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Bretagna, il paese delle Bigouden

Pubblicato il 26 aprile 2018 by redazione

frejusPartenza in macchina da Milano ore 21.00, Volvo Polar, 4 persone, un cane, due tartarughe, qualche libro, poco bagaglio, due termos di caffé, biscotti, cioccolata, acqua, mele, panini imbottiti di ogni meraviglia, atlante stradale dell’Europa, navigatore con mappa dei rilevatori di velocità, chiavetta USB per la musica, due cuscini e copertina per qualche ora di sonno.

Prendiamo la via per il traforo del Frejus. Dazio di passo 45 euro (un furto). Fuori dal tunnel si punta verso la Francia e non ci si ferma più fino a destinazione: Grenoble, Lyon, Clemont Ferrand, Bourges, Tours, Nantes, Quimper: 1400 kilometri. Arrivo nel pomeriggio del giorno dopo verso le quattro.

mappa_bretagnaNella piccola piazza di Plobannalec ci aspetta Marielouise, una signora ruvida, ma al tempo stesso cordiale, di quasi settant’anni, che sale sulla sua macchina e ci guida fino alla vecchia casa di sua madre – un casolare tradizionale del secolo scorso, disposto su due piani, immerso nella campagna bretone, a 1 kilometro dall’Oceano Atlantico. Siamo nella zona di Pont l’Abbé, Loctudy e Penmarc, nella regione del Finistère. Regoliamo subito il pagamento dell’affitto, meno di 700 euro per tre settimane, e ritiriamo le chiavi. Scaricati i bagagli all’ingresso scappiamo alla spiaggia, per non perdere il tramonto. Ci restiamo un paio d’ore, a goderci un bel vento frizzante, che spazza via tutta la stanchezza. Temperatura 25-26 gradi. 16 in meno che alla partenza. Finalmente rallentiamo, con lo sguardo allungato sull’orizzonte, di un cielo quasi bianco che si specchia nel delicato azzurrino dell’Oceano. Poi il sole scende, grandissimo, e inonda di rosso questa distesa incredibile di spazio. Il cemento è definitivamente alle nostre spalle.

Lo stomaco reclama, ora si va al porto in pescheria. Il menù per questa sera è già deciso: ostriche come entrée, zuppa fumante ai gamberetti con pezzetti di pane abbrustoliti al forno, pesce al barbecue e chardonnay fresco (tre litri, in cartone con spinetta… un lusso), tutto rigorosamente cucinato nelle mura domestiche perché c’è la crisi e bisogna risparmiare. Costo medio del pesce quattro euro al kilo. Costo della cena 15 euro: che meraviglia siamo in Bretagna.

Mattino successivo spesa al Carrefour. Per almeno una settimana siamo a posto e con ogni bene di Dio, c’è perfino la carne per gli animali, la pentola elettrica per fare le crêpes a 13,90 (presa!) e la benzina, sempre made Carrefour, a 1,50 euro al litro.

Un’altra puntatina in pescheria e poi a casa a goderci il giardino. È davvero molto grande, più di 2000 m2, con vecchissime piante da frutto di mele e fichi, che non mancheranno mai dal desco per tutta la vacanza. Un bel tavolone, ombrellone e barbecue. Dentro, al piano terra, un ampio soggiorno, con divanetti, tavoli e tavolini, un televisore piatto e una cucina luminosa ben attrezzata, un tavolo da pranzo per 8 persone una toilette e una stanza da bagno. Al primo piano, tre camere e una toilette. Da notare che in Francia la toilette è una piccola stanza con solo la ”tazza”, mentre la stanza da bagno è il luogo in cui ci si lava e basta. Nel complesso una casa molto semplice e confortevole. Solo i letti, seppur matrimoniali sono più stretti dei nostri e con lunghi cuscini rotondi.

La prima settimana la passiamo a riposare e camminare lungo la spiaggia e per la campagna, con numerose puntatine nel pub più “malfamato” della zona, pieno di marinai tatuati e qualcuno già ubriaco di birra di primo mattino, che ritorna dopo due o tre giorni di pesca in mare aperto. Questo è l’unico posto, nel raggio di 50 kilometri, dotato di rete internet e di un computer dal quale poter navigare e leggere la posta. Per il resto la zona non ha copertura. Il birraio è peraltro molto simpatico e fa un ottimo cafe lounge e gli avventori, simili a truci pirati, sono in realtà altrettanto cordiali.

AGE_1209023758.jpgUne Agrifête

In Bretagna se non fai il pescatore fai l’agricoltore. Quindi le feste, o le fanno al porto o le fanno in campagna. Un’Agrifête è il meglio che un agricoltore possa desiderare. Trenini tirati da asinelli, con decine di bambini urlanti e festosi. Gare di quod su circuiti di fango. Trattori enormi che si sfidano a chi sposta più terra o più tronchi giganteschi. E poi le trebbiatrici. Avete mai visto quanto sono grandi queste macchine? In una ruota ci potreste stare quasi in piedi. Birra, salsicce e patatine fritte fumanti a non finire. Gare di cani pastori che si cimentano a radunare e spingere decine di oche lungo circuiti complicati, su e giù per piccoli ponticelli. Rodei casalinghi, con tori infuriati che corrono liberamente nell’arena, lanciando in aria a cornate contadini temerari, che osano sfidarli, solo per un applauso. Ma anche banchetti botanici, con patate di ogni tipo e colore (anche nere) e generose spiegazioni sui diversi sistemi di coltivazione. Sembra di essere in qualche brughiera del Texas e in effetti i cappelli a larga tesa non mancano, ai piedi quasi tutti hanno stivalacci irriverenti e nel complesso si respira un’aria selvatica.

torta bretoneLe briosche di Benodet

Lo so che non si fanno quasi 3000 kilometri, fra andata e ritorno, solo per mangiare dolci, ma non conoscete i dolci bretoni, sono burro puro. Anzi, ogni morso di qualsiasi gateau vi capiti di assaggiare si scioglie in bocca, letteralmente in burro. Il sapore è delicato, leggermente salato, naturalmente dolce per l’alta concentrazione di panna con cui viene lavorato, una vera poesia. Nelle lande della Cornovaglia francese, le mucche sono nutrite al pascolo e fanno un latte spesso e ricco di panna. Potete immaginare quanto ben di Dio si ricavi da un latte del genere. Personalmente, mi sono innamorata delle briosches di Benodet e del gateau bréton alla crême de pruneaus. Le brioche sono grandi, almeno il doppio di quelle  italiane, foderate di crema di mandorle, cosparse di scagliette di zucchero e sigillate da una bella glassa. Il gateau bréton classico, invece, è una torta alta circa tre centimetri, di un impasto spesso e burroso (naturalmente…), leggermente glassato in superficie, ripieno di crema di prugne aspra, con poco zucchero, che non smette di piacervi e quando finisce, la sorpresa e lo sconforto sono immediati. Tornando dalla Francia confesso di averne fatto una scorta di 10 forme. Tutto costa un prezzo ragionevole. Una torta 6 euro e una brioche 0,70 euro: I love butter.

