evidenzia l’opportunità di realizzare un rinvio automatico al sito dell’Autorità quando un utente tenta di collegarsi ad un sito bloccato per violazione del copyright allo scopo di spiegare le ragioni dell’inaccessibilità. Un soggetto afferma invece che le forme di blocco previste sono aggirabili troppo facilmente con strumenti a disposizione di tutti gli utenti. Sulle ulteriori misure di contrasto alla pirateria Alcuni operatori insistono sull’opportunità di predisporre misure di enforcement che abbiano come destinatari i singoli utenti che utilizzano contenuti in violazione delle norme che tutelano il diritto d’autore. In particolare un soggetto sollecita interventi legislativi che consentano di coordinare la normativa in materia di protezione dei dati personali con la necessità di contrastare fenomeni come il peer-to-peer, così come altri soggetti che chiedono l’individuazione di nuove procedure ad hoc per il contrasto del medesimo fenomeno. È opinione comune di alcuni soggetti che, a seguito dell’entrata in vigore della nuova disciplina come articolata nei lineamenti di provvedimento dell’Autorità, aumenteranno esponenzialmente anche le violazioni connesse all’utilizzo di strumenti analoghi a quello in esame. Altri soggetti propongono invece misure di tipo “costruttivo”, finalizzate alla realizzazione della riduzione dei costi per la fruizione legale delle opere, come suggerito da un soggetto, da realizzarsi secondo un altro soggetto mediante l’incentivazione di nuovi schemi di licenza, oppure finalizzate al miglioramento della qualità delle opere disponibili attraverso canali legali. Altri soggetti ritengono che ciò costituirebbe un disincentivo implicito all’utilizzo di versioni illegali delle opere medesime, qualitativamente inferiori. Secondo un soggetto è necessario incentivare accordi fra produttori e distributori finalizzati a rendere disponibili con maggiore velocità contenuti di elevata qualità. Anche l’ampliamento dell’offerta legale è oggetto di interesse da parte di alcuni soggetti, che propongono una riduzione delle barriere di tipo contrattuale. Un soggetto ritiene utile promuovere un intervento legislativo che limiti gli hold-back dei diritti cinematografici per i nuovi media, favorendo così la diffusione legale delle opere stesse a migliori condizioni, mentre molteplici suggerimenti riguardano l’introduzione di nuovi “strumenti”, anche tecnologici, che favoriscano l’azione di contrasto da parte dell’Autorità. Secondo un altro sarebbe utile la predisposizione di una sezione specializzata del Registro degli operatori di comunicazione che costituisca una white list di siti che rendono fruibili legalmente contenuti protetti, creando una piattaforma on line riservata ai detentori dei diritti che faciliti l’utilizzo degli strumenti di enforcement e renda tracciabili le segnalazioni. Un soggetto suggerisce l’implementazione di strumenti tecnologici di “filtraggio preventivo” dei contenuti sul modello del Content ID utilizzato da Google, mentre secondo un altro soggetto sarebbe utile, previo intervento del Garante per la protezione dei dati personali, consentire il ricorso a software che permettano allo stesso detentore del copyright di rilevare l’indirizzo IP dell’utente che fruisce dei contenuti in violazione del diritto d’autore. Un soggetto rileva la necessità di creare forme di conciliazione obbligatoria con tempi concordati per dirimere le controversie fra titolari dei diritti e utilizzatori dei contenuti. Secondo un altro soggetto sarebbe utile porre in essere misure idonee a favorire la collaborazione tra titolari dei diritti ed ISP nell’attività di repressione degli illeciti. Sul punto suggerisce di consentire ai titolari di diritti l’utilizzo di software e tecnologie in grado di rilevare gli indirizzi IP degli utenti che abbiano commesso violazioni. Giunge da un soggetto l’istanza finalizzata a realizzare un coinvolgimento del responsabile delle transazioni finanziarie e il servizio internet utilizzato per le inserzioni pubblicitarie – come proposto nel disegno di legge statunitense S. 3.804 “Combating Online Infringement and Counterfeits act” – Atto per la lotta agli illeciti on line e alla contraffazione” (ora S. 968 “Preventing real online threats to economic creativy and theft of intellectual property act – Protect IP Act” presentato il 12 maggio 2011) al fine di sospendere i profitti illeciti dei siti illegali e quindi la loro sostenibilità, mentre un altro soggetto sollecita la responsabilizzazione degli ISP ed il consolidamento del concetto di gestore del sito “consapevole”. Un soggetto suggerisce, inoltre, un sistema di notifiche informative indirizzate all’utente che utilizzi illegalmente contenuti protetti da copyright posto in essere da parte sia degli ISP che dell’Autorità. Osservazioni dell’Autorità Con riferimento alle perplessità manifestate in ordine alla predisposizione di una “black list” di siti internet che mettano a disposizione contenuti protetti, si rappresenta che una misura simile è già attuata da parte dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato con riferimento ai siti di gioco non autorizzati, in attuazione delle disposizioni contenute nell’articolo 1 della Legge Finanziaria 2006, con lo scopo di contrastare le truffe on line connesse al gioco d’azzardo. Con