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Viaggio a Barcellona “To Barça with love”

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Viaggio a Barcellona “To Barça with love”

Pubblicato il 27 gennaio 2013 by redazione

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Manu Chau.

Manu Chao Quando si sente il nome di “Barcellona”, di certo non si può rimanere indifferenti; o disprezzo o massima esaltazione, sicuramente quello che non provocherà è un blando sbadiglio.

Per immergersi appieno nella vita di questa città, ancora prima di viverla, basterebbe leggere la biografia di uno dei più famosi artisti che ha alimentato il mito della “movida” catalana: Manu Chao. Nato a Parigi, da padre galiziano e madre basca, cresciuto nei sobborghi della capitale francese, si trasferisce a Barcellona per iniziare la sua folgorante carriera di musicista no-global. Riuscendo a mescolare anche in una singola canzone più di cinque lingue, la sua espressività riesce a caratterizzare in pieno la cultura urbana della capitale catalana: una capitale orgogliosamente indipendente, in cui le diversità culturali si mescolano, ma mai si fondono, restando immutate, esaltate le une dalle altre in un’espressione globale elevatissima dai caratteri eccessivi, ma mai di certo armonici; non di meno essa  costituisce anche la città guida di una Regione che fa capo a una comunità autonoma, la Catalugna, che, pur forte del possesso di uno statuto autonomo in accordo con la Costituzione Spagnola, non ha mai smesso di dar voce alle proprie rivendicazioni a forti tinte regionaliste, autonomiste e indipendentiste, rafforzate da una sempre crescente forza economica. Questo spirito si coglie anche nella volontà di mantenere un linguaggio proprio, il catalano, molto diverso dallo spagnolo, lingua che da alcuni abitanti spesso non è neanche conosciuta.

Partimmo alla volta di Barcellona nell’estate appena trascorsa, cinque amiche riunite da una conoscenza comune, già presente da un mese in territorio catalano, per motivi scolastici e mosse dalla curiosità per questa affascinante città, spinte dalla voglia sempre crescente di immedesimarsi nell’atmosfera della cultura spagnola. Tra di noi non tutte avevano una grande conoscenza reciproca e non si erano incontrate nello stesso momento di vita, ma, tra amicizie nate sui banchi del liceo o nelle aule universitarie, il viaggio, adempiendo appieno alla sua funzione, ci fece ritrovare più unite di quanto avessimo mai potuto pensare alla partenza.

E se è vero che nelle difficoltà e negli imprevisti i legami si fortificano, di certo l’arrivo in “albergo”, dopo un tranquillo volo di nemmeno un’ora, può ritenersi provvidenziale! Niente di più lontano da ciò che ci si poteva aspettare alla prenotazione online: il nostro “albergo” era in realtà un ostello dotato, si fa per dire, di un lussuoso bagno in comune a tutto il piano e modernissimi “comfort” nella nostra camera, tra i quali persiane in legno non proprio funzionanti. Ma di certo se si intende compiere una vacanza all’insegna del comfort e del tanto inseguito relax, la frenetica e mai silenziosa Barcellona non è il posto più adatto, quindi col senno di poi la nostra sistemazione poteva essere ritenuta adeguata e in linea con lo spirito un pò gitano della città.

Barcellona-ramblas

Barcellona, Ramblas.

Rambla.

Sfatti i bagagli e definiti i primi dettagli organizzativi, usciamo subito alla scoperta del centro, al quale il nostro albergo è vicinissimo; e infatti in dieci minuti a piedi raggiungiamo la via principale e uno dei simboli di Barcellona: la famosissima Rambla.

“Rambla pa’qui Rambla pa’lla,esta è la rumba de Barcelona”. Le parole del suddetto Manu Chao descrivono come meglio non si potrebbe il luogo più rappresentativo e caratterizzante di Barcellona. Non esiste infatti un luogo migliore e più indicativo per cercare di calarsi in modo semplice ma straordinariamente diretto con la cultura e il modo di vivere catalano.

Questa famosa via, che porta dalla centrale, maestosa Plaça Catalunya, sino al mare, è in grado letteralmente di trasportare il visitatore nel vorticoso clima (caldo ed euforico come una rumba appunto) di entusiasmo e di gioia, che a ogni suo angolo si riesce a toccare con mano.

