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Pechino città Ecologica

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Pechino città Ecologica

Pubblicato il 12 gennaio 2020 by redazione

La Grande Muraglia Verde: il nuovo gigantesco polmone di Pechino

deserto del Gobi

Deserto del Gobi.

Pechino si è ritrovata a far fronte a due grandi problemi: il primo consiste nell’avanzamento del deserto del Gobi, con l’incalzante ritmo di 20-30 metri annui di sabbia e dune che avanzano a velocità tripla rispetto al secolo scorso (ogni anno in Cina si spendono l’equivalente di 10 miliardi di dollari per tentare di contrastare la desertificazione del territorio); il secondo problema, ormai tristemente noto a tutti, è l’inquinamento dell’aria e i conseguenti cambiamenti climatici che si fanno sentire con il clima che sembra impazzito. Catastrofiche siccità e precipitazioni annue diminuite dal 2001 ad oggi del 37%, aumento del vento e delle tempeste di sabbia, per non menzionare le polveri sottili e le emissioni inquinanti del carbone usato nell’industria e per il riscaldamento; tutti fattori che hanno causato danni economici incalcolabili. La terra ormai arida si rifiuta di produrre e ha spinto oltre 400 milioni di contadini eco-profughi a trovare lavoro altrove. Si tratta di una situazione che diventa sempre più estrema col passare degli anni, causata dall’avidità e dalla prepotenza dell’uomo a cui ora non resta altra scelta che correre ai ripari.

grande-muraglia-verde-cinese

La grande muraglia verde cinese.

Non volendo però spostare la capitale millenaria –come si farebbe normalmente fatto in una situazione simile e come è già accaduto altrove in passato- e non avendo i mezzi per contrastare i cambiamenti climatici, a Pechino hanno deciso di creare la cosiddetta “Grande Muraglia Verde”, ovvero di dar vita artificialmente alla più grande foresta asiatica con 300 milioni di alberi piantati nella regione di Hebei, a nord e ad ovest della capitale, per un totale di 250 mila kilometri quadrati. Si tratta senza alcun dubbio di un progetto ambizioso che sfida i limiti della natura e dell’uomo; un progetto senza precedenti. Come annunciato dal premier Wen Jiabao, saranno investiti circa 30 miliardi di dollari per la riforestazione di pioppi, faggi, abeti e betulle e saranno deviati ben 24 fiumi per garantire l’irrigazione dell’area. Nonostante la prudenza mostrata dagli scienziati nei confronti del progetto, i tremila membri del parlamento sono fiduciosi nella buona riuscita dell’operazione. Infatti ripongono nel progetto la speranza che la foresta possa portare umidità, respingendo così il deserto e inducendo la formazione di nuvole e lo scarico di piogge, oltreché la diminuzione dell’inquinamento. Il sindaco ha quindi chiamato tutta la popolazione ad agire: ognuno deve comprare e piantare lungo la Grande Muraglia, situata a pochi kilometri dalla periferia dalla capitale, almeno una pianta. Quest’area iniziale prenderà il nome di “Bosco del Millennio”. Il vice direttore dell’Amministrazione forestale dello Stato, Zhang Yongli, ha comunicato in una conferenza stampa che saranno mobilitate ogni anno 650 milioni di persone al fine di riuscire nell’opera di riforestazione per un totale di ben 26 miliardi di alberi nei prossimi dieci anni. Dal 2011 ad oggi 614 milioni di cinesi hanno già preso parte all’operazione di rimboschimento volontario in tutto il paese, piantando 2,51 miliardi di alberi e occupando un area di 6 milioni di ettari. Secondo le previsioni entro il 2020 si dovrà raggiungere la considerevole cifra di 50 milioni di ettari della neo area forestale, fino a coprire il 23 % della superficie totale delle foreste cinesi. Obiettivo che a questa velocità potrebbe essere raggiunto già entro il 2015. Questo dimostra che anche imprese titanicche come queste non sono poi così impossibili e che con costanza e sacrificio possiamo davvero migliorare il mondo in cui viviamo, e non solo distruggerlo.

Un nuovo sistema di misurazione delle emissioni di CO2?

Pare che il progetto non si limiti solo a rallentare l’avanzata del deserto o a ridurre l’inquinamento. Si tratta di un progetto ben più ampio in cui la foresta diventerà un vero e proprio sistema per monitorare con precisione le emissioni di gas serra, permettendo così l’ideazione e la realizzazione di progetti volti alla riduzione di queste emissioni.

