Archivio Tag | "Albert Einstein"

Onde gravitazionali, Einstein colpisce ancora!

Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

Onde gravitazionali, Einstein colpisce ancora!

Pubblicato il 18 febbraio 2016 by redazione

Anche questa volta Einstein aveva ragione! Dopo 100 anni di teorie e supposizioni, l’esistenza delle onde gravitazionali è stata provata!

Per comprendere a fondo l’importanza di questa scoperta occorre analizzare il significato di ‘onda gravitazionale’.

Con onda gravitazionale si intende una deformazione della curvatura dello spaziotempo che si propaga come un’onda. L’esistenza delle onde gravitazionali è stata prevista per la prima volta da Albert Einstein nel 1916 come conseguenza della sua teoria della relatività generale, tuttavia solo recentemente (11 Febbraio 2016) si è riusciti a verificarne l’esistenza in modo scientifico e indiscutibile.

Nel Novembre del 1915, infatti, Einstein presentò al mondo la sua teoria generale della relatività destinata a cambiare drasticamente il modo di percepire la gravità. Secondo la sua teoria, la gravità rappresenta il modo in cui la materia interagisce con lo spaziotempo (flessibile) nel quale è immersa. I corpi celesti di grandi dimensioni muovendosi ne modificano la curvatura, in particolare accelerando producono deboli fluttuazioni nel tessuto dello spaziotempo (minuscole perturbazioni cosmiche): le onde gravitazionali.

Le onde gravitazionali possono essere quindi considerate una forma di radiazione gravitazionale. Al passaggio di un’onda gravitazionale, le distanze fra punti nello spazio tridimensionale si contraggono ed espandono ritmicamente: effetto difficile da rilevare, perché anche gli strumenti di misura della distanza subiscono la medesima deformazione.

 

A schematic diagram of a laser interferometer. A gravitational-wave observatory

 

In base alle equazioni della Relatività Generale, la velocità delle onde gravitazionali coincide con la velocità della luce. Di conseguenza, le onde gravitazionali sono sempre onde trasversali: le distorsioni provocate localmente dal passaggio di un’onda sono sempre perpendicolari alla sua direzione di propagazione.

Ogni qualvolta si verifica una repentina variazione di massa di enormi corpi celesti si originano onde gravitazionali. Le sorgenti delle onde gravitazionali risultano, quindi, molteplici: l’esplosione di una supernova, la collisione e coalescenza di stelle di neutroni, la formazione o la fusione di buchi neri, la rotazione di stelle di neutroni dalla forma distorta o il residuo di onde gravitazionali generatesi alla nascita dell’universo. Il tipo di segnale emesso da ognuna di queste fonti è unico, per questo a livello teorico è possibile determinarne con esattezza il tipo di fonte e la causa dell’emissione. Tuttavia fino a poco tempo fa, non esistevano rilevatori sufficientemente sensibili per la localizzazione di onde gravitazionali; se anche si registravano dati presumibilmente riconducibili a questi fenomeni, i risultati erano poco chiari e non univoci.

Tutto è cambiato l’11 Febbraio 2016 durante una conferenza stampa a Washington quando David Reitze, direttore esecutivo del laboratorio LIGO, Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory (osservatorio interferometro laser delle onde gravitazionali), ha annunciato: “Ce l’abbiamo fatta. Abbiamo rilevato le onde gravitazionali”.

 

osservatory

LIGO

Interferometro di Michelson.

Interferometro di Michelson.

 

Questo osservatorio statunitense è stato fondato nel 1984 da Kip Thorne e Rainer Weiss proprio con lo scopo di rilevare onde gravitazionali di qualsiasi natura. Nasce come progetto congiunto tra scienziati del Caltech (California Institute of Technology) e del MIT (Massachusetts Institute of Technology) sponsorizzato dalla NSF, National Science Foundation (all’epoca era costato 365 milioni di dollari).