Infatti ne rimaniamo tutte completamente folgorate! Decise ad intraprendere la nostra prima “vasca” pomeridiana, La Rambla si mostra subito nel suo fascino inimitabile: due fila di alberi alti e verdi ne segnano il percorso, mentre l’orizzonte è dominato dall’infinita quantità di persone che la percorrono incessantemente. A tutte vengono in mente i classici quadri degli impressionisti, anche se siamo d’accordo all’unanimità come in questa via più che l’armonia si viene sopraffatti dall’eccesso e dal caos.

Si possono trovare banchetti di ogni genere, che attraggono fatalmente noi ragazze, ma anche svariati negozi, dalle merci bizzarre e accese e gli immancabili ristoranti pronti a offrire ognuno la vera (non sempre) Paella. Non possono mancare, oltre le varie foto di rito, lunghe soste di fronte alle molteplici esibizioni di artisti di strada, che rendono unica l’atmosfera del pomeriggio. La Rambla sintetizza perfettamente quello che è il fascino ambiguo, colorato e festaiolo e insieme anche nero e torbido di questa città, che da tipica città di mare si fa crocevia di scambi e traffici dai più ai meno leciti. La Rambla è infatti anche luogo prediletto dello spaccio d è anche una delle vie col maggior numero di scippi al mondo. La delinquenza a Barcellona è abbastanza diffusa e principalmente si verificano furti a danni dei turisti che numerosissimi (e soprattutto italiani, molti dei quali giunti qui per fare la stagione estiva lavorativa) affollano la città in qualsiasi stagione. Sulla Rambla si viene avvicinate più volte e con molta facilità anche a scopo di spaccio di sostanze stupefacenti ma la sensazione che si ha, per quanto possa sembrare razionalmente strano, è che tutto ciò si armonizza perfettamente con il clima e l’atmosfera “zingara” della città e quindi non viene percepito come pericoloso o disturbante (almeno dalla sottoscritta) ma se ne rimane in un certo senso affascinati. E’ una città della quale si percepisce vivo, sia di giorno, ma soprattutto la sera, il richiamo di un certo “dark side”, che essa mostra senza pudore ma anzi con malizia. Barcellona è anche inquietante e ambigua, ma proprio per questo tremendamente seducente.

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Art nouveau, Barcellona.

Ma se il pomeriggio lungo la Rambla può in un certo qual modo non essere del tutto così sconvolgente, la notte lungo la via principale è assordante e ci coinvolge completamente,trascinandoci in una serata in pieno accordo con lo spirito di Barcellona. La Rambla, famoso cuore della vita notturna catalana, abbonda di bar e locali di ogni genere, che si trovano non solo lungo la via principale, ma anche lungo le innumerevoli traverse e viuzze che avvolgono la strada maestra. L’entusiasmo del luogo ci spinge in modo quasi frenetico da un bar all’altro, finché non decidiamo di fermarci in uno molto particolare, convinte nella scelta soprattutto dai nomi particolari ed eccentrici oltre ogni modo dei cocktail offerti, nomi che porteremo sempre con noi e ci faranno sempre sorridere! E dato che il prezzo dei famosi cosiddetti “shottini” è particolarmente basso, i gusti molto interessanti, essi sono offerti con particolari aggiunte (mashmallow, panna o tanto di effetti speciali stile fiammata sul bancone!) e i baristi particolarmente generosi e disposti a prepararne anche qualcuno gratis..ci ritroviamo ben presto un po’ brille e allegre nella notte barcellonese! La serata lungo e “attorno” alla strada prosegue nei locali più famosi della movida catalana, straripanti di giovani e anche di personaggi quanto meno bizzarri, tutti coinvolti dalla musica incessante e coinvolgente che pervade il centro della capitale fino all’alba, per finire come la tradizione prevede con le note dell’ormai noto Manu Chao.