riferimento all’attività istruttoria svolta dall’Autorità si fa presente che, nei casi di siti internet, anche con server collocati all’estero, la verifica dell’attività degli stessi come intesa unicamente a favorire lo scambio non autorizzato di materiale protetto da copyright, e quindi strutturalmente illegale, o che rinviano a siti esterni di hosting mediante appositi link, potrebbe essere effettuata anche attraverso l’identificazione di una serie di figure sintomatiche, quali ad esempio la lingua dei contenuti caricati sul sito o dei banner pubblicitari da esso ospitati o anche l’individuazione di quelle attività finalizzate a migliorare sensibilmente la visibilità del sito stesso. Per migliorare la propria visibilità all’interno dei motori di ricerca e quindi per incrementare il volume di traffico che un sito web riceve dagli stessi, infatti, i siti web si possono avvalere di servizi specializzati tra cui si annoverano le tecniche SEO (Search Engine Optimization), ricomprese all’interno di una strategia più complessa del marketing dei motori di ricerca, il SEM (Search Engine Marketing). Poiché la grande maggioranza degli utenti di internet utilizza i motori di ricerca come strumenti per reperire informazioni e dati e una quota enorme di traffico web transita attraverso le ricerche effettuate da tali motori, il posizionamento nei motori di ricerca rappresenta uno dei principali fattori di successo per un sito web, poiché aumenta la visibilità dello stesso. Tali servizi ottimizzano tutti gli elementi che compongono un sito web (dominio, layout, grafica, contenuti, tecnologie di interazione) e si riferiscono alle attività di promozione, divulgazione, condivisione e socializzazione all’interno del web. A titolo esemplificativo, una delle tecniche di SEO più diffusa, e ricompresa nella categoria delle SEO OffPage, è la link popularity ovvero la presenza su altri siti di link diretti al sito in questione. La link popularity si ottiene attraverso diversi espedienti tra i quali la pratica del back-link, ovvero il link presente su un sito esterno e che rimanda ad una determinata pagina web interna al sito web che si vuole ottimizzare.

Affinché il back-link funzioni, è importante che l’anchor text (che indica con il testo l’oggetto principale della pagina linkata) di questi link sia una parola chiave contenuta nella pagina di destinazione e che diversi back-link provenienti da diversi siti ma puntanti alla stessa pagina abbiano lo stesso anchor text. La link popularity aumenta anche grazie alla esposizione dei back-link all’interno delle diverse modalità di divulgazione di informazioni e contenuti presenti nel web e nel web 2.0. In particolare, attraverso questi ultimi, oltre ad aumentare la popolarità dei back-link è possibile anche monitorare quali sono gli interessi del momento per orientare al meglio l’offerta sul proprio sito. Con riguardo alle obiezioni sollevate in merito all’eventuale ordine di rimozione selettiva emanato dall’Autorità, si rileva che questo non è sottoposto ad esecuzione forzata, ma, in caso di inottemperanza, dà luogo unicamente all’avvio di un procedimento amministrativo di tipo sanzionatorio con tutte le garanzie previste dalla legge n. 689/81, che culminerà, qualora la violazione dell’ordine impartito e non eseguito venga riscontrata ed accertata, all’irrogazione della sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 1, comma 31, della legge n. 249/97, istitutiva dell’Autorità. Ove sussistano le condizioni per disporre la rimozione selettiva di contenuti diffusi in violazione del diritto d’autore, l’Autorità ritiene opportuno prevedere una prima fase dinanzi al fornitore di servizi, al quale presentare una segnalazione in cui il soggetto che si reputi leso evidenzia le proprie ragioni, al fine di ottenere la rimozione del contenuto. Al fine di consentire il massimo livello di contraddittorio, si ritiene altresì di prevedere la possibilità, per il soggetto che aveva caricato il contenuto rimosso, di opporsi a tale misura qualora la ritenga ingiustificata. Nel caso in cui le procedure dinanzi al fornitore di servizi non vadano a buon fine, il soggetto interessato potrà investire della questione l’Autorità, il cui intervento è previsto solo a condizione che sia stata esperita la prima fase della procedura, la quale si pone pertanto come condizione di procedibilità. Nell’ambito di questa seconda fase della procedura, si reputa opportuno delineare alcuni passaggi volti a contenere il più possibile l’intervento autoritativo/impositivo, cercando, invece, la collaborazione dei soggetti coinvolti; in quest’ottica è prevista la facoltà di adeguamento spontaneo per il soggetto responsabile della violazione. Solo quando la questione non si risolva in tal modo, viene investito l’organo di vertice dell’Autorità, il quale può adottare un ordine di rimozione selettiva di contenuti illegali. Naturalmente sono fatti salvi i casi in cui l’Autorità acquisisca la notizia di una fattispecie che integri gli estremi di un reato, nel qual caso essa è tenuta ad inoltrare la segnalazione alla Guardia di finanza o alla Polizia postale per il seguito di competenza. La proposta di inserire l’istituto denominato counter notice, ovvero una “contronotifica” che l’uploader può effettuare nei confronti del fornitore