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Emergenza in Casa della Cultura a Milano: servono 100mila euro!

Pubblicato il 08 settembre 2013 da redazione

capelliLa ripresa, dopo la pausa estiva, è molto diversa dagli altri anni. C’è un’emergenza cui bisogna far fronte e su cui dobbiamo concentrare tutte le nostre energie: un intervento straordinario di ristrutturazione della Casa della Cultura di Milano.

Nei mesi scorsi c’è stato un improvviso cedimento del controsoffitto. Ora bisogna affrontare e risolvere il problema alle radici, con un intervento generale di sistemazione e messa in sicurezza della nostra sede.
Vorrei che fosse chiaro a tutti che è in gioco la possibilità stessa di continuare l’attività della Casa della Cultura. Abbiamo tanti programmi in cantiere per i prossimi mesi e stiamo discutendo di molte nuove iniziative: la loro realizzazione dipende inevitabilmente dal ripristino dell’agibilità della sala.
In queste settimane abbiamo predisposto i progetti per la ristrutturazione. Adesso bisogna fare i lavori e soprattutto reperire le risorse necessarie. Il costo dei lavori ammonterà, più o in meno, ad almeno 100.000 euro e, come ben sappiamo, la situazione del paese è tale che non si può fare affidamento su interventi pubblici di sostegno.
Fortunatamente noi qui in Casa della Cultura abbiamo una risorsa straordinaria da valorizzare: la stima e la fiducia conquistata in sessantacinque e più anni di storia e rinnovate giorno per giorno.
Per molti democratici e progressisti di Milano la “porta rossa” di via Borgogna è un simbolo vivo che significa ricerca, discussione, impegno culturale, democrazia partecipata.
Ci rivolgiamo a tutti coloro che vogliono “mantenere aperta la porta rossa” di via Borgogna e che sono intimamente convinti che il “posto delle idee” deve continuare a vivere.
A tutti chiediamo un impegno e un atto di generosità, il costo di un mattone simbolico per non interrompere la storia della nostra Casa della Cultura.

Fondata nel 1946 da Antonio Banfi e da un gruppo di intellettuali antifascisti, la Casa della Cultura è un’associazone di persone che hanno sempre creduto e credono nella democrazia culturale, che hanno cercato di approfondire e far amare valori come la libertà, l’autonomia, la consapevolezza, la tolleranza.
Nacque in un’Italia dove si desiderava riappropriarsi delle perdute libertà e democrazia.
E per tutto il tempo che ci separa da allora è stata il luogo nel quale una certa Milano progressista, civile e libera si è impegnata a fare cultura, a partecipare allo scambio di idee, a cogliere le urgenze dell’attualità.

Ogni anno da settembre a giugno, un intenso programma di dibattiti, seminari, corsi.
Si parla di filosofia, psicanalisi, letteratura, arte, novità editoriali, cinema, media, società. Si discute di attualità politica e sociale. Si incontrano e ascoltano i protagonisti della vita culturale: milanese, italiana e internazionale.

La storia della Casa della Cultura

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Nelle parole di uno dei suoi più grandi protagonisti, il contesto sociale e politico che ha visto, alla Liberazione, la nascita della Casa della Cultura e delle nuove istituzioni culturali; il clima rivoluzionario degli anni immediatamente successivi al fascismo, quando la gente aveva sete di sapere e si presentava sulla soglia della Casa della Cultura, curiosa e ingorda, pronta ad ascoltare e dibattere qualunque tema.

Negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra, ed al ritorno dell’Italia alla libertà ed alla democrazia, rivolgimenti profondi si sono verificati nei più diversi campi della vita nazionale. Della entità di tali rivolgimenti può rendersi conto più agevolmente chi sia vissuto tanto a lungo, da aver passato la prima giovinezza agli albori di questo secolo, ed abbia quindi assistito a tutte le successive trasformazioni avvenute nel nostro paese. Ciò vale ovviamente per ogni aspetto della vita collettiva. Ma qui si vuole prendere in considerazione specifìcamente la vita culturale.

