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Pechino città Ecologica

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Pechino città Ecologica

Pubblicato il 12 gennaio 2020 by redazione

La Grande Muraglia Verde: il nuovo gigantesco polmone di Pechino

deserto del Gobi

Deserto del Gobi.

Pechino si è ritrovata a far fronte a due grandi problemi: il primo consiste nell’avanzamento del deserto del Gobi, con l’incalzante ritmo di 20-30 metri annui di sabbia e dune che avanzano a velocità tripla rispetto al secolo scorso (ogni anno in Cina si spendono l’equivalente di 10 miliardi di dollari per tentare di contrastare la desertificazione del territorio); il secondo problema, ormai tristemente noto a tutti, è l’inquinamento dell’aria e i conseguenti cambiamenti climatici che si fanno sentire con il clima che sembra impazzito. Catastrofiche siccità e precipitazioni annue diminuite dal 2001 ad oggi del 37%, aumento del vento e delle tempeste di sabbia, per non menzionare le polveri sottili e le emissioni inquinanti del carbone usato nell’industria e per il riscaldamento; tutti fattori che hanno causato danni economici incalcolabili. La terra ormai arida si rifiuta di produrre e ha spinto oltre 400 milioni di contadini eco-profughi a trovare lavoro altrove. Si tratta di una situazione che diventa sempre più estrema col passare degli anni, causata dall’avidità e dalla prepotenza dell’uomo a cui ora non resta altra scelta che correre ai ripari.

grande-muraglia-verde-cinese

La grande muraglia verde cinese.

Non volendo però spostare la capitale millenaria –come si farebbe normalmente fatto in una situazione simile e come è già accaduto altrove in passato- e non avendo i mezzi per contrastare i cambiamenti climatici, a Pechino hanno deciso di creare la cosiddetta “Grande Muraglia Verde”, ovvero di dar vita artificialmente alla più grande foresta asiatica con 300 milioni di alberi piantati nella regione di Hebei, a nord e ad ovest della capitale, per un totale di 250 mila kilometri quadrati. Si tratta senza alcun dubbio di un progetto ambizioso che sfida i limiti della natura e dell’uomo; un progetto senza precedenti. Come annunciato dal premier Wen Jiabao, saranno investiti circa 30 miliardi di dollari per la riforestazione di pioppi, faggi, abeti e betulle e saranno deviati ben 24 fiumi per garantire l’irrigazione dell’area. Nonostante la prudenza mostrata dagli scienziati nei confronti del progetto, i tremila membri del parlamento sono fiduciosi nella buona riuscita dell’operazione. Infatti ripongono nel progetto la speranza che la foresta possa portare umidità, respingendo così il deserto e inducendo la formazione di nuvole e lo scarico di piogge, oltreché la diminuzione dell’inquinamento. Il sindaco ha quindi chiamato tutta la popolazione ad agire: ognuno deve comprare e piantare lungo la Grande Muraglia, situata a pochi kilometri dalla periferia dalla capitale, almeno una pianta. Quest’area iniziale prenderà il nome di “Bosco del Millennio”. Il vice direttore dell’Amministrazione forestale dello Stato, Zhang Yongli, ha comunicato in una conferenza stampa che saranno mobilitate ogni anno 650 milioni di persone al fine di riuscire nell’opera di riforestazione per un totale di ben 26 miliardi di alberi nei prossimi dieci anni. Dal 2011 ad oggi 614 milioni di cinesi hanno già preso parte all’operazione di rimboschimento volontario in tutto il paese, piantando 2,51 miliardi di alberi e occupando un area di 6 milioni di ettari. Secondo le previsioni entro il 2020 si dovrà raggiungere la considerevole cifra di 50 milioni di ettari della neo area forestale, fino a coprire il 23 % della superficie totale delle foreste cinesi. Obiettivo che a questa velocità potrebbe essere raggiunto già entro il 2015. Questo dimostra che anche imprese titanicche come queste non sono poi così impossibili e che con costanza e sacrificio possiamo davvero migliorare il mondo in cui viviamo, e non solo distruggerlo.

Un nuovo sistema di misurazione delle emissioni di CO2?

Pare che il progetto non si limiti solo a rallentare l’avanzata del deserto o a ridurre l’inquinamento. Si tratta di un progetto ben più ampio in cui la foresta diventerà un vero e proprio sistema per monitorare con precisione le emissioni di gas serra, permettendo così l’ideazione e la realizzazione di progetti volti alla riduzione di queste emissioni.