Il vice-presidente dell’Accademia delle scienze della Cina, Ding Zhongli afferma inoltre che: “I ricercatori redigeranno delle liste di emissioni di gas serra per valutare quantitativamente le emissioni di anidride carbonica generate dalla natura o dalle attività umane. La Cina progetta anche di mettere in atto un sistema per sorvegliare il livello di CO2 in atmosfera attraverso l’analisi satellitare, la sorveglianza aerea e al suolo e la modellizzazione atmosferica. Questo processo di ricerca dovrebbe fornire alla Cina delle informazioni più solide per poter trattare i dossier legati al cambiamento climatico, in particolare la riduzione delle emissioni di carbonio ed i negoziati internazionali”.

Infatti grazie a questa mossa la Cina non dovrà più essere sottoposta alle stime internazionali sulle sue emissioni, ma sarà in grado di effettuarle autonomamente.

Ding ha anche comunicato all’agenzia ufficiale Xinhua che “La Comunità scientifica cinese si impegnerà sul sequestro del carbonio e gli impatti del cambiamento climatico nelle diverse regioni, al fine di preparare la Cina all’adattamento climatico ed allo sviluppo verde. A causa del riscaldamento climatico, il nord-est della Cina avrà probabilmente migliori condizioni per la coltura del riso, mentre il nord della Cina soffrirà della diminuzione delle precipitazioni e della siccità. Valuteremo gli impatti del riscaldamento climatico su un periodo più lungo in 5 regioni per fornire dei consigli per l’adattamento”.

Secondo un rapporto pubblicato a novembre del 2011 dalla seconda Assemblea nazionale cinese sul cambiamento climatico: “Aumentare i “pozzi di carbonio” del Paese, vale a dire l’utilizzo delle foreste e di altre risorse naturali e umane per catturare l’anidride carbonica dall’atmosfera, è molto importante per la riduzione del carbonio”. Esattamente come già sostenuto da Ding.

Auto, bus e taxi elettrici: la rivoluzione elettrica cinese

Quindici miliardi di dollari investiti per sviluppare entro il 2020 un industria che punti sulla green economy: stiamo parlando dei veicoli elettrici.

Già da alcuni anni in Cina è in corso la sperimentazione sull’utilizzo di taxi elettrici che colleghino Pechino ad Hangzhou e Shenzhen. Pare che il progetto abbia avuto un notevole successo sia tra la popolazione che tra le varie aziende al punto che anche Warren Buffett ha concesso un finanziamento alla maggiore casa produttrice di batterie elettriche al mondo, l’azienda cinese BYD. Azienda che si occupa già della produzione dei bus e taxi elettrici circolanti in Cina oltre che dell’organizzazione dei trasporti pubblici.

E proprio sui bus elettrici sembra aver voluto scommettere la BYD: a febbraio aveva incrementato con 1500 autobus elettrici la sua “flotta” di trasporti pubblici; già allora la più numerosa al mondo. Inoltre la città di Shenzhen è stata la prima in Cina a sovvenzionare i veicoli elettrici oltre che lanciare, sempre per prima, la vendita di auto elettriche a privati. Ovunque ci si volti, in Cina si vedono predominare i motorini elettrici, neo-sostituti delle vecchie biciclette. Complice anche la spinta del governo verso la nuova green-Era, il futuro della Cina è ormai deciso: la tecnologia deve essere ecocompatibile ed ecosostenibile così da poter offrire innovazione e nuovi posti di lavoro senza però “porre nuove barriere al commercio verde”, come affermato dal presidente HuJintao al lancio del dodicesimo piano quinquennale cinese all’insegna dello sviluppo verde. “ La Cina darà priorità assoluta al settore verde per attirare investimenti stranieri” questo afferma il presidente Hu Jintao, promettendo che la produzione totale annuale dell’industria ambientale cinese raggiungerà i 2mila miliardi di yuan entro il 2015, con un investimento tra il 2011 e il 2015 di oltre 3mila miliardi di yuan.

Inoltre il presidente ha dichiarato che “La forte domanda verde e l’ambiente d’investimento solido della Cina forniranno un mercato vasto e grandi opportunità di investimento per le imprese di tutti i paesi, in particolare quelli della nostra regione”. Infatti il dodicesimo piano quinquennale prevede ben 3 trilioni di yuan di investimento per la tutela dell’ambiente tra il 2011 e il 2015, con una crescita del settore pari al 15-20%  creando così oltre 10 milioni di posti di lavoro.