Kitesurf a paletta

Vicino alle coste del Finistère le barche a vela naturalmente si sprecano, ma i kitesurfisti sono davvero ovunque. Immaginate una grande tavola da surf, mettetela in una sacca e ora infilatevela a tracolla e, con aria assolutamente serafica e disinvolta, fate l’autostop. Che macchina ci vuole per tirar su questi ragazzi? Lungo le strade provinciali, di prima mattina, queste scene si ripetono spesso. Se poi andate in spiaggia sono tutti lì. Vederli volare è uno spettacolo incredibile. Anche i gabbiani che spesso veleggiano a fianco delle loro ali, sospesi semplicemente nel vento, li osservano curiosi e forse affascinati da qualche nuova tecnica.

Anziane parigine camminano avanti e indietro nell’Oceano

Lungo il litorale, dove l’acqua dell’oceano ristagna tra gli scogli e resta un po’ più calda, potrebbe capitarvi di osservare anziane parigine (di ogni peso e taglia), camminare per ore, avanti e in dietro nel mare, che gli arriva fin sopra la vita. Fa bene alla circolazione, tonifica i muscoli e smagrisce. Passeggiano composte a coppie, o gruppi di tre, conversando piacevolmente e senza scomporsi, le mani dietro la schiena, pancette e pancione esibite con orgoglio, lunghe capigliature raccolte in semplici trecce bianche, mentre l’acqua gelida lambisce le morbide pieghe dei loro anni.

Un tuffetto, comunque, prima o poi lo farete e superato lo shock iniziale scoprirete che l’acqua non è così fredda. Ma l’mpressione maggiore sarà la sua leggerezza, quasi impalpabile, per l’elevata concentrazione di sale. In questa zona il sale viene mescolato con alghe, licheni, e molte altre piante selvatiche, ed esportato in tutto il mondo.

Ty Mamm Doue (La maison de la Mère de Dieu)

È una cappella gotica del XVI secolo, collocata in aperta campagna, in una radura isolata. Intorno le fanno da cornice alcune case tradizionali con i tetti in paglia, a circa tre kilometri a nord di Quimper, sulla strada di Plogonnec. La si può visitare solo da Luglio a Settembre. Particolari sono le maestose finestre in vetro soffiato di Francois Dilasser che raccontano la Creazione del Mondo e del Firmamento.

Sul retro della cappella c’è un vecchio pozzo la cui acqua si racconta curasse i lebbrosi e più in generale tutte le malattie della pelle. Ci siamo lavati tutti, mani e faccia e, vera o no che sia la leggenda, quell’acqua lascia la pelle morbida e pulita.

Cairn di BarnenezCairn di Barnenez_2Il più grande mausoleo d’Europa: il Cairn di Barnenez

Il cairn di Barnenez è il più grande monumento in pietra rinvenuto in Europa. Edificato nel periodo Neolitico, misura 75 metri di lunghezza e 28 di larghezza. Fu costruito intorno al 4500 a.C. per proteggere 11 camere funerarie di forma circolare o poligonale, a cui si arriva passando per stretti corridoi da 5 a14 metri di lunghezza. La facciata principale è orientata verso Sud-Ovest. Due aperture minori incorniciano ai lati l’entrata centrale più grande, posta sul dolmen principale. Il dolmen, o tavola di pietra (in bretone) è una camera delimitata da pietre orizzontali. Sul lato opposto del tumulo (cairn), la facciata è leggermente concava con un sagrato rudimentale, dal quale si possono osservare tutti gli ingressi alle tombe. Il mausoleo si erge sopra una collina, isolato e incontaminato, in un silenzio assoluto rotto solo dal vento, presenza costante di tutta la Bretagna. Sedersi a una certa distanza e osservarlo, fa venire i brividi. L’ingresso al tumulo costa pochi euro e per le persone al di sotto dei 25 anni è gratuito.

 pescatoriLe sardine di Douarnenez

Due ore a piedi. Questo il tempo di percorrenza del porto per la pesca alle sardine, più vecchio del secolo scorso. Qui attraccano, ogni giorno, tutti i peschereggi specializzati nella pesca dei mitici pesci, grassi e saporiti, che tutto il mondo occidentale conosce. In questo porto numerosi sono i cantieri navali e normalmente si possono osservare i calchi in dimensione reale delle chiglie degli scafi. Ogni angolo, attracco, imbarcazione o edificio raccontano la storia di Douarnenez, prima, durante e dopo l’era industriale.

Mont SAn MicheleMont Saint Michel

“Monte San Michele” è un’isoletta della Normandia, sulla costa settentrionale francese situata nel delta del fiume Couesnon e appartenente al comune di Pontorson. Venne costruita in onore dell’Arcangelo Michele che doveva proteggerla dal pericolo del mare.

La sua nascita risale al 700 d.C. quando, secondo la leggenda, l’Arcangelo Michele chiese a sant’Auberto, vescovo di Avranches, che gli venisse edificata sulla roccia una chiesa. Il vescovo ignorò la richiesta per ben due volte. San Michele, allora, toccò con un suo dito infuocato il cranio del vescovo, lasciandogli un foro profondo e rotondo, ma senza ucciderlo. Il primo oratorio venne così costruito in una grotta chiamata inizialmente Mont Tombe, che in seguito divenne Mont Saint Michel au péril de la Mer. Il cranio forato di Sant’Auberto è conservato nella cattedrale di Avranches.

