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Guttuso 1912 – 2012

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Guttuso 1912 – 2012

Pubblicato il 09 gennaio 2013 by redazione

Guttuso Ritratto di Moravia

Guttuso, Ritratto di Moravia.

Era il 1912 quando il paese siculo di Bagheria dava i natali a un artista destinato a diventare il maggiore interprete delle sofferenze, dei miti e delle passioni del nostro (controverso) secolo.

Si tratta di Renato Guttuso, pittore, scultore, letterato, giornalista e militante politico talmente inserito nel clima culturale del XX secolo che, a 100 anni dalla nascita, Roma, sua città d’adozione, gli dedica la prima grande monografica post mortem mai allestita prima nella capitale: dal semplice ma esplicativo titolo “Guttuso 1912 – 2012”, essa è stata realizzata presso il complesso del Vittoriano (via San Pietro in Carcere) e rimarrà aperta fino al 10 febbraio 2013.

Cento dipinti e un importante numero di lettere, schizzi, bozzetti, articoli giornalistici e disegni provenienti dalle collezioni italiane ed estere (tra cui compaiono quelle della Tate Modern di Londra, del Museo Thyssen – Bornemisza di Madrid e del Centre des arts plastiques di Parigi) sono infatti stati riuniti in un unico grande percorso espositivo per presentare al pubblico una meravigliosa retrospettiva curata da due persone assai care all’artista: il figlio adottivo nonché Presidente degli archivi Guttuso di Roma, Fabio Carapezza Guttuso, e l’amico critico d’arte oggi Professore Emerito di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’università di Siena Enrico Crispolti.

Ripercorrere l’intero arco creativo di Renato Guttuso, documentando i diversi momenti artistici di cui fu (scomodo) protagonista e le accese polemiche che sempre lo animarono, non è certo stata impresa facile: la vita del pittore si presenta infatti appassionante e reale, come realista fu la sua pittura, intrisa di colore, di esperienze umane e di militanza politica che egli condivise con molti altri artisti e uomini di cultura di allora, e di cui la mostra ripercorre per immagini ogni tappa.

Renato Guttuso nasce a Bagheria, in provincia di Palermo, nel 1912: la madre Giuseppina, poetessa, e il padre Gioacchino, agrimensore e pittore, lo indirizzano verso gli studi classici ma il giovane ribelle preferisce frequentare la bottega di un pittore di carretti siciliani finchè, nel 1931, partecipa alla I Quadriennale di Roma, dove espone delle nature morte, suoi primi tentativi pittorici.

guttuso battaglia di ponte dell'ammiraglio

Battaglia di ponte dell’ammiraglio

Guttuso Occupazione-terre-incolte

Occupazione terre incolte

Guttuso fucilazione in campagna

Fucilazione in campagna

 

Guttuso.Crocifissione

Crocifissione

 

Nel 1935 viene chiamato a prestare servizio militare a Milano dove, fino al 1937, ha la

possibilità di

stringere amicizia con Renato Birolli, Giacomo Manzù ed Edoardo Persico: amicizie che, tornato a Roma nel 1937, amplia con la conoscenza di

Alberto Moravia (di cui è presente un ritratto in mostra), Antonello Trombadori e Mario Alicata, determinanti per la sua adesione al Partito comunista (allora clandestino) nel 1940. Di tale fede politica sono esempio la “Fucilazione in campagna”, dedicata a Federico Garcìa Lorca, ucciso dai franchisti durante la guerra civile in Spagna, e la controversa ma spettacolare “Crocefissione”, scandalistico ritratto della sofferenza umana alle porte del conflitto mondiale. Dalle macerie della guerra, magistralmente rappresentata nel ciclo di acquerelli dall’emblematico titolo “Gott mit uns”, il pittore rinasce aderendo prima al movimento milanese di “Corrente” e fondando poi il “Fronte Nuovo delle Arti”, correnti artistiche che ruppero con l’isolamento degli artisti italiani rispetto all’Europa: ma le tensioni con l’allora segretario e capo indiscusso del Pci Palmiro Togliatti non gli permisero di proseguire su questa strada e, per tale motivo, a partire dal 1950 intraprese la via del “realismo sociale” di contenuto impegnato. Un periodo affascinante, questo, che coniuga impegno politico, foga narrativa e ricerca formale tra avanguardia, espressionismo e post – Cubismo: ne sono esempio le varie edizioni delle “Occupazioni delle terre incolte” e “La Battaglia di Ponte dell’Ammiraglio”.

Guttuso Funerali di Togliatti

Funerali di Togliatti

Guttuso La Vucciria

La Vucciria

Nel 1965 trasferisce la sua definitiva residenza romana a Palazzo del Grillo, ora sede degli Archivi Guttuso: è qui che, nel 1972, dipinge i magniloquenti “Funerali di Togliatti”, mentre l’anno successivo realizza un ciclo di grandi composizioni commemorative come “Il convivio: Picasso e i suoi personaggi”. Tuttavia, l’opera maggiormente esplicativa di questo periodo è l’immensa “Vucciria”, rappresentazione del mercato più famoso di Palermo realizzata dal pittore interamente nello spazio del proprio studio, tra banchi fittizi e prodotti della terra veri.