Per quanto riguarda il futuro nessuna brutta sorpresa. I progetti green proseguiranno e la continuazione della trasformazione economica sarà favorita, come ha comunicato Li Keqiang, probabile prossimo primo ministro cinese: “La Cina prenderà misure generali nei prossimi cinque anni per diminuire il consumo di energia per unità del prodotto interno lordo del 16% e aumenteremo il valore aggiunto del terziario di 4 punti percentuali, che promuoveranno vigorosamente la trasformazione economica”.

Ovviamente per riuscirci sarà necessario intensificare gli sforzi al fine di migliorare l’industria, rendendola più ecocompatibile e quindi a bassa emissione di carbonio, e  ridurre l’emissione di gas inquinanti. Come già affermato da Li, in futuro il governo continuerà a favorire “una politica differenziata e graduata sui consumi energetici in grado di spingere per la crescita verde”.

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Tianjin Eco-City.

Tianjin Eco-City:di 30 kilometri quadrati e in grado di ospitare fino a 350 mila abitanti, è stata definita la prima città completamente ecologica.

Si trova a soli 150 km da Pechino e a 30 da Tianjin, in una zona precedentemente adibita a discarica. La sua costruzione è iniziata nel 2008, grazie ad un accordo tra il governo cinese e singaporiano, e se ne prevede l’inaugurazione nel 2020, anche se i primi abitanti si sono già insediati. Lo scopo della realizzazione di quest’opera è di dimostrare che qualsiasi luogo può essere rinnovato dandogli nuova vita, o come ha dichiarato Ho Tong Yen, “che è possibile ripulire un’area degradata e renderla utile e vivibile, senza privare il territorio di risorse invece utili e vivibili”.

Probabilmente grazie anche alla crescente attenzione sull’importanza dello sviluppo sostenibile questo progetto risulta efficace anche nella ricerca di soluzioni alternative alla rapida urbanizzazione e alla carenza di posti di lavoro a cui stiamo assistendo. E’ previsto inoltre, oltre alla creazione di posti di lavoro “in loco”, l’uso di trasporti ecologici e la progettazione di una pianta della città che favorisca la circolazione di pedoni e ciclisti.

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Tianjin Eco-City.

“Una città fiorente, socialmente armonica, ecologica e a basso consumo di risorse”. Questa è la definizione data dagli allora primi ministri cinese e singaporiano Wen Jiabao e Lee Hsien Loong nel giorno dell’inaugurazione dei lavori di costruzione e di bonifica. Frase esemplificativa del valore del progetto e si spera di ispirazione nella realizzazione delle nuove opere in futuro.

Ma a livello internazionale cosa succede? Pechino è solo un esempio isolato o fa tutto parte di un grande progetto a livello mondiale?

Sono passati 20 lunghi anni dall’ultima conferenza mondiale tenutasi a Rio de Janeiro. Lo scopo principale era quello di dare inizio ad una nuova politica internazionale volta al miglioramento dell’ambiente in cui viviamo. E ora con l’ incontro appena avvenuto dal 20 al 22 giugno, sempre in Brasile, dobbiamo ammettere che dei cambiamenti prospettati, i risultati sono stati ben inferiori alle aspettative. Dal 1992 ad oggi, su questo fronte almeno, nessun sostanziale passo avanti.

Come riportato sul “Corriere della Sera” il nuovo documento unitario finale sottoscritto da 193 stati “riafferma gli accordi firmati vent’anni fa su clima e biodiversità, avanza appena un po’ sul «sociale», ponendo subito la lotta alla miseria come priorità mondiale, e si impegna a lanciare non meglio definiti «obiettivi di sviluppo sostenibile». Si lascia alle future assemblee Onu la decisione se creare una vera e propria agenzia dell’ambiente, configurando un upgrade dell’attuale Unep (che è appena un programma). Non ci sono nuovi fondi per l’economia verde (come avevano chiesto i Paesi in via di sviluppo), né decisioni sulle divisioni di responsabilità tra i Paesi che più inquinano. Schiacciata tra la crisi finanziaria del Nord del mondo e le ambizioni di crescita del Sud, Rio+20 finisce per non decidere soprattutto che cosa significa lo sviluppo sostenibile. Chi lo deve finanziare e chi deve sostenere i costi di un mondo meno inquinato”.