Dal 1979 Mont Saint Michel fa parte del patrimonio Unesco. Tre milioni di turisti ogni anno vengono in pellegrinaggio per visitarla. La suggestione dell’intera abbazia è indubbiamente molto forte, ma con l’arrivo della marea raggiunge il culmine. Ogni sera i visitatori, dopo una giornata di ore a piedi per i saliscendi dei vicoli della cittadella, si siedono stanchi, di fronte all’Oceano e aspettano la marea. All’inizio sembra che l’acqua salga piano, ma in meno di 30 minuti il mare si alza e arriva appena sotto il piazzale principale del Monte. Le moto d’acqua corrono in lungo e in largo a recuperare qualche turista imprudente, allontanatosi a piedi sul  fondo del mare, fino al limite della baia, oltre il piccolo isolotto che troneggia di fronte a Mont Saint Michel, assorto in quel silenzio assoluto, che in tutto quello spazio, di cielo, acqua e sabbia ti fa sentire solo un granello di terra. Si aspetta a cavalcioni di un muretto il tramonto e si va via. Se ci si muove, si passa da Cancale a mangiare le ostriche.

I mercati di paese: vôtre marché!

Le patate con il bacon che rosolano in grandi wok, le crêpes di farina scura (blé noir) ancora calde ripiene di nutella, formaggio puzzolente, o solo un po’ di zucchero, pasticci di carne di ogni tipo, salsicce con interiora di animali arrotolate strette e incamiciate con la carne di maiale, sidro di mele, cestini di paglia, pani di tutte le forme, impastati con farine pregiate e cotti nel forno a legna, gateau bréton, ostriche, formaggini di capra cremosi, bancarelle di libri vecchi in cui potreste trovare dei veri tesori, piccoli acquarelli …  la Bretagna è tutta qui.

di Adriana Paolini

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Viaggio a Barcellona “To Barça with love”

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Viaggio a Barcellona “To Barça with love”

Pubblicato il 27 gennaio 2013 by redazione

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Manu Chau.

Manu Chao Quando si sente il nome di “Barcellona”, di certo non si può rimanere indifferenti; o disprezzo o massima esaltazione, sicuramente quello che non provocherà è un blando sbadiglio.

Per immergersi appieno nella vita di questa città, ancora prima di viverla, basterebbe leggere la biografia di uno dei più famosi artisti che ha alimentato il mito della “movida” catalana: Manu Chao. Nato a Parigi, da padre galiziano e madre basca, cresciuto nei sobborghi della capitale francese, si trasferisce a Barcellona per iniziare la sua folgorante carriera di musicista no-global. Riuscendo a mescolare anche in una singola canzone più di cinque lingue, la sua espressività riesce a caratterizzare in pieno la cultura urbana della capitale catalana: una capitale orgogliosamente indipendente, in cui le diversità culturali si mescolano, ma mai si fondono, restando immutate, esaltate le une dalle altre in un’espressione globale elevatissima dai caratteri eccessivi, ma mai di certo armonici; non di meno essa  costituisce anche la città guida di una Regione che fa capo a una comunità autonoma, la Catalugna, che, pur forte del possesso di uno statuto autonomo in accordo con la Costituzione Spagnola, non ha mai smesso di dar voce alle proprie rivendicazioni a forti tinte regionaliste, autonomiste e indipendentiste, rafforzate da una sempre crescente forza economica. Questo spirito si coglie anche nella volontà di mantenere un linguaggio proprio, il catalano, molto diverso dallo spagnolo, lingua che da alcuni abitanti spesso non è neanche conosciuta.

Partimmo alla volta di Barcellona nell’estate appena trascorsa, cinque amiche riunite da una conoscenza comune, già presente da un mese in territorio catalano, per motivi scolastici e mosse dalla curiosità per questa affascinante città, spinte dalla voglia sempre crescente di immedesimarsi nell’atmosfera della cultura spagnola. Tra di noi non tutte avevano una grande conoscenza reciproca e non si erano incontrate nello stesso momento di vita, ma, tra amicizie nate sui banchi del liceo o nelle aule universitarie, il viaggio, adempiendo appieno alla sua funzione, ci fece ritrovare più unite di quanto avessimo mai potuto pensare alla partenza.

E se è vero che nelle difficoltà e negli imprevisti i legami si fortificano, di certo l’arrivo in “albergo”, dopo un tranquillo volo di nemmeno un’ora, può ritenersi provvidenziale! Niente di più lontano da ciò che ci si poteva aspettare alla prenotazione online: il nostro “albergo” era in realtà un ostello dotato, si fa per dire, di un lussuoso bagno in comune a tutto il piano e modernissimi “comfort” nella nostra camera, tra i quali persiane in legno non proprio funzionanti. Ma di certo se si intende compiere una vacanza all’insegna del comfort e del tanto inseguito relax, la frenetica e mai silenziosa Barcellona non è il posto più adatto, quindi col senno di poi la nostra sistemazione poteva essere ritenuta adeguata e in linea con lo spirito un pò gitano della città.

Barcellona-ramblas

Barcellona, Ramblas.

Rambla.

Sfatti i bagagli e definiti i primi dettagli organizzativi, usciamo subito alla scoperta del centro, al quale il nostro albergo è vicinissimo; e infatti in dieci minuti a piedi raggiungiamo la via principale e uno dei simboli di Barcellona: la famosissima Rambla.

“Rambla pa’qui Rambla pa’lla,esta è la rumba de Barcelona”. Le parole del suddetto Manu Chao descrivono come meglio non si potrebbe il luogo più rappresentativo e caratterizzante di Barcellona. Non esiste infatti un luogo migliore e più indicativo per cercare di calarsi in modo semplice ma straordinariamente diretto con la cultura e il modo di vivere catalano.

Questa famosa via, che porta dalla centrale, maestosa Plaça Catalunya, sino al mare, è in grado letteralmente di trasportare il visitatore nel vorticoso clima (caldo ed euforico come una rumba appunto) di entusiasmo e di gioia, che a ogni suo angolo si riesce a toccare con mano.

Infatti ne rimaniamo tutte completamente folgorate! Decise ad intraprendere la nostra prima “vasca” pomeridiana, La Rambla si mostra subito nel suo fascino inimitabile: due fila di alberi alti e verdi ne segnano il percorso, mentre l’orizzonte è dominato dall’infinita quantità di persone che la percorrono incessantemente. A tutte vengono in mente i classici quadri degli impressionisti, anche se siamo d’accordo all’unanimità come in questa via più che l’armonia si viene sopraffatti dall’eccesso e dal caos.