Attualmente LIGO gestisce due osservatori di onde gravitazionali: l’osservatorio di Livingston e l’osservatorio Hanford. Il primo, situato nei pressi di Livingston, è dotato di un interferometro di Michelson, un gigantesco tunnel vuoto a L, lungo circa 4 chilometri alle cui estremità sono stati posizionati degli specchi sospesi. Il raggio laser nell’interferometro è in grado di rilevare anche piccolissime deformazioni dello spaziotempo causate dalle onde gravitazionali. Il principio di funzionamento di questo strumento si basa sul concetto dell’interferenza, fenomeno dovuto alla sovrapposizione, in un punto dello spazio, di due o più onde. Una figura d’interferenza è, quindi, ottenuta suddividendo, indirizzando su percorsi diversi e facendo convergere un fascio di fotoni. Ma affinché si registri uno sfasamento nel cammino ottico dei due fasci, i due percorsi devono avere lunghezze differenti o avvenire in materiali diversi. Il primo fascio viene riflesso dallo specchio semiriflettente, giunge sullo specchio in alto, qui viene riflesso e incontra il rilevatore. Mentre il secondo fascio prima attraversa lo specchio semiriflettente e successivamente viene riflesso nel rilevatore. Se i cammini dei due fasci differiscono per numeri interi di lunghezze d’onda, l’interferenza costruttiva genera un forte segnale in uscita. Per differenze uguali a un numero dispari di mezze lunghezze d’onda, l’interferenza è distruttiva e il segnale è prossimo a zero.

L’osservatorio Hanford, invece, è situato nei pressi di Richland ed è provvisto anch’esso di un interferometro laser identico a quello dell’osservatorio Livingston. Inoltre ne esiste uno più piccolo, di lunghezza pari 2 km, la cui sensibilità è dimezzata.

Le onde gravitazionali che sono originate a centinaia di milioni di anni luce dalla Terra dovrebbero distorcere i 4 chilometri di spazio tra gli specchi di circa 10−18 m (come confronto, un atomo di idrogeno è circa 5 × 10−11 m)!

Le onde gravitazionali in questione sono state generate dalla collisione di due giganteschi buchi neri lontani 1.3 milioni di anni luce, aventi rispettivamente una massa pari a 36 e 29 volte quella del Sole.

 

collisione fra due buchi neri

La collisione tra due buchi neri, avvenuta 1 miliardo di anni fa, ha dato vita al primo segnale di onde gravitazionali rilevato da Ligo, da anni alla ricerca delle tracce di queste oscillazioni spazio-temporali.

 

I ricercatori, infatti, sono stati in grado di registrare tutto il processo: da un primo momento, in cui i due buchi neri ruotavano semplicemente l’uno rispetto all’altro a una velocità di 30 giri al secondo, passando a 20 millesimi di secondo, quando ormai i due corpi ruotavano a una velocità di 250 giri al secondo, e terminando con l’inevitabile collisione finale e fusione dei due buchi. Una volta completata la fusione, si è generato un gigantesco buco nero avente una massa pari a 62 volte quella del Sole, mentre la rimanente massa si è dispersa sotto forma di onde gravitazionali.

L’esistenza delle onde gravitazionali implica l’esistenza del campo gravitazionale anche in essenza di materia, smentendo così il modello newtoniano che vede l’interazione gravitazionale in un’azione a distanza tra corpi massivi.

 

LISA Pathfinder

LISA Pathfinder_1

 

Ora il passo successivo per comprendere a pieno questi fenomeni, insieme con la fisica che governa le loro sorgenti, è combinare i dati registrati dal LIGO con quelli che LISA Pathfinder collezionerà nei prossimi mesi. L’ESA è infatti in attesa di iniziare una missione per testare diverse tecnologie che estenderanno lo studio di queste onde anche nello spazio.

LISA Pathfinder è stato lanciato il 3 Dicembre 2015, ha raggiunto la sua orbita operativa in Gennaio e sta effettuando ora i controlli finali prima di iniziare la sua missione scientifica (prevista per il primo Marzo).

