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Keith Haring: fumetti e lotta contro l’AIDS

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Keith Haring: fumetti e lotta contro l’AIDS

Pubblicato il 12 luglio 2012 by redazione

Keith Haring

“La tela come materiale in sé è meravigliosa. È robusta, può essere venduta e in un certo senso è duratura. Ma mi inibisce. Spendo 8 dollari per una tela di 75 centimetri per 100 e per la pittura a olio; poi vado in paranoia per come riuscirà perché ho speso 12 dollari per quel quadro e penso che debba valere qualcosa. Invece, quando dipingo su un pezzo di carta che ho trovato oppure ho comprato a poco prezzo, e uso l’inchiostro ad acqua, faccio un intero quadro di 120 centimetri per 270 senza aver speso praticamente nulla”. Così, il 14 ottobre del 1978, appuntava sui suoi diari uno dei capi della corrente neo-pop, il padre indiscusso del graffitismo di frontiera, il lungimirante sperimentatore dell’arte pubblica nello spazio urbano: Keith Haring.

Nato il 4 maggio 1958 in Pennsylvania, mostra una precoce predilezione per la grafica di fumetti e di cartoni animati; incoraggiato in questa sua passione dal padre, Allen Haring, dopo il liceo si iscrive all’Ivy School of Professional Art di Pittsburgh, un istituto d’arte commerciale, che frequenta per quattro anni al termine dei quali si iscrive all’università. Ma nel frattempo, sull’onda della nuova contestazione giovanile e della culture hippie datata 1976, abbandona gli studi per girare gli Stati Uniti in autostop, facendo tappa nelle varie città del paese allo scopo di osservare più da vicino i lavori degli artisti della scena americana e soggiornando per diverso tempo a San Francisco, dove inizia a manifestare il proprio orientamento omosessuale.

Forte di questa esperienza di vita, nel 1978 sceglie di recarsi alla School of Visual Art (SVA) di New York: qui trova una prosperosa e alternativa comunità d’artisti che stanno sviluppando il proprio lavoro al di fuori dei circuiti commerciali d’arte costituiti da musei e gallerie, preferendo le strade, le metropolitane, i club e le dance-hall. Dopo aver fatto conoscenza con alcuni degli esponenti della nuova cultura underground, Andy Warhol e Jean-Michel Basquiat per fare dei nomi, decide così di aderire a questa nuova corrente culturale, esponendo le sue opere fra locali di vario genere (il Club 57 su tutti) e vernissage più o meno improvvisati; ma il suo cavallo di battaglia rimane la grafica, che egli decide di condividere con i suoi concittadini adottivi sui muri della metropolitana newyorkese: qui, nel 1980, nota la presenza di un pannello pubblicitario abbandonato ricoperto di carta nera opaca che cerca di abbellire con disegni a fumetto realizzati a gesso bianco.

Dal 1980 al 1985 omini stilizzati bianchi invadono la metropolitana della Grande Mela, rendendola non solo un “laboratorio” per promuovere idee e sperimentare linee grafiche, ma anche un vero e proprio museo a cielo aperto, dove Haring si fa conoscere e addirittura arrestare. Inizia così una (breve) vita di successo, che esplode nel 1982 alla Tony Shafrazi Gallery della frizzante SoHo, grazie alla quale approderà alla Documenta 7 di Kassel, alla Biennale di San Paolo e alla Withney Biennal.
Nell’aprile del 1986, poi, apre a New York il primo Pop Shop (il secondo, datato 1988, si trova a Tokyo), dove è possibile acquistare t-shirts, giocattoli, posters, magneti e accessori recanti le sue opere più famose: il negozio vuole così permettere la fruizione dell’arte di Haring al grande pubblico, che può a sua volta acquistare prodotti di qualità a basso prezzo, e dà inoltre la possibilità di vedere l’artista lavorare live.

Keith Haring AIDS

Ma nel 1988 la sua carriera viene stroncata dall’AIDS: “Nella mia vita ho fatto un sacco di cose, ho guadagnato un sacco di soldi e mi sono divertito molto. Ma ho anche vissuto a New York negli anni del culmine della promiscuità sessuale. Se non prenderò l’AIDS io, non lo prenderà nessuno”, aveva da poco dichiarato alla rivista “Rolling Stone”. Nel 1989, un anno prima di morire, fonda la Keith Harin Foundation, che si propone tutt’oggi di continuare la sua opera di supporto alle organizzazione no-profit a favore dei bambini e della lotta contro l’AIDS. Muore il 16 febbraio 1990, all’età di 31 anni.

Durante la sua breve ma intensa carriera, Haring ha fortemente influenzato la morale pubblica realizzando opere di intenso significato sociale con le quali ha invaso gli spazi pubblici delle città: la lotta contro la malattia, la pace, la dignità umana, sono messaggi che l’artista ha lasciato ai cittadini di più di 100 città nel mondo, tra le quali New York, Londra, Tokyo, Amsterdam, Pisa e San Francisco. Il suo successo ha inoltre contribuito alla formazione di una vera sensibilità artistica nei confronti della nuova forma d’arte urbana: immediate, semplici e dirette, le sue composizioni attirano l’attenzione di chi guarda a più livelli, da un piano più superficiale e divertito a uno graffiante e allucinato.

di Clara Amodeo

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