Nonostante la penuria di risultati portati dal congresso, però, per fortuna c’è chi risulta essere più sensibile alle esigenze ambientali. Ci potrà anche stupire, ma si tratta proprio di tre paesi ex poveri che spinti probabilmente da interessi urgenti sono però in grado di tradurre in azioni concrete i loro progetti: si tratta di Brasile, India e Repubblica Popolare Cinese.

foreste mangrovie

Foreste Bangladesh.

Non si tratta di casi isolati. Anche altri Paesi in via di sviluppo stanno adottando interessanti misure di riforestazione e di miglioramento ambientale, come riportato da un recente rapporto della FAO. Tra questi spiccano i progetti per la conservazione delle mangrovie in Bangladesh, la prevenzione degli incendi boschivi a Samoa ed i programmi di rimboschimento ad Haiti, oltre alla piantumazione di verde in Bhutan, Filippine e Vietnam. Inoltre, come ha affermato Eduardo Rojas “Vorrei sottolineare quel che fa l’India che ha ancora una crescita importante della popolazione. Le foreste in India sono in crescita di 300.000 ettari l’anno”. Bisogna però ricordare che negli anni ’90 l’area Asia-Pacifico aveva una diminuzione della superficie forestale pari a 0,7 milioni di ettari l’anno – superficie totale di 740 milioni di ettari, ovvero il 18% di tutta la superficie forestale mondiale, dato risalente al 2010-. Fortunatamente questa tendenza si è invertita fino ad un picco di crescita pari a 1,4 milioni di ettari ogni dodici mesi nel periodo 2000-2010. Lo scopo dell’India è quello di raggiungere entro la fine del 2012 una superficie boschiva totale del 33% , anche se l’impresa si preannuncia impossibile visto che nel 2010 le foreste coprivano solo il 25% dell’intera India e che l’anno volge ormai al termine. Ciò non di meno si tratta di un progetto molto positivo che col tempo potrà essere sicuramente realizzato, anche se ovviamente non entro il 2012.

Anche in Brasile la popolazione si sta sensibilizzando sull’argomento. Dopo anni di brutale disboscamento i contadini hanno capito che è anche nel loro interesse proteggere la natura e gli alberi. Per questo motivo è nato un progetto che prevede la crescita di nuovi alberi proprio sui terreni coltivabili riportando così in primo piano anche la coltivazione del cacao. Ma come ha saggiamente commentato un agronomo brasiliano intervistato dal sito TMNews.it  “Non si può far rinascere una foresta dall’oggi al domani”. Per questo motivo, sono nate in contemporanea anche altre iniziative tra i contadini, come quella di ridurre, fino ad arrivare alla completa abolizione, l’uso di pesticidi riuscendo così ad eliminare le emissioni di carbone.

Questo dovrebbe dimostrarci che grazie alla collaborazione tra industria, politica e non ultima l’agricoltura –anche se tutti e tre spinti ciascuno dai propri interessi- è davvero possibile intervenire efficacemente con progetti anche a lungo termine. Inoltre grazie alle iniziative portate avanti in Cina, Brasile ed India abbiamo l’occasione di scoprire che ci sono Paesi che avvertono la forte necessità di salvare il proprio patrimonio forestale, aiutando in questo modo, anche se solo come effetto secondario probabilmente, tutto il pianeta.

di Mariacristina Carboni

Fonti:

Fonte: http://www.greenreport.it/_archivio/index.php?lang=it&page=default&id=8815

Fonte: http://www.unric.org/it/attualita/27276-fao-si-apre-lanno-internazionale-delle-foreste

Fonte: http://www.fao.org/docrep/013/i2000e/i2000e00.htm

Fonte: http://www.corriere.it/ambiente/12_giugno_20/rio-ambiente-piu-venti_a3c4c99e-baa0-11e1-9945-4e6ccb7afcb5.shtml

Fonte: http://life.wired.it/electricroad/2012/08/03/cina-auto-elettrica-byd-hu-jintao-green-economy.html?page=1#content

Fonte: http://www.mentalitasportiva.it/home/mentalita-sostenibile/brasile-cina-e-india-i-nuovi-grandi-si-incontrano-sul-rimboschimento.html?print=1&tmpl=component

Fonte: http://greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=13676

Fonte: http://www.tianjinecocity.gov.sg/

Fonte: http://62.77.46.214/cgi-bin/ricerca/search.php?s=Non+si+pu%C3%B2+far+rinascere+una+foresta+dall%27oggi+al+domani&x=0&y=0 (l’articolo che ho utilizzato come fonte non è al momento disponibile, vi lascio comunque questo link nel caso dovesse tornare fruibile in futuro)

Per approfondire e avere qualche dato in più (non solo riguardo alla Cina):

–         http://greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=13436

–         http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=13405

–         http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=14630&cat=Energia (USA)

 

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Organismi Geneticamente Modificati SI o NO?