Il vice-presidente dell’Accademia delle scienze della Cina, Ding Zhongli afferma inoltre che: “I ricercatori redigeranno delle liste di emissioni di gas serra per valutare quantitativamente le emissioni di anidride carbonica generate dalla natura o dalle attività umane. La Cina progetta anche di mettere in atto un sistema per sorvegliare il livello di CO2 in atmosfera attraverso l’analisi satellitare, la sorveglianza aerea e al suolo e la modellizzazione atmosferica. Questo processo di ricerca dovrebbe fornire alla Cina delle informazioni più solide per poter trattare i dossier legati al cambiamento climatico, in particolare la riduzione delle emissioni di carbonio ed i negoziati internazionali”.

Infatti grazie a questa mossa la Cina non dovrà più essere sottoposta alle stime internazionali sulle sue emissioni, ma sarà in grado di effettuarle autonomamente.

Ding ha anche comunicato all’agenzia ufficiale Xinhua che “La Comunità scientifica cinese si impegnerà sul sequestro del carbonio e gli impatti del cambiamento climatico nelle diverse regioni, al fine di preparare la Cina all’adattamento climatico ed allo sviluppo verde. A causa del riscaldamento climatico, il nord-est della Cina avrà probabilmente migliori condizioni per la coltura del riso, mentre il nord della Cina soffrirà della diminuzione delle precipitazioni e della siccità. Valuteremo gli impatti del riscaldamento climatico su un periodo più lungo in 5 regioni per fornire dei consigli per l’adattamento”.

Secondo un rapporto pubblicato a novembre del 2011 dalla seconda Assemblea nazionale cinese sul cambiamento climatico: “Aumentare i “pozzi di carbonio” del Paese, vale a dire l’utilizzo delle foreste e di altre risorse naturali e umane per catturare l’anidride carbonica dall’atmosfera, è molto importante per la riduzione del carbonio”. Esattamente come già sostenuto da Ding.

Auto, bus e taxi elettrici: la rivoluzione elettrica cinese

Quindici miliardi di dollari investiti per sviluppare entro il 2020 un industria che punti sulla green economy: stiamo parlando dei veicoli elettrici.

Già da alcuni anni in Cina è in corso la sperimentazione sull’utilizzo di taxi elettrici che colleghino Pechino ad Hangzhou e Shenzhen. Pare che il progetto abbia avuto un notevole successo sia tra la popolazione che tra le varie aziende al punto che anche Warren Buffett ha concesso un finanziamento alla maggiore casa produttrice di batterie elettriche al mondo, l’azienda cinese BYD. Azienda che si occupa già della produzione dei bus e taxi elettrici circolanti in Cina oltre che dell’organizzazione dei trasporti pubblici.

E proprio sui bus elettrici sembra aver voluto scommettere la BYD: a febbraio aveva incrementato con 1500 autobus elettrici la sua “flotta” di trasporti pubblici; già allora la più numerosa al mondo. Inoltre la città di Shenzhen è stata la prima in Cina a sovvenzionare i veicoli elettrici oltre che lanciare, sempre per prima, la vendita di auto elettriche a privati. Ovunque ci si volti, in Cina si vedono predominare i motorini elettrici, neo-sostituti delle vecchie biciclette. Complice anche la spinta del governo verso la nuova green-Era, il futuro della Cina è ormai deciso: la tecnologia deve essere ecocompatibile ed ecosostenibile così da poter offrire innovazione e nuovi posti di lavoro senza però “porre nuove barriere al commercio verde”, come affermato dal presidente HuJintao al lancio del dodicesimo piano quinquennale cinese all’insegna dello sviluppo verde. “ La Cina darà priorità assoluta al settore verde per attirare investimenti stranieri” questo afferma il presidente Hu Jintao, promettendo che la produzione totale annuale dell’industria ambientale cinese raggiungerà i 2mila miliardi di yuan entro il 2015, con un investimento tra il 2011 e il 2015 di oltre 3mila miliardi di yuan.

Inoltre il presidente ha dichiarato che “La forte domanda verde e l’ambiente d’investimento solido della Cina forniranno un mercato vasto e grandi opportunità di investimento per le imprese di tutti i paesi, in particolare quelli della nostra regione”. Infatti il dodicesimo piano quinquennale prevede ben 3 trilioni di yuan di investimento per la tutela dell’ambiente tra il 2011 e il 2015, con una crescita del settore pari al 15-20%  creando così oltre 10 milioni di posti di lavoro.