La vita notturna nella parte viva, festaiola e mondana della città ci diverte moltissimo ma, in un’altra delle serate a disposizione, decidiamo di visitare il Quartiere Gotico e ciò si rivela una scelta molto azzeccata! Perchè è lì che si sprigiona appieno il fascino “dark” e lugubre di cui sopra. Le viette strette e buie sono semideserte, si capisce che è una città di mare dove si sono incrociate le vite più disparate di viaggiatori e marinai; a me personalmente in questa particolare zona infatti ha ricordato i caruggi di Genova (ci sono in realtà varie analogie tra le due culture e legami fra le due città, per motivi storici, comprovate anche dalle similarità linguistiche), luoghi di prostitute e derelitti che così tanto ha reso l’arte di De Andrè. Alcune di noi hanno anche letto il best seller dello scrittore spagnolo, nato appunto qui, Carlos Ruiz Zafòn, “L’ombra del Vento”, giallo ambientato a Barça e se ne può comprendere bene il motivo! Essa si presta perfettamente a queste atmosfere noir e vagando fra le strade del Barri Gotìc ne veniamo influenzate e ci autosuggestioniamo; ci divertiamo a “spaventarci” un po’ a vicenda e a far finta di essere le protagoniste di un film horror del quale immaginiamo la trama. Perdendoci nel labirinto di viette ad un certo punto sbuchiamo a sorpresa, di fronte alla maestosa e imponente Basilica di Santa Maria del Mar, in stile gotico, che col suo fascino cupo si staglia nella notte ma nonostante l’ora tarda accoglie sui sui ampi scalini gruppetti di ragazzi che suonano la chitarra.

Visitando questa città è poi impossibile non essere colpiti dalle deliranti e surreali opere del genio di Gaudì.

Barcellona

Barcellona.

Dopo la visione interna e quanto mai diretta di Barcellona, per averne una visione più “distaccata” e globale siamo piacevolmente e involontariamente costrette a dirigerci nella zona nord della città, dove sulla cima di una lunga scalinata, resa faticosa e pesante dal caldo, ma anche dalle “fatiche” della sera prima, si affaccia l’entrata del più famoso fra i parchi pubblici della città catalana, il Parc Guell (dal nome del conte proprietario). Nei pensieri dell’architetto Antonì Gaudi, principale fautore delle opere urbanistiche più caratteristiche della capitale catalana, esso doveva essere una sorta di città giardino, progetto che però non fu mai completato.

Al nostro arrivo iniziamo subito il nostro lungo giro: chi di noi si aspettava un parco modello inglese, avrebbe trovato tutt’altro; il Parc Guell appare ampio e disordinato, lasciato un po’ al suo destino, ravvivato, più che dalla vegetazione arida che lo abbraccia, dal colore dei mosaici che ne tassellano le torrette. Anche la zona della città in cui si trova è periferica e molto povera, le case sono molto diverse da quelle che si possono vedere in centro, in alcuni punti sono proprio fatiscenti e circondate dalla vegetazione secca; non appena si esce dalle scale della fermata della metropolitana, l’impatto è abbastanza evidente e anche a livello di percezione c’è un’atmosfera diversa, triste e anche un po’ vagamente pericolosa, quasi di miseria, a ricordarci quanto sia in realtà spesso molto povera la Spagna e in particolare questa regione.

salamandra Antoni GaudiNel “nostro” parco non può mancare la foto di rito con quello che è il suo famosissimo simbolo: la fontana a forma di salamandra tappezzata di colorate pietruzze che accoglie i visitatori. Il parco è disseminato di simboli che (come in ogni opera di Gaudì) possono essere interpretati esotericamente, alchemicamente, in senso cattolico e massonico e pare che questa, secondo la credenza popolare, avesse un legame col fuoco perché vi resiste grazie alla freddezza del corpo, per cui, simboleggia la vittoria sul male, mentre invece il serpente è legato al veleno ma anche a proprietà taumaturgiche; all’ingresso del Parc Guell troviamo appunto la salamandra alchemica e un serpente.

In seguito al nostro immancabile e infinito set fotografico, scrutiamo le torrette e decidiamo di salire fino al punto più alto del parco per goderci il panorama. Mentre saliamo non mancano le pause per scoprire gli angoli più oscuri del parco, che si rivela ben presto una sorta di labirinto in salita. Finalmente giunte sulla cima, siamo colpite  da un curioso personaggio che cerca di attirare l’attenzione dei visitatori con curiose e a tratti  grotteschi ululati accompagnati dalla sua chitarra; non può non colpirci la sua tenuta da rockstar con cui sfidava l’afa catalana: anfibi, tuta leopardata e, come tocco finale, occhiali leopardati a forma di chitarra. Ci perdiamo estasiate nella sua esibizione, che metaforicamente ci trasporta nella mentalità catalana,scanzonata e divertente, festaiola e leggera.