Si possono trovare banchetti di ogni genere, che attraggono fatalmente noi ragazze, ma anche svariati negozi, dalle merci bizzarre e accese e gli immancabili ristoranti pronti a offrire ognuno la vera (non sempre) Paella. Non possono mancare, oltre le varie foto di rito, lunghe soste di fronte alle molteplici esibizioni di artisti di strada, che rendono unica l’atmosfera del pomeriggio. La Rambla sintetizza perfettamente quello che è il fascino ambiguo, colorato e festaiolo e insieme anche nero e torbido di questa città, che da tipica città di mare si fa crocevia di scambi e traffici dai più ai meno leciti. La Rambla è infatti anche luogo prediletto dello spaccio d è anche una delle vie col maggior numero di scippi al mondo. La delinquenza a Barcellona è abbastanza diffusa e principalmente si verificano furti a danni dei turisti che numerosissimi (e soprattutto italiani, molti dei quali giunti qui per fare la stagione estiva lavorativa) affollano la città in qualsiasi stagione. Sulla Rambla si viene avvicinate più volte e con molta facilità anche a scopo di spaccio di sostanze stupefacenti ma la sensazione che si ha, per quanto possa sembrare razionalmente strano, è che tutto ciò si armonizza perfettamente con il clima e l’atmosfera “zingara” della città e quindi non viene percepito come pericoloso o disturbante (almeno dalla sottoscritta) ma se ne rimane in un certo senso affascinati. E’ una città della quale si percepisce vivo, sia di giorno, ma soprattutto la sera, il richiamo di un certo “dark side”, che essa mostra senza pudore ma anzi con malizia. Barcellona è anche inquietante e ambigua, ma proprio per questo tremendamente seducente.

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Art nouveau, Barcellona.

Ma se il pomeriggio lungo la Rambla può in un certo qual modo non essere del tutto così sconvolgente, la notte lungo la via principale è assordante e ci coinvolge completamente,trascinandoci in una serata in pieno accordo con lo spirito di Barcellona. La Rambla, famoso cuore della vita notturna catalana, abbonda di bar e locali di ogni genere, che si trovano non solo lungo la via principale, ma anche lungo le innumerevoli traverse e viuzze che avvolgono la strada maestra. L’entusiasmo del luogo ci spinge in modo quasi frenetico da un bar all’altro, finché non decidiamo di fermarci in uno molto particolare, convinte nella scelta soprattutto dai nomi particolari ed eccentrici oltre ogni modo dei cocktail offerti, nomi che porteremo sempre con noi e ci faranno sempre sorridere! E dato che il prezzo dei famosi cosiddetti “shottini” è particolarmente basso, i gusti molto interessanti, essi sono offerti con particolari aggiunte (mashmallow, panna o tanto di effetti speciali stile fiammata sul bancone!) e i baristi particolarmente generosi e disposti a prepararne anche qualcuno gratis..ci ritroviamo ben presto un po’ brille e allegre nella notte barcellonese! La serata lungo e “attorno” alla strada prosegue nei locali più famosi della movida catalana, straripanti di giovani e anche di personaggi quanto meno bizzarri, tutti coinvolti dalla musica incessante e coinvolgente che pervade il centro della capitale fino all’alba, per finire come la tradizione prevede con le note dell’ormai noto Manu Chao.

La vita notturna nella parte viva, festaiola e mondana della città ci diverte moltissimo ma, in un’altra delle serate a disposizione, decidiamo di visitare il Quartiere Gotico e ciò si rivela una scelta molto azzeccata! Perchè è lì che si sprigiona appieno il fascino “dark” e lugubre di cui sopra. Le viette strette e buie sono semideserte, si capisce che è una città di mare dove si sono incrociate le vite più disparate di viaggiatori e marinai; a me personalmente in questa particolare zona infatti ha ricordato i caruggi di Genova (ci sono in realtà varie analogie tra le due culture e legami fra le due città, per motivi storici, comprovate anche dalle similarità linguistiche), luoghi di prostitute e derelitti che così tanto ha reso l’arte di De Andrè. Alcune di noi hanno anche letto il best seller dello scrittore spagnolo, nato appunto qui, Carlos Ruiz Zafòn, “L’ombra del Vento”, giallo ambientato a Barça e se ne può comprendere bene il motivo! Essa si presta perfettamente a queste atmosfere noir e vagando fra le strade del Barri Gotìc ne veniamo influenzate e ci autosuggestioniamo; ci divertiamo a “spaventarci” un po’ a vicenda e a far finta di essere le protagoniste di un film horror del quale immaginiamo la trama. Perdendoci nel labirinto di viette ad un certo punto sbuchiamo a sorpresa, di fronte alla maestosa e imponente Basilica di Santa Maria del Mar, in stile gotico, che col suo fascino cupo si staglia nella notte ma nonostante l’ora tarda accoglie sui sui ampi scalini gruppetti di ragazzi che suonano la chitarra.

Visitando questa città è poi impossibile non essere colpiti dalle deliranti e surreali opere del genio di Gaudì.

Barcellona

Barcellona.

Dopo la visione interna e quanto mai diretta di Barcellona, per averne una visione più “distaccata” e globale siamo piacevolmente e involontariamente costrette a dirigerci nella zona nord della città, dove sulla cima di una lunga scalinata, resa faticosa e pesante dal caldo, ma anche dalle “fatiche” della sera prima, si affaccia l’entrata del più famoso fra i parchi pubblici della città catalana, il Parc Guell (dal nome del conte proprietario). Nei pensieri dell’architetto Antonì Gaudi, principale fautore delle opere urbanistiche più caratteristiche della capitale catalana, esso doveva essere una sorta di città giardino, progetto che però non fu mai completato.

Al nostro arrivo iniziamo subito il nostro lungo giro: chi di noi si aspettava un parco modello inglese, avrebbe trovato tutt’altro; il Parc Guell appare ampio e disordinato, lasciato un po’ al suo destino, ravvivato, più che dalla vegetazione arida che lo abbraccia, dal colore dei mosaici che ne tassellano le torrette. Anche la zona della città in cui si trova è periferica e molto povera, le case sono molto diverse da quelle che si possono vedere in centro, in alcuni punti sono proprio fatiscenti e circondate dalla vegetazione secca; non appena si esce dalle scale della fermata della metropolitana, l’impatto è abbastanza evidente e anche a livello di percezione c’è un’atmosfera diversa, triste e anche un po’ vagamente pericolosa, quasi di miseria, a ricordarci quanto sia in realtà spesso molto povera la Spagna e in particolare questa regione.

salamandra Antoni GaudiNel “nostro” parco non può mancare la foto di rito con quello che è il suo famosissimo simbolo: la fontana a forma di salamandra tappezzata di colorate pietruzze che accoglie i visitatori. Il parco è disseminato di simboli che (come in ogni opera di Gaudì) possono essere interpretati esotericamente, alchemicamente, in senso cattolico e massonico e pare che questa, secondo la credenza popolare, avesse un legame col fuoco perché vi resiste grazie alla freddezza del corpo, per cui, simboleggia la vittoria sul male, mentre invece il serpente è legato al veleno ma anche a proprietà taumaturgiche; all’ingresso del Parc Guell troviamo appunto la salamandra alchemica e un serpente.