Per quanto riguarda il futuro nessuna brutta sorpresa. I progetti green proseguiranno e la continuazione della trasformazione economica sarà favorita, come ha comunicato Li Keqiang, probabile prossimo primo ministro cinese: “La Cina prenderà misure generali nei prossimi cinque anni per diminuire il consumo di energia per unità del prodotto interno lordo del 16% e aumenteremo il valore aggiunto del terziario di 4 punti percentuali, che promuoveranno vigorosamente la trasformazione economica”.

Ovviamente per riuscirci sarà necessario intensificare gli sforzi al fine di migliorare l’industria, rendendola più ecocompatibile e quindi a bassa emissione di carbonio, e  ridurre l’emissione di gas inquinanti. Come già affermato da Li, in futuro il governo continuerà a favorire “una politica differenziata e graduata sui consumi energetici in grado di spingere per la crescita verde”.

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Tianjin Eco-City.

Tianjin Eco-City:di 30 kilometri quadrati e in grado di ospitare fino a 350 mila abitanti, è stata definita la prima città completamente ecologica.

Si trova a soli 150 km da Pechino e a 30 da Tianjin, in una zona precedentemente adibita a discarica. La sua costruzione è iniziata nel 2008, grazie ad un accordo tra il governo cinese e singaporiano, e se ne prevede l’inaugurazione nel 2020, anche se i primi abitanti si sono già insediati. Lo scopo della realizzazione di quest’opera è di dimostrare che qualsiasi luogo può essere rinnovato dandogli nuova vita, o come ha dichiarato Ho Tong Yen, “che è possibile ripulire un’area degradata e renderla utile e vivibile, senza privare il territorio di risorse invece utili e vivibili”.

Probabilmente grazie anche alla crescente attenzione sull’importanza dello sviluppo sostenibile questo progetto risulta efficace anche nella ricerca di soluzioni alternative alla rapida urbanizzazione e alla carenza di posti di lavoro a cui stiamo assistendo. E’ previsto inoltre, oltre alla creazione di posti di lavoro “in loco”, l’uso di trasporti ecologici e la progettazione di una pianta della città che favorisca la circolazione di pedoni e ciclisti.

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Tianjin Eco-City.

“Una città fiorente, socialmente armonica, ecologica e a basso consumo di risorse”. Questa è la definizione data dagli allora primi ministri cinese e singaporiano Wen Jiabao e Lee Hsien Loong nel giorno dell’inaugurazione dei lavori di costruzione e di bonifica. Frase esemplificativa del valore del progetto e si spera di ispirazione nella realizzazione delle nuove opere in futuro.

Ma a livello internazionale cosa succede? Pechino è solo un esempio isolato o fa tutto parte di un grande progetto a livello mondiale?

Sono passati 20 lunghi anni dall’ultima conferenza mondiale tenutasi a Rio de Janeiro. Lo scopo principale era quello di dare inizio ad una nuova politica internazionale volta al miglioramento dell’ambiente in cui viviamo. E ora con l’ incontro appena avvenuto dal 20 al 22 giugno, sempre in Brasile, dobbiamo ammettere che dei cambiamenti prospettati, i risultati sono stati ben inferiori alle aspettative. Dal 1992 ad oggi, su questo fronte almeno, nessun sostanziale passo avanti.

Come riportato sul “Corriere della Sera” il nuovo documento unitario finale sottoscritto da 193 stati “riafferma gli accordi firmati vent’anni fa su clima e biodiversità, avanza appena un po’ sul «sociale», ponendo subito la lotta alla miseria come priorità mondiale, e si impegna a lanciare non meglio definiti «obiettivi di sviluppo sostenibile». Si lascia alle future assemblee Onu la decisione se creare una vera e propria agenzia dell’ambiente, configurando un upgrade dell’attuale Unep (che è appena un programma). Non ci sono nuovi fondi per l’economia verde (come avevano chiesto i Paesi in via di sviluppo), né decisioni sulle divisioni di responsabilità tra i Paesi che più inquinano. Schiacciata tra la crisi finanziaria del Nord del mondo e le ambizioni di crescita del Sud, Rio+20 finisce per non decidere soprattutto che cosa significa lo sviluppo sostenibile. Chi lo deve finanziare e chi deve sostenere i costi di un mondo meno inquinato”.

Nonostante la penuria di risultati portati dal congresso, però, per fortuna c’è chi risulta essere più sensibile alle esigenze ambientali. Ci potrà anche stupire, ma si tratta proprio di tre paesi ex poveri che spinti probabilmente da interessi urgenti sono però in grado di tradurre in azioni concrete i loro progetti: si tratta di Brasile, India e Repubblica Popolare Cinese.

foreste mangrovie

Foreste Bangladesh.