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Organismi Geneticamente Modificati SI o NO?

Pubblicato il 30 settembre 2012 by redazione

ogm-nellunione-europeaArgomento attuale e di grande interesse è l’utilizzo della manipolazione genetica per migliorare e accrescere la creazione e la diffusione di prodotti di consumo. Difficile dare un giudizio univoco su questo tema, sia per la preoccupazione che genera, sia per la conoscenza ancora limitata che se ne possiede. Un primo passo verso una valutazione obiettiva degli Organismi Geneticamente Modificati (Ogm) è la comprensione di cosa sono e di come funzionano.

Gli Ogm: cosa sono?

Un organismo si definisce “geneticamente modificato” quando parte del suo patrimonio genetico naturale viene cambiato artificialmente e sostituito con quello caratteristico di un’altra specie. Questo intervento è reso possibile grazie alle tecniche di ingegneria genetica che appartengono alla sfera delle biotecnologie. Per comprendere tali manipolazioni genetiche è utile risalire alla definizione di “patrimonio genetico”. Questo è l’insieme delle informazioni contenute nei geni dei genitori che vengono trasmesse ai figli, permettendo la comparsa in questi ultimi di caratteri ereditari. Esso contiene quindi tutte le caratteristiche tipiche di un organismo e ne sancisce l’unicità. Queste istruzioni, tese al funzionamento di ogni essere vivente, sono scomponibili e individuabili singolarmente all’interno di ogni gene; sono inoltre scritte in una sorta di linguaggio cifrato nelle molecole di DNA (acido desossiribonucleico), che formano i cromosomi delle cellule dell’organismo. I messaggi biochimici presenti nel DNA vengono decodificati per produrre le proteine, regolatrici del nostro corpo.

Ma qual’è il processo che modifica geneticamente alcuni organismi?

Le biotecnologie moderne utilizzano le tecniche di ingegneria genetica per trasferire specifici geni da alcune specie in altre, effettuando un processo che in natura non potrebbe avvenire. Questa tecnologia, permette di isolare i geni di un organismo, clonarli e trasferire queste copie all’interno di altri esseri viventi. Il gene che viene replicato contiene una caratteristica utile che può rinforzare e migliorare l’organismo che, naturalmente, ne sarebbe sprovvisto. L’idea alla base di questo procedimento non nasce sicuramente ai giorni nostri: già diversi anni fa, nel campo dell’agricoltura, le tecniche di biotecnologia tradizionale prevedevano l’incrocio tra specie di piante diverse, affinché le nuove generazioni presentassero dei geni, quindi delle caratteristiche, che non possedevano precedentemente. In questo modo venivano prodotti organismi più forti e resistenti, ma il processo richiedeva un tempo maggiore perché si dovevano esportare più geni e non solamente quello desiderato. Questa è la principale differenza tra biotecnologia tradizionale e moderna: quest’ultima permette di isolare un solo gene, caratteristico di una specie, e impiantarlo direttamente in un’altra, producendo risultati mirati in tempi più brevi.

OGM MondoOGM in agricoltura, farmacologia, ambiente e non solo..

La manipolazione del patrimonio genetico degli organismi è una tecnica già estesa a diverse aree. Per quanto concerne l’agricoltura, l’ ingegneria genetica è utilizzata per creare piante più forti e resistenti, ma non solo: è possibile accorciare i tempi di maturazione dei vegetali, aumentarne la resistenza a temperature più rigide e renderli invulnerabili ad alcuni tipi di malattie e parassiti. In particolare è stata scoperta una sostanza tossica per le larve di insetti dannosi, prodotta dal batterio Bacillusthurigiensis. Intervenendo sul materiale genetico di quest’ultimo si può isolarne il gene e trasferirlo nel genoma delle piante in modo da renderle a loro volta resistenti a tali parassiti.

I prodotti maggiormente interessati alle modifiche genetiche sono: mais, soia e cotone, ma anche barbabietola, papaya, erba medica, pioppo, patata ecc. Inoltre la ricerca si sta intensificando sul grano, il riso e il mais, resistenti alla siccità. Negli ultimi 10 anni la discussione sull’utilizzo di OGM si è particolarmente accesa, perché la maggior parte dei prodotti alimentari derivano da piante ingegnerizzate: nel 2009 più di 134 milioni di ettari della superficie mondiale sono stati coltivati con Organismi Geneticamente Modificati.