Quando finalmente arriviamo sulla cima, riusciamo ad osservare tutta Barcellona dall’alto: la città si sviluppa in orizzontale, non si addentra nell’entroterra dove dominano aspre colline; le luci del sole brilla sul mare e abbraccia i tetti delle case catalane, vicine e compatte,strette lungo le vie che non riusciamo a scrutare. Ci appare poi la Rambla, alla sua sinistra l’altura del Montjuic e alla sua destra il porto moderno, che però stride con l’architettura spagnoleggiante che domina la città.

Soddisfatte dalla veduta completa,decidiamo di addentrarci nelle zone del centro per ammirare altre opere dell’architetto spagnolo, le famose case che spuntano, quasi inaspettatamente e non senza provocare stupore, fra le strade della capitale.

Casa Batlò Antoni Gaudi

Casa Batlò, Antoni Gaudi.

Casa Batlò

Ci rechiamo nella splendida Passeig de Grazia, la via più elegante della città e lì visitiamo la Casa Batlò, una delle opere più originali del celebre architetto, l’edificio è stato dichiarato, nel 2005, patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.

Gaudì vi lavorò nel 1904 su commissione del proprietario, Josep Batlló, altolocato industriale del settore tessile. La facciata che da’ sul Passeig è tutta attraversata da una ampia finestra con le vetrate colorate che permetteva così alla famiglia proprietaria, molto ricca e potente, di osservare dall’alto  il passaggio sottostante ma allo stesso tempo di essere vista. Nella parte bassa della facciata, in pietra arenaria scolpita in forme sinuose, Gaudí pose dei corpi aggettanti di aspetto zoomorfo e fantastico (motivi ossei), ripresi dall’art nouveau e dal gotico. Le colonne attorno alla vetrata richiamano delle gigantesche ossa, salendo vi sono poi le finestre a forma di conchiglia e all’ultimo piano il balcone a forma di fiore per un effetto a colpo d’occhio davvero spettacolare e dal sapore fiabesco. L’interno è concepito secondo un ben preciso filo conduttore: la persona deve avere la percezione di trovarsi su una nave, circondata da acqua, o in una specie di sottomarino. La casa è infatti costruita attorno ad una rampa di scale che girano tutte attorno ai vari piani e stanze, man mano che si sale il colore delle pareti cambia gradualmente da un celeste tenue fino a un blu intenso sotto al tetto e lungo e sotto il corrimano le scale sono circondate da vetrate con una particolare lavorazione del vetro che permette, all’occhio che vi guarda attraverso, un particolare effetto: le pareti azzurre sembrano veramente acqua marina e guardando dai piani alti in basso, i piani sottostanti sembrano realmente sommersi, come una sorta di nave affondata! Tutto inoltre richiama l’ambiente marino, dalle corde intorno alle scale alle maniglie a forma di conchiglia. Ma si assiste allo spettacolo maggiore uscendo sulla terrazza del tetto, qui vi si trova il famoso dorso di drago composto di maioliche colorate e omaggio al simbolismo cattolico (S. Giorgio che uccide il drago). Vi sono inoltre gli immancabili comignoli a forma di testa sempre costruiti con pezzi di vetro e pietruzze colorate.

Antonì GaudiCasa Milà

Sempre su Passeig de Gracia si trova “Casa Milà” detta “La Pedrera”. Creazione fantastica e surreale completata nel 1910, è la più notevole opera di architettura civile di Antoni Gaudì, che vi lavorò prima di dedicarsi completamente alla Sagrada Familia.
Si tratta di un condominio magico, da favola, in cui ogni dettaglio porta l’impronta del genio visionario di Gaudì.

