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Breve Storia dell’Industria Italiana: Sesto San Giovanni, la Città delle Fabbriche.

Pubblicato il 06 ottobre 2015 da redazione

Capannone area ex Falck.

 

Una storia di lavoro, di ingegno, di creatività, produttività, economia, ma anche di sacrifici, valori e diritti.

Difficile restituire memoria a una città che non esiste più se non nei ricordi e nei cuori di chi c’era.

Qualcuno, tempo fa, mi parlò di come è importante per i cittadini di Sesto San Giovanni portare avanti e tramandare di generazione in generazione la “cultura sestese”. Oggi, girando per le vie di Sesto e le sue aree dismesse in rapida trasformazione, che ormai restituiscono solo vagamente le architetture passate di una tra le più grandi “Città delle Fabbriche” sorte in Europa nel secolo scorso, capisco che non c’è altro modo per perpetuarne la memoria. Un luogo, quello nei cuori e nel ricordo dei sestesi di allora, in cui ogni giorno, bucavano il cielo le imponenti lingue di fuoco delle acciaierie Falck: 16 metri d’altezza, di fumo, di polveri e di suoni assordanti. Sempre rivolte verso il cielo, quattro gigantesche bocche, ogni giorno inghiottivano tutto e lo risputavano senza distinzioni, insieme alle fatiche, ai sogni e alle vite di quasi 50mila lavoratori, tanti erano quelli che negli anni della seconda guerra mondiale rifornivano con il loro lavoro l’industria della guerra. Solo il suono delle sirene interrompeva ad ogni cambio di turno, quella grandissima catena umana.

Le sirene a Sesto suonavano sempre! Alle 5.40, 5.55, e alle 6, quando terminava il turno della notte e iniziava il primo turno della giornata. I treni arrivavano carichi di pendolari, migliaia di persone si ammassavano sulle banchine e poi a piedi verso le fabbriche, mentre gli abitanti locali ci andavano pedalando. Sempre verso le 6 c’erano altre migliaia di persone che uscivano dalle fabbriche, terminato il loro turno della notte, e che si incamminavano verso la stazione per ritornare a casa. Una gigantesca catena umana che si muoveva nei due sensi rispetto all’orologio che girava all’infinito senza fermarsi mai! Alle 7.40, 7.55, 8.00 ecco arrivare ancora migliaia di operai, in particolare quelli specializzati e gli impiegati, i soli a svolgere un solo turno di lavoro quotidiano normale. Alle 12.00 la sirena suona ancora, ma finalmente è quella dell’intervallo per il pasto e alle 13 suona di nuovo per richiamare i lavoratori, del turno normale, alla ripresa del lavoro. Per gli operai del primo turno, quello delle sei del mattino, la sirena del pasto non suona, semplicemente fra le 10 e le 11 vanno in mensa. Alle 13.40, 13.55, 14.00, suonano di nuovo per chiamare al lavoro quelli del secondo turno, mentre dopo le 14.00 se ne vanno quelli del primo, non senza aver aspettato sul loro posto di lavoro i colleghi di quello successivo. Alle 18.00 ecco di nuovo la sirena che apre i grandi cancelli di uscita dalle fabbriche. Ma le acciaierie e i laminatoi non si fermano mai. Così alle 21.40, 21.55, 22.00, le sirene chiamano ancora altri lavoratori, sono quelli del turno di notte che subentrano a quelli che smontano alle 22.00 e le strade, poco prima deserte, si riempiono di nuovo di fiumi di persone che a piedi raggiungono stancamente la stazione ferroviaria, le fermate degli autobus, o con poche pigre pedalate le loro case a Sesto. Ma qualcuno negli stabilimenti continuerà a lavorare e quando avrà finito il turno non andrà da nessuna parte, resterà invece a dormire nei dormitori, proprio di fronte agli stabilimenti, sono i pendolari che vivono dentro la fabbrica fino alla fine della settimana, quando finalmente ritornano alle loro case, nelle valli o nel bresciano.

Uno spettatore estraneo che si fosse appostato dietro l’angolo di qualche edificio al Rondò avrebbe visto queste fiumane di uomini e donne avanzare intercalandosi prima in una direzione e subito dopo in quella opposta allo scandire della sirena che, come il capo barca di una antica galena, dà il ritmo ai rematori. Scene quelle di Sesto, che si replicavano, come in un film in bianco e nero di molti anni fa, Metropolis di Friz Lang, in tutti i grandi centri industriali, in Italia e nel resto del mondo, quando si iniziavano a costruire quegli impianti complessi che avrebbero rifornito le due guerre mondiali, ma avrebbero anche permesso di far decollare la società moderna e un lunghissimo periodo di pace e civiltà, consentito solo da uno sforzo collettivo immane, che all’unisono si impegnò con tutte le sue forze a garantire un futuro a sé e alle nostre generazioni.

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Filanda Puricelli Guerra, fine ‘800.

 

1800-1914: Le origini di Sesto

Le filande sestesi del 1800

Al sesto chilometro dal Duomo di Milano sorge la chiesa di San Giovanni. Nulla di strano, quindi, che per praticità e chiarezza quel piccolo paese di villeggiatura milanese venga chiamato Sesto San Giovanni. In questo borgo già allora animavano i fine settimana le famiglie dei De Ponti, Mylius, Puricelli Guerra, Salvini e Gaslini che a Sesto avevano costruito le loro grandi ville di riposo.

Nel 1800, infatti la cittadina di Sesto è un borgo agricolo posseduto al 70% da queste famiglie, che sono anche tra le più prestigiose di quelle milanesi. In quegli anni, per il clima particolarmente asciutto, esistono già sul territorio delle produzioni seriche, in particolare quelle delle filande, che impegnano circa 700 addetti, per le lavorazioni del lino, del cotone e della canapa. Anche la seta non manca, principalmente prodotta proprio nelle importanti filande dei Puricelli Guerra. Altre filande minori completano poi il quadro produttivo locale, sono quelle di Salvini e Gaslini.

Verso la fine del secolo la vicinanza alla città di Milano e il potenziamento delle linee ferroviarie e tranviarie, verso le sue periferie limitrofe, favorisce Sesto quale terminale di transito per far arrivare le merci provenienti da Cologno Monzese, Bresso e Balsamo verso la grande città milanese. Nel 1885, infatti le Ferrovie Mediterranee, agevolate da un’importante contributo del comune di Sesto, decidono di costruire lo scalo ferroviario.

E così, agli inizi degli anni novanta, le attività manifatturiere seriche cominciano a produrre per un mercato ben più grande di quello locale. In particolare cresce la lavorazione dei metalli.

Un contributo importante nella direzione della produzione serica viene dato anche dai numerosi telai meccanici a vapore, azionati da motori con forza motrice di 24 cavalli, della ditta Sigmund Strauss di Francoforte sul Meno, che non si limitavano a filare, ma che si specializzano nella produzione di prodotti finiti, come tende e pizzi, che distribuiscono poi in tutta Europa, attraverso le filiali di Berlino, Caudry, Calais e Nottingham.

Sempre grazie alle ferrovie, che da Sesto, attraversando il passo del Gottardo, portano verso il Nord dell’Europa e il Sud America, si aprono anche i mercati alimentari e in particolare la produzione degli insaccati, favorendo la distribuzione degli stabilimenti di Giovanni Trezzi e Francesco Cotta Ramusino, che passano così dal mercato nazionale a quello intercontinentale.

A questa rapida industrializzazione contribuisce anche La Società di Mutuo Soccorso locale che avvia corsi professionali serali di disegno, destinati a operai e contadini.

Anche le Pompe Gabbioneta fanno la loro comparsa sul finire del 1800, insieme alla Tuttinelli & C. che si dedica alle innovazioni tecnologiche derivate dall’impiego dell’energia elettrica per i motori di trasporto come quelli a dinamo, i carri elettrici, gli accumulatori e i trasformatori. Tutti prodotti costruiti in metallo, fornito a sua volta dalle industrie metallurgiche, come la Camona Giussani & C., la Trafilerie e Corderie Metalliche Luigi Spadaccini, che nel territorio di Sesto, per il basso costo dei terreni, trovano gli spazi adeguati in cui trasferire i loro impianti produttivi. In particolare Camona, che rientrato in patria, dopo quasi due decenni di vita da migrante in Francia, costituisce alla fine del 1891 uno stabilimento con fonderia di ghisa e torneria a Sesto Calende.

 

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Ercole Marelli, 1919.