In seguito al nostro immancabile e infinito set fotografico, scrutiamo le torrette e decidiamo di salire fino al punto più alto del parco per goderci il panorama. Mentre saliamo non mancano le pause per scoprire gli angoli più oscuri del parco, che si rivela ben presto una sorta di labirinto in salita. Finalmente giunte sulla cima, siamo colpite  da un curioso personaggio che cerca di attirare l’attenzione dei visitatori con curiose e a tratti  grotteschi ululati accompagnati dalla sua chitarra; non può non colpirci la sua tenuta da rockstar con cui sfidava l’afa catalana: anfibi, tuta leopardata e, come tocco finale, occhiali leopardati a forma di chitarra. Ci perdiamo estasiate nella sua esibizione, che metaforicamente ci trasporta nella mentalità catalana,scanzonata e divertente, festaiola e leggera.

Quando finalmente arriviamo sulla cima, riusciamo ad osservare tutta Barcellona dall’alto: la città si sviluppa in orizzontale, non si addentra nell’entroterra dove dominano aspre colline; le luci del sole brilla sul mare e abbraccia i tetti delle case catalane, vicine e compatte,strette lungo le vie che non riusciamo a scrutare. Ci appare poi la Rambla, alla sua sinistra l’altura del Montjuic e alla sua destra il porto moderno, che però stride con l’architettura spagnoleggiante che domina la città.

Soddisfatte dalla veduta completa,decidiamo di addentrarci nelle zone del centro per ammirare altre opere dell’architetto spagnolo, le famose case che spuntano, quasi inaspettatamente e non senza provocare stupore, fra le strade della capitale.

Casa Batlò Antoni Gaudi

Casa Batlò, Antoni Gaudi.

Casa Batlò

Ci rechiamo nella splendida Passeig de Grazia, la via più elegante della città e lì visitiamo la Casa Batlò, una delle opere più originali del celebre architetto, l’edificio è stato dichiarato, nel 2005, patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.

Gaudì vi lavorò nel 1904 su commissione del proprietario, Josep Batlló, altolocato industriale del settore tessile. La facciata che da’ sul Passeig è tutta attraversata da una ampia finestra con le vetrate colorate che permetteva così alla famiglia proprietaria, molto ricca e potente, di osservare dall’alto  il passaggio sottostante ma allo stesso tempo di essere vista. Nella parte bassa della facciata, in pietra arenaria scolpita in forme sinuose, Gaudí pose dei corpi aggettanti di aspetto zoomorfo e fantastico (motivi ossei), ripresi dall’art nouveau e dal gotico. Le colonne attorno alla vetrata richiamano delle gigantesche ossa, salendo vi sono poi le finestre a forma di conchiglia e all’ultimo piano il balcone a forma di fiore per un effetto a colpo d’occhio davvero spettacolare e dal sapore fiabesco. L’interno è concepito secondo un ben preciso filo conduttore: la persona deve avere la percezione di trovarsi su una nave, circondata da acqua, o in una specie di sottomarino. La casa è infatti costruita attorno ad una rampa di scale che girano tutte attorno ai vari piani e stanze, man mano che si sale il colore delle pareti cambia gradualmente da un celeste tenue fino a un blu intenso sotto al tetto e lungo e sotto il corrimano le scale sono circondate da vetrate con una particolare lavorazione del vetro che permette, all’occhio che vi guarda attraverso, un particolare effetto: le pareti azzurre sembrano veramente acqua marina e guardando dai piani alti in basso, i piani sottostanti sembrano realmente sommersi, come una sorta di nave affondata! Tutto inoltre richiama l’ambiente marino, dalle corde intorno alle scale alle maniglie a forma di conchiglia. Ma si assiste allo spettacolo maggiore uscendo sulla terrazza del tetto, qui vi si trova il famoso dorso di drago composto di maioliche colorate e omaggio al simbolismo cattolico (S. Giorgio che uccide il drago). Vi sono inoltre gli immancabili comignoli a forma di testa sempre costruiti con pezzi di vetro e pietruzze colorate.

Antonì GaudiCasa Milà

Sempre su Passeig de Gracia si trova “Casa Milà” detta “La Pedrera”. Creazione fantastica e surreale completata nel 1910, è la più notevole opera di architettura civile di Antoni Gaudì, che vi lavorò prima di dedicarsi completamente alla Sagrada Familia.
Si tratta di un condominio magico, da favola, in cui ogni dettaglio porta l’impronta del genio visionario di Gaudì.

La facciata è costituita da piani orizzontali ondulati, fissati a travi invisibili e con le ringhiere in ferro battuto. Ma la parte più surreale è il tetto! Con un buco al centro dal quale si osserva l interno colorato del palazzo, è costituito da una serie di ondulate salite e discese, come se ci si trovasse sul dorso di un’animale addormentato ed è sormontato dai caratteristici camini antropomorfi di Gaudì che appaiono come una sorta di guerrieri medievali e da condotti per la ventilazione che fanno bizzarre forme organiche. Si può osservare dall’alto tutto il quartiere sottostante e in lontananza la Sagrada Familia, dato che pare Gaudì volesse porre le sue opere in punti tutti connessi fra loro in modo che si potessero osservare l’una dall’altra e avere una visione d’insieme.

Basilica della Sagrada Familia

Infatti, quando arriva il momento di recarsi a osservare da più vicino il monumento simbolo di Barcellona, la basilica della Sagrada Familia, nel gruppo c’è una un’ atmosfera elettrizzante, sostenuta dalla crescente curiosità di osservare da vicino ciò che già dalla veduta dall’altro del Parc Guell ci sembrava maestoso e imponente, e soprattutto dalla consapevolezza che Gaudì stesso considerava la basilica come l’opera più importante dalla sua vita, l’unica in grado di realizzare appieno gli ideali della sua arte modernista.

Da lontano riusciamo già ad intravedere le vette della basilica nella loro grandiosità, anche se esse sono affiancate dalle grandi grù (la cui presenza ingombrante è resa necessaria dal fatto che i lavori per completare la chiesa non sono mai stati effettivamente terminati), lasciando un’immagine stridente e un po’ inquietante, con lo stile modernista della chiesa che entra direttamente in contatto con mezzi dall’animo puramente industriale.