di servizi che abbia rimosso un contenuto da lui caricato, a seguito della procedura di notice and take down è stata recepita nello schema di regolamento, in quanto si ritiene che essa si raccordi con un corretto bilanciamento degli interessi in gioco e fosse contenuta in nuce nel documento sottoposto a consultazione. In ordine alla richiesta di prevedere un sistema di “fair use”, occorre tenere conto che esso impone di verificare la sussistenza dei seguenti requisiti: 1) l’oggetto dell’uso e la natura di questo, in particolare se commerciale ovvero didattico e senza scopo lucrativo, 2) la natura dell’opera protetta, 3) la quantità e l’importanza della parte utilizzata in relazione all’opera protetta nel suo insieme e 4) le conseguenze derivanti dall’uso sul mercato potenziale o sul valore dell’opera protetta. Gli articoli 65 e 70 della legge n. 633/1941 già prevedono un sistema di eccezioni al diritto d’autore che dovranno orientare l’Autorità nella sua attività istruttoria e che va letto anche alla luce delle norme in materia di libertà di esercizio del diritto di cronaca, commento e discussione. Tenuto conto che l’Autorità è competente ai sensi dell’art. 32-quater del Testo unico in ordine ai brevi estratti di attualità, come attuato dal regolamento dell’Autorità adottato con delibera n. 667/10/CONS, e dell’art. 5 del decreto legislativo 9 gennaio 2008, n. 9 in ordine alla cronaca sportiva, come attuato dai regolamenti adottati dall’Autorità con delibere nn. 405/09/CONS e 406/09/CONS, da tale quadro normativo emerge una sostanziale sovrapponibilità tra la nozione di libertà di cronaca e “fair use” ai fini dell’esercizio delle competenze dell’Autorità, essendo previsti: 1) il limite connesso al fine esclusivamente informativo, 2) il limite del diritto esclusivo dell’opera protetta, 3) i limiti quanto a durata minima e embargo orario rispetto all’opera protetta e 4) il limite della salvaguardia del valore dell’opera protetta. Al fine di corroborare tale assunto, si reputa opportuno inserire un espresso riferimento agli articoli 65 e 70 della Legge sul diritto d’autore all’interno dello schema di regolamento. Per quanto concerne la presunta incompatibilità con gli accordi TRIPS, si evidenzia come questi stabiliscano un triplice vaglio al superamento del quale la conformità delle eccezioni e limitazioni al diritto d’autore è sottoposta. Le eccezioni e limitazioni alla tutela del diritto d’autore 1) devono trovare infatti applicazione solo in determinati casi speciali, 2) non devono porsi in contrasto con il normale sfruttamento dell’opera e 3) non devono arrecare ingiustificato pregiudizio ai titolari dei diritti (cd. three step test). La legge 633/41 prevede, all’art. 65 e all’art. 70, la possibilità di porre alcune eccezioni alla tutela del diritto d’autore, giustificate da ragioni precise, compatibilmente con gli interessi dei titolari dei diritti. La procedura prevista dall’Autorità si pone perfettamente in linea con quanto disposto dalla citata normativa perché, se da un lato mira a garantire adeguata protezione ai titolari dei diritti, dall’altro si preoccupa di salvaguardare posizioni giuridiche meritevoli di tutela. In esso si prevedono infatti alcune eccezioni alla tutela dei contenuti protetti, conformemente all’Accordo TRIPS e alla legge sul diritto d’autore, proprio per garantire esigenze della collettività, quali l’informazione e la libertà di discussione, di commento, cronaca e critica.

6. Le licenze collettive estese (punto 3.6 dell’allegato B alla delibera n. 668/10/CONS) Posizioni principali dei soggetti intervenuti Sul possibile ricorso ad accordi volontari La regolamentazione di accordi collettivi di licenza, con la connessa portata obbligatoria nei confronti anche dei soggetti non direttamente coinvolti nella contrattazione degli stessi, ha ottenuto un riscontro positivo da parte di alcuni soggetti, che pongono comunque un problema di rappresentatività per gli enti di gestione dei diritti, mentre un altro soggetto sottolinea che l’operazione non deve essere limitata alla fruizione di contenuti in streaming. Anche un altro soggetto ritiene adeguato lo strumento individuato dall’Autorità per intervenire nella materia a livello nazionale, suggerendo comunque una riflessione più approfondita sull’utilizzabilità dello schema concettuale delle licenze collettive estese per creare alcuni obblighi in capo agli ISP. Un soggetto ritiene che gli accordi volontariamente conclusi fra gli organismi rappresentativi dei titolari dei diritti e gli utilizzatori siano adeguati per garantire il soddisfacimento della richiesta di offerta legale e a garantire l’accesso alla cultura ed all’informazione, soprattutto se coordinata con misure di enforcement, segnalando tuttavia che lo stesso ente, per il caso specifico delle emittenti radio, utilizza il sistema delle blanket licenses, vincolanti per le sole opere in titolarità degli associati ad un determinato ente, e non quello delle licenze collettive estese. Per alcuni soggetti, invece, il modello risulta applicabile a quei contenuti per i quali non sia agevole risalire ai titolari dei relativi diritti, come le opere orfane. Alcuni manifestano la loro contrarietà al modello proposto dall’Autorità per una serie di ragioni. Fra le motivazioni condivise quella avanzata