In ambito medico la biotecnologia permette di produrre un’ampia gamma di medicinali. I farmaci vengono ottenuti a partire dalla manipolazione di alcuni batteri nei quali viene inserito un gene clonato che contiene al suo interno l’informazione per la produzione del farmaco. Trattati in laboratorio questi specifici microrganismi permettono una realizzazione abbondante del principio richiesto; è questo il caso dell’insulina e degli antibiotici.

L’attenzione dell’ingegneria genetica si rivolge inoltre alla tutela dell’ambiente. Il problema a cui si cerca soluzione è relativo allo smaltimento dei rifiuti e alla decontaminazione di residui tossici. I microrganismi ambientali sono in grado di far fronte all’eliminazione di una dose elevata di rifiuti organici, ma alla lentezza di tale processo naturale, si contrappone la crescita della produzione industriale, con il conseguente aumento di rifiuti, anche sintetici. Attraverso la manipolazione genetica dei microrganismi con capacità degradative, è possibile potenziarne la funzionalità e permettere lo smaltimento di una maggiore quantità di sostanze di rifiuto.

Sars nel MondoInfine per quanto riguarda il mondo animale, l’attuale sperimentazione è in fase sperimentale. Non si è ancora trovato un modo per ottenere un’ampia produzione di animali geneticamente modificati a fronte di costi relativamente contenuti. In quest’ambito l’ingegneria genetica non costituisce ancora una valida alternativa all’allevamento industriale. Tuttavia la ricerca prosegue: è recente la notizia della creazione di una mucca geneticamente modificata, chiamata Daisy, che produce un latte privo dell’allergene Betalactoglobulina (Blg) e ricco di caseina, quindi molto nutriente. Insomma, se esistano e quali siano i confini dell’ingegneria genetica è ancora tutto da scoprire !

OGM: Pericoli vs benefici

Il dibattito rispetto alle qualità e ai rischi legati agli OGM è sicuramente ancora molto acceso.  Le opinioni in contrasto tra loro sono due: la prima è sostenuta da coloro che ritengono che le manipolazioni genetiche vadano considerate al pari di ogni innovazione tecnologica, nonché degli incroci effettuati tra specie, per potenziare le caratteristiche naturali degli organismi; la seconda è invece quella di chi ritiene che gli OGM possano essere potenzialmente dannosi per l’ambiente e per la salute umana, proprio perché creati in laboratorio. I rischi attribuibili agli OGM si possono dividere in ecologici e sanitari. Per quanto riguarda l’ambito ecologico se ne riscontrano tre in particolare: una trasmissione dei geni modificati alle specie non manipolate dall’uomo attraverso la dispersione dei pollini, una sorta di contaminazione; la specie che è stata modificata geneticamente, e resa più resistente, potrebbe invece espandersi eccessivamente, invadendo l’ambiente e divenendo difficile da eradicare, un pericolo per altri organismi e microrganismi, oltre che possibile causa, nel tempo, di squilibrio ambientale; infine, l’elevata resistenza di queste piante, potrebbe via via favorire lo  sviluppo di particolari specie di insetti virali e batteri più forti, maggiormente nocivi.

OGMI rischi sanitari sono legati ad eventuali trasmissioni nell’uomo di resistenze agli antibiotici (si è scoperto che un gene inserito nel mais sviluppa nella pianta una resistenza all’ampicillina) e agli effetti tossici che possono  essere provocati dagli OGM; infatti l’inserimento di genidiversi in alcuni organismi provoca la sintesi di proteine nuove, non precedentemente contenute in questi ultimi, generando possibili problemi di tipo nutrizionale, immunologico e tossicologico.

Chi sostiene l’ingegneria genetica ritiene che i rischi legati alle innovazioni tecnologiche non possano essere totalmente eliminati e che siano da supportare finché i benefici della tecnologia ne superino i pericoli. Infatti il miglioramento e l’evoluzione dei prodotti agricoli finora sono stati ottenuti attraverso incroci tra specie diverse: a un’analisi più attenta  questo processo non può essere considerato meno pericoloso della manipolazione genetica, dal momento che i geni sono mischiati in modo incontrollabile. Inoltre non vanno dimenticati i benefici che gli OGM possono apportare all’agricoltura e all’ambiente. Grazie alla loro resistenza è possibile eliminare l’utilizzo di pesticidi tossici sia per l’uomo che per l’ambiente e ottenere sempre un’elevata produzione anche in condizioni climatiche o ambientali sfavorevoli.