La Sagrada Familia Antoni Gaudi

La Sagrada Familia, Antoni Gaudi.

Appena arriviamo davanti alla basilica, un ricordo mi sovviene alla mente: le torri che contornano la facciata centrale della natività,la più famosa e celebrata, mi ricordano le torri dei castelli di sabbia che realizzavamo da bambini nei lunghi pomeriggi passati sulle spiagge, costituite da grandi quantità di sabbia bagnata e gocciolante, che assomigliano appunto in modo netto e preciso a queste grandi costruzioni. Un’altra analogia, meno fantasiosa ma non meno particolare, riusciamo ad notarla guardando gli alveoli che riempiono la navata centrale; essi difatti, come apprendiamo dal nostro libro-guida portatile, vogliono rimandare direttamente ai termitali, ovvero i nidi usati dalle termiti per le loro uova.

Continuiamo il nostro giro dopo le foto di rito davanti alla facciata più famosa, cercando di osservare tutti i minimi particolari che letteralmente addobbano la basilica, come statue simboliche e monumenti piazzati sulle facciate, oltre agli innumerevoli rosoni che donano alla chiesa un tocco in più di colore, forse un po’ carente a causa della pietra marrone con cui la Sagrada è stata edificata.

Finito il nostro girotondo, ritorniamo davanti all’entrata principale, decise ad entrare per ammirare la basilica anche dall’interno; si sa però che le finanze di un gruppo di universitarie in vacanza all’estero devono essere controllate rigorosamente con la stessa meticolosità con cui un ministro degli interni monitorerebbe il debito pubblico della nazione per cui opera, per cui scoraggiate dal comunque francamente eccessivo prezzo dell’entrata e dalla veramente chilometrica coda sotto il sole cocente di Luglio, decidiamo di negarci questo privilegio, un po’ a malincuore, contente e ampiamente soddisfatte dall’ampia veduta appena contemplata.

Barceloneta

Dopo giornate culturali, all’insegna dell’arte di Gaudì, decidiamo quindi l’ultimo giorno, di dedicarci a un tranquillo pomeriggio di mare e relax a Barceloneta, la zona balneare di Barcellona, il quartiere marinaro di costruito nel secolo XVIII. A parte la stranezza, almeno per noi, di arrivare al mare in metropolitana, per il resto, a dir là verità, la spiaggia in questione non presenta nulla di eccezionale, affollatissima e altro luogo dove si verifica un ingentissimo numero di furti, non offre un mare particolarmente pulito e neppure paesaggi rari; si attiene a svolgere la funzione che ha, è una spiaggia “cittadina”, senza particolare infamia né lode. Ma la giornata al mare è comunque divertente e rigenerante e molto produttiva per le nostre abbronzature!

Così, belle abbronzate, per  la fine della nostra vacanza scegliamo di fare una serata un po’ particolare, seguendo un consiglio di un amico. Da nessuna parte troviamo pubblicizzato tale evento, né ce ne hanno mai parlato o se ne parla nelle guide, ma un nostro amico che è stato a Barcellona poche settimane prima di noi, ce lo ha vivamente consigliato, dicendoci che è molto emozionante e imperdibile.

L’evento in questione è uno spettacolo di luci e musiche che viene realizzato soltanto in alcune serate della settimana, al Montjuic, un’altura a Sud di Barcellona, sulla quale si trovano varie attrazione ma principalmente, ciò che interessa a noi sono una serie di gradinate che ospitano varie fontane e che al termine portano al maestoso Palau Nacional, sede del “Museu Nacional d’Art de Catalunya”; ai piedi di questo palazzo e tutt’intorno alle fontane si svolge questo spettacolo composto di giochi d’acqua a tempo di musica e coordinati con giochi di luce. Quando arriviamo al Montjuic lo spettacolo deve ancora iniziare perché non è ancora calata la luce del sole, ma appena si fa buio ecco che parte, in modo del tutto a noi inaspettato, la musica e veniamo proiettate in una specie di sogno psichedelico a occhi aperti. L’effetto è davvero emozionante e accresciuto dal fatto che la zona si è fatta molto affollata, continuano ad arrivare persone, principalmente giovani, da tutte le parti e tutti ballano, persino sui bordi delle fontane! Noi osserviamo le scene dapprima titubanti e incredule, ma poi decidiamo di farci coraggio e ci ritroviamo a ballare bagnate fradicie, in bilico sul poco spazioso bordo di una delle piscine! Fortunatamente non c’è stato nessun tuffo in acqua, anche se nel clima delirante della serata, poteva benissimo rientrarvi che non vi sarebbe stato nulla di strano! Ma in compenso abbiamo assistito in diretta e solo per noi (dato che nessun’ altro delle persone intorno sembra essersene accorto) a una dichiarazione di matrimonio in piena regola da commedia romantica hollywoodiana! I due protagonisti erano proprio alti belli  e biondi e hanno scelto una location così emozionante per svolgere tutta la scena in grande stile, con tanto di inginocchiamento di lui, anello, rose e pianto felice di lei; riuscendo, diciamolo sinceramente, a commuovere anche le più ciniche e anti-romantiche di noi.

In questa serata ci siamo sentite tra di noi molto unite come amiche, forse come in nessun’ altro momento della vacanza; ed è per questo che ci piace ricordarla con affetto, cosa che in questi mesi successivi, si è verificata spesso. Ma più in generale è la vacanza che ci ha unito molto, per quanto mi riguarda si sono rafforzati ancora di più legami già molto solidi e si sono approfonditi quelli che erano soltanto all’inizio. Non posso credere che la bellezza e il fascino di questa città non abbiano contribuito, ed è per questo che il giorno dopo all’aereo-porto, con un po’ di nostalgia, penso (oltre a fare il fermo proposito di ritornarvi presto), che aveva ragione Zafòn quando alla fine del suo libro fa dire ad uno dei personaggi principali: “Questa città è magica. Ti entra nel sangue e ti ruba l’anima.”

di Arianna De Baté e Tommaso Bertinelli

 

BIBLIOGRAFIA:

“Guida visuale dell’opera completa di Antonì Gaudì”, “Dosde arte” ediciones

SITOGRAFIA:

Http://it.wikipedia.org/

www.lyricstime.com

http://www.barcellona.org/la-pedrera/

http://www.portalturismohotel.com/park-guell-interno.htm

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Islanda, il regno incontaminato della natura

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Islanda, il regno incontaminato della natura

Pubblicato il 13 dicembre 2012 by redazione

Reykjavik

Reykjavik

L’Islanda ha sempre affascinato milioni di persone grazie alla sua natura incontaminata e imponente; i suoi abitanti parlano una lingua quasi impronunciabile e la sua terra è incredibile, situata quasi al circolo polare artico tra la Gran Bretagna e la Groenlandia. Per molti anni è stato il nostro sogno irraggiungibile, perché la vita lassù è molto costosa, ma quest’anno finalmente siamo riusciti a visitarla.