da diversi soggetti, secondo i quali la realizzazione di accordi collettivi di licenza comporterebbe un’inaccettabile limitazione della libertà per i titolari dei diritti di partecipare volontariamente alla negoziazione di eventuali licenze individuali, nonché una posizione privilegiata per le major e per i titolari di diritti su opere di maggior successo, escludendo di fatto i titolari di diritti su produzioni nuove o indipendenti, come sostenuto da un soggetto. Secondo un altro soggetto, la soluzione proposta è da evitare in quanto, limitando la libertà contrattuale, costringe i titolari dei diritti a donare una porzione del valore delle loro opere ad altre entità commerciali sul mercato, con conseguente forfetizzazione obbligata del valore stesso. Un certo numero di soggetti, motiva il diniego espresso rispetto alla proposta dell’Autorità con la scarsa chiarezza della stessa, mentre un altro soggetto obietta la difficoltà di verificare se gli utenti che abbiano acquistato un account senza licenza rispettino le condizioni contrattuali pattuite, in considerazione del principio sancito dall’art. 15 della Costituzione e precisato dall’art. 123 del Codice per la protezione dei dati personali. A tal proposito, giudicando non opportuna l’imposizione di un “filtro” da apporre al canale web di comunicazione libero, un soggetto suggerisce di approntare appositi canali di comunicazione, evidenziando in tal modo le carenze infrastrutturali che rendono una tale scelta di difficile attuazione. Alcuni soggetti evidenziano come non sia possibile affrontare unitariamente la problematica delle licenze collettive estese a causa delle diverse modalità di consumo per i diversi prodotti, rilevando come per il settore dei contenuti audiovisivi e dei videogiochi questo tipo di accordi sia inappropriato, anche a causa della molteplicità della natura dei diritti di utilizzazione e sfruttamento che ineriscono in via generale ai contenuti audiovisivi, nonché dell’assenza di enti di gestione collettiva e di riscossione dei compensi dovuti. In accordo con quanto appena riportato, un soggetto ritiene che il ricorso agli accordi collettivi realizzerebbe una grave disparità di trattamento a danno proprio degli artisti musicali, ai quali non è riconosciuto un diritto irrinunciabile ad un equo compenso per qualsiasi tipo di sfruttamento delle loro opere, come invece accade per le opere cinematografiche e assimilate. Un altro soggetto argomenta nel dettaglio alcune opinioni relative allo strumento proposto. Secondo l’associazione la realizzazione del modello prospettato dall’Autorità comporta l’imposizione di una “tassa di scopo” per gli ISP, estranea all’ambito regolamentare dell’Autorità. Un intervento di tal genere, destinato a regolare gli usi non commerciali delle opere protette on line, e non invece quelli commerciali, risulterebbe del tutto nuovo per l’ordinamento italiano e non potrebbe prescindere da una riforma più generale del diritto d’autore. Su tale punto, pertanto, un soggetto manifesta la sua contrarietà sottolineando come in realtà il ricorso a licenze collettive, pur non risolvendo il problema della pirateria, penalizza gli utenti di internet che non commettono violazioni del diritto d’autore. Nel merito, vengono evidenziate criticità quali la rilevanza marginale dell’intervento, in quanto tali licenze non solo non proteggerebbero l’utente finale da eventuali azioni penali o risarcitorie, ma i maggiori produttori mondiali dei contenuti audiovisivi non sarebbero interessati ad aderirvi; inoltre, un tale strumento rischierebbe di promuovere gli illeciti, poiché gli utenti non professionali difficilmente sarebbero a conoscenza dell’opt-out delle “major”, l’imposizione di un corrispettivo aggiuntivo a carico degli utenti attribuirebbe a questi il diritto di recedere dal contratto con l’ISP e gli ISP che non abbiano partecipato agli accordi conclusi sarebbero privati della possibilità di negoziare accordi di licenza individuali. Un altro soggetto concorda per quanto riguarda l’iniquità dell’attribuzione di un costo collegato ad ogni contratto di accesso alla rete, posto anche a carico di chi non ha mai fatto ricorso a contenuti in violazione della normativa vigente. Secondo alcuni soggetti, detto costo fisso, che formalmente remunera il file sharing legale, genererebbe peraltro un ulteriore assottigliamento delle risorse che gli utenti destinano ad altre modalità di acquisto di contenuti digitali, con conseguente penalizzazione dello sviluppo di piattaforme legali e “dequalificazione” del valore stesso delle opere creative, come evidenziato da altri soggetti. Quest’ultima afferma che allo scambio di file fra privati andrebbe comunque attribuito un valore “economico” di scarsa rilevanza, con conseguente adozione di tariffe “adeguate” all’uso non commerciale che prescindono dal valore economico del business collegato agli stessi software che rendono possibile il file sharing. Ancora secondo un soggetto, il pregiudizio che gli accordi collettivi di licenza arrecherebbero al mercato dei servizi legali produrrebbe, come ulteriore conseguenza, un decremento degli investimenti degli operatori disponibili a sostenere modelli di business legale, con conseguente impoverimento delle risorse finanziarie indispensabili per la produzione e lo sviluppo