Come la luce, le onde gravitazionali coprono un vasto spettro di frequenze, inoltre si ipotizza che diversi oggetti astronomici emettono queste onde in tutto lo spettro. Ora, esperimenti terrestri come LIGO sono sensibili alle onde ad alta frequenza, come quelle generatesi a seguito della fusione di due buchi neri o per via delle stelle di neutroni, con frequenze di 10-1000 Hz.

Per rilevare onde gravitazionali a frequenze più basse, come quelle originatesi dalla fusione di buchi neri supermassicci al centro di galassie massicce, gli scienziati hanno bisogno di indagare variazioni di lunghezza di bracci molto più lunghi – circa un milione di chilometri. Ciò può essere ottenuto solo nello spazio, utilizzando dei raggi laser per monitorare la distanza tra tre masse in caduta libera separate considerevolmente (non è possibile raggiungere una simile distanza sulla Terra).

In questi giorni LISA Pathfinder deve dimostrare che è possibile mettere delle masse-campione in pura caduta libera, senza alcuna perturbazione esterna, raggiungendo un livello di precisione adatto a un osservatorio di onde gravitazionali spaziale.

Il 3 febbraio, le due masse poste al centro della navicella – un paio di cubi d’oro-platino identici con lato 46 mm – sono state svincolate dai meccanismi che invece le mantenevano fisse durante tutta la fase di lancio e di crociera. Il rilascio finale nello spazio avrà luogo la prossima settimana; i due cubi saranno allora totalmente staccati dal veicolo spaziale, non vi sarà nessun punto di contatto, in vista dell’inizio delle operazioni scientifiche.

Per compensare altre possibili forze agenti sui cubi, LISA Pathfinder misurerà la loro posizione e orientamento per aumentare il più possibile l’accuratezza dei rilevamenti e regolare il proprio assetto attraverso minimi aggiustamenti per rimanere sempre centrata su una di esse.

La scoperta e dimostrazione delle onde gravitazionale ha posto l’uomo davanti a un universo del tutto nuovo dove dimensioni parallele, buchi neri o viaggi temporali non sono più solo fantasie, ma possibili realtà.

di Sara Pavesi

 

Linkografia

https://it.wikipedia.org/wiki/LIGO

https://it.wikipedia.org/wiki/Pulsar

https://it.wikipedia.org/wiki/Onda_gravitazionale

https://www.theguardian.com/science/2016/feb/11/gravitational-waves-discovery-hailed-as-breakthrough-of-the-century

https://it.wikipedia.org/wiki/Interferometro_di_Michelson

http://www.einstein-online.info/spotlights/gw_waves

Commenti (0)

Se le api muoiono arrivano i droni

Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

Se le api muoiono arrivano i droni

Pubblicato il 24 febbraio 2014 by redazione

api-3

Quando mangiamo una mandorla, una barbabietola, un’anguria o anche quando beviamo un caffè, stiamo degustando il frutto di un complesso lavoro tra fiori e impollinatori, le api. Ma cosa succederebbe se le api scomparissero dalla faccia della terra?

«Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra all’umanità non resterebbero che quattro anni di vita!» questa la frase capitale che alcuni sostengono sia stata pronunciata da Albert Einstein. Ma anche se il famoso fisico della relatività non l’avesse mai pronunciata, resta il fatto che questo triste giorno pare, alla fine, sia arrivato.

A giugno del 2013, nel Rhode Island, un negozio del gruppo Whole Foods, per sottolineare l’importanza del lavoro di impollinazione delle api domestiche occidentali (Apis mellifera), tolse temporaneamente dagli scaffali delle corsie tutti i prodotti che, in un modo o nell’altro, dipendevano dal lavoro delle piccole instancabili operaie. Risultato, 237 prodotti su 453 non vennero esposti.

Questa singolare, quanto efficace operazione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, servì a sottolineare un inquietante e misterioso fenomeno: la scomparsa improvvisa di un terzo delle colonie di api americane, classificato in seguito dagli studiosi come “sindrome dello spopolamento degli alveari”.

Nelle torbiere del Maine, dove proliferano rigogliose le coltivazioni di mirtilli, il contributo economico stimato per il solo lavoro di impollinazione svolto dalle api, tra l’altro a titolo assolutamente gratuito, si aggira intorno ai 15 miliardi di dollari l’anno.