Non si tratta di casi isolati. Anche altri Paesi in via di sviluppo stanno adottando interessanti misure di riforestazione e di miglioramento ambientale, come riportato da un recente rapporto della FAO. Tra questi spiccano i progetti per la conservazione delle mangrovie in Bangladesh, la prevenzione degli incendi boschivi a Samoa ed i programmi di rimboschimento ad Haiti, oltre alla piantumazione di verde in Bhutan, Filippine e Vietnam. Inoltre, come ha affermato Eduardo Rojas “Vorrei sottolineare quel che fa l’India che ha ancora una crescita importante della popolazione. Le foreste in India sono in crescita di 300.000 ettari l’anno”. Bisogna però ricordare che negli anni ’90 l’area Asia-Pacifico aveva una diminuzione della superficie forestale pari a 0,7 milioni di ettari l’anno – superficie totale di 740 milioni di ettari, ovvero il 18% di tutta la superficie forestale mondiale, dato risalente al 2010-. Fortunatamente questa tendenza si è invertita fino ad un picco di crescita pari a 1,4 milioni di ettari ogni dodici mesi nel periodo 2000-2010. Lo scopo dell’India è quello di raggiungere entro la fine del 2012 una superficie boschiva totale del 33% , anche se l’impresa si preannuncia impossibile visto che nel 2010 le foreste coprivano solo il 25% dell’intera India e che l’anno volge ormai al termine. Ciò non di meno si tratta di un progetto molto positivo che col tempo potrà essere sicuramente realizzato, anche se ovviamente non entro il 2012.

Anche in Brasile la popolazione si sta sensibilizzando sull’argomento. Dopo anni di brutale disboscamento i contadini hanno capito che è anche nel loro interesse proteggere la natura e gli alberi. Per questo motivo è nato un progetto che prevede la crescita di nuovi alberi proprio sui terreni coltivabili riportando così in primo piano anche la coltivazione del cacao. Ma come ha saggiamente commentato un agronomo brasiliano intervistato dal sito TMNews.it  “Non si può far rinascere una foresta dall’oggi al domani”. Per questo motivo, sono nate in contemporanea anche altre iniziative tra i contadini, come quella di ridurre, fino ad arrivare alla completa abolizione, l’uso di pesticidi riuscendo così ad eliminare le emissioni di carbone.

Questo dovrebbe dimostrarci che grazie alla collaborazione tra industria, politica e non ultima l’agricoltura –anche se tutti e tre spinti ciascuno dai propri interessi- è davvero possibile intervenire efficacemente con progetti anche a lungo termine. Inoltre grazie alle iniziative portate avanti in Cina, Brasile ed India abbiamo l’occasione di scoprire che ci sono Paesi che avvertono la forte necessità di salvare il proprio patrimonio forestale, aiutando in questo modo, anche se solo come effetto secondario probabilmente, tutto il pianeta.

di Mariacristina Carboni

Fonti:

Fonte: http://www.greenreport.it/_archivio/index.php?lang=it&page=default&id=8815

Fonte: http://www.unric.org/it/attualita/27276-fao-si-apre-lanno-internazionale-delle-foreste

Fonte: http://www.fao.org/docrep/013/i2000e/i2000e00.htm

Fonte: http://www.corriere.it/ambiente/12_giugno_20/rio-ambiente-piu-venti_a3c4c99e-baa0-11e1-9945-4e6ccb7afcb5.shtml

Fonte: http://life.wired.it/electricroad/2012/08/03/cina-auto-elettrica-byd-hu-jintao-green-economy.html?page=1#content

Fonte: http://www.mentalitasportiva.it/home/mentalita-sostenibile/brasile-cina-e-india-i-nuovi-grandi-si-incontrano-sul-rimboschimento.html?print=1&tmpl=component

Fonte: http://greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=13676

Fonte: http://www.tianjinecocity.gov.sg/

Fonte: http://62.77.46.214/cgi-bin/ricerca/search.php?s=Non+si+pu%C3%B2+far+rinascere+una+foresta+dall%27oggi+al+domani&x=0&y=0 (l’articolo che ho utilizzato come fonte non è al momento disponibile, vi lascio comunque questo link nel caso dovesse tornare fruibile in futuro)

Per approfondire e avere qualche dato in più (non solo riguardo alla Cina):

–         http://greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=13436

–         http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=13405

–         http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=14630&cat=Energia (USA)

 