 

1903. Nasce il nuovo polo siderurgico milanese.

Si delinea così un nuovo polo industriale, che soddisfa le necessità di espansione della città di Milano a cui serve una grande area in cui concentrare i maggiori progetti industriali nati in quell’epoca, in modo che le distanze fra dove si progetta, dirige, commercializza e produce non siano troppo lontane da dove si risiede, ma nell’immediato circondario.

Così nel 1903 a Sesto arriva la Breda, nel 1905 l’Ercole Marelli e l’anno seguente le Acciaierie e Ferriere Lombarde. Si costituisce anche la Osva (Officine Valsecchi Abramo).

L’area scelta per la Breda si trova fra Sesto San Giovanni e Greco Milanese, che viene acquistata per 5 milioni di lire dalla Società Quartiere Industriale Nord Milano, sottoscritta da Breda e Pirelli, le Ferrovie Meridionali e le banche Pisa, Feltrinelli e Commerciale, i principali attori economici e finanziari dell’Italia settentrionale, che avevano a Milano il loro cuore propulsivo e la solidità e affidabilità finanziaria necessarie a garantire un’operazione immobiliare così vasta, e al riparo da speculazioni negative.

Il progetto urbanistico prevede la costruzione di un largo viale per collegare Milano a Sesto San Giovanni e attorno al quale saranno ricavati tre grandi parchi, il primo di 150 mila mq, il secondo di 100 mila alla Bicocca e l’ultimo, più piccolo, intorno alla Torretta. Tre anche le zone residenziali, quella vicina a Milano con ville e bassi edifici, poi le case popolari per operai e impiegati e più fuori gli stabilimenti.

Si costituisce anche una seconda impresa immobiliare la Società Terreni Industriali, tra i cui promotori ritroviamo la Banca Commerciale, ma anche la Banque de Paris et des Pays-Bas., per l’acquisto di un’altra vasta area compresa tra Sesto, Niguarda e Greco Milanese, con un capitale sociale di 3 milioni di lire.

Questa mastodontica operazione urbana vede anche la partecipazione di un’importante proprietario fondiario di Sesto, la famiglia De Ponti, che vende molti dei suoi terreni all’Ingegner Attilio Franco e alla Società Anonima Milano, dove poi sorgeranno le attività siderurgiche più rilevanti. Nel 1906 l’Ingegner Franco prende i primi contatti con le Acciaierie e Ferriere Lombarde per la cessione delle aeree su cui costruire i nuovi stabilimenti, con la differenza però, rispetto alla Breda e alla Marelli, migrate a Sesto dalla città di Milano, che queste nuove aziende scendono direttamente dalle valli per superare gli ostacoli derivanti dall’impiego di minerali e carbone da legna locali, ormai insufficienti per competere con le moderne tecnologie d’oltralpe.

L’ingegner Attilio Franco possiede una modesta impresa di costruzioni che inizia ad acquisire terreni a Sesto nei primi del 1900.

Successivamente, tutte le trattative di acquisizione dei terreni dall’Ingegner Franco avvengono solo attraverso l’intermediazione della Società Anonima Milano che lottizza le aeree a nord-est della linea ferroviaria destinate ad ospitare il Nuovo Quartiere Industriale Raccordato, che viene perfezionato solo nel 1908, quando l’ingegnere conferisce alla Società Anonima i propri terreni e ne assume al contempo la presidenza. La Società Anonima viene costituita il 23 Ottobre 1905 e accoglie nel suo consiglio di amministrazione oltre a Giorgio Enrico Falck anche diversi imprenditori lecchesi.

Negli anni successivi la Falck estende i suoi stabilimenti su tutti i terreni appartenenti alla Società Anonima Milano, concordando gradualmente i corrispettivi all’ingegner Franco. Fra il 1905 e il 1909 i capitali immobiliari investiti ammontano al 42% del totale immobiliare investito su tutto il territori urbano milanese.
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La società Italiana Ernesto Breda

A partire dal 1903 fra Bicocca e Torretta si cominciano a costruire gli stabilimenti della Breda, in un luogo salubre in cui le comunicazioni con Milano sono rapide e agevoli, dove è facile trasportare energia elettrica, quella della Edison, e l’allacciamento ferroviario è garantito anche oltr’alpe La costruzione degli stabilimenti procede celermente e già nel 1904 le officine sestesi vengono dichiarate “regolarmente funzionanti”, pronte a produrre macchine agricole (trebbiatrici) e veicoli ferroviari; la produzione dei locomotori per il momento resta ancora negli stabilimenti di Milano. In perfetto tempismo con un altro importante avvenimento che determinerà un immediato sviluppo dell’azienda: la nazionalizzazione del servizio ferroviario.

La Breda riceve, infatti, importanti commesse pubbliche, tali da convincere la Banca Commerciale Italiana a garantire la raccolta dei capitali, necessari ad ampliare la capacità produttiva degli impianti.

“La Breda aveva infatti già realizzato la prima locomotiva che avrebbe favorito e innovato il sistema ferroviario nazionale. Grazie a questo risultato acquista la credibilità necessaria a convincere le banche a sostenerla nell’impresa. Tant’è che lo sviluppo dell’azienda è immediato, al punto da raggiungere in pochi anni la produzione incredibile di 1000 locomotive!”.

Le commesse, infatti, superano di molto le aspettative che saturano in brevissimo tempo la capacità produttiva dell’azienda e richiedono uno straordinario apporto di nuovi operai, case, servizi sociali e tutto quanto è necessario ai lavoratori per garantire la loro opera nei tempi stabiliti. La Breda non riesce, infatti, ad effettuare le consegne proprio per la mancanza di manodopera, dovuta soprattutto agli scarsi mezzi di trasporto della Società Edison, sulla tratta Milano-Monza, che veniva appunto usata dai pendolari dei paesi vicini per raggiungere Sesto. Inoltre la forte domanda di personale rischia di far lievitare i salari, soprattutto degli ingegneri d’officina. Così l’azienda si convince che la soluzione migliore è quella di aumentare i benefit e offre la casa ai propri dipendenti, a prezzi molto inferiori di quelli di Milano e con gli ingegneri stipula un contratto della durata minima di circa 5 anni. Cresce anche la consapevolezza che per mantenere quel ritmo di produzione, la saturazione completa degli impianti e la sostenibilità dei costi che ne derivano, è necessario estendere le vendite non solo al mercato nazionale, ma anche a quello estero. Per questo vengono avviate strette collaborazioni con le amministrazioni pubbliche.

Nel 1909 si intensificano anche i preparativi per le forniture di materiale bellico sia per l’esercito sia per la marina italiani, che accentuano però anche una maggior dipendenza dalle politiche di spesa pubblica, allora molto oscillanti.

Anche la quantità dei materiali necessari alla produzione non sono sempre garantiti, tanto che le maestranze sono costrette a stringere un accordo con gli altri concorrenti nazionali per suddividersi le commesse e poter così accelerare i ritmi di produzione bellica. La situazione, però, si inasprisce nel 1913 con la crisi della domanda e gli scioperi generali, che coinvolgono tutta l’industria italiana, e vanno a discapito della produzione, con forti diminuzioni dei lavoratori impiegati che passano da 4100 addetti a soli 2300.

Per avere un’idea della dimensione di uno dei maggiori poli meccanici nazionali bisogna cercare di immaginare la dimensione degli edifici e delle macchine impiegate e l’estensione degli spazi usati per alloggiare le filiere produttive.

 

locomotiva

Imponenti capannoni coperti, realizzati con strutture e ossature completamente in ferro e illuminati da enormi lucernai, da cui la luce del giorno filtra abbondante in tutte le stagioni, costituiscono gli edifici in cui vengono montati i grandi telai in ferro e le casse di legno per i veicoli. Ognuna di queste officine occupa un’area di 10.000 mq e la segheria preposta a fornire tutto il legname necessario è in loco. Per procedere alla produzione, la Breda predispone una sezione dotata di numerose macchine utensili, un’officina di fucinatura in cui vengono collocati magli atmosferici e magli a vapore, presse a vite e poderose macchine fucinatrici americane. Boccole da locomotiva, stantuffi e altri lavorati simili vengono prodotti con l’aiuto di una pressa idraulica della potenza di 2000 tonnellate, il tutto disposto su una superficie di 11.000 mq. Nel libro di Pastonchi, del 1936, La Società italiana E. Breda per costruzioni meccaniche. Dalle origini al oggi (1886-1936), si legge che nel 1908, in occasione della consegna della millesima locomotiva gli stabilimenti della Ernesto Breda occupano 456.000 mq, di cui 48.000 dedicati alle officine di Sesto San Giovanni e 35.000 a quelle di Milano, e nel suo complesso assicura lavoro a circa 4500 operai in perfetta sinergia con le macchine, in una filiera produttiva il cui sincronismo matura e si perfeziona nel ripetersi specifico di ogni compito assegnato, che diventa nel tempo la specializzazione propria di ciascun operaio, la ricchezza di conoscenza, oggi diremmo di know-how, necessaria e indispensabile a produrre centinaia e centinaia di lavorati metallici, perfettamente lisci e puliti.
Arriva il polo elettromeccanico Ercole Marelli

Negli anni a cavallo del 1920, insieme alle Falck e alla Breda, fa la sua comparsa il terzo grande colosso industriale di Sesto San Giovanni, il gruppo Marelli.