Per raggiungere l’Islanda, a meno che non si vada via mare per qualche giorno, partendo dalla Gran Bretagna o dalla Danimarca, esiste solo la via aerea e per giunta con una sola compagnia la Iceland Air. L’Islanda è uno dei pochi paesi al mondo che tiene ancora alla propria cultura ed è perciò molto difficile trovare brand e catene internazionali. La guida turistica racconta infatti che l’unico Mc Donalds che aprì a Reykjavik un po’ di anni fa, dovette chiudere poco dopo poiché non aveva clienti.

Per viaggiare in Islanda è sconsigliato partire senza un tour organizzato, a meno che non si voglia usufruire di uno dei tanti camping presenti nelle zone turistiche. D’estate l’isola si riempe infatti di ragazzi con zaini in spalla che girano lowcost facendo l’autostop. I B&B e gli alberghi sono molto pochi e situati esclusivamente nelle zone più frequentate. Senza previa prenotazione è quindi molto facile rimanere a piedi. Decidiamo allora di affidarci alla compagnia Island Tours, che ci organizza, con un itinerario concentrato in una sola settimana, il giro di tutta l’isola e le visite ai posti più affascinanti. Scopriremo presto che quasi tutti quelli che vanno in Islanda si organizzano proprio così. Capita spesso di essere completamente da soli per lunghi tratti di auto, ma una volta arrivati a destinazione di trovare orde di turisti e di rincontrare le stesse persone anche nei giorni successivi. Giusto per fare un esempio, ci siamo incrociati per ben quattro volte con una coppia di turisti spagnoli, tanto che alla fine abbiamo deciso di fare una foto ricordo insieme!.

Il tour dell’isola si può fare in entrambe le direzioni, noi abbiamo deciso di iniziare dirigendoci verso est.

Partiamo da Malpensa, e il volo è pieno poiché Iceland Air vola solo due giorni a settimana. In quattro ore arriviamo all’aeroporto di Keflavick, dove scopriamo di essere ancora in tempo per visitare una delle attrazioni turistiche più famose d’Islanda: la laguna blu!

A bordo della nostra 4×4 ci dirigiamo, attraverso un paesaggio lavico quasi lunare, verso quella che è una piscina calda naturale all’aperto. Avete mai visto nei documentari i nordici uscire dall’acqua calda e tuffarsi nella neve? Si trovavano in uno di questi posti! La piscina non è altro che roccia, erosa naturalmente, nella quale confluisce una sorgente naturale calda. Cogliamo quindi l’occasione per farci un bagno e spalmarci di terre sulfuree ricche di sali minerali, benefici per la pelle. La cosa incredibile è trovarsi all’aperto, immersi nell’acqua, quando fino a pochi secondi prima avevi addosso cappotto e cappello!

Una volta terminato il bagno risaliamo in macchina e ci dirigiamo verso Reykjavik, dove lasciamo i bagagli in albergo per poi raggiungere il centro della città. E’ sabato, è il giorno del Runtur! Durante i fine settimana gli islandesi fanno il cosiddetto giro dei bar, fino a ubriacarsi e tornare a casa alle prime ore del mattino, guidando e suonando il clacson a tutto spiano. Infatti sono solo le otto e vediamo già dei ragazzi con i boccali di birra in mano.. io incontro anche un affascinante islandese che mi regala un sasso per darmi il benvenuto nella sua terra.

Visitiamo la chiesa modernista di Hallgrimskirkja e facciamo una passeggiata sulla costa, ammirando in lontananza il vulcano che pochi anni prima (2010) aveva fatto tremare il traffico aereo . Torniamo in albergo, quasi a mezzanotte, senza che il sole ci abbia mai abbandonato, e andiamo a dormire, pronti per partire la mattina successiva alla volta del Circolo d’oro.

Circolo d'oro- pingvellir

Circolo d’oro: Pingvellir

Ci inoltriamo nel Parco Nazionale di Pingvellir, patrimonio Unesco, situato all’interno, tra la zolla nordamericana e quella europea, e lo spettacolo è davvero impressionante! Sotto a noi una grande pianura trova posto tra queste due zolle, che si allontanano di anno in anno. Scopriamo anche che in questo territorio nacque l’Alping, ovvero il primo parlamento democratico del mondo.

Dopo aver ripreso la strada ci dirigiamo verso Geysir, un geyser inattivo dagli anni ’50, che una volta era quello con la portata d’acqua maggiore, ma fortunatamente per i turisti, a pochi metri di distanza c’è un geyser che erutta ogni sei minuti. Muniti di macchine fotografiche ci apprestiamo a realizzare una raffica di scatti, totalmente esterrefatti da ogni nuovo getto. Dopo un’overdose di geyser (mai abbastanza, a mio parere) raggiungiamo la cascata di Gullfoss, detta la cascata d’oro, la più famosa d’Islanda.

geysir

Geysir

Tornati verso la costa ammiriamo un’altra cascata, Selfoss, dalla quale proseguiamo alla volta di due piccoli paesini di pescatori. Una volta risaliti in auto ci dirigiamo verso la fattoria dove trascorreremo la notte, fermandoci poco prima a vedere le due bellissime cascate di Seljalandsfoss e di Gljufurarfoss, vicino a un camping immerso nel verde della natura.

Skaftafellsjokull

Skaftafellsjokull

La mattina dopo partiamo per la cascata di Skogafoss, e successivamente rotta verso la spiaggia nera vulcanica di Reynir, dove avvistiamo uno stormo di Pulcinelle di Mare, con i nidi e i loro pulcini sistemati sulle scogliere di colonne di basalto, che ricordano tanto gli organi delle chiese. Risaliti in macchina ci avviciniamo al più grande ghiacciaio d’Islanda, il Vatnajokull, del quale riusciamo a scorgere più di una lingua, tra cui Skaftafellsjokull e Breioamerkurjokull, e infine raggiungiamo la laguna di Jokursalon, dove acquistiamo il biglietto per un giro su un mezzo anfibio, in mezzo ad una laguna piena di Iceberg, ammirando il ghiacciaio da vicino.

