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Monaci Thailandesi impegnati a salvare gli alberi delle foreste

Pubblicato il 29 novembre 2014 da redazione

Monaci e albero

 

Come potenza economica asiatica, Bangkok è diventata una città sofisticata e in rapida evoluzione. Ma in tutta la Thailandia centrale, sono cresciute anche le fabbriche di eroina e anfetamine, che hanno rovinato migliaia di famiglie tailandesi. Quasi ogni famiglia di classe inferiore è stata asservita alla prostituzione e al sesso on-line.

La devastazione ambientale dovuta al disboscamento e alle colture intensive, è stata tra le peggiori del sud-est asiatico. In risposta a questo, nei piccoli villaggi agricoli i monaci Thailandesi, conducono un singolare rituale: ordinano gli alberi, legando intorno ad essi le vesti arancioni dei monaci. Attraverso la conoscenza delle comunità unitamente alle radicate tradizioni religiose buddiste, questi monaci stanno lentamente, ma inesorabilmente, lavorando per salvare le sempre più ridotte foreste tailandesi.

Tradizionalmente, le comunità religiose buddiste hanno sempre mantenuto un certo distacco dalle questioni legate alle grandi trasformazioni sociali o più semplicemente ne ignoravano le gravi conseguenze. Dopo quasi un secolo di neutralità, le comunità buddiste hanno deciso di mettere in discussione la legittimità di molte delle politiche del governo e delle regole sociali. Molte delle critiche sollevate dai questi monaci si basano proprio sugli insegnamenti buddisti tradizionali.

Questi monaci vedono la foresta come una delle loro connessioni più vicine agli insegnamenti del Buddha Gautama, che dopo aver a lungo meditato, pervenne all’illuminazione proprio sotto un albero, quello della Bodhi.

L’albero della Bodhi era un fico sacro chiamato Ashwattha, le cui radici sanscrite, rispettivamente shwa (domani), e tha (quel che resta), secondo un filosofo hindu, Shankaracharya, significa “quel che non resta uguale domani”. L’albero della Bodhi è sacro agli induisti, ai giainisti e ai buddhisti.

Nel Buddhismo Theravāda la bodhi è anche lo stato conseguito da coloro che avendo udito e compreso profondamente la dottrina delle Quattro nobili verità si sono incamminati lungo l’Ottuplice sentiero realizzando lo stato di araht.
Questa “illuminazione”, per la scuola Theravāda, è propria degli śrāvaka (uditori) e identica anche ai pratyekabuddha (buddha solitari) e gli stessi buddha.

Una delle principali battaglie di questi monaci è stata portata avanti nel bosco Thai, abbattuto a un tasso di velocità impressionante. Nel 1938, la foresta ricopriva il 72% del territorio, mentre già nel 1985 ne sopravviveva solo il 29%. Negli ultimi decenni, sia i monaci delle foreste sia molti buddisti laici hanno tentato di affrontare la questione in modo attivo.

 

Buddha e albero

Per secoli i monaci hanno utilizzato le foreste come un modo per capire il sentiero buddhista. Inoltre le foreste sono un valore tangibile fondamentale sia per il benessere spirituale sia per quello della popolazione. Per tutte queste ragioni i monaci hanno deciso di agire concretamente e di andare nelle aree della foresta dove è stato operato un maggior disboscamento, indiscriminato e illegale.

Gli alberi più vecchi e più grandi sono stati così coperti dalle tuniche arancioni, tipiche dei monaci buddisti con importanti cerimonie, ben pubblicizzate, nella speranza di scoraggiare i taglialegna che abbattendo gli alberi “ordinati monaci” incorrerebbero in un cattivo karma. Nelle province di Korat a Changmai l’azione dei monaci ha avuto molto successo.

Questi monaci non hanno solo cercato di preservare la terra per ragioni religiose, ma si sono anche preoccupati per il benessere spirituale delle popolazioni locali e per la loro qualità della vita.