Nel 1905, Sesto accoglie un’altra importante impresa la Ercole Marelli, in perenne trasloco alla ricerca di nuovi e sempre più ampi spazi dove organizzare al meglio le sue unità produttive, una dedicata ad agitatori d’aria e motorini, l’altra a ventilatori elicoidali e gentrifughi e motori elettrici a corrente continua e alternata.

Insediatasi nel 1901 in via Farini, dopo molti trasferimenti da una zona all’altra di Milano, la Ercole Marelli decide di trasferirsi definitivamente a Sesto San Giovanni, in un’area compresa fra due cascine la Gualdina e la Valdimagna, dove può finalmente adottare nuovi modelli organizzativi e tecnologi, più consoni alla sue nuove linee produttive internazionali, per le quali apre anche nuovi uffici commerciali in Argentina, Brasile e nei principali paesi europei, che assorbono quasi l’80% della produzione totale, con una forte presenza soprattutto a Parigi, Londra, Berlino, Amburgo, Buenos Saires e Vienna.

Nel giro di pochi anni, e più precisamente nel 1911, l’Ercole Marelli consoliderà a Sesto, l’acquisto di 65.000 mq, di cui 40.000 completamente occupati dalle filiere produttive e i restanti come scorta per eventuali usi. L’organizzazione produttiva si basa sul sistema americano dell’epoca, che consiste nel creare prodotti complessi, ottenuti assemblando pezzi prefabbricati in serie, che passando da una lavorazione all’altra e congiungendosi poi in modi diversi permettono di realizzare tantissimi prodotti in poco tempo e con l’impiego misto di macchine e manualità.

Nei libri storici della Ercole Marelli si legge “I nostri agitatori si diversificano gli uni dagli altri per la loro forma, per il loro scopo […] moltiplicando tutte queste combinazioni occorrerebbe avere 4104 apparecchi diversi”.

Le fasi di produzione sono coperte interamente, dalla lavorazione della materia prima fino al prodotto finito e per risparmiare e perfezionare al massimo la resa vengono istituite speciali unità, dedicate alla produzione di tutti i singoli attrezzi necessari ad ogni specifica officina, oltre a singole macchine utensili, progettate, costruite e poi impiegate nei diversi reparti come: la Torneria per le grosse lavorazioni meccaniche, quella per le piccole lavorazioni, e anche quella per perfezionare e rifinire gli agitatori, la Tranceria, il reparto dei Fabbri Ferrai, quello per l’avvolgimento, il montaggio e le prove delle macchine, quello per l’avvolgimento il montaggio e le prove di funzionamento degli agitatori d’aria e infine il reparto per la verniciatura, ai quali vanno aggiunti i magazzini di ricovero delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finiti, pronti per essere spediti.

Anche alla Ercole Marelli, come abbiamo visto per la Breda, si rendono necessarie una serie di infrastrutture e servizi finalizzati all’accoglienza delle forze lavoratrici e a migliorare l’attrattività del personale più qualificato. Tra i servizi esterni viene implementata la linea tranviaria Milano-Monza, con la nuova fermata Marelli, oltre a una deviazione specifica che porta gli operai direttamente all’ingresso della fabbrica. Si calcola che fra il 1906 e il 1911, il numero di persone impiegate, di cui molte le donne, sale da 500 a 1500. La crisi degli anni successivi investe però anche la Ercole Marelli che deve cercare nel settore bellico nuove commesse. L’inizio non è facile, e solo successivamente darà buoni risultati.

In alcune lettere si legge “Mi è grato assicurare la Signoria Vostra che questa amministrazione svolgerà certamente la sua azione presso le ditte costruttrici delle nuove grandi navi per quanto attiene ai ventilatori di cui le stesse necessiteranno. (Lettera del Ministro della Marina, 11 Settembre 1914)”. O anche in un’altra lettera dello stesso anno, del Ministro della Guerra, del 2 Settembre, in cui si comunica l’esito negativo di due gare di provviste, una di 62000 bossoli di acciaio per spolette e l’altra di 62000 serie di elementi di acciaio sempre per le stesse spolette.

 

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Uno dei primi televisori Magneti Marelli, 1938.

 

Magneti Marelli

Il gruppo Marelli è suddiviso, principalmente, in due distinte società la Ercole Marelli, che abbiamo già visto, specializzata nel settore elettromeccanico e la Magneti Marelli che si specializza in tutte quelle applicazioni elettriche impiegate nell’equipaggiamento elettrico degli apparecchi radiofonici, delle automobili e delle motociclette, come per esempio le candele dei motori.

Fin da subito la Magneti Marelli copre l’80% del mercato nazionale e conquista anche quello internazionale francese, con Citroën e Peugeot. Molto del successo dell’azienda risiede nell’organizzazione produttiva, strutturata sul modello americano, che coniuga sapientemente l’automatismo delle macchine con la specializzazione e l’esperienza dell’uomo. Dagli stabilimenti Marelli, escono così 200 tipi di apparecchi, diversi per caratteristiche e criteri costruttivi: i magneti utilizzati nei grandi trimotori e quelli leggerissimi impiegati nei compressori, gli equipaggiamenti elettrici per le biciclette e gli autocarri, le gigantesche batterie di stoccaggio per gli accumulatori dei sommergibili e le piccole batterie per i motocicli, per un totale di 4000 apparecchi prodotti ogni giorno, composti a loro volta da 1.200.260 pezzi, come radioricevitori domestici, enormi amplificatori sonori, impianti di frenatura a depressione, candele per accensione, spinterogeni, trombe, interruttori elettromagnetici per tergicristalli, avviatori a scatto e quadri di comunicazione. Per garantire, un’efficienza e competenza straordinarie, l’azienda è affiancata anche da laboratori scientifici, di progettazione, uffici tecnici e sale prove speciali, in stretta collaborazione con la direzione tecnica, con la quale appronta e studia i nuovi prodotti e la loro potenziale penetrazione di mercato. Nel libro di Zavattaro, del 1938, Sprazzi e bagliori, si legge: “I laboratori operanti a Sesto San Giovanni. Stabilimento A: laboratorio prove materiali, laboratorio scientifico e progetti accensione ed equipaggiamenti; laboratorio alta qualità: laboratorio scientifico radio; laboratorio onde ultracorte; laboratorio televisione; laboratorio onde acustiche; laboratorio progetti radioricevitori; laboratorio progetti radiotrasmittenti; laboratorio progetto acustica; laboratorio chimico per applicazioni radio; laboratorio di apparecchi di controllo e misura; sale prove speciali accensioni ed equipaggiamenti; sale prove speciali radio. Stabilimento B: l sala prove speciali; laboratorio chimico. In un ciclo unico continuo fino alla conclusione finale del ciclo produttivo, la filiera partiva dai laboratori progetti, passava ai responsabili esecutivi dello studio, si concretizzava nella fase della completa realizzazione e quindi al vaglio degli uffici tecnici che curavano l’esecuzione dei disegni costruttivi, eseguendo nei laboratori le prove dei materiali fino alla sala conclusiva dedicata alle prove speciali.

Tra i principali clienti del 1929, non può certo mancare la Fiat, che la Marelli rifornisce di sistemi di avviamento, sistema luci, candele e batterie, per le quali viene costruito, sempre a Sesto, lo stabilimento B, mentre a Canonica, in provincia di Bergamo, viene avviata l’Industria Composizione Stampate (Ics) per la produzione delle parti isolanti necessarie agli spinterogeni e ai magneti.

Nel 1930 viene fondata anche la Radiomarelli, che si dedica, invece agli apparecchi radio e alle valvole radio elettriche.