Una volta terminato il tour ripartiamo alla volta di Hofn, dove pernottiamo. E dove assaggiamo il piatto tipico islandese: carne di squalo! Interessati dal metodo di preparazione. Dato che la carne è tossica, per renderla commestibile, la si fa macerare sotto terra per alcuni mesi. Il risultato finale è positivo, ma il sapore è assolutamente disgustoso!

Il giorno successivo partenza verso Stodvarfjordur, dove l’attrazione principale è la collezione di minerali e pietre della signora Petra, un’anziana donna, ora in casa di riposo, che nel corso della sua vita ha raccolto le più disparate rocce e minerali, che ha disseminato per la casa e in giardino; diamo un occhio da fuori ed effettivamente non c’è più uno spazio vuoto!

Costeggiando il fiordo Reyoarfjourdur arriviamo a Egilsstadir, dove prima di pernottare, ripartiamo valicando la montagna tra scenari meravigliosi e visitando il pittoresco paese di Seydisfjordur, dove è in corso un festival di artisti. Sfortunatamente arriviamo che tutto è già chiuso, così entriamo in un bar, dove ci sentiamo partecipi della vita quotidiana della gente del paese: è qui che arrivano i traghetti dalla Danimarca.

dettifoss

Dettifoss

Asbyrgi

Asbyrgi

Da Egilsstadir ripartiamo l’indomani alla volta del Parco Nazionale di Vatnajokull, visitando la splendida cascata di Dettifoss, e guidando per strade sterrate fino al canyon di Asbyrgi, molto particolare perché a forma di ferro di cavallo. La leggenda vuole che questo canyon sia stato creato dal cavallo di Odino, che passando vi lasciò la sua impronta. Dopodiché visitiamo Gilfoss e infine arriviamo a Husavik, dove decidiamo di partire a bordo di un peschereccio per avvistare le balene! Ci dicono che è molto facile vederle, poiché la zona è ricca di plancton, e infatti riusciamo a scorgere più di un esemplare, e anche altri animali tra cui i delfini. Un’esperienza unica, accompagnata da cioccolata calda e dolcetti alla cannella. L’associazione di Husavik, assieme ad altre, è nata per combattere la caccia alle balene, purtroppo ancora popolare in Islanda perché alle radici della loro cultura. Ma visto il numero sempre più alto di persone che viene a fare Whale Watching si spera che un giorno l’attività cessi del tutto. Una volta terminata l’escursione ci dirigiamo verso il lago Myvatn.

hverir

Hverir

La zona del lago Myvatn è l’Islanda da cartolina: fumo che esce dalla terra, pozze di fango ribollente, vulcani semi attivi. Il giorno dopo ci dirigiamo all’esplorazione dei dintorni, prima visitando il lago, ma fuggendo subito dopo per via dell’alto numero di moscerini presenti, perché il lago è ricco di sostanze nutritive. Successivamente arriviamo a Grjotagja, fenditure fumanti nella roccia da cui si intravede l’acqua calda che ne riempie le cavità. Troviamo infatti un giovane che si appresta a fare un bagno al loro interno! Vediamo poi da lontano il cratere di Hverfell e visitiamo il campo lavico di Dimmuborgir, che scopriamo essere la dimora dei tredici folletti di Natale, i cui nomi si basano sulle loro passioni. Ricordo di essere rimasta affascinata da Leccacucchiaio e Sbattiporta (http://it.wikipedia.org/wiki/J%C3%B3lasveinar). Raggiungiamo poi un vero e proprio campo di fango ribollente e fumarole, ovvero Hverir, e poco dopo saliamo sulla cima fumante del vulcano Krafla: bisogna stare attenti a non uscire dal sentiero per non bruciarsi!

jólasveinar

Jólasveinar

Ammiriamo anche il cratere di Stora – Viti, nel quale si trova un lago dal colore turchese, che però non cogliamo per via della pioggia. La sera pernottiamo ad Akureyri, l’unica zona in tutta Islanda ad avere alberi, poiché piantati dai coloni scandinavi e sopravvissuti grazie alla zona riparata dal forte vento. Visitiamo anche un bellissimo giardino botanico e facciamo shopping per il paese, dove acquisto un libro di fiabe e leggende islandesi. Notiamo anche delle auto completamente a pezzi, probabilmente guidate da qualche turista che ignaro dei rischi, si è addentrato nell’entroterra, sconsigliato a persone non esperte. Qui la natura è ancora allo stato brado, e quindi il rischio di rimanere impantanati in un fiume o di cadere giù con una frana è molto elevato.

Il giorno dopo visitiamo di prima mattina il museo della fattoria di torba di Glaubaer, dove entriamo all’interno di un’abitazione di fine ‘800 e ci rendiamo conto di come vivevano le famiglie in Islanda. Proseguendo lungo la costa ci inoltriamo nell’entroterra. Dopo aver visto la sorgente calda più potente d’europa, ovvero la Deildartunguhver, arriviamo nei pressi di Husafell, il luogo di villeggiatura prediletto dagli islandesi dove, inerpicandosi per strade sterrate,quasi allo stremo della nostra auto, arriviamo alla base del ghiacciaio Langjokull dove ci attende l’avventura più entusiasmante: sleddog sul ghiacciaio!

Sleddog

Sleddog

Non eravamo sicuri di riuscire a trovare luoghi che facessero gite in slitta coi cani perchè sembrava fosse esclusivamente una cosa invernale, ma fortunatamente abbiamo notato un volantino in un rifugio, scoprendo che era fattibile. E’ stata un’esperienza entusiasmante, i cani erano dolcissimi ed è stato incredibile vedere come tiravano la slitta coordinati e senza alcuna fatica, anzi, al ritorno volevano ritornare indietro!

Concludendo in maniera così pittoresca la nostra vacanza siamo ritornati a Reykjavik, dove il nostro anello si è chiuso, pieno di ricordi ed emozioni da conservare per sempre. Anche la sera del nostro arrivo era giorno di Runtur, ma trovandoci all’ultimo piano dell’albergo non abbiamo sentito il minimo schiamazzo, e la mattina successiva siamo ripartiti per l’aeroporto, dove abbiamo dovuto salutare mestamente questa stupenda e incredibile terra, in cui l’uomo non è riuscito, e forse non riuscirà mai, a prendere il sopravvento.

di Francesca Pich

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