A differenza delle politiche governative per l’agricoltura e per l’ambiente, che si occupano di promuovere lo sviluppo economico della nazione nel suo insieme, i monaci sono interessati alla prosperità e al benessere a livello locale. Utilizzando pratiche sostenibili, molti buddisti laici, insieme ai monaci, insegnano alle popolazioni rurali che tutto il Paese prospera quando tutti i singoli componenti sono sani.

Il movimento ambientalista monastico ha anche dato vita al Movimento dei monaci per uno sviluppo indipendente. Dal 1980, il Movimento per lo sviluppo indipendente lavora per contrastare gli effetti negativi del crescente consumismo e il passaggio all’agricoltura intensiva, sponsorizzati dal governo, che ha lasciato gli agricoltori locali fuori dal mercato.

Per affrontare il calo della qualità della vita della popolazione, i monaci promuovono iniziative per uno sviluppo sano. Movimenti come la Fondazione per l’educazione e lo sviluppo delle zone rurali sono sorti in tutta la Thailandia. Questi movimenti buddisti lavorano a stretto contatto con altre organizzazioni non governative per promuovere forme alternative di sviluppo sostenibile.

Il supporto religioso e intellettuale alle attività di questi movimenti buddisti thailandese è arrivato anche da Sulak Sivaraksa e il suo insegnante Ajahn Buddhadasa. Questo professore, attivista fin dal 1960, ha sfidato l’establishment buddista chiedendo loro di passare dalla retorica e compiacimento a un vero impegno e servizio basato sui principi buddisti.

Nell’introduzione al suo libro, Un buddhismo socialmente impegnato, Sivaraksa descrive cosa significa stare in piedi “contro la modernizzazione della Thailandia: industrializzazione, progresso tecnologico, accumulo di armi e sfruttamento della popolazione agricola”.

Egli utilizza il buddismo non solo per mettere in discussione i significati culturali di sviluppo, ma anche per identificare i doveri di un buddista che deve confrontarsi con la realtà di questi problemi.

I monaci ora insegnano che se si sfrutta la terra, o altri esseri umani per ottenere la ricchezza, non si agisce in conformità con i principi buddisti di “giusta azione”, “retta intenzione”, “giusta sussistenza”. Gli insegnamenti buddisti sottolineano che la sofferenza è causata dal desiderio di possedere cose materiali. Se gli esseri umani sfruttano la natura per un guadagno materiale, altri esseri umani soffriranno.

Questo punto di vista è inteso sia in termini spirituali sia pratici. Senza “giusta compassione”, l’ambiente – e gli esseri umani che lo popolano – soffriranno. Sivaraksa afferma che “più semplice è la nostra vita e meno saranno sfruttate le risorse naturali.»

Con questi principi sia i monaci sia i buddisti laici, attraverso gli insegnamenti buddisti stanno disegnando come potenziare le comunità del popolo Thai.

Gran parte di questi progetti ha avuto successo anche perché le popolazioni locali thailandesi hanno fede nei loro monaci, che rinunciando ai beni terreni, offrono il loro servizio e il loro impegno in modo assolutamente disinteressato, spesso alle stesse comunità di cui fanno parte. Al contrario, il governo e le imprese private sono spesso mosse da altre finalità. Invece di seguire un percorso di reale sviluppo, producono corruzione, un crescente divario di reddito, il dilagare incontrollato della droga e una crescente e grave devastazione ambientale. Le azioni dei leader buddisti sono, invece, motivati esclusivamente da una genuina preoccupazione per il popolo Thai e le loro comunità locali. Tutto il ricchissimo patrimonio spirituale legato all’insegnamento buddista, vero tesoro del popolo thailandese, è stato infatti impegnato per affrontare i problemi della modernizzazione e della distruzione ambientale, e per dimostrare che c’è un modo più sano per crescere: usare le risorse del saper fare e quelle della cultura.

monaci ombrellino

 

 

Linkografia:

http://it.wikipedia.org/wiki/Gautama_Buddha

http://it.wikipedia.org/wiki/Buddhadasa

http://en.wikipedia.org/wiki/Sulak_Sivaraksa

http://books.google.it/books?id=XQuJBAAAQBAJ&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false

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