La corruzione in India

Pubblicato il 31 ottobre 2012 da redazione

Ce la farà la Fenice a risorgere?

proteste anti-corruzione

Proteste anti-corruzione.

Mazzette, incentivi, donazioni, agevolazioni: sono molteplici le forme che la corruzione può assumere. Unico risultato: una sorta di termaio che rischia di crollare o di assorbirti alla prima occasione. Una situazione decisamente familiare per la democrazia più grande del mondo, l’India. Un Paese in cui la corruzione non viene più celata dietro “favori” ad hoc, ma dove ha acquisito le caratteristiche di un vero e proprio fenomeno alla luce del sole. I cittadini si trovano costretti a pagare bakshish (le mazzette) per qualsiasi tipo di servizio: dalla prenotazione in un ristorante alle patenti di guida (un vero e proprio mercato nero in India), dal responsabile per l’allacciamento della linea telefonica alla rete nazionale fino alla richiesta del passaporto.

Questo quanto emerge dai report pubblicati dalla Transparency International, associazione non governativa e no profit che si propone di monitorare e combattere la corruzione. Proprio da un sondaggio condotto da quest’ultima tra il 2010 e il 2011 su 7500 soggetti risulta anche come l’indignazione dell’opinione pubblica in merito a questa sorta di “cancro” sia cresciuta. Complici probabilmente i numerosi scandali politici che hanno travolto la classe politica indiana e, più recentemente, il mercato degli investimenti immobiliari, che quest’estate è sfociato nel caso Coalgate. Basti citare i recenti avvenimenti: il rifiuto da parte di Sonia Ghandi di presentare la propria dichiarazione dei redditi degli ultimi 12 anni, sotto istanza di Gopalakrishnan di fronte all’Agenzia delle tasse (dal momento che la famiglia Gandhi, non imparentata con il celebre Mahatma Gandhi e radicata nelle alte sfere della politica indiana da più di un secolo, viene accusata dall’opinione pubblica di aver accumulato un piccolo tesoro in banche svizzere) e il caso Coalgate, definito dai giornali locali come “la madre di tutti gli imbrogli”, per cui il Central Bureau of Investigation (CBI) ha avviato un’inchiesta sulla compravendita a un prezzo più basso di miniere in teoria destinate allo sfruttamento, ma in pratica messe all’asta tra privati, per un danno allo Stato stimato dal CBI intorno ai 33 miliardi di euro. Inchiesta che se confermerà le accuse, porterà non solo alle dimissioni di Manmohan Singh, attuale Primo Ministro indiano e ministro delle miniere al tempo dei fatti, ma minerà ulteriormente la già precaria credibilità del Partito del Congresso Nazionale indiano (guidato da Sonia Gandhi). Una perdita per il Paese che rischia di risvegliare l’indignazione che nel 2011 suscitò lo scandalo 2G: all’epoca il danno per le casse dello Stato fu di 40 miliardi di dollari.

corruzione 1Ma questa non è che la punta dell’iceberg. Nel popolo indiano cresce sempre più l’esigenza di “far sentire la propria voce”, ma soprattutto cresce il bisogno di trasparenza, non a caso obiettivo presente nei manifesti di quasi tutti i partiti politici indiani. Ma è proprio in questi partiti che i cittadini indiani sembrano non riporre più la fiducia di un tempo (al punto che lo stesso “fattore Gandhi” sembra non confortare più gli elettori, come dimostra la sconfitta del partito di Sonia Gandhi alle regionali del Marzo 2012). I nuovi leader sono diventati gli attivisti e i nuovi partiti altro non sono che un’”istituzionalizzazione” di movimenti popolari. Anna Hazare, Arvind Kejriwal, Prashant Bhushan sono tutti attivisti, membri del movimento India Against Corruption (Iac) e del Team Anna che in questi due anni hanno scosso l’India e, cosa più importante, l’opinione pubblica con proteste e manifestazioni in ogni parte del Paese: il tutto all’insegna del Pacifismo. L’obiettivo? Spingere il Governo a prendere provvedimenti tempestivi in tema di corruzione e riportare in patria il denaro sporco (black money) nascosto nelle banche svizzere e straniere.

L’arma? Lo sciopero della fame.

Quello che molti ritengono un eroe? Anna Hazare, 72 anni.

Il mezzo? Il Lokpal Bill.