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Il caffe greco

Guttuso Gott mit uns

Gott mit uns

Nel frattempo il suo intenso impegno politico, sempre più legato al nome del Partito comunista italiano, lo porta a diventare senatore della Repubblica nel collegio di Sciacca nel 1976 e, nello stesso anno, egli dipinge il “Caffè Greco”, sede della vita mondana di Roma trasformata dall’artista in palcoscenico onirico di fantasmi del passato. Guttuso si sta infatti avviando verso una stagione segnata dalla conquista di uno spazio liberamente di memoria, di “realismo allegorico” e di visione fantastica, simbolica e visionaria. Muore a Roma nel 1987.

di Clara Amodeo

 

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Dario Fo, regista, blogger, attore, pittore e Premio Nobel 1997.

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Dario Fo, regista, blogger, attore, pittore e Premio Nobel 1997.

Pubblicato il 23 giugno 2012 by redazione

 

Dario-Fo

I più lo conoscono per le celeberrime pièce “Mistero buffo”, “Morte accidentale di un anarchico” o “Sottopaga! Non si paga!” e per la ancora più famosa sede in cui queste vennero proposte al grande pubblico, la Palazzina Liberty dell’antico Verziere di Milano: ma lui, Dario Fo, è anche letterato (insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1997), regista, blogger e soprattutto pittore.

“Dico sempre che mi sento attore dilettante e pittore professionista”Nato nel 1926 a San Giano, un paesino presso il Lago Maggiore in provincia di Varese, da piccolo trascorre i primi periodi di vacanza in Lomellina: qui vive il nonno materno, agricoltore, che per invogliare i clienti ad acquistare la verdura prodotta in proprio inventa e racconta favole grottesche popolareggianti, servendosi della cronaca dei fatti avvenuti nel paese e nelle zone limitrofe per realizzare un vero giornale satirico del tutto improvvisato. Figlio di un ferroviere, inoltre, segue il padre nei trasferimenti che la Direzione delle Ferrovie gli impone: di paese in paese ascolta la narrazione non ufficiale dei maestri soffiatori di vetro, dei pescatori di lago che in osterie, piazze e porti raccontano favole paradossali e grottesche tipiche della tradizione dei “fabulatori” nelle quali affiora una pungente satira politica.

Il giovane Dario decide così di sviluppare le capacità apprese per strada presso l’Accademia di Brera di Milano, affinando ulteriormente la tecnica della fabulazione ascoltando, presso il neonato Teatro Stabile Piccolo di Milano, le prime traduzioni di Brecht, Majakovskij e Lorca: il suo talento è tale che nell’estate del 1950 riesce a fare colpo sull’attore Franco Parenti grazie a un suo testo autografo, “Poer nano”, satira che racconta la storia di un imbranato Caino in perenne competizione con lo splendido fratello Abele. L’ingaggio è immediato.

Da qui in poi la storia di Dario Fo è un crescendo di collaborazioni con la radio, la televisione e il teatro che lo porteranno, su una strada che non gli risparmierà difficoltà e censura, alla fama mondiale (Argentina, Australia, Bangladesh, Cina, Germania, India, Giappone, Russia, Uzbekistan e Yemen sono solo alcune delle nazioni in cui diverse compagnie straniere hanno portato in scena le opere di Dario Fo e Franca Rame). Ma nonostante le tournèe, il successo e la visibilità, Fo non dimentica mai le attitudini goliardiche e giullaresche del popolo da cui è nato e tra cui è cresciuto: capacità che egli registra in disegni e dipinti, schizzi presi “dal vivo” di una realtà un po’ folle dai quali trarrà ispirazione per la realizzazione dei suoi canovacci meglio riusciti.

“Dico sempre che mi sento attore dilettante e pittore professionista”, dichiara Fo: non per nulla nel corso della sua (non ancora finita) carriera di maestro poliedrico ha realizzato una personalissima “Bottega d’artista”, un vero e proprio laboratorio creativo di sapore rinascimentale in cui sono custoditi più di 18 mila schizzi, frutto di un lavoro che dura ininterrottamente ormai da 60 anni.

Il Comune di Milano, in collaborazione con la Compagnia teatrale Fo – Rame, ha deciso di aprire le porte di tale preziosissimo fondaco in una mostra dal titolo “Lazzi sberleffi dipinti” che, durata dal 24 marzo al 3 giugno, ha proposto al grande pubblico 400 opere tra pitture, collages, bozetti, acquerelli, fondali e stampe, ma anche arazzi, maschere, marionette e burattini. Lavori, questi, che ripercorrono un lungo viaggio attraverso la storia dell’arte: dai lavori ispirati alle incisioni rupestri preistoriche al linguaggio pop dei giorni nostri, percorrendo le esperienze dell’arte greca e romana, dell’arte bizantina e ravennate.

Grande interesse, poi, è quello dimostrato da Dario Fo per l’arte medievale e rinascimentale, testimoniato dai lavori che celebrano i rilievi scultorei del Duomo di Modena e di Parma, ma anche i remake di Giotto, Mantegna, Michelangelo, Leonardo, Raffaello e Caravaggio e dei contemporanei Funi, Carrà e Carpi.

Ma il mondo di Fo è il teatro che egli magistralmente rappresenta negli acrilici che raffigurano scene tratte da “Il barbiere di Siviglia”, “L’italiana in Algeri”, “La Gazzetta”, “Il viaggio a Reims”, ma anche della stagione creativa alla Palazzina Liberty e del suo incontro d’amore con Franca Rame, sua compagna e collega.

Una vita di passioni realizzata per immagini, che ha portato Fo a dichiarare (a ragione) che “se non possedessi questa facilità naturale del raccontare attraverso le immagini, sarei un mediocre scrittore di testi teatrali, ma anche di favole e di grotteschi satirici!”.

di Clara Amodeo

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