Anche per la Marelli la guerra costituisce un’opportunità di sviluppo tecnologico e l’occasione per un’ulteriore espansione commerciale che consente al gruppo Marelli di aprire un altro stabilimento, per le lavorazioni metallurgiche e siderurgiche e altri due, per le valvole termoioniche, trasmittenti e riceventi e per le candele dei motori degli aeroplani, che verranno insediate a Firenze, ad Apuania e a Capri, con una produzione imponente di migliaia di magneti e decine di migliaia di candele, dedicate al settore aeronautico. Fino allo stabilimento N, a Crescenzago, che sarà il maggior centro produttivo del gruppo. Il personale impiegato è altamente specializzato e a forte presenza femminile, che vede negli anni Trenta il 36% di operai specializzati e il 45% di operai qualificati e manovali specializzati.

 

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Acciaierie e Ferriere Lombarde, le Acciaierie Falck

Enrico Giorgio Falck senior, tra i primi protagonisti e innovatori della siderurgia lombarda, approda in Italia dopo un lungo percorso sia di studi sia di lavoro, in giro per l’Europa. Di origini alsaziane, precisamente di Wissembourg, nasce nel 1802. Si laurea in ingegneria meccanica, con indirizzo siderurgico, e completa la sua formazione come tecnico siderurgico nel dipartimento di Mulhouse. Si sposa, quindi, con Barbara Noblt, di formazione protestante, dalla quale ha un figlio Enrico Giorgio Falck junior.

Falck senior si trasferisce quindi a Dongo, in Italia, come consulente della ditta Gaetano Rubini, dove viene raggiunto, nel 1851, dal figlio ventitreenne, che nel frattempo aveva completato gli studi sempre presso Mulhouse. A Dongo Enrico junior, nel 1863, sposa la figlia di Giuseppe Rubini, Irene, l’erede della ditta Gaetano Rubini. Due anni dopo Giorgio Enrico Falck senior, torna in patria, in alsazia, dove vi rimane definitivamente.

Nel frattempo, l’anno successivo a Dongo, Irene Rubini dà alla luce Enrico Falck junior, e poi Luigia e Camilla. Ma il 4 Settembre del 1878, a soli cinquantanni Enrico Giorgio Falck junior muore, lasciando alla moglie Irene, ai figli, ma anche a Redaelli e Bolis, la gestione della fabbrica Rubini-Falck. Il giovanissimo Enrico Falck junior, ancora sedicenne, morto il padre, e completati gli studi a Zurigo, viene mandato dalla madre a studiare in Germania e poi a lavorare in piccoli stabilimenti della Renamia e Vestfalia per fare esperienza sugli alti forni, le trafilerie dell’acciaio e i laminatoi, fino a quando entra in un’importante azienda siderurgica che lo manderà in Francia e in Fillandia a montare le prime cesoie idrauliche. Terminata la sua formazione estera, rientrato in Italia, dirige l’impianto della nuova trafileria Redaelli a Gardone, in Val Trompia. A soli ventidue anni assume la direzione del laminatoio di Malavedo, rinnovandone la tecnica di laminazione, per la prima volta in Italia, con quella a vergella. In seguito insieme ai Redaelli e ai Bolis, Enrico junior fonderà lo stabilimento di Rogoredo. Corre l’anno 1895 e la Ferriera di Rogoredo va all’asta. Enrico convince, Costante ed Ezechiele Redaelli, seppur scettici, a finanziarne l’acquisto. Motivo dell’incertezza era la lontananza dell’impianto dalle valli lecchesi, bresciane e bergamasche, dove avevano sede oltre alle manifatturiere anche, seppur esigui, giacimenti minerari, non ultimo, la scarsa presenza a Rogoredo di maestranze preparate, rendeva il quadro, nel suo complesso, poco convincente.

Ma il giovane Falck guardava ai rottami come alla nuova fonte di materie prime e senza indugio introdusse a Rogoredo il processo di fusione degli alti forni Martin-Siemens. A pochi anni di distanza, al crescere della domanda, aggiunse all’impianto anche il laminatoio a vergella e a partire dal 1901 la lavorazione dei laminati piatti, che insieme ai lingotti, costituirono la vera rivoluzione: un ciclo produttivo completo, dai rottami ai semi lavorati. I risultati ottenuti con l’ammodernamento dell’impianto di Rogoredo sono eccellenti, ma i rapporti con i soci pessimi. Così, nel 1905, Enrico Falck junior, cede ai soci tutti i suoi diritti sulla vecchia e nuova Ferriera di Rogoredo.

Ormai libero di inseguire le sue idee, Falck si appresta al grande passo e nel 1906, presso la Banca Commerciale di Milano, costituisce la Società Anonima Acciaierie e Ferriere Lombarde con un capitale sociale versato di 6 milioni di lire, provenienti soprattutto dal contributo di altre due società, l’Ingegner Alfredo D’Amico & C., di Vorbano, di proprietà di Angelo Migliavacca (che produce travi di profilati di ferro vuoti, impiegati poi per bollitori, mobili e tubi del gas), e la Ferriera di Dongo della famiglia Rubini.

Si costituisce, quindi, il primo consiglio di amministrazione: Presidente Migliavacca, Vice presidente Enrico Falck, consiglieri Filippo Rubini e Emilio Tansini; non compare, invece, la Banca Commerciale, che è in realtà ila principale azionista dell’azienda. Solo più tardi Falck riuscirà a recuperare la maggior quota della società. Primo impegno dell’azienda è quello di individuare un’area adatta all’insediamento dei nuovi impianti, compito assunto da Enrico, che deve conciliare la vicinanza ai possibili utilizzatori dell’acciaio che verrà prodotto, come le ferriere di Dongo e Vorbano, la vicinanza ai luoghi di rifornimento di ghisa e rottami per gli alti forni, maestranze adeguate e aree sufficientemente grandi e a basso costo.

Scartate Liguria e Treviglio, restano all’esame Sesto San Giovanni e Lodi. Quest’ultima viene scartata, perché troppo vicina agli impianti di Rogoredo, oramai concorrenti.

Sesto resta quindi l’unica scelta possibile, senza contare che i collegamenti ferroviari esistenti fra Sesto, Monza, Milano, facilitano la mobilità dei lavoratori e il Passo del San Gottardo apre la via sia agli approvvigionamenti di rottami e ghisa sia a nuovi mercati per la vendita dei lingotti d’acciaio e dei semi lavorati, e in particolare in Germania, Belgio, Svizzera e Lussemburgo.

Così si procede all’acquisto dei terreni necessari a Sesto, di proprietà dell’Ingegner Franco, come già abbiamo visto nel paragrafo introduttivo, e alla costruzione degli edifici in cui verranno collocati nel corso del tempo 4 altiforni Martin-Simens, ciascuno in grado di produrre, 24 ore su 24, 30-35 tonnellate di acciaio fuso ogni sei ore e alcuni laminatoi di grandi dimensioni, lunghi 650, 474, 260 mm, secondo la lunghezza dei treni, e destinati alla produzione di ferri semilavorati, sagomati e di travi.

Negli anni successivi, la crisi siderurgica che attraversa il Paese, e la forte concorrenza tedesca che deprime i mercati, non sono di conforto agli ottimismi iniziali di Falck, e neppure ai rapporti con d’Amico, già abbastanza tesi, che si inaspriscono ulteriormente nel 1911, quando il comando delle Acciaierie passa a Falck, già da tempo assestatosi come maggior azionista della società. Al comando ormai dell’azienda e al centro del polo siderurgico, tra i più grandi del Paese e dell’intera Europa, Giorgio Enrico junior decide allora di aderire alla fondazione della Società Anonima Ferro e Acciaio, insieme ai principali produttori siderurgici italiani, che nasce per ripartire in modo equo le quote del mercato interno, messe in crisi soprattutto dall’accentramento del Consorzio Siderurgico Nazionale, guidato dall’Ilva, e premere sul Governo affinché sostenga la domanda siderurgica e penalizzi le importazioni estere.