La facciata è costituita da piani orizzontali ondulati, fissati a travi invisibili e con le ringhiere in ferro battuto. Ma la parte più surreale è il tetto! Con un buco al centro dal quale si osserva l interno colorato del palazzo, è costituito da una serie di ondulate salite e discese, come se ci si trovasse sul dorso di un’animale addormentato ed è sormontato dai caratteristici camini antropomorfi di Gaudì che appaiono come una sorta di guerrieri medievali e da condotti per la ventilazione che fanno bizzarre forme organiche. Si può osservare dall’alto tutto il quartiere sottostante e in lontananza la Sagrada Familia, dato che pare Gaudì volesse porre le sue opere in punti tutti connessi fra loro in modo che si potessero osservare l’una dall’altra e avere una visione d’insieme.

Basilica della Sagrada Familia

Infatti, quando arriva il momento di recarsi a osservare da più vicino il monumento simbolo di Barcellona, la basilica della Sagrada Familia, nel gruppo c’è una un’ atmosfera elettrizzante, sostenuta dalla crescente curiosità di osservare da vicino ciò che già dalla veduta dall’altro del Parc Guell ci sembrava maestoso e imponente, e soprattutto dalla consapevolezza che Gaudì stesso considerava la basilica come l’opera più importante dalla sua vita, l’unica in grado di realizzare appieno gli ideali della sua arte modernista.

Da lontano riusciamo già ad intravedere le vette della basilica nella loro grandiosità, anche se esse sono affiancate dalle grandi grù (la cui presenza ingombrante è resa necessaria dal fatto che i lavori per completare la chiesa non sono mai stati effettivamente terminati), lasciando un’immagine stridente e un po’ inquietante, con lo stile modernista della chiesa che entra direttamente in contatto con mezzi dall’animo puramente industriale.

La Sagrada Familia Antoni Gaudi

La Sagrada Familia, Antoni Gaudi.

Appena arriviamo davanti alla basilica, un ricordo mi sovviene alla mente: le torri che contornano la facciata centrale della natività,la più famosa e celebrata, mi ricordano le torri dei castelli di sabbia che realizzavamo da bambini nei lunghi pomeriggi passati sulle spiagge, costituite da grandi quantità di sabbia bagnata e gocciolante, che assomigliano appunto in modo netto e preciso a queste grandi costruzioni. Un’altra analogia, meno fantasiosa ma non meno particolare, riusciamo ad notarla guardando gli alveoli che riempiono la navata centrale; essi difatti, come apprendiamo dal nostro libro-guida portatile, vogliono rimandare direttamente ai termitali, ovvero i nidi usati dalle termiti per le loro uova.

Continuiamo il nostro giro dopo le foto di rito davanti alla facciata più famosa, cercando di osservare tutti i minimi particolari che letteralmente addobbano la basilica, come statue simboliche e monumenti piazzati sulle facciate, oltre agli innumerevoli rosoni che donano alla chiesa un tocco in più di colore, forse un po’ carente a causa della pietra marrone con cui la Sagrada è stata edificata.

Finito il nostro girotondo, ritorniamo davanti all’entrata principale, decise ad entrare per ammirare la basilica anche dall’interno; si sa però che le finanze di un gruppo di universitarie in vacanza all’estero devono essere controllate rigorosamente con la stessa meticolosità con cui un ministro degli interni monitorerebbe il debito pubblico della nazione per cui opera, per cui scoraggiate dal comunque francamente eccessivo prezzo dell’entrata e dalla veramente chilometrica coda sotto il sole cocente di Luglio, decidiamo di negarci questo privilegio, un po’ a malincuore, contente e ampiamente soddisfatte dall’ampia veduta appena contemplata.

Barceloneta

Dopo giornate culturali, all’insegna dell’arte di Gaudì, decidiamo quindi l’ultimo giorno, di dedicarci a un tranquillo pomeriggio di mare e relax a Barceloneta, la zona balneare di Barcellona, il quartiere marinaro di costruito nel secolo XVIII. A parte la stranezza, almeno per noi, di arrivare al mare in metropolitana, per il resto, a dir là verità, la spiaggia in questione non presenta nulla di eccezionale, affollatissima e altro luogo dove si verifica un ingentissimo numero di furti, non offre un mare particolarmente pulito e neppure paesaggi rari; si attiene a svolgere la funzione che ha, è una spiaggia “cittadina”, senza particolare infamia né lode. Ma la giornata al mare è comunque divertente e rigenerante e molto produttiva per le nostre abbronzature!