di nuovi contenuti culturali. Concordano poi in merito alle difficoltà gestionali e amministrative che deriverebbero dall’adozione di accordi collettivi di licenza alcuni soggetti, in particolar modo con riferimento al problema della determinazione della parte di compenso spettante a ciascuna categoria di aventi diritto. Alcuni soggetti sono nettamente contrari alla proposta sostenendo che si realizzerebbe un sistema anarchico più che libero, mentre altri suggeriscono di adottare misure che favoriscano la concorrenza. Ulteriori obiezioni sono state mosse da un soggetto che evidenzia la difficoltà di individuare gli enti da coinvolgere nella contrattazione, perplessità evidenziata anche da un altro soggetto, nonché la necessità di concordare nuovamente le condizioni economiche per il pagamento dei diritti d’autore sui contenuti, visto che attualmente i criteri in uso non si conciliano con la sostenibilità del business. Viene rilevata peraltro l’assenza di norme specifiche dedicate ai nuovi modelli di distribuzione dei contenuti che prevedano modalità di accesso agli stessi attraverso abbonamenti, secondo formule forfettarie, attraverso crediti spendibili in modo frazionato o, ancora, a fronte di scambi di servizi/attività con gli utenti. Secondo alcuni soggetti non è possibile imporre limitazioni di diritti costituzionalmente garantiti ricorrendo ad una fonte normativa regolamentare, mentre un soggetto, giudica superfluo un intervento inteso a regolare il modello delle licenze collettive estese, in quanto, a titolo esemplificativo, la normativa e il Contratto di Servizio già prevedono per la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, obblighi specifici in relazione alla diffusione della propria offerta. La medesima perplessità in merito alla fonte normativa utilizzata è condivisa da un altro soggetto. Sul percorso procedurale alla base degli eventuali accordi volontari In merito alla procedura individuata dall’Autorità per l’implementazione delle licenze collettive estese, numerosi soggetti esprimono un giudizio positivo. Un soggetto apprezza in particolar modo l’ipotesi di istituzione di un fondo a carico degli ISP a sostegno dell’industria dei contenuti. Anche per offrire un contributo in termini di contenuti, un soggetto ha richiamato le modalità tecniche di gestione definite nel progetto Arrow, ricordando che le tecnologie per la gestione dei diritti in fase di implementazione sono state interamente sviluppate in Italia, grazie alla collaborazione tra diversi soggetti e che il progetto citato è stato indicato come modello di gestione dei diritti per le biblioteche digitali europee da risoluzioni della Commissione e del Parlamento europeo. Alcuni soggetti sottolineano come un intervento in tal senso costituirebbe una inaccettabile compressione della libertà negoziale delle parti e degli operatori non giustificata dalle esigenze di tutela del copyright, mentre un altro obietta che la determinazione di un pagamento à forfait è in conflitto con la facoltà di libera fruizione della rete. Fra le posizioni dissenzienti è da registrare quella di un soggetto, secondo cui il modello proposto non corrisponde de facto a quello delle licenze collettive estese, ma a quello delle licenze obbligatorie, pertanto l’ammissibilità dello stesso è subordinato ai limiti entro i quali le medesime licenze obbligatorie sono consentite dalle convenzioni internazionali. Un altro soggetto, più semplicemente, sollecita un maggior coinvolgimento degli ISP nel rimuovere i contenuti illegali. Più articolata la posizione di un altro soggetto che, assumendo preventivamente l’incompatibilità degli accordi collettivi di licenza con la normativa vigente in materia di diritto d’autore a livello internazionale e comunitario, contesta la possibilità di opt out riconosciuta al singolo titolare di diritti anche in relazione all’esclusione di una sola modalità di utilizzo ed evidenzia l’eccessiva indeterminatezza del concetto di “utilizzo non commerciale”. Tra i soggetti che sono sostanzialmente contrari, uno in particolare segnala le proprie perplessità essenzialmente in merito al coinvolgimento di alcuni specifici soggetti che avrebbero dimostrato scarsa capacità di gestione di situazioni analoghe in passato. Anche un altro soggetto evidenzia dei dubbi sul percorso procedurale, eccessivamente formale, mentre ritiene opportuno lasciare spazio all’iniziativa alla libera autonomia delle parti. Un soggetto ricorda che l’attività degli ISP deve limitarsi a fornire la connettività agli utenti, escludendo ogni altro eventuale intervento. Osservazioni dell’Autorità In via di premessa generale, i benefici legati agli accordi collettivi di licenza riguardano l’ampliamento del repertorio di opere protette fruibili legalmente e possono avere un impatto positivo sullo sviluppo dell’offerta legale in conseguenza dell’acquisizione di un’autorizzazione preventiva e generalizzata circa taluni utilizzi on line di una gamma ampia di contenuti. L’estensione degli effetti degli accordi di licenze collettive dovrebbe altresì favorire un equilibrato bilanciamento del diritto fondamentale degli autori alla tutela dei loro interessi morali e materiali con quello degli utenti all’accesso alla cultura e all’informazione attraverso reti di comunicazione elettronica.