In un libro del 1909, curato da E.Trevisan, La meccanica e l’elettricità, Milano, si legge “L’acciaieria Falck è una vasta tettoia divisa in due campate: nella prima vi sono due forni Martin-Siemens, nella seconda la grande fossa di colata nella quale si fondono i lingotti a mezzo di lingottiere. Ciascuno di questi forni dà trenta tonnellate di acciaio fuso ogni sei ore. Il lavoro è continuo giorno e notte. La produzione giornaliera è di 120 tonnellate di acciaio fuso per forno. Una gru della portata di 7,1/2, azionata dalla forza elettrica, introduce il contenuto nella bocca dei medesimi (forni), automaticamente, e la fusione ha luogo. A fianco dei forni sono istallati sette gazometri. Questi consumano 10 tonnellate di carbone di Scozia (Splint) al giorno per produrre il gaz necessario alla fusione dell’acciaio. In una colossale tettoia in ferro si svolge il laminatoio, divisa in quattro comparti dalla complessiva lunghezza di 125 metri. Vi è poi una campata trasversale, nel senso della disposizione dei treni. Il primo treno è grosso da 650 millimetri di diametro; il secondo medio da 475; il terzo piccolo da 260”.

Nel 1913 viene istallato il terzo forno e si intensifica il processo di affinamento delle lavorazioni, non solo internamente, con l’allestimento di stabilimenti dedicati, ma anche con l’acquisizione di altri impianti già attivi e l’assimilazione di altre società, fra cui la più importante, nel 1911, era stata quella della Ferriera Milano, che produceva tubi senza saldatura, grazie alle sperimentazioni di Ludovico Goisis che più tardi entrerà a lavorare alle Falck.

Goisis, bergamasco, classe 1875, è un perito industriale che dopo aver lavorato per la società Ingegner Cabella, poi Tecnomasio Italiano, nel 1897, rientrato in Italia, dopo aver ultimato un corso in Belgio, avvia a Greco Milanese uno stabilimento per la lavorazione del rottame a pacchi. In quegli anni sperimenta anche la produzione intensiva di tubi saldati, seguendo il modello produttivo americano e facendo concorrenza alla Tubi Mannesmann di Dalmine. Approdato alle Acciaierie Ferriere Lombarde, Goisis diventerà uno strettissimo collaboratore di Falck, prima come direttore e poi come vice presidente.

 

Osva

La produzione delle Officine di Sesto San Giovanni e Valsecchi Abramo (Osva), costituitasi tra il 1906 e il 1907, comunemente denominata Camona, a ricordo delle prime Officine Insediatesi a Sesto già nel 1883 e di proprietà dell’omonima società, producono beni destinati principalmente a uso domestico, in particolare quelli smaltati, di cui diverrà uno tra i principali produttori nazionali. Nel 1929 il catalogo Osva include: vasche da bagno, lavabi, scaldabagni, cucine economiche e stufe smaltate, alimentate a legna, a carbone e a gas, rubinetterie per acqua vapore e gas, impianti automatici per distributori d’acqua, pompe di ogni tipo, idranti, accessori vari per gli acquedotti, saracinesche, fontane, apparecchi sanitari, tubi nervati, elementi per radiatori, termocucine, viterie in ferro e ottone, pittonerie, frigoriferi. L’azienda è suddivisa in 5 reparti: fonderia, lattoneria, meccanica, rubinetteria, smalteria. Ma nella lavorazione degli smalti dà il suo meglio, tant’è che durante il primo conflitto bellico mondiale la Osva è l’unica referente per le lavorazioni delle polveri piriche, soprattutto perché vengono bloccate quelle importate dalla Germania. Nel libri della fabbrica del 1906 si legge che ogni anno vengono fusi 1600 tonnellate di ghisa, di cui 600 poi smaltati, altre 100 tonnellate di fusione sono invece destinate a ottone e bronzo, oltre a una produzione di 60.000.000 di viti mordenti. Gli operai impegnati all’Osva erano 400, oltre a 20 impiegati. Nel 1906 l’Osva favorisce la nascita del Laminatoio Nazionale, nel quale ha interessenze. Per raccordare la filiera siderurgica di Sesto con quella dell’acciaio delle Falck, sia nel consiglio d’amministrazione dell’Osva sia in quello del Laminatoio Nazionale troviamo, così, Tommaso Giussani, Emilio Pozzi e il ragionier Piazza, quest’ultimo amministratore della prima e sindaco della seconda. Nel 1917, le Officine Valsecchi Abramo, favoriranno anche la nascita delle Acciaierie Elettriche.

Lo stabilimento Osva cresce con successo fino al 1934 quando raggiunge l’apice del personale impiegato, con 1.200 operai e 185 impiegati: il più importante produttore milanese di elettrodomestici di alta qualità sul mercato. Ma, sarà proprio il raffinato metodo di produzione artigianale il suo tallone d’Achille, che dopo la seconda guerra mondiale, sul finire degli anni 60′, ne decreterà la chiusura definitiva.

 

Trafilerie e Corderie Italiane (TCI)

In un articolo del giornale Sesto Fascista Industriale, del 1934, si legge: “La Soc. Trafilerie & Corderie italiane, con il capitale di L.8.500.000, ha due Stabilimenti a Sesto San Giovanni per la fabbricazione delle funi metalliche, fili d’acciaio, filo di ferro, chiodi, reti zincate, ecc., uno Stabilimento a Ponte dell’Olio (Piacenza), per la fabbricazione delle viti a legno in ferro, ottone e alluminio, semenze e sellerine; e due Stabilimenti a Laorca (Lecco) per fili di ferro e derivati. Gli impianti complessivi dell’Azienda impegnano oltre 500 operai e 50 impiegati; gli operai negli Stabilimenti di Sesto ammontano a 350. La Società ha diverse provvidenze e istituzioni operaie che qui di seguito riassumiamo: Casa operaia composta di 42 appartamenti di 2 e 3 locali ognuno in località Restellone a Sesto, Orti e giardini affidati gratis agli operai per lo sfruttamento, Casa costruita nel 1925 con tutte le comodità; Gruppo di case operaie di complessivi 57 appartamenti in Via Rovani a Sesto San Giovanni, recentemente dotate di tutte le comodità, Orti in consegna agli operai per la coltivazione; Casa nuova operaia di 18 locali a Ponte dell’Olio con tutte le comodità, Terreno affidato agli operai per coltivazioni orticole di uso domestico; Dormitorio a Sesto per gli operai scapoli o lontani dalle famiglie; Refettorio per impiegati a Sesto; Refettorio a Sesto condotto in economia dalla Società ove consumano i loro pasti circa 80 operai ogni giorno; Spacci di generi alimentari a Sesto e a Ponte dell’Olio; Fiorenti Mutue di soccorso per malattie fra operai in tutti gli Stabilimenti.” La Trafilerie & Corderie Italiane viene fondata nel 1922, dalle Acciaierie e Ferriere Lombarde, in compartecipazione con la Redaelli che acquista gli impianti delle Trafilerie e Corderie Metalliche Luigi Spadaccini, messa in liquidazione quello stesso anno. Come molte altre imprese, la Corderie Italiane nasce per soddisfare le esigenze collaterali lasciate scoperte dai grandi colossi, che seppur concorrenti, sono al tempo stesso acquirenti di alcuni semilavorati per i quali non ha senso impegnare ulteriori investimenti produttivi, ma che conviene assimilare attraverso l’acquisizione di altre imprese specializzate, già strutturate, dotate di personale formato e di più agili dimensioni. Durante la prima grande conversione degli stabilimenti industriali, da produzione bellica a civile, sono molte le ditte di medie e piccole dimensioni che vengono assorbite dai grandi gruppi, alla ricerca anche di nuove quote di mercato.

 

Pirelli Spa

Nell’ottica di una piena attuazione del piano regolatore dell’Ingegner Beruto, del 1884, che vede l’espansione di Milano su due circondari, uno periferico esterno alla città dedicato allo sviluppo di grandi complessi industriali e l’altro interno alle mura, per le attività commerciali e le piccole e micro imprese, nascono diverse società immobiliari che acquistano grandi appezzamenti terrieri destinati ai lavori agricoli, a cui cambiano la destinazione d’uso, riqualificandoli per quelli industriali. Per consentire l’insediamento dei nuovi stabilimenti industriali, alcune banche si fanno promotrici della costituzione di queste nuove società, il cui oggetto sociale sarà proprio “la creazione nei dintorni di Milano di un quartiere industriale, in cui trasferirvi importanti industrie fino a quel momento installate nel centro della città”. Simili operazioni avvenivano anche in altre città industriali del Paese, soprattutto nell’Italia settentrionale. Questo è il caso della società anonima Quartiere Industriale Nord Milano, con un capitale sociale versato di 5.000.000 di lire e sottoscritto dalle società Pirelli e Breda, oltre che dalle banche Pisa, Feltrinelli e Commerciale e dalle Ferrovie Meridionali. Nell’atto costitutivo della società si legge “Il signor Pirelli e la Banca Feltrinelli vendono alla Società Anonima gli stabili costituenti la possessione Bicocca di 1.152.000 mq oltre due appezzamenti di 25.000 e 100.000 mq. Breda e Banca Pisa vendono alla costituente società il fondo Bauer e il fondo Suardi in Prato Centenario dalla complessiva superficie di 1.320.000 mq”.