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Cambiamos Europa

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Cambiamos Europa

Pubblicato il 19 dicembre 2012 by redazione

euAlle prese con una crisi che minaccia addirittura l’esistenza dell’euro, l’Unione Europea si appresta a prendere decisioni che avranno pesanti conseguenze per il suo futuro e per quello della sua economia. Le proposte attualmente avanzate nel « pacchetto di governo economico » rappresentano, secondo noi, una minaccia senza precedenti per i valori ed i principi fondamentali del nostro comune destino : solidarietà, giustizia sociale, eguaglianza di opportunità e sviluppo sostenibile. In nome della necessaria responsabilità di bilancio, queste scelte ideologiche mettono in pericolo la coesione sociale fra europei e la nostra comune capacità di assicurare la transizione ecologica delle nostre economie. In particolare, si rischia di sacrificare un’intera generazione di giovani in un gran numero di paesi, giovani già colpiti fortemente dalla disoccupazione, che si sentono sempre più esclusi e respinti invece di poter partecipare pienamente alla costruzione del loro futuro.

E’ ovvio per noi che assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche è un obiettivo politico essenziale : esse sono uno strumento chiave al servizio di beni comuni quali la coesione sociale o la protezione dell’ambiente. Ed è vero che la crisi che stiamo vivendo ha significativamente deteriorato le finanze pubbliche in Europa. Ma, pur avendo il settore pubblico la sua parte di responsabilità, le cause della crisi sono prima di tutto da ricercarsi nel settore privato: aumento delle disparità salariali, eccessivo indebitamento, e « bolle » speculative generate da una finanza irresponsabile.

Le misure annunciate non rispondono a queste difficoltà. Al contrario, sono ingiuste, inefficaci ed inappropriate. Privandoci di un futuro comune, ci riportebbero ad un passato che pensavamo sepolto per sempre – quello di esacerbati egoismi nazionali, di enormi ingiustizie sociali, e di estremismi di ogni sorta. Qui si rischia di trasformare la crisi economica attuale in crisi politica.

Gli Europei debbono svegliarsi finchè sono ancora in tempo, rinnovando la loro adesione ai valori dei Padri fondatori nella prospettiva di un futuro comune e condiviso. Le nostre società non sopravviveranno ad anni di declino economico e sociale, generati da una cieca austerita. Secondo tale logica, saranno principalmente i lavoratori a dover sopportare il peso della crisi attraverso riduzioni salariali. Tiriamo invece, e collettivamente, le vere lezioni dalla crisi che ci ha colpito. Gli speculatori di ogni specie si sono nutriti dell’assenza di regole e di appropriati meccanismi di sorveglianza. Imporre ai governi europei una cura brutale di austerità e colpire i salari non farà che peggiorare tali fragilità anziche porvi rimedio. In più, il rafforzamento del sistema di sanzioni su tali basi non farà che alimentare l’ostilità fra paesi. La zona euro deve difendere la sua moneta comune e sostenere imperativamente i suoi membri in difficoltà, perchè ciò è vitale per l’Europa nel suo insieme.

Occorre che le maggioranze conservatrici al Consiglio dei Ministri e nel Parlamento europeo che vogliono imporre tali inaccettabili misure prendano una volta per tutte coscienza dell’errore che stanno per commettere. In questi momenti difficili, bisogna al contrario far prova di audacia e di immaginazione, formulando una nuova, diversa risposta politica. E’ possibile risanare la finanze pubbliche senza annientare lo sviluppo economico e gli investimenti in materia di istruzione, ricerca, energie rinnovabili, e senza alimentare l’ingiustizia sociale e l’esclusione. E’ possibile ritrovare margini di bilancio essendo coraggiosi ed innovatori. Per farlo, occorre innanzi tutto che tutti gli Stati membri contribuiscano a questo sforzo insieme – sia quelli in surplus che quelli in deficit commerciale. In tutti i Paesi, bisogna poi proteggere gli investimenti pubblici produttivi dall’austerità finanziaria, e raccogliere sotto forma di Euro obbligazioni una parte del debito pubblico degli Stati membri per ridurne il costo globale, e creare le basi di una politica fiscale europea comune, garante di entrate giuste, efficaci e sostenibili. Occorre diminuire il carico fiscale sui redditi da lavoro ed aumentare quello sui redditi da capitale, combattere l’evasione fiscale, creare una vera fiscalità ecologica e introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie. I governi europei debbono vegliare affinchè i salari più elevati e i redditi da capitale contribuiscano equamente allo sforzo generale di risanamento, per evitare che siano i salari e redditi medio bassi a pagare per tutti.

Noi non auspichiamo soluzioni semplicistiche o irresponsabili, vogliamo un progetto di modernizzazione economica grazie a politiche responsabili, equilibrate, intelligenti e pienamente rispettose dei valori sui quali poggia il progetto europeo. Chiamiamo a raccolta tutti quelli che condividono le nostre convinzioni, affinchè firmino questo appello, per dare all’Europa un’altra politica di uscita dalla crisi, che rafforzi l’Europa stessa, invece di continuare ad indebolirla.