Così, belle abbronzate, per  la fine della nostra vacanza scegliamo di fare una serata un po’ particolare, seguendo un consiglio di un amico. Da nessuna parte troviamo pubblicizzato tale evento, né ce ne hanno mai parlato o se ne parla nelle guide, ma un nostro amico che è stato a Barcellona poche settimane prima di noi, ce lo ha vivamente consigliato, dicendoci che è molto emozionante e imperdibile.

L’evento in questione è uno spettacolo di luci e musiche che viene realizzato soltanto in alcune serate della settimana, al Montjuic, un’altura a Sud di Barcellona, sulla quale si trovano varie attrazione ma principalmente, ciò che interessa a noi sono una serie di gradinate che ospitano varie fontane e che al termine portano al maestoso Palau Nacional, sede del “Museu Nacional d’Art de Catalunya”; ai piedi di questo palazzo e tutt’intorno alle fontane si svolge questo spettacolo composto di giochi d’acqua a tempo di musica e coordinati con giochi di luce. Quando arriviamo al Montjuic lo spettacolo deve ancora iniziare perché non è ancora calata la luce del sole, ma appena si fa buio ecco che parte, in modo del tutto a noi inaspettato, la musica e veniamo proiettate in una specie di sogno psichedelico a occhi aperti. L’effetto è davvero emozionante e accresciuto dal fatto che la zona si è fatta molto affollata, continuano ad arrivare persone, principalmente giovani, da tutte le parti e tutti ballano, persino sui bordi delle fontane! Noi osserviamo le scene dapprima titubanti e incredule, ma poi decidiamo di farci coraggio e ci ritroviamo a ballare bagnate fradicie, in bilico sul poco spazioso bordo di una delle piscine! Fortunatamente non c’è stato nessun tuffo in acqua, anche se nel clima delirante della serata, poteva benissimo rientrarvi che non vi sarebbe stato nulla di strano! Ma in compenso abbiamo assistito in diretta e solo per noi (dato che nessun’ altro delle persone intorno sembra essersene accorto) a una dichiarazione di matrimonio in piena regola da commedia romantica hollywoodiana! I due protagonisti erano proprio alti belli  e biondi e hanno scelto una location così emozionante per svolgere tutta la scena in grande stile, con tanto di inginocchiamento di lui, anello, rose e pianto felice di lei; riuscendo, diciamolo sinceramente, a commuovere anche le più ciniche e anti-romantiche di noi.

In questa serata ci siamo sentite tra di noi molto unite come amiche, forse come in nessun’ altro momento della vacanza; ed è per questo che ci piace ricordarla con affetto, cosa che in questi mesi successivi, si è verificata spesso. Ma più in generale è la vacanza che ci ha unito molto, per quanto mi riguarda si sono rafforzati ancora di più legami già molto solidi e si sono approfonditi quelli che erano soltanto all’inizio. Non posso credere che la bellezza e il fascino di questa città non abbiano contribuito, ed è per questo che il giorno dopo all’aereo-porto, con un po’ di nostalgia, penso (oltre a fare il fermo proposito di ritornarvi presto), che aveva ragione Zafòn quando alla fine del suo libro fa dire ad uno dei personaggi principali: “Questa città è magica. Ti entra nel sangue e ti ruba l’anima.”

di Arianna De Baté e Tommaso Bertinelli

 

BIBLIOGRAFIA:

“Guida visuale dell’opera completa di Antonì Gaudì”, “Dosde arte” ediciones

SITOGRAFIA:

Http://it.wikipedia.org/

www.lyricstime.com

http://www.barcellona.org/la-pedrera/

http://www.portalturismohotel.com/park-guell-interno.htm

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Dal 23 al 26 maggio, Junk Space Pavia: Osservatorio suburbano

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Dal 23 al 26 maggio, Junk Space Pavia: Osservatorio suburbano

Pubblicato il 23 maggio 2012 by redazione

Junk Space Pavia

Siamo stati abituati a percepire le nostre città come centro e periferia, zona ordinata, pulita rispetto a zona caotica e trasandata, individuando il periferico come qualcosa da evitare, orribile in quanto frutto di cementificazione e speculazione. I luoghi marginali sono da sempre guardati con indifferenza anche da chi li abita e con disgusto da coloro che li attraversano; credevamo non avessero nulla da insegnarci, né tantomeno che potessero essere ammirati, quegli spazi così diversi dal centro storico, privi di facciate dall’elevato pregio artistico, chiese romaniche e vie pedonali piene di negozi.