 

Campari

All’insegna della bella epoque, fra un laminatoio e l’altro, fa il suo ingresso un’azienda più leggera la Campari. Nel 1862, Gaspare Campari parte da Novara per trasferirsi a Milano, dove apre un piccolo negozio, sotto il Figini in piazza del Duomo. Lì, ultimata la costruzione della Galleria del Duomo, inaugura il Caffé Campari, lanciando la moda del bitter olandese, ribattezzato Bitter Campari. Nel corso degli anni la produzione Campari, partorisce anche il Cordial Campari e, grazie a uno dei figli, Davide Campari, formatosi a Bordeaux in una grande fabbrica francese, il liquorificio artigianale si converte in industria, colmando un vuoto commerciale, locale e nazionale, alimentato fino a quel momento, per lo più, da importazioni estere. Nel 1904, dopo due anni di costruzione, gli stabilimenti della Campari aprono i battenti a Sesto, con una trentina di operai specializzati. In una nuova ottica industriale, la comunicazione acquista ora un peso diverso, e per conquistare una quota di mercato internazionale, viene avviato un incredibile lavoro di comunicazione e cartellonistica, che nel corso degli anni vedrà impegnati i più famosi artisti del momento. La strategia pubblicitaria è quella di svestire e rivestire, ogni volta in modo diverso, il marchio e il prodotto Campari di elementi grafici che restituiscano le tendenze artistiche, culturali e le mode del momento, conferendo al prodotto il ruolo di portatore di modi e stili di vita innovativi. Grazie a questo rivoluzionario sistema di comunicazione la rete commerciale dell’azienda si estenderà fino dall’altra parte del globo: Argentina, Brasile, Paraguay, Perù, Stati Uniti, Messico e Uruguay. Come, per esempio, nel 1928 quando il grande futurista Fortunato Depero, disegna l’inimitabile bottiglietta rossa del Campari Soda, il primo aperitivo monodose al mondo, che nel giro di poco tempo tutti conosceranno.

Così, la ditta Campari nel giro di pochi anni arriverà a cinquanta addetti, capeggiati da Davide Campari, oltre a un chimico, un direttore amministrativo e un capo tecnico.

 

Pompe Gabbioneta

Nel 1897, insieme ad altre officine meccaniche e metallurgiche, nascono le Pompe Gabbioneta. Di dimensioni medio piccole, questa azienda affiancherà, in vari momenti, grandi colossi industriali come la Marelli e la Breda, per la fornitura di pompe ed elettropompe centrifughe, produzione in cui la Gabbioneta è altamente specializzata, a volte addirittura con metodiche artigianali, che riescono a soddisfare richieste molto specifiche, altrimenti evase dalle aziende tedesche. Ma il mercato locale non esaurisce le capacità produttive e commerciali della Gabbioneta che supporta anche progetti di bonifica integrale, con numerosi impianti di irrigazione agricola, un po’ in tutta Italia. Nel 1925, secondo l’Associazione Industriali Meccanici, gli operai impiegati sono un centinaio e nel 1941, secondo i dati forniti dall’Osservatorio Industriale Italiano, si contano: 5 dirigenti, 31 impiegati, 17 operai specializzati, 94 operai qualificati, 74 manovali specializzati, 18 manovali qualificati, 10 apprendisti, 4 donne, 3 fanciulli. Dalla tipologia di personale impiegato si evince che le Pompe Gabbioneta hanno un’alta concentrazione di operai specializzati che rimarcano l’alto contenuto tecnologico della storia della sua produzione.

 

società di Mutuo Soccorso

istituto tecnico Scientifico Ernesto Breda

 

La Società di Mutuo Soccorso e le Leghe Sindacali

Allo sviluppo industriale della città di Sesto ne consegue, in parallelo, quello del lavoro, oltre a una serie di strutture e organizzazioni di supporto. Nasce, per esempio, la Società di Mutuo Soccorso che si occupa della Formazione Professionale, finanziata prevalentemente dalle piccole e medie imprese e a dire il vero già operante nel 1896 con corsi di disegno professionale, serali e festivi, per adulti, principalmente operai e contadini.

Insieme alla Società di Mutuo Soccorso, nascono e si sviluppano anche le Leghe Sindacali, suddivise in Lega Cattolica e Lega delle Sinistre (antesiniana della CGL), leghe che continuano la loro attività di lotta, fino al 1923, quando vengono sciolte dal fascismo, che al loro posto costituisce le corporazioni fasciste, che a loro volta verranno sciolte dal governo Badoglio. Nel Luglio del 1943, Badoglio scioglie le corporazioni e nomina i commissari dei sindacati dei lavoratori, Buozzi, Di Vittorio, Grandi e il commissario dell’Industria Mazzini. Quegli stessi commissari, sempre nel mese di luglio del 1943, siglano l’accordo che restituisce il diritto di elezione delle commissioni interne , unitamente al regolamento che le norma. Così nell’estate di quello stesso anno, gli stabilimenti delle fabbriche italiane hanno già le commissioni interne perfettamente operative, anche se a dire il vero, di lì a poco, all’inizio di Dicembre, il CLN ipotizza di scioglierle per la presenza di infiltrazioni fasciste. Tutto avviene, per inciso, ancor prima dell’armistizio del 1945 e della liberazione del Paese.

Le leghe dei primi anni del 1900 operano affinché siano elette le commissioni interne alle aziende e si sviluppi la contrattazione. Processo, quest’ultimo, che prosegue anche dopo la fine della prima guerra mondiale fino al loro scioglimento del 1923.

Negli anni della guerra il lavoro è prevalentemente a cottimo, con una specializzazione articolata al massimo su 18 mestieri e una retribuzione basata sul cottimo eseguito. L’addestramento della manodopera è quindi un’attività di primaria importanza, tant’è che la Breda ad un certo punto sente l’esigenza di fondare un proprio Istituto Tecnico Scientifico.

 

 

Prima guerra mondiale: spinta e sviluppo dell’industria bellica italiana.

I singoli stabilimenti sviluppano produzioni che servono alla guerra, come armi, siluri, cannoni e bombe. In quegli anni la Falck, solo a Sesto, ha quattro stabilimenti, Unione, Concordia, Vulcano e Vittoria, e anche il Centro Ricerche, a cui si aggiungono gli stabilimenti di Dongo, Sondrio e Arcore.

Anche la Breda si sviluppa su diversi stabilimenti, quello siderurgico, quello elettromeccanico, quello ferroviario che è il più vecchio, quello aeronautico, le fucine e il centro ricerca.

All’alba della prima guerra mondiale le difficoltà maggiori che investono l’industria sestese e più in generale quella nazionale sono la conversione di tutta la produzione civile in quella bellica e, non meno importante, il reperimento delle materie prime, fino a quel momento spesso provenienti da Paesi che poi saranno impegnati nel conflitto mondiale, magari sul fronte opposto a quello italiano.

Nei verbali della Breda del 1915 si legge: “alla Breda mancano le materie prime per ultimare la fabbricazione delle 40 carrozze ferroviarie per la Romania […]le forniture che soffrono maggiormente della mancanza di materie prime sono quelle di 250 vagoni merci per le ferrovie di stato rumeno e quella di 40 carrozze di viaggiatori. […] Ma noi dovremo riportare all’esercizio venturo, con valutazioni molti prudenti, su come ci saremmo dovuti fermare per la mancanza di materiali di provenienza estera […] le forniture soffrono maggiormente della mancanza di materie prime […] il programma di migliorare le condizioni dell’esercito devono necessariamente comprendere la provvista di non pochi materiali per cui confidiamo che ai nostri riparti adibiti a queste costruzioni non possa mancare il lavoro […] una grave lacuna che noi dobbiamo sempre riempire per quanto riguarda le provviste dei locomotori elettrici, la cui costruzione ha raggiunto già ora uno sviluppo considerevole […] i magazzini sociali sono largamente provvisti di materiali specialmente di quelli che lo stato di guerra rende assai difficile il rifornimento come legname e carbone e di quest’ultimi si hanno in casa scorte sufficienti al consumo per oltre quattro mesi […] e mentre sempre più le necessità industriali ci allontanano dalla specializzazione e nuove branche di attività devono venire comprese nei nostri programmi, per cui sempre più laborioso e difficile riesce il procurare il multiforme lavoro occorrente alle fabbriche […] inattese difficoltà sorsero anche per la nostra industria collo scoppiare della guerra europea che ha reso e rende oltremodo malagevoli i rapporti con i paesi esteri dei quali dobbiamo trarre gran parte delle materie prime che ci occorrono”.