Questo fenomeno, iniziato nel 2006, venne notato dagli apicoltori che rimarcarono l’improvvisa e completa assenza dei piccoli insetti da molti dei loro alveari: miele e cera erano presenti, ma delle api nemmeno l’ombra.

Da allora sono passati almeno sei anni, ma le api continuano a morire al ritmo impressionante del 40% all’anno, e la loro assenza sta mettendo in crisi le molte coltivazioni che dipendono completamente dal loro importante contributo, oltre a tutto il sistema agricolo e alimentare.

linka_varroaMite

Varroa_Ciclo_Biologico Varroa_Mite

Varroa_on_larvae Vorroa_Mite_on_pupa

Neonicotinoidi e l’acaro parassita Varroa destructor.

Sembra che la causa della scomparsa delle api sia da addebitare ad alcuni pesticidi, chiamati neonicotinoidi, mortali per le api, anche a bassissimi dosaggi , oltre ad altri agenti tra i quali un acaro parassita il Varroa destructor che imperversa tra gli alverari fin dagli anni ‘80.

Secondi gli studiosi, i neonicotinoidi usati su oltre un centinaio di diversi tipi di raccolti sono molti e tutti diversi. Introdotti a metà degli anni ’90, i neonicotinoidi contaminano i semi prima ancora che gli stessi vengano piantati, raggiungendo ogni parte matura della pianta ed entrando in contatto con gli insetti attraverso il polline  e il nettare. La loro persistenza è di molto superiore ai comuni pesticidi e il loro uso è divenuto comune perché, paradossalmente, meno nocivi per l’uomo, quotidianamente esposto a questi agenti.

Per le api invece gli effetti sono devastanti. I neonicotinoidi aggrediscono il sistema nervoso delle piccole operaie, mentre percorrono in lungo e in largo grandissimi territori, percorrendo fino a 8km al giorno, invalidando il loro sistema di volo e di orientamento, senza ucciderle subito, ma di fatto indebolendole anno dopo anno, fino alla disfatta completa, improvvisa e definitiva.

Sebbene non vi siano prove certe sulla totale responsabilità dei neonicotinoidi, è pur vero che lo spopolamento dei gli alveari coincide con la loro introduzione, ormai onnipresente in quasi tutte le coltivazioni.

piante fiori frutti impollinati

Alcuni esempi di piante e frutti che dipendono dall’impollinazione delle api.

La Commissione Europea ha deciso che a partire dal 2013,  per due anni consecutivi, i neonicotinoidi saranno proibiti. L’EPA invece  non intende vietarli, almeno fino a quando non verrà dimostrata con certezza la completa responsabilità dei neonicotinoidi nella morte delle api.

Altri studi addebitano, invece, la moria delle api e l’abbandono degli alveari a un acaro parassita, il Varroa destructor, che scava tra le celle delle larve e con la sua lunga lingua bifida buca l’esoscheletro e lì succhia l’emolinfa e contamina le larve con altre malattie, provocandone la morte in breve tempo.

A partire dal 1987, si conta che quest’acaro abbia già sterminato diversi miliardi di api.

Altri studiosi addebitano la morte dei piccoli insetti a malattie batteriche e virali e anche alla mancanza di spazi incontaminati che permettano loro di procurarsi il cibo che gli necessita. In particolare non giovano le grandi monocolture di mais e soia, completamente prive di nettare e polline: un vero deserto dei Tartari!

La sempre maggiore diffusione di monoculture OGM, create nei laboratori di aziende biotech come la Monsanto ha determinato, infatti, la perdita di biodiversità genetica che sta contribuendo, non poco alla moria delle api.

Sia come sia, sembra che nessuno sappia che pesci prendere e intanto un importante anello della catena alimentare, presente sulla terra da diversi milioni di anni, rischia di scomparire per sempre lasciando dietro di sé un buco di lavoro biologico che avrà come unica conseguenza una quota importante di cibo in meno per tutti.

api droni

Salvare le api o l’impollinazione? Che domande l’impollinazione!