Completamente assuefatti da queste convinzioni, senza nemmeno rendercene conto, abbiamo sempre usufruito delle zone periferiche: lì abbiamo fatto shopping comodamente e godendoci pure il parcheggio, lì ci siamo diretti quando avevamo fretta,  lì abbiamo frequentato l’università; è evidente che siamo cresciuti più nella caotica periferia in evoluzione, che non nel lento e statico centro cittadino. La periferia è lo spazio generato dalla modernità e al contempo la scenografia delle nostre vite; si tratta di spazi enormi, rarefatti, ripetitivi, privi di identità. Essi sono autoritari, ostili e pensati per il trionfo dell’automobile sull’uomo; hanno natura complessa e spesso contraddittoria.

Queste aree possono essere definite “junk spaces”, ovvero spazi spazzatura, così nominate dall’archistar olandese Rem Koolhaas nel suo libro “Junkspace”, ove vengono per la prima volta descritte e teorizzate, spiegandone ricchezza, fertilità e attualità. Il Junk Space è oggi ovunque, non è un errore perché nel frattempo è diventato la regola; non è sempre e banalmente uno spazio sporco o degradato, ha una sua regola ma essa varia ogni volta. E’ difficile comprendere cosa è e cosa ancora non è junk space dato che, negli ultimi decenni, i limiti degli spazi periferici si sono dilatati a dismisura inglobando praticamente tutto il mondo costruito. Esso è il paesaggio contemporaneo, quello che era il foro per i Romani è il junk space per noi. Esso è spesso liquidato con la parola “brutto”, eppure è dove andiamo a comprare, passeggiare, studiare, vivere; è uno spazio senza autore né architetto ma occupa più della metà delle nostre città.

Da qui è nata la sfida di investigare, attraverso l’occhio della fotocamera, in modo scientifico (ma anche delirante) la natura complessa e spesso contraddittoria degli spazi periferici della città contemporanea attraverso il caso particolare pavese (che così tanto assomigliano a quelli di molte altre città del mondo non solo occidentale), ponendo particolare attenzione ai suoi aspetti architettonici, sociali e simbolici. Il progetto Junk Space Pavia è stato un indagine aperta a tutti gli studenti e laureati dell’Università di Pavia, inteso a studiare gli spazi, i luoghi e le architetture della Pavia moderna e contemporanea.

Principale strumento di condivisione e confronto è il blog ‘Junk Space Pavia – Osservatorio Suburbano’ (http://junkspacepavia.tumblr.com/)  il cui layout, a primo acchito caotico, cerca di riprodurre un’esperienza simile a quella che siamo quotidianamente costretti a subire durante l’attraversamento degli spazi nelle nostre città: un bombardamento costante di immagini e luoghi poco coerenti tra loro che ci disorienta,  domina e attrae nello stesso tempo.  Per ogni contenuto, una descrizione tra il delirante, il filosofico e l’ironico svela possibili riflessioni e sensazioni, cercando un attivo coinvolgimento da parte dell’osservatore.

Nostro principale partner è l’associazione MoreThanArch (sito web: http://www.morethanarch.it/  pagina Fb: http://www.facebook.com/morethanarch); grazie ai fondi A.C.E.R.S.A.T. dell’Università di Pavia, l’indagine sta avendo come risultato finale l’organizzazione di una mostra fotografica  (http://junkspacepavia.tumblr.com/post/23430716730/mostra-fotografica-e-ciclo-di-incontri-junk), con relativa pubblicazione cartacea.

L’evento (completamente gratuito e arricchito da conferenze) si svolgerà dal 23 al 26 maggio presso Motoperpetuo, in Viale Campari 72 (cortile interno), Pavia (programma: http://junkspacepavia.tumblr.com/post/23369475011/mostra-fotografica-e-ciclo-di-incontri-junk-space).