La ricerca dovrà indubbiamente prestare molta attenzione alle sue “creazioni” e verificare minuziosamente tutti gli effetti che queste potrebbero comportare all’organismo umano e al nostro ecosistema. Purtroppo ancora non esistono risposte certe e la diatriba tra sostenitori e oppositori rimane aperta.

di Alessandra Genta

http://www.organismigeneticamentemodificati.it/

http://salute24.ilsole24ore.com/articles/14713-daisy-la-mucca-ogm-che-fa-il-latte-anallergico?refresh_ce

http://www.cibo360.it/alimentazione/chimica/ogm/OGM_rischi_benefici.htm

http://scuolaworld.provincia.padova.it/guinizelli/ogm/contrari1.htm

http://www.vasonline.it/letture/geni/domanda4.htm

http://www.molecularlab.it/news/view.asp?n=1270

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Pirati all’arrembaggio del Parlamento Europeo

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Pirati all’arrembaggio del Parlamento Europeo

Pubblicato il 15 luglio 2012 by redazione

Piratpartiet

 

Il Partito Pirata Piratpartiet nasce in Svezia il 1° gennaio del 2006 formalmente per mano di Rickard Falkvinge creatore del sito da cui nasce il partito e che contò in breve tempo 3 milioni di utenti. Il partito nacque come risposta a tre esigenze (come dice lo stesso Falkvinge in un’intervista del 2006 a Federico Mello http://www.youtube.com/watch?v=xa8H-9u0HH4): lo sviluppo di una cultura della condivisione, il libero accesso alla conoscenza e la tutela della privacy. L’obiettivo era riuscire a candidarsi alle elezioni politiche dello stesso anno e il programma ruotava essenzialmente intorno a quei tre punti cardine (lo stesso Falkvinge precisa nella sopraccitata intervista: “Le questioni di cui ci facciamo portatori hanno un’importanza tale che non intendiamo occuparci di altro.”).

E se i partiti tradizionali guardavano a quel nuovo “partitello” come a una minaccia insignificante, dal momento che alle politiche del 2006 non aveva ottenuto che lo 0,69% dei voti, si dovettero ricredere nel 2009 quando, in barba a tutti, il Piratpartiet riuscì ad aggiudicarsi il 7,1% dei voti dell’elettorato svedese alle elezioni europee, conquistando un seggio al Parlamento Europeo (raddoppiato con il Trattato di Lisbona a due: Christian Engström e Amelia Andersdotter).

Nel frattempo, in tutto il mondo il caso Pirate Bay (anno 2009) aveva acceso gli animi e nei 10 giorni successivi al verdetto di colpevolezza dei quattro imputati, i membri del Partito Pirata crebbero fino a 40000 persone, per lo più giovani. Ma questa ondata anti-copyright aveva già cominciato a diffondersi a macchia d’olio su scala mondiale, cosicchè molti Paesi dell’UE adottarono proprie strutture e statuti, seppure non intendendosi vincolati all’originaria “purezza d’intenti” dell’originario Piratpartiet. Questi nuovi Partiti con la P maiuscola, infatti, assunsero la connotazione non solo politica, ma soprattutto sociale del termine, come si può rilevare dal Partito Pirata Tedesco Piratenpartei Deutschland.

 

L’allievo tedesco supera il maestro svedese

Il Partito Pirata tedesco, infatti, accostò alla difesa dei diritti digitali (brevetti, tutela della vita privata…), una serie di diritti civili fino a quel momento “riservati” ai partiti tradizionali: la tutela dell’ambiente, delle diversità, della famiglia, il diritto di sussistenza e di inclusione sociale e la promozione di un sistema di controllo da parte dell’elettorato improntato sulla trasparenza delle procedure legislative ed elettive, in ottemperanza al principio di democraticità diretta (indiscusso leitmotiv del Partito su scala mondiale). Ancora una volta emerge la filosofia hacker della trasparenza e della fruibilità del sapere anche nelle istituzioni. Il salto di qualità si ebbe nel momento in cui il Partito si strutturò come Partito “serio”, attento alle necessità sociali, come dimostrano i punti del programma inerenti la gratuità dei trasporti, ma soprattutto l’adozione del reddito di cittadinanza (un reddito minimo garantito a tutti senza requisiti di sorta, se non la cittadinanza, e sufficiente a coprire la dignitosa sussistenza dell’individuo, da corrispondere direttamente al singolo cittadino).