Anche la Commissione europea riconosce, all’interno della già citata Comunicazione “Sui contenuti creativi online nel mercato unico” tra le problematiche che ostacolano lo sviluppo del mercato dei contenuti on line, e che richiedono un intervento a livello dell’UE, l’adozione di licenze multiterritoriali per i contenuti creativi, e nella citata Comunicazione “Un’Agenda digitale europea”, propone soluzioni più agevoli, più uniformi e tecnologicamente neutre per le licenze transfrontaliere e paneuropee nel settore audiovisivo al fine di stimolare la creatività e aiutare i produttori e i distributori di contenuti, a vantaggio dei cittadini europei. L’esperienza di applicazione dello strumento proposto, soprattutto nei paesi scandinavi, dimostra che si tratta di un sistema particolarmente indicato nel settore librario e che presenta potenzialità in merito all’esigenza di favorire lo sviluppo delle biblioteche digitali. D’altra parte, anche su tale considerazione si fondano gli argomenti contrari. In particolare, si segnala che le licenze collettive presentano efficacia differenziata in rapporto a diversi settori (biblioteche vs. cinema) e modalità di utilizzo (file sharing vs streaming). Esigenze di approfondimento emergono anche in merito alla valutazione della linea di azione riguardante l’introduzione di offerte di accesso a internet mediante la formula del contratto “munito di licenza”. In particolare, la consultazione pubblica ha evidenziato rischi legati alla regolamentazione diretta delle condizioni generali di offerta per i contratti di accesso a internet, in quanto un meccanismo come quello ipotizzato potrebbe impropriamente tradursi nell’imposizione – secondo alcuni soggetti – di una tassa di scopo. A fronte di benefici legati alla possibilità di introdurre forme innovative di remunerazione degli utilizzi di opere protette in internet, nonché elementi di trasparenza e cooperazione tra gli attori della catena del valore, soprattutto a vantaggio dei consumatori e dello sviluppo dell’offerta legale, il problema posto riguarda l’esigenza di approfondire i rischi di alterazione delle dinamiche di prezzo nel mercato retail dei servizi a banda larga. L’azione proposta ha costituito oggetto di posizioni discordanti tra gli attori del mercato. Dal momento che il meccanismo ipotizzato nelle linee di provvedimento si fonda sull’adesione volontaria degli attori della catena del valore agli accordi collettivi sugli utilizzi di contenuti digitali protetti, ne consegue che l’efficacia dello strumento proposto è fortemente condizionata al grado di adesione volontaria di siffatti soggetti. Inoltre, la rilevanza e peculiarità dei rischi evidenziati nella fase di consultazione pubblica suggeriscono l’opportunità di approfondimento in relazione al potenziale impatto delle azioni proposte e di eventuali soluzioni alternative che possono essere adottate dagli attori del mercato attraverso l’autoregolamentazione. Al riguardo, un’attività di approfondimento appare utile anche al fine di esaminare l’evoluzione tecnologica del settore e l’impatto sulla neutralità della rete, tenendo conto delle tendenze attuali e dei possibili scenari di mercato. Stante la divergenza delle posizioni tra le categorie di soggetti interessati, diviene centrale, con riferimento anche alla tematica degli accordi collettivi di licenza, il ruolo del Tavolo tecnico proposto dall’Autorità nella delibera n. 668/10/CONS, in modo da favorire un confronto tra i partecipanti e, attraverso un ruolo di mediazione dell’Autorità, avanzare proposte che tengano conto di un equo bilanciamento degli interessi in gioco. 7. Attività di risoluzione delle controversie (cfr. punto 3.7 dell’allegato B alla delibera n. 668/10/CONS) Posizioni principali dei soggetti intervenuti Alcuni soggetti accolgono con favore lo svolgimento di un ruolo di risoluzione delle controversie da parte dell’Autorità, ritenendolo uno strumento utile ad evitare cause giudiziarie sia tra operatori che tra operatori e utenti, in coerenza con le competenze già attribuite all’Autorità dalla sua legge istitutiva. Altri soggetti si dichiarano favorevoli purché vengano rispettate precise condizioni. Alcuni tra questi, pur ritenendo pregevole un’iniziativa di risoluzione delle eventuali controversie da parte dell’Autorità, sottolineano la necessità che le parti possano avvalersene in via non obbligatoria, bensì su base volontaria e facoltativa. Alcuni soggetti sono parzialmente favorevoli, ravvisando l’utilità di un intervento di mediazione di natura amministrativa, purché questo non pretenda di sostituirsi alla tutela giurisdizionale dei diritti spettante alla Magistratura ordinaria. Un soggetto propone di impostare il ruolo dell’Autorità in tale ambito come un ruolo di istanza di secondo grado adibile dal soggetto che si ritiene danneggiato ingiustamente dalla rimozione del contenuto/sito, mentre altri propongono di approfondire la tematica in sede di Tavolo tecnico. Un intervenuto si attesta su una posizione di neutralità, non ritenendo che nell’attuale contesto del settore editoriale vi sia la necessità di un mediatore nel dialogo con gli utenti. Altri soggetti rispondenti si dichiarano fermamente