Come al solito l’uomo non cambia strada né registro e, come sempre, sceglie la strada più breve e il minimo sforzo.

La soluzione arriva dall’Università di Harvard e Northeastern, dove un team di scienziati ha pensato di impollinare i fiori con delle api robot. Sostanzialmente si tratta di piccoli eserciti di droni impollinatori.

Il progetto, denominato Micro Air Vehicles, iniziato nel 2009, per sopperire alla scomparsa graduale delle api, prevedeva di imitare in tutto e per tutto il loro complesso sistema di lavoro di squadra, sia nell’alveare sia nell’impollinazione e soprattutto di riprodurne dei piccoli esemplari artificiali, le Robobee, piccoli robot, costruiti in titanio e plastica, capaci di impollinare le ciclopiche distese di colture OGM.

Il laboratorio di microrobotica di Harvard ha lavorato sul progetto di veicoli Micro Air attingendo alle conoscenze sviluppate in ambito biomeccanico e studiando l’organizzazione sociale delle api.

Il team di ricercatori sta costruendo piccoli robot alati, adatti a volare di fiore in fiore, immuni alle tossine di neonicotinoidi, gocciolanti dai petali dei fiori, per diffondere il polline. Gli scienziati credono anche di riuscire molto presto a programmare le piccole api-robot a vivere in un alveare artificiale, coordinandole attraverso differenti algoritmi, su diversi metodi di impollinazione, in modo da dirigerle su colture differenti.

Naturalmente, i rapporti pubblicati dal laboratorio di microrobotica di Harvard,  descrivono anche i potenziali usi militari che si potrebbero ricavare, come quelli di sorveglianza e mappatura o di protezione civile per localizzare persone intrappolate a seguito di disastri e catastrofi.

Per fortuna o per sfortuna, a secondo dei punti di vista, le piccole api robot non sono ancora state dotate di pungiglioni retrattili, provvisti di neurotossine.

api droni_2

api_2

Il Progetto Micro Air Vehicle
L’obiettivo principale del progetto è quello di progettare dell’hardware e del software capaci di funzionare come “un cervello vero” in grado di controllare il volo e di intuire la natura degli oggetti incontrati sulla propria traiettoria e di coordinare i diversi processi decisionali impliciti alle diverse attività svolte e infine di simulare il sofisticato comportamento di una vera e propria colonia di insetti.

Occorrerà sviluppare degli algoritmi che presiedano a metodi di comunicazione tra le api-robot (come per esempio la possibilità per queste piccole macchine di parlare tra loro, a livello individuale e nell’alveare ), e degli strumenti di programmazione global to local per simulare le modalità attraverso le quali i gruppi di api dipendono le une dalle altre e si coordinano tra loro per esplorare i territori e procurarsi il cibo.

Una realtà surreale e affascinante, ma al contempo inquietante, che lascia un senso di vuoto, di impotenza e di tristezza, perché sembra sempre più inevitabile l’irreversibilità dei grandi cambiamenti naturali in atto.

di Adriana Paolini

 

Linkografia:

http://www.mieliditalia.it/varroa.htm

http://it.wikipedia.org/wiki/Varroa_destructor

http://www.ilfattoalimentare.it/commissione-europea-stop-neonicotinoidi-salva-api.html

http://www.efsa.europa.eu/it/press/news/130116.htm

http://www.greenpeace.org/italy/Global/italy/image/2013/rapporti/Api_in_declino.pdf

http://pesticidinograzie.wordpress.com/2013/03/03/uccidere-la-api-e-gli-impollinatori-selvatici-ci-portera-alla-fame/

http://www.youtube.com/watch?v=VxSs1kGZQqc

http://www.youtube.com/watch?v=b9FDkJZCMuE

http://www.wyss.harvard.edu/

http://micro.seas.harvard.edu/

http://micro.seas.harvard.edu/research.html

Commenti (0)

Advertise Here

Foto da Flickr

Guarda tutte le foto

Advertise Here

LINK