Il Lokpal Bill, un progetto di legge anti-corruzione, proposta per la prima volta nel 1968 e arrivata ormai all’ottava discussione in Parlamento, che se approvato istituirebbe un Super-organo indipendente di vigilanza in materia di corruzione, il LOKPAL (dal sanscrito: protettore delle persone) i cui membri sarebbero nominati in base a particolari requisiti di integrità morale. Sembra paradossale che quella che viene chiamata “la più grande democrazia del mondo”, fondata sul multipartitismo, affidi la repressione di un fenomeno così insidioso come è quello della corruzione proprio a un unico organo elettivo, dove di fatto i commissari vengono selezionati in base a una sorta di “criterio della fiducia”, considerato alla stregua di una vera e propria macchina della giustizia.

Perplessità espressa anche da Pratap Bhanu Mehta, presidente del Centre for Policy Research di Delhi, che in un suo articolo per The Indian Express scrive: “They amount to an unparalleled concentration of power in one institution that will literally be able to summon any institution and command any kind of police, judicial and investigative power […] Having concentrated immense power, it then displays extraordinary faith in the virtue of those who will wield this power. Why do we think this institution will be incorruptible? […] They are perpetuating the myth that government can function without any discretionary judgment”. Senza considerare che in molti restano dubbiosi di fronte all’evanescenza della delimitazione dei poteri giudiziari del Lokpal (e quindi, in sostanza, dei provvedimenti da adottare di fronte ai fenomeni di corruzione).

Progetto di legge, tuttavia, che nasce in seno al Parlamento indiano e che non va confuso con la proposta di legge redatta dagli attivisti indiani, il Jan Lokpal Bill, dove JAN (cittadini) istituirebbe una sorta di meccanismo per cui le segnalazioni arriverebbero proprio a partire dai cittadini, tramite una consultazione pubblica, mediata dagli attivisti. La differenza tra le due proposte? Ovviamente l’ampiezza dei poteri attribuiti al Lokpal: già perchè mentre nella proposta redatta dallo Iac l’obiettivo è quello di creare un organismo del tutto indipendente dalle istituzioni, quella al vaglio in Parlamento sembra essere una versione molto più allungata della minestra!

Swati e Ramesh

Swati e Ramesh Ramanathan.

Eppure una risposta sembra arrivare ancora una volta dai cittadini e dalle segnalazioni degli utenti. Come dimostra il progetto I paid a bribe, avviato da Swati Ramanathan, suo marito Ramesh Ramanathan e Sridar Iyengar che insieme a un gruppo di volontari smista quotidianamente le segnalazioni inviate dagli utenti in tre categorie: ho pagato una mazzetta, non ho pagato una mazzetta, non ho dovuto pagare una mazzetta. Il sito che copre più di 489 città in India garantisce l’anonimato delle segnalazioni, seppure a discapito di un controllo sulla veridicità delle segnalazioni. Eppure questo non ha impedito a Bhaskar Rao, responsabile dei trasporti nello stato di Karnataka, di servirsi proprio dei dati raccolti da I paid a bribe per riformare il proprio dipartimento: le licenze ora vengono concesse on-line e i test di guida sono stati del tutto automatizzati, oltre al fatto che ogni prova viene registrata in modo da garantire la più completa trasparenza. Anche Ben Elers, direttore del programma Transparency International ha sottolineato come le nuove tecnologie abbiano offerto la possibilità anche all’uomo medio di fare la differenza: “The critical thing is that mechanisms are developed to turn this online activity into offline change in the real world.”

Il progetto si è esteso a macchia d’olio, abbracciando ora anche la Grecia, il Kenya, lo Zimbabwe, il Pakistan e a breve anche le Filippine e la Mongolia (lo stesso si è avuto per la Cina, anche se qui il fenomeno è stato prontamente censurato dal governo cinese).

L’unico ostacolo? Il vile denaro!

Già, perchè la chimera che potrebbe fare naufragare questi neonati siti di denuncia potrebbe essere proprio la mancanza dei finanziamenti ai progetti, come lamenta giustamente Antony Ragui, promotore del modello I paid a bribe in Kenya e, al momento, suo unico finanziatore. Lo stesso discorso non vale, invece, per il suo gemello indiano, che oggi vanta l’aiuto economico della Omidyar Network, l’organizzazione che si occupa della filantropia di Pierre Omidyar, fondatore di e-Bay.

Un report sullo stato della corruzione in India, condotto nel 2011 dalla KPMG concludeva evidenziando come a una diminuzione della corruzione in India seguano necessariamente più alti tassi di crescita, e chissà che non siano proprio i cittadini a trasformare il loro Paese in una moderna fenice.

di Giulia Pavesi

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