contrari, convinti che l’adozione di un siffatto ruolo di mediazione da parte dell’Autorità contrasti con i poteri dell’Autorità giudiziaria ordinaria, unica competente alla tutela giurisdizionale dei diritti e alla risoluzione delle controversie. Osservazioni dell’Autorità Al riguardo, si rappresenta che l’Autorità ha ritenuto di non predisporre nello schema di Regolamento posto in consultazione procedure di risoluzione delle controversie in quanto nelle materie in cui tale strumento sarebbe stato impiegato, ad esempio relativamente a tariffe, condizioni di concessione delle licenze, affidamento dei diritti on line finalizzato alla loro gestione e al ritiro dei diritti on line, è apparsa sufficiente l’istituzione di un Tavolo tecnico. In tal modo si consente comunque l’intervento dell’Autorità di supporto ai privati nell’esercizio dell’autonomia contrattuale. Inoltre. le diverse fasi del procedimento delineato nello schema di Regolamento consentono già un ampio contraddittorio tra le parti sia nella fase dinanzi al prestatore di servizi, sia in quella dinanzi all’Autorità, permettendo, così, di risolvere i conflitti in un momento precedente a quello della soltanto eventuale sanzione. 8. Istituzione presso l’Autorità di un Tavolo tecnico (cfr. punto 3.8 dell’allegato B alla delibera n. 668/10/CONS) Posizioni principali dei soggetti intervenuti La maggior parte dei soggetti intervenuti si dichiara favorevole all’iniziativa e si candida a prendervi parte. Tra i soggetti che hanno sottolineato l’utilità della creazione di un Tavolo tecnico, alcuni raccomandano di garantire un adeguato coordinamento con gli altri organismi attualmente esistenti che esaminano le tematiche relative al copyright, ovvero quelli istituiti presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (di seguito MIBAC) e presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Un soggetto manifesta la necessità di garantire che l’attivazione dei lavori di un eventuale Tavolo tecnico non pregiudichi in alcun modo l’avvio rapido ed effettivo di una regolamentazione in materia di contrasto alla pirateria online. Mentre un soggetto auspica la presenza di stakeholder del web aperto, un altro richiama la necessità di rappresentare equamente nella sua composizione i diversi soggetti portatori di interessi e un altro ancora è favorevole, purché vengano rispettati i limiti, le competenze e gli ambiti sanciti dalla normativa comunitaria e nazionale e attribuiti all’Autorità. Al contrario, diversi soggetti ritengono che l’istituzione di un Tavolo tecnico possa comportare il rischio di sovrapposizioni con il Comitato Consultivo Permanente per il Diritto d’Autore (di seguito CCPDA) attivato presso il MIBAC, istituito dall’art. 190 della legge n. 633/1941. I citati soggetti lamentano che il frazionarsi delle sedi di confronto non consentirebbe di focalizzare le problematiche e allontanerebbe la possibilità di pervenire a soluzioni condivise. Un soggetto rispondente, al riguardo, si candida alla partecipazione al Tavolo tecnico esclusivamente nella misura in cui questo sia paritario e diverso dal Comitato sul diritto d’autore presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Altri propongono, in alternativa, di costituire in seno al citato CCPDA una commissione speciale composta da tecnici Agcom, che con le proprie competenze potrebbero apportare un significativo contributo ai lavori del Comitato, declinandoli con maggiore efficacia e specificità in ambito digitale. Un soggetto propone l’estensione delle tematiche del tavolo anche ai contenuti mobili. Osservazioni dell’Autorità Sul punto, in considerazione del fatto che il documento posto in consultazione si limitava a citare quale possibile argomento del Tavolo tecnico le problematiche applicative del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e l’efficace implementazione delle misure previste, nel corso delle audizioni è stata colta l’occasione per acquisire ulteriori dettagli in ordine alle tematiche di maggiore interesse. In esito a tali interlocuzioni, sono stati individuati i seguenti possibili temi, fermo restando il carattere del tutto aperto dell’elenco al quale si è pervenuti. I temi rispetto ai quali è emersa una sostanziale condivisione nella volontà di adesione al Tavolo sono: . modulistica per le segnalazioni (elementi anagrafici minimi, oneri probatori, lunghezza massima del testo etc); . profili tecnici relativi all’enforcement del regolamento; . promozione dell’offerta legale (ad esempio attraverso white list); . uniformità delle clausole contrattuali degli ISP in ordine all’uso lecito di internet; . educazione alla legalità (individuazione delle modalità di intervento riguardanti le possibili attività di informazione e formazione destinate ai consumatori sui temi della fruizione di contenuti in rete). Non è invece apparsa unanime la volontà di discutere dei seguenti temi, pur avendo tutti i soggetti intervenuti rappresentato la volontà di partecipare al Tavolo qualora venisse istituito: . possibile riduzione delle finestre di distribuzione; . accesso ai contenuti premium (ad esempio incoraggiando la riduzione della durata delle esclusive o della loro portata rispetto alle piattaforme