6 giugno 2011

La lista dei primi firmatari include :

Martin Schulz (President of the European Parliament)

Rebecca Harms (Co-President of the Greens/EFA Group in the European Parliament)

Daniel Cohn-Bendit (Co-President of the Greens/EFA Group in the European Parliament)

Poul Nyrup Rasmussen (President of the Party of European Socialists, former Prime Minister of Denmark)

Philippe Lamberts (Co-chair of the European Green Party)

Monica Frassoni (Co-chair of the European Green Party)

Jacques Delors (former President of the European Commission )

Bernadette Ségol (General Secretary of the European Trade Union Confederation)

Sigmar Gabriel (Leader of the SPD, Germany)

Martine Aubry (Leader of French Socialist Party)

Claudia Roth (Bundesvorsitzende Bündnis 90/Die Grünen, Germany)

Pierluigi Bersani (General Secretary of Partito Democratico, Italy)

Elio Di Rupo (President of Belgian Socialist Party)

Cécile Duflot (National Secretary, Europe écologie/les verts, France)

Caroline Gennez (President of sp.a, Belgium)

Sarah Turine (Co-Chair, Belgian Green Party Ecolo)

Wouter Van Besien (Chair, Belgian Green Party (Groen)

Massimo D’Alema (President of the FEPS and Former Italian Prime Minister)

Jürgen Trittin (Group leader of the Greens in the German Bundestag)

Mário Soares (former President and former Prime Minister of Portugal)

Stephen Hughes (Vice-chair of the Progressive Alliance of Socialists and Democrats in the European Parliament)

Rovana Plumb (Vice-chair of the Progressive Alliance of Socialists and Democrats in the European Parliament)

Udo Bullmann (Coordinator of Socialists and Democrats, Economic committee, European Parliament)

Sven Giegold (Coordinator of Greens, Economic committee, European Parliament)

Jürgen Klute (Coordinator of GUE, Economic committee, European Parliament)

Elisa Ferreira (Member of the European Parliament, S&D Group, Portugal)

Liem Hoang Ngoc (Member of the European Parliament, S&D Group, France)

Edward Scicluna (Member of the European Parliament, S&D Group, Malta)

Claus Matecki (Member of the Executive Board, DGB Germany)

Prof. Klaus Staeck (Graphist and lawyer, Germany)

Dr. Gustav Horn (Scientific Director, Macroeconomic Policy Institute, Hans-Böckler Foundation, Germany)

Albrecht Müller (Editor nachdenkseiten.de)

Nichi Vendola (President of Apulia Region and President of “Sinistra Ecologia e Libertà”)

Josep Borrell Fontelles (President of the European University Institute, Italy)

 

For a European Socialist Alternative

THE MANIFESTO

FOR A EUROPEAN SOCIALIST ALTERNATIVE

Europeans can now see for themselves the consequences of the right being in power in nearly all member states and calling the shots in Brussels. The right’s handling of the sovereign debt crisis over the last two years has been a sorry saga of political mismanagement and economic illiteracy. Europe’s citizens will now pay the price for the conservatives imposing failed economic nostrums from the 1920s with unemployment levels from the 1930s. The blueprint they are putting forward is for a European Austerity Union which will lower living standards for nearly everybody, will sharpen inequalities, chip away at the foundations of the welfare state- which is Europe’s distinctive contribution to the development of mankind- and slowly cede political arbitration to unelected authorities, all in a possibly vain attempt to appease the market.

We, the undersigned are long-time members of Socialist, social democratic and Labour parties who believe that Europe’s citizens deserve better than the dismal prospects which the ruling conservatives hold out and the dire results they have achieved. But that the renewal of the democratic left in Europe can only be achieved through a wide and vigorous democratic debate implicating not only office-holders in our parties but all our members and the wider public. To that end we put forward below some progressive ideas for socialist reform which could form the basis for a new appeal to Europe’s citizens.

History has accelerated in the last few years. Europe’s socialists are being left behind. Many incapable of articulating public anger with ‘high’ finance, unwilling to work with fellow socialists in government in other EU member states, often supine in international forums on trade and climate change, with some notable exceptions democratic socialist, social democratic and Labour parties in many countries have seen their support plummet to an all-time low.

To make matters worse, the discontent generated by the policies of today’s EU and its governments has been exploited politically, not by the Left, but by xenophobic populists, nationalists and the far right.