Così a Maggio del 1914 l’ingegner Breda decide di sospendere le forniture civili e di concentrarsi principalmente su quelle necessarie al Paese e in particolare all’esercito e alla marina. Lo stesso accade alla Ercole Marelli per la produzione di materiale elettrico, resosi ancor più necessario, con l’espulsione dal Paese dei produttori tedeschi.

Il decreto, poi, del 26 Giugno 1915, da parte del governo italiano, istituisce il Comitato Centrale per la Mobilitazione Industriale, che impone alle industrie nazionali la fabbricazione del materiale bellico, le necessarie modifiche degli impianti e il passaggio della manodopera sotto la giurisdizione militare, la cui direzione viene affidata al generale Dallolio. In realtà, per ottenere il massimo rendimento e coinvolgimento delle imprese, la gestione regionale viene di fatto lasciata agli imprenditori che si riuniscono in comitati. Così, in quello lombardo, ritroviamo Enrico Falck ed Ernesto Breda, che lavorano insieme per stabilire le norme di disciplina del personale, la miglior distribuzione delle materie prime, ma anche gli aspetti più sociali, come la gestione dei fenomeni di alcolismo o quella dei figli negli orari di lavoro. Il Comitato lombardo, provvede quindi a pubblicare un bollettino con l’elenco di tutte le decisioni prese, Bollettino del Comitato Lombardo di Mobilitazione Industriale.

Poche settimane prime lo scoppio della guerra, l’ingegner Falck verrà consultato dal ministro Casavola, come rappresentante dei metallurgici, per definire un quadro di riferimento dei rapporti fra l’amministrazione pubblica e l’industria.

La guerra, comunque, seppur imponga una serie di difficoltà legate, come si è visto, alla conversione della produzione, da civile a bellica, alla fine darà anche un forte impulso allo sviluppo industriale, sia perché in grado di garantire una certa quantità di commesse sia per il flusso di capitali che arriveranno dalle casse pubbliche sia per l’impulso tecnologico che ogni guerra, sempre comporta. Basti pensare che le spese belliche del Paese nel 1914 corrispondono al 5% del Pil, mentre nel periodo 1917-1918 raggiungono il 33%, per assestarsi al 20% nel 1921.

Nel 1915 le Acciaierie e Ferriere Lombarde decidono di allestire un nuovo forno per accelerare la produzione e deliberano l’acquisto dello stabilimento Barelli, specializzato nella lavorazione degli acciai speciali, oltre a quello della Redaelli per la produzione di funi, fili e corde metalliche. L’acquisizione di queste piccole imprese siderurgiche, tra loro integrate, sono funzionali alla costituzione dei nuovi impianti perché non necessitano di altri investimenti, ne economici e neppure di tempo e formazione.

Per garantire una vera indipendenza produttiva manca ancora, però, una forte autonomia energetica. L’occasione si presenta con il decreto Bonomi, il 3 Settembre 1916, con le concessioni idriche, destinate alla produzione di energia, e che dovrebbero facilitare l’elettrificazione delle grandi aziende come quelle elettrosiderurgiche, elettrometallurgiche, elettrochimiche e anche per agevolare la produzione di munizioni militari. Si offre così l’occasione per le industrie di investire nella costruzione di centrali idroelettriche che serviranno a ridurre l’uso di carbone e al contempo di innovare il sistema di produzione dell’acciaio attraverso la tecnica del forno elettrico.

L’occasione interessa anche alle Acciaierie Falck, sia per battere la concorrenza della nuova acciaieria della Breda, costruita nel 1916 e dotata di due grandi forni Martin affiancati dai rispettivi laminatoi, sia per le potenzialità produttive post belliche, quando la riconversione da industria della guerra a civile, avrebbe scatenato violente concorrenze di mercato. Nei libri della Società Anonima Acciaierie e Ferriere Lombarde, del 1917, si legge “La deficienza di combustibile sempre maggiore è sempre più preoccupante, ed il suo conseguente enorme rincaro, ci ha decisi a chiedere delle importanti concessioni di forze idriche in Valtellina, onde sostituire la forza elettrica al combustibile, nelle applicazioni termiche e meccaniche di cui abbisognano i nostri stabilimenti e soprattutto quelli di Sesto San Giovanni”. Fatto stà che nel 1918, dopo una serie di autofinanziamenti, le Falck dispongono di quattro forni Martin-Siemens e quattro forni elettrici, per una capacità produttiva di 120 tonnellate per ciascuno Siemens e 36 tonnellate per ogni forno elettrico.

Alla fine il quadro industriale sestese a cavallo della prima guerra mondiale si riduce, si fa per dire, a uno sviluppo impressionante di tre aziende, la Falck, la Breda e il gruppo Marelli, e di tutte quelle realtà produttive, medio piccole, che riescono ad entrare in sinergia con le prime.

La Breda decide di investire anche nell’aviazione, a Milano costruisce i motori e a Sesto sistema un campo aviazione di circa un milione e mezzo di metri quadrati, dove assembla e prepara i velivoli. Si calcola che nel 1918 viene assunta una importante commessa di ben 600 aerei di cui, alla fine dell’armistizio, ne restarono 32, perfettamente completati, e altre centinaia ancora in fase di allestimento.

Anche per l’indipendenza energetica vengono fatti importanti investimenti, progettando e realizzando gli impianti idroelettrici del Lys, in Val d’Aosta, che entrano in funzione subito dopo la fine della guerra. “L’impianto consisteva di una linea elettrica a 75.000 volts, da Pont St. Martin a Sesto San Giovanni. A partire da un grande sbarramento sul Lys e un canale lungo 10 km per una portata di 10 mc. Nella stessa valle del Lys, la Breda sta seguendo anche l’impianto della centrale di Trinité. Con queste due centrali si potranno produrre 150 milioni di kilowatts-ora.”

Non ultima la costruzione dei cantieri navali a Porto Marghera, che completava un mastodontico e articolato investimento, destinato a soddisfare il completo fabbisogno bellico nazionale. Alla fine della guerra, si calcola che l’ammontare della produzione evasa consisteva di: 3 milioni di proiettili di piccolo calibro, 2 milioni e 700 mila proiettili di medio calibro, altri 300 mila proiettili di calibro medio, ancora 300 mila proiettili di grosso calibro, 100 mila bombe per aviazione, 1600 accumulatori d’aria per la regia marina, 687 mortai, 480 obici, 688 siluri, 700 motori d’aviazione, migliaia di carri.

 

Fine della prima guerra mondiale e riconversione

Nel libro di Carparelli, Uomini, idee e iniziative per una politica di riconversione industriale in Italia, si legge che il compito di traghettare le industrie della guerra verso un’economia di mercato a carattere civile è assegnato al Comitato Interministeriale che dovrà definire “la soluzione dei rapporti contrattuali tra le amministrazioni statali e le imprese fornitrici; la liquidazione dei materiali residuati di proprietà dello Stato; l’assegnazione di commesse per produzioni di pace al fine di assicurare la prosecuzione dell’attività industriale; la messa a punto di una politica dei prezzi delle materie prime e dei prodotti finiti a fini di indirizzo e regolamentazione del mercato”.

Questa fase di riconversione non è di poco conto perché obbliga i grandi colossi industriali, e tutte le aziende terze, che da questi dipendono, a una rapidissima trasformazione produttiva e un’immediata ricerca di nuove commesse, non solo nazionali ma anche estere. Vi sono, per esempio, alcuni paesi neutrali al conflitto, come l’America che non avendo più potuto attingere alla produzione italiana sono ben disposti a sollecitarla. Al contempo, però, anche la concorrenza straniera preme per invadere il mercato nazionale. Occorre, quindi, garantire una cospicua provvista di materie prime ed energia, sufficienti per potenziare gli impianti produttivi che ora, preferenzialmente, sono orientati a sfruttare l’energia idroelettrica che non quella a carbone. D’altro canto, è anche necessaria una forte presenza dello Stato nella regolamentazione delle importazioni estere, in modo che non vadano a discapito dei produttori italiani.