trasmissive); . licenze collettive estese. RITENUTO OPPORTUNO, stanti la particolare rilevanza e complessità tecnica della materia oggetto di regolamentazione e la conseguente necessità di approfondire adeguatamente gli aspetti relativi alla protezione del diritto d’autore connessi ai servizi di media audiovisivi, di sottoporre ad ulteriore consultazione pubblica lo schema di regolamento i materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica; A tale scopo, lo schema di Regolamento che si pone in consultazione si propone, da un lato, di favorire lo sviluppo dell’offerta legale, dall’altro di disciplinare l’attività di accertamento, prevenzione e cessazione delle forme di violazione del diritto d’autore nei settori di competenza dell’Autorità. Sono escluse dall’ambito dell’emananda disciplina le applicazioni con le quali gli utenti possono scambiare contenuti direttamente con altri utenti attraverso reti di comunicazione elettronica. Nell’esercizio delle attività previste dallo schema di Regolamento l’Autorità opera nel rispetto dei diritti e delle libertà di espressione del pensiero, di cronaca, di commento, critica e discussione, ispirandosi ai principi fondamentali sanciti dal Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici e alle eccezioni previste dalla Legge sul diritto d’autore. Al fine di promuovere l’offerta legale, l’Autorità ritiene utile coinvolgere tutti gli stakeholder attraverso l’istituzione di un Tavolo tecnico, le cui modalità di funzionamento sono delineate nell’ambito dell’articolato; ad esso è altresì demandata la definizione di alcuni aspetti operativi del procedimento posto a tutela del diritto d’autore. Inoltre, sotto il profilo procedimentale, appare opportuno prevedere una prima fase in cui il titolare del diritto potrà richiedere direttamente al gestore del sito o al fornitore del servizio di media audiovisivo o radiofonico la rimozione del contenuto protetto, fatte salve le garanzie di contraddittorio con il c.d. uploader. Solo a seguito di tale fase preliminare sarà possibile invocare l’intervento dell’Autorità, che potrà attivarsi su segnalazione del titolare del diritto in caso di mancata rimozione, o dell’uploader che lamenti, per contro, l’illegittima rimozione del contenuto. La Direzione competente, ove ne ravvisi gli estremi, potrà invitare il gestore del sito o il fornitore del servizio di media audiovisivo o radiofonico all’adeguamento spontaneo alla normativa rilevante che si assume violata. Nell’ipotesi in cui tale invito dovesse rimanere inevaso, la Direzione investirà della questione l’organo collegiale competente che, al termine di un procedimento che fa salve le garanzie di contraddittorio tra le parti, potrà ordinare la rimozione dei contenuti illegali. Nel caso di soggetti localizzati all’estero, previo richiamo, potrà richiedere la rimozione dei contenuti illegali destinati al pubblico italiano in violazione delle norme sul diritto d’autore. Nel caso in cui il sito non ottemperi alla richiesta, il caso verrà segnalato alla Magistratura per i provvedimenti di competenza. Al fine di fugare qualsiasi dubbio sulla proporzionalità e sui limiti dei provvedimenti dell’Autorità e sul rapporto tra l’intervento amministrativo e i preminenti poteri dell’Autorità giudiziaria, non si è ritenuto di includere negli interventi di propria competenza la misura dell’inibizione dell’accesso ai siti, sia italiani che esteri. Inoltre, resta inteso che, qualora il soggetto decida di adire la via giudiziaria, l’Autorità non darà al procedimento alcun seguito. VISTA la delibera n. 453/03/CONS del 23 dicembre 2003, recante “Regolamento concernente la procedura di consultazione di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 28 gennaio 2004, n. 22;

RITENUTO congruo il termine di 60 giorni entro il quale i soggetti interessati possono comunicare le proprie osservazioni; VISTA la proposta formulata dalla Direzione contenuti audiovisivi e multimediali, d’intesa con il Servizio giuridico; UDITA la relazione dei Commissari Sebastiano Sortino e Gianluigi Magri, relatori ai sensi dell’art. 29 del Regolamento concernente l’organizzazione e il funzionamento dell’Autorità; DELIBERA Articolo 1 1. È sottoposto a consultazione pubblica lo schema di regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica, di cui all’allegato A alla presente delibera, di cui forma parte integrante e sostanziale, recante “Schema di regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica”. 2. Le modalità di consultazione sono riportate nell’allegato B alla presente delibera. 3. Le comunicazioni di risposta alla consultazione pubblica dovranno pervenire entro 60 giorni dalla data di pubblicazione del presente provvedimento nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana. La presente delibera è pubblicata integralmente sul sito internet dell’Autorità e nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.

Roma, 6 luglio 2011

IL PRESIDENTE Corrado Calabrò

IL COMMISSARIO RELATORE Sebastiano Sortino Per attestazione di conformità a quanto deliberato

IL SEGRETARIO GENERALE Roberto Viola

IL COMMISSARIO RELATORE Gianluigi Magri

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