 

Chi partecipa alla Mostra fotografica e il ciclo di incontri Junk Space

Ci saranno più di 80 fotografie di giovani fotografi pavesi che tenteranno di descrivere la città in cui viviamo, dalle zone residenziali a quelle commerciali, dalle vecchie aree industriali in degrado alle nuove villette di periferia, dai bruschi confini che Pavia ha con la sua campagna agli spazi pubblici irrisolti nel cuore della città.

Tra i fotografi che espongono: Caterina Maria Carla Bona, Riccardo Bruno, Giacomo Carena, Pablo Colturi,
Annamaria Franco, Simone Ludovico, Alessandra Manini, Maila Pellegrino, Giovanni Pancotti, Ruggero Pedrini, Massimo Toesca, Giovanni Zanaboni

Quattro ospiti gli ospiti esterni invitati a parlare, durante le diverse serate, e a discutere le loro personali esperienze di ricerca maturate intorno al tema della città contemporanea.

La prima serata, 23 maggio, Marco Introini fotografo, e architetto di formazione, pubblicato su riviste internazionali, presenterà alcuni lavori sul tema del paesaggio urbano tra cui quello recente sul downtown della città di Detroit. Nella stessa serata sarà presente anche Marco Morandotti, professore associato dell’Università di Pavia, specializzato tra le altre cose in gestione, manutenzione e recupero del patrimonio edilizio, e grande appassionato di fotografia.

Nella seconda serata, 24 maggio, Chiara Merlini, professore associato in urbanistica al Politecnico di Milano, discuterà dei diversi tipi di città dispersa in cui oggi viviamo, con relativi problemi come consumo del suolo, consumo energetico e mobilità, e approfondirà il tema del paesaggio della casa su lotto, tipologia edilizia oggi in grande crisi e all’origine dell’attuale crisi mondiale proveniente dagli Stati Uniti.

Nella terza serata, 25 maggio, Filippo Romano, fotografo di fama internazionale e pubblicato in numerose riviste extra nazionali, presenterà il suo lavoro, con un occhio attento alle inquietudini e ai fenomeni della vita contemporanea permeanti con quelli della città e della vita urbana.

 
[Riflessi, Pablo Colturi]

 «Inevitabilmente, la morte di Dio (e dell’autore) ha generato uno spazio orfano; il Junkspace è senza autore, e tuttavia sorprendentemente autoritario. Il teatro preferito della megalomania – il dittatoriale – non è politica, ma spettacolo. Tramite il Junkspace, lo spettacolo organizza regimi ermetici di totale esclusione e concentramento: giochi d’azzardo di concentramento, campi da golf di concentramento, film di concentramento, vacanza di concentramento. Talvolta non è uno spazio sovraccarico ma il suo opposto, un’assoluta assenza di dettagli, genera ilJunkspace. Una condizione svuotata di dispersione che fa spavento, prova scioccante che così tanto può essere organizzato e costruito da così poco. L’iconografia del Junkspace è per il 13% romana, per l’8% Bauhaus, per il 7% Disney (testa a testa), per il 3% Art Nouveau, seguito a poca distanza dai Maya».  [Junkspace, Rem Koolhaas]


[Parassiti metallici, Massimo Toesca]

 «Abbiamo costruito più di tutte le precedenti generazioni messe insieme, ma per qualche ragione non possiamo essere misurati alla stessa scala. Non lasciamo piramidi. Il Junkspace è ciò che resta dopo che la modernizzazione ha fatto il suo corso, o più precisamente ciò che si coagula mentre la modernizzazione è in corso».  [Junkspace, Rem Koolhaas]

 
[Benzinaio #01, Simone Ludovico]

 «Il Junkspace è post-esistenziale; ti rende incerto su dove sei, rende poco chiaro dove stai andando, distrugge il luogo dove eri. Chi pensi di essere? Chi vorresti essere? (Nota per gli architetti: pensavate di poter ignorare il Junkspace […] ma ora che la vostra architettura è infetta, è diventata anch’essa levigata, onnicomprensiva, continua, contorta, infestata di atri…) Il Junkspace non aspira a creare perfezione, solo interesse. Il Junkspace sembra un’aberrazione, ma è l’essenza, è ciò che conta».  [Junkspace, Rem Koolhaas]

 di Massimo Toesca

 

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