Non è stato, invece, all’altezza delle aspettative il Piratpartiet svedese che pur dichiarandosi un partito politico si è ostinato a mantenersi un partito monotematico e non ha mai voluto fare il salto di qualità che non gli ha consentito di replicare la visibilità ottenuta alle politiche del 2009.

Nel settembre 2011, il Partito Pirata berlinese stupiva l’Europa riscontrando un ottimo consenso alle amministrative (più del 5% delle preferenze in tutti i quartieri della città) e lo stesso è accaduto recentemente (Marzo 2012) nella consultazione nella Saarland dove il Piratenpartei ha ottenuto l’8% dei voti, sorpassando gli stessi Verdi (che molti accusano essere il modello di riferimento dei vari Partiti Pirata). Oggi, in Germania, il Partito pirata è dato dai sondaggi come la terza forza politica, con il 13% delle intenzioni di voto.

Ma non mancano le critiche dall’interno! Molti tedeschi rimproverano al Partito Pirata berlinese di innescare un processo senza uscita, dove i giovani vedranno nella politica non un serio impegno con la società, estraneo a un impiego professionale che consenta loro la sussistenza, ma preferiranno concepire il reddito di cittadinanza come un aiuto finanziario destinato al partito (come illustrato da Rainer Meyer nel suo articolo I “cyber-bohémien” di Berlino non vogliono lavorare – link a pié pagina).

 

Il Partito Pirata Italiano e l’antipolitica

Seppure non abbia ottenuto lo stesso riscontro mediatico che ha investito il fratello d’oltralpe, un solido Partito Pirata italiano è nato anche in Italia, quasi in concomitanza con quello svedese, candidandosi anch’esso alle europee del 2009, ma non riuscendo nell’impresa di accaparrarsi un seggio. Dotato di un proprio statuto, che tuttavia si discosta da quello tedesco per quello che concerne le politiche sociali, essendo maggiormente improntato alla tutela dei diritti civili in ambito digitale. Secondo un sondaggio della Spincon, il Partito Pirata italiano raggiunge oggi l’1,2% delle intenzioni di voto.

Una precisazione: sebbene sia stato da molti accomunato con il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, se ne discosta in base a tre punti essenziali. L’uno è un partito, l’altro una “libera associazione di cittadini”; l’uno fa capo a un vertice elettivo che si occupa delle fasi burocratiche, l’altro fa capo a Beppe Grillo “unico titolare dei diritti d’uso dello stesso”; l’uno si propone come partito politico, l’altro come movimento anti-politica.

La vera rivoluzione? Risiede nel sistema di partecipazione alle decisioni, ideato dal Partito Pirata tedesco! Infatti, in linea con un programma di trasparenza istituzionale e di democrazia diretta, viene messa a disposizione degli iscritti al partito la piattaforma decisionale Liquid Feedback, una

piattaforma digitale con codice open-source che consente agli iscritti al partito di votare le singole istanze. Non si pongono più intermediari che rappresentino gli interessi del Partito, ma si arriva piuttosto a una “massimizzazione del livello di soddisfazione dei votanti”.

La domanda resta sempre la stessa: sarà l’ennesimo fenomeno passeggero destinato a spegnersi nel giro di qualche anno o stiamo assistendo a una rivoluzione politica, dove una nuova concezione di democraticità REALE nasce da una realtà VIRTUALE? Difficile rispondere ora, ma chissà che una risposta non arrivi proprio dalle elezioni europee del 2014.

di Giulia Pavesi

 

Per approfondire ecco alcune delle fonti:

– Statuto del Partito Pirata Tedesco:

https://wiki.piratenpartei.de/Parteiprogramm

– Statuto del Partito Pirata Italiano:

http://statuto.votopirata.it/

– Le schede degli eurodeputati svedesi:

http://www.europarl.europa.eu/meps/it/108570/Amelia_ANDERSDOTTER.html

http://www.europarl.europa.eu/meps/it/96676/Christian_ENGSTR%C3%96M.html

http://www.piratpartiet.se

– L’articolo di Rainer Meyer tradotto da Andrea De Ritis per Presseurop lo trovate all’indirizzo:

http://www.presseurop.eu/it/content/article/2500071-i-cyber-bohemien-di-berlino-non-vogliono-lavorare

– Per saperne di più sul Liquid Feedback:

http://liquidfeedback.org/

http://www.piratpartiet.it/mediawiki/index.php?title=Liquid_Feedback

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