Gli anni 1919 e 1920, registrano anche una certa difficoltà di assestamento dei rapporti economici fra le industrie e le diverse categorie del personale, che sfoceranno in forti tensioni sindacali, con 92 giornate di sospensione del lavoro, per esempio, alla Breda, nei cui verbali di allora si legge “la produzione delle officine fu quasi nulla e non potevano essere nemmeno iniziate le consegne della cospicua fornitura di materiale ferroviario ottenuta dallo Stato. Così per gli scioperi, la deficienza di materie prime e anche dell’energia elettrica, si produssero solo 750 dei 1000 carri ordinati nel 1918 dal Commissariato combustibili nazionale”.

Questa crisi comportò anche la contrazione della manodopera impiegata e una sofferenza delle piccole e medie imprese che dipendevano dai grandi gruppi industriali con i quali erano riuniti in consorzi che regolamentavano le quote di mercato degli uni e degli altri, a favore naturalmente dei produttori più grandi.

Solo negli anni Trenta si torna a una espansione positiva del mercato, favorita di nuovo dalla domanda pubblica e nel 1933-34 anche di quella bellica, tant’è che molte industrie italiane, e naturalmente a Sesto sono di nuovo sottoposte al controllo del Servizio osservatori industriali presso il Comitato ministeriale per la mobilitazione industriale, come già era successo in occasione del primo conflitto bellico.

 

Anni Trenta. Breda, Falck e Marelli crescono.

1929-1996: Le Lotte dei lavoratori a Sesto

Intorno agli anni 30′, i lavoratori delle fabbriche di Sesto sono circa 28./30 mila, tanti quanti sono gli abitanti censiti nel 1931. Questo significa che lo sviluppo delle fabbriche genera un incremento fortissimo del pendolarismo dei lavoratori dalle province periferiche lombarde a Sesto. La città di Sesto è occupata per il 70% del suo territorio da fabbriche e lavoratori e a livello nazionale è il 5° distretto industriale nazionale.

In quegli anni arriva la crisi, la grande depressione mondiale del 29′.

Uno degli effetti di questa crisi si ripercuote, a livello finanziario, sulla Breda, tant’è che per salvarsi da questo lo Stato interviene e la trasforma in azienda partecipata dallo stato. E gli stabilimenti col passare degli anni non sono pi ù parte della stessa azienda ma via si separano legalmente, pur mantenendo l’appartenenza allo stesso gruppo industriale e le partecipazioni dello Stato. Queste aziende saranno Breda Siderurgica, Breda Fucine, Breda Termomeccanica, Breda Ferroviaria, Breda Aeronautica e l’Istituto Ricerca Breda (trovare il nome giusto…) che si svilupperanno sempre più fino allo sprint finale che gli verrà dato dalle necessità della seconda guerra mondiale.

A Sesto in particolare si costruiranno dai cingolati agli aerei militari, m anche mortai, cannoni, mitragliatori, bombe. Negli anni 50′ in piena guerra si arriva a impiegare a Sesto tra i 40 e i 50 mila lavoratori e in particolare si registra un forte aumento della quota femminile perché gli uomini sono per lo più impegnati al fronte.

Tant’é che durante gli scioperi del 1943, tra le richieste che vengono poste alla direzione delle aziende, vi è quella della parità di trattamento per le donne. Bisogna ricordare che mentre a Torino il 5 Marzo del 1943 erano iniziati gli scioperi alla Fiat, che poi si estendono anche ad altri stabilimenti in Piemonte, a Milano e in Lombardia, invece, non si era riusciti a farli partire. Il 23 di Marzo del 43′ c’rano stati dei camionisti della Fiat che erano venuti alla Falck per prendere i bulloni e portarli a Torino e durante l’intervallo de pasto, in mensa parlando con i lavoratori e le lavoratrici della Falck domandano come mai questi siano in sciopero. Alle 13.30, alla ripresa del lavoro, quelli del reparto bulloneria iniziano lo sciopero, 430 addetti, e di questi 400 sono donne che diranno “non si può continuare così, è uno schifo quanto è successo oggi in mensa. Con la fatica che dobbiamo fare ora per ora, giorno per giorno, hanno ridotto la razione del pasto! Tant’è che vi era una scodella di zuppa e per secondo solo mezzo uovo lesso! Chiediamo che ci sia un servizio e una alimentazione adeguata e proporzionata alle fatiche che stiamo sostenendo! I miliziani fascisti entrano in fabbrica e cercano di fermare lo sciopero e costringere le donne a tornare al lavoro. Le donne, invece, li prendono a calci e li cacciano dalle fabbriche. Lo sciopero continua, anche per tutta la notte, con anche degli arresti. Il giorno successivo in breve tempo si estende a tutti gli stabilimenti della Falck, proseguendo per diversi giorni. Nei giorni successivi si estenderà anche alla Ercole Marelli, alla Magneti Marelli, alle Breda, Pirelli Bicocca e per effetto virale anche a Milano, dove gli scioperi coinvolgeranno la Braum Boeri, Borletti, Alfa Romeo decine e decine di miglia di lavoratori fermeranno tutti gli stabilimenti.

Si nota come Sesto, in quegli anni non fosse solo un’avanguardia produttiva, ma anche promotrice delle lotte per i diritti, portati avanti in particolare proprio dalle donne che erano quelle ad averne meno di tutti.

Sempre alla Falck, a cavallo fra dicembre 1943 e Gennaio 1944, riprende la battaglia, attraverso gli scioperi sestesi, che ha fra gli obiettivi ancora quello del diritto alla mensa già espresso dalle donne della bulloneria. Di fronte agli scioperi della Falck Zimmerman, comandante del distretto militare nazista di Milano, riunisce tutti i lavoratori della Falck sul piazzale dello stabilimento Unione, e affacciandosi dalla postazione più alta della torre del carro armato, intima ai lavoratori di tornare al lavoro, altrimenti li considererà nemici. I lavoratori rientrano nelle fabbriche e continuano lo sciopero, anche se nella notte vi saranno molti arresti. Bisogna tener conto che nello stesso periodo si svolge anche la battaglia di Stalingrado ed è per questo che Sesto viene da allora apostrofata come la Stalingrado d’Italia, proprio perché rispose nello stesso modo.

E’ il caso di ricordare anche, che quelle lotte portarono nel 1944 il prefetto di Milano ad emanare un decreto legge (pubblicato sulla gazzetta ufficiale dell”rsi) che stabiliva il diritto dei lavoratori delle fabbriche di Milano e della provincia al servizio di mensa, con primo e secondo e un intervallo di mezzora per poter assumere il pasto. Bisognerà aspettare fino al 1970 perché questo diritto venga riconosciuto dalla legge italiana. Poi ci vorrà Marchionne per stabilire, alla Fiat, perché la mezzora del pasto coincide con il termine del turno.

Ritornando alla crisi del 29′ oltre agli scioperi per i diritti, matura anche il nuovo impulso produttivo che, grazie alla guerra tirerà fuori dalla crisi anche Sesto. Anche la parentesi Libica dà un importante impulso produttivo.

Con il 25 Aprile, e la dichiarazione di liberazione finale e 9 Maggio firma del trattato di Pace europeo, si chiude un periodo in realtà molto produttivo per tutta l’industria italiana e in particolare per quella di Sesto, e al contempo si apre tutta la crisi che segue la neccità di riconversione totale della produzione , da militare a civile, lo sviluppo e l’adeguamento all’inovazione tecnologica e l’impegno economico nella ricostruzione urbana dei danni lasciati dai bombardamenti della guerra.

L’esempio più emblematico sarà quello della produzione aeronautica. Il progetto BZ308 (Breda Zapata 308), nato prima della fine della guerra, per esempio, viene poi ultimato come boing, e venduto agli Stati Uniti, attraverso lotte e scioperi allo rovescia che vedono impegnati i dipendenti della Breda a realizzare il progetto, per propria volontà e senza alcun compenso. Lo stesso accade alle Reggiane di Reggio Emilia con la realizzazione del R60 (ex carro armato) e poi invece trattore.

di Adriana Paolini

 

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1 Comments For This Post

  1. Alberto Piazzi Says:

    Sesto sta per sesto miglio, non sesto chilometro. Comunque è un buon articolo. Ho apprezzato.

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