This crisis should be liberating the Left to castigate with vigour the failure of the right to manage the crisis and to give Europe any sense of direction. But this will only be credible if the Left is able to provide a coherent set of alternative proposals to respond the crisis.

To be credible the Left needs a clear narrative for the current crisis, a set of simple and shared principles for future action and a programme which goes to the heart of the crisis.

The analysis is straightforward. Europe’s economies like all others have been knocked off course by the near-criminal irresponsibility of the global financial sector. But Europe was already facing long-term decline. Part of this is a long overdue rebalancing of the shares of global wealth between the West and the emerging economies of East and South. But in the process, we have allowed globalisation to increase the imbalances in the shares of wealth within all countries. Never once questioning the rules of the game, we have permitted it to penalise all countries with developed welfare systems, driving down living standards, increasing inequalities, boosting the share of national income going to corporate profits at the expense of wages in advanced social market economies. Poverty is growing again. This was already happening in Europe, and is now accelerating. Europe’s voice in international forums like the G20, world trade negotiating rounds and climate change conferences is often faltering to the point of being inaudible because of internal divisions, and a lack of an alternative, clear strategy.

The principles of socialist action in Europe should also be clear. Collective action in Europe is quite simply indispensable. Anybody who believes that we can protect living standards and maintain welfare services by retreating to the model of eighteenth century nation states, by repatriating powers from Brussels to national capitals, by undermining community institutions is, unwittingly or not, promoting the subservience of our countries to superpowers, past and future, and to the dictatorship of the market. Europe’s response to the crisis has been vacillating and insufficient, but national solutions even if vigorously pursued would be irrelevant in the globalised world we live in now.

A socialist response to the crisis must therefore be European, not simply a ‘more Europe’ mantra but specifically to give Europe the means to protect the interests and well-being of European citizens. It has to be assertive to ensure that Europe’s independent voice is united, loud and clear in the G20, in the Doha round, in Climate Change negotiations and in the United Nations. The European Union now has its own voice in the UN System: it needs to show the courage and the will to use it to further our objective interests and values, making common cause with all governments and regional organisations across the world who share them.

Its economic approach should be coherent and based on three elements; shared responsibility, growth and equality.

There is nothing socialist about wasteful public spending and the accumulation of debt. Because we believe in public expenditure we have a duty to ensure that its use is efficient. Extravagant projects, the inflated style of life of some public institutions, the duplication inherent to the multiplicity of national and European programmes which have taken on a life of their own without any regard to efficacy should be pruned or eliminated.  But rigorous budgeting has to be achieved by balancing public spending restraint with fair taxation, based on the ‘ability to pay’ principle, with the corporate sector paying its share of the burden, and an all-out assault on tax avoidance and evasion so widespread throughout the Union, abandoning tax breaks for the top earners, eliminating the ‘bonus bonanza’ in the financial sector through specific punitive taxes, and tackling vigorously the tax havens.

Rigour without growth will condemn Europeans to a lost decade of decline and depression. Growth requires national and European action with the EU’s budget and financial instruments being exploited when they have catalytic value.

The Left in power at EU level made progress in tackling discrimination of many kinds. Defending and extending equalities- and stamping out discrimination of any kind in any part of the Union- must be at the heart of a European socialist programme. But economic equality is a concept which has almost disappeared from the socialist lexicon in the last decades even though it is central to any notion of social justice. It is now essential to Europe’s recovery. If citizens believe that the burdens of the crisis are falling on them unfairly; if they are facing real cuts in pay and witnessing a return to levels of poverty not seen since the 1980s as social protection and funding for state programmes is cut while the scandals of the bonus culture and the mushrooming of corporate pay and the vulgar displays of ostentatious expenditure by the super-rich continue unabated, any collective effort to redress our economic decline will be undermined, economic efficiency will be jeopardised and faith in democracy sapped.

On the basis of this common approach, and the reassertion of our traditional socialist convictions, the Left should now develop a common platform for the future. This should have the following ten components;

-1) An economic policy for the Union which places the economic and social objectives laid down in the Treaty (growth, full employment, social inclusion) at the heart of policy-making with just as much vigour and organisational firepower as that accorded to the objective of budgetary discipline; complemented by an updating of the Union’s social objectives, an urgency in the drive to eradicate poverty and strengthening social dialogue; to this aim, a set of fundamental social rights and goals should be firmly anchored in the Treaty, with the same firm monitoring and enforcement tools for these social rights as exist for economic freedoms.

-2)Sustainability for the single currency; the ECB mandate to be developed in recognising its right to buy government bonds when the currency is under attack, with effective shared responsibility for economic governance; if the European Central Bank is not allowed to take action to save the currency it is supposed to manage, what is it for?

-3) Budget reform; increases in the EU Budget primarily to promote cutting edge technologies, to  finance social, infrastructure and sustainable development investment; the Budget to work in harness with the EIB;

-4) Revenue reform; EU own resources to be supplemented by energy taxes; Member states to be given more leeway to reduce VAT to stimulate domestic consumption and shift away from regressive taxes;

-5) A financial transactions tax to stimulate employment incentives in manufacturing and in services for SMEs; to boost  research and development; and to finance global public goals, such as combating climate change and promoting development.

-6) European investment through Project Bonds issued by the Union, and backed by the ECB concentrating on realising the huge potential of the new green economy; new infrastructure plans to be ‘fast-tracked’ with more flexible planning rules to create jobs rapidly, and reduce excessive dependence on fossil fuels and nuclear energy, together with an Energy Community with guaranteed mutual support in case of threats to energy supplies from third countries;

-7) A fairer basis for international trade; EU negotiators to be given a new mandate to fight social and environmental dumping; levies on imports from third countries not meeting EU environmental standards;

-8) Stronger support for our neighbours, to address the unacceptable and unsustainable inequality between the EU and its southern and eastern neighbours, through real concessions in trade and mobility, and by rewarding those who have fought so courageously for their democratic freedom in the Arab World. Europe must never again be seen to be quiescent in propping up authoritarian, nepotistic, geriatric dictatorships in the name of some misguided realpolitik;

-9) A more robust and united presence on the international stage, using our collective political and economic power to promote our values and interests beyond our borders, not least by playing our part in bringing to an end the conflict in the Middle East;

-10) Strengthening European democracy; whatever new rules for economic governance be introduced, parliamentary accountability must be paramount; member states to respect fully the Treaty on nominating the Commission President according to the EP election result; parliamentary votes on individual Commissioners and on possible recall to be binding; Socialist parties to involve members and supporters in all aspects of EU policy decisions, the manifesto, and candidates for top EU offices; Europe-wide action to strengthen press freedom by busting media monopolies and limiting non-European press ownership

The long-term viability of the European integration is now at stake. This is much more than just propping up the currency. Only a new approach from democratic socialists, reasserting forcefully our values and having the courage to propose European solutions can infuse the European project with the energy to sustain what should be its hallmarks- solidarity, economic efficiency and democratic vitality.

First signatories:

Panagiotis Beglitis, Member of the Greek Parliament (PASOK, Greece);

Josep Borrell Fontelles, President of the European University Institute, Former President of the European Parliament (PSC/PSOE, Spain);

Victor Bostinaru, Member of the European Parliament (PSD, Romania);

Udo Bullmann, Member of the European Parliament (SPD, Germany);

Sergio Cofferati, Member of the European Parliament (PD, Italy);

Véronique de Keyser, Member of the European Parliament (PS, Belgium);

Proinsias de Rossa, former Social Affairs Minister (Labour, Ireland);

Harlem Désir, Member of the European Parliament, national secretary of the PS (PS, France);

Leonardo Domenici, Member of the European Parliament (PD, Italy);

Glyn Ford, former Member of the European Parliament (Labour, United Kingdom);

Evelyne Gebhardt, Member of the European Parliament (SPD, Germany);

Ana Gomes, Member of the European Parliament (PS, Portugal);

Enrique Guerrero Salom, Member of the European Parliament (PSOE, Spain);

Elisabeth Guigou, Member of the French Parliament (PS, France);

Zita Gurmai, Member of the European Parliament, President of PES Women (MSZP, Hungary);

Jo Leinen, Member of the European Parliament (SPD, Germany);

David Martin, Member of the European Parliament (Labour, United Kingdom);

Marianne Mikko, Member of the Estonian Parliament (SDE, Estonia);

John Monks, Member of the House of Lords, former Secretary General of ETUC (Labour, United Kingdom);

Leire Pajin Iraola, Member of the Spanish Congress (PSOE, Spain);

Gianni Pittella, Vice-President of the European Parliament (PD, Italy);

Sir Julian Priestley, former Secretary General of the European Parliament (Labour, United Kingdom);  

Libor Roucek, Member of the European Parliament (CSSD, Czech Republic);

Hannes Swoboda, Member of the European Parliament, President of the S&D Group of the European Parliament (SPÖ, Austria);

Kathleen Van Brempt, Member of the European Parliament (SPA, Belgium);

Kristian Vigenin, Member of the European Parliament (BSP, Bulgaria);

Henri Weber, Member of the European Parliament (PS, France).

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