Agli inizi del secolo, questa, pur producendo personalità isolate di grande spicco e movimenti che tentavano di vivificarla con lo stabilire contatti e canali di comunicazione con quanto si svolgeva in altri paesi, conservava un carattere in certo modo provinciale. Con la guerra ’15-18 poi, molti di quei canali furono interrotti od ostacolati, per una specie di nazionalismo culturale. Non dovevamo essere debitori di alcuno. Un atteggiamento di questo genere non poteva che accentuarsi col successivo avvento del fascismo. Questo predicava una sorta di magnifico isolamento.

Furono applicate anche alla cultura i principi dell’autarchia, senza che ci si rendesse conto che in tale campo (come in altri del resto), ciò conduceva ad un inaridimento di ogni sviluppo. Stavamo diventando un paese sottosviluppato: che viveva soltanto di glorie passate e di ricordi.

E’ necessario tener conto di ciò per comprendere la sete di informazioni e di contatti spirituali, manifestatisi non appena si ebbe il crollo del nazifascismo e la fine delle difficoltà determinate dal lungo periodo di isolamento. Fu qualche cosa di tumultuoso. Di disordinato anche, e di affannoso: dove si mescolarono interessi reali, nostalgie per il tempo perduto, curiosità talora anche ingenue di giovani innamoratisi d’improvviso di cose subitamente scoperte, richiami a movimenti letterari, scientifici e filosofici, che si ritenevano definitivamente scomparsi in quanto sopraffatti da altri interessi.

La rivoluzione, attuata dai nostri partigiani sui monti della patria, veniva in certo modo proseguita in altre sfere: compresa quella della conquista della cultura. E non c’era frattura fra le due cose. Gli stessi “Convitti della rinascita”, per partigiani e reduci, istituiti per dar modo alla gioventù che aveva conquistato la libertà al paese di raggiungere una posizione professionale ed insieme culturale, hanno costituito in certo modo un simbolo di quanto unì allora la lotta per la libertà con quella per lo sviluppo della cultura.

Per quanto riguarda specificamente ciò a cui col termine generico di cultura ci si riferisce, molte iniziative sorsero in tutto il paese: circoli, centri, istituti e scuole. Qua e là furono fondate anche quelle che sono state chiamate “Case della cultura”. Questa espressione ci è giunta dall’Unione sovietica: dove esistevano da tempo Case dell’amicizia, Case dei pionieri, Case della cultura ecc. Ed al modello di quelle là esistenti si ispirarono appunto le Case della cultura fondate da noi dopo la Liberazione.

Ciò avveniva nell’atmosfera rivoluzionaria in cui il paese viveva: atmosfera che era ancora immune dalle polemiche nate successivamente nella valutazione della realtà sociale sovietica. La cultura in quegli anni aveva sapore rivoluzionario, e la denominazione “Casa della cultura” sembrava appropriata. Soprattutto a Roma ed a Milano prosperarono tali istituzioni.

La Casa della cultura di Milano resistette più a lungo, anche quando si affievolì il ricordo della origine della sua denominazione. Chi ha partecipato ai quarant’anni della sua vita ben può testimoniare che essa, anche nei tempi di faida politica, è rimasta coerente con quello che il termine cultura rappresenta. Pur con tutte le molteplici e talora anche contrastanti sfaccettature, la cultura ha sempre un carattere di universalità: che esclude ciò che è fazioso e dogmatico. Essa non può che essere aperta ad ogni corrente di pensiero, per la fede nella libertà del pensiero stesso.

Ho partecipato a tutti questi quarant’anni di vita della nostra Casa della cultura, ed ho vivo il ricordo delle varie fasi attraverso le quali essa è passata. A cominciare dalla sua fondazione, nell’euforia della riconquistata libertà del pensiero. In via Filodrammatici al n. 5.

Era stata la sede di una qualche istituzione fascista, e venne conquistata dai partigiani e gappisti.

Funzionavano un comitato provvisorio ed una segreteria. In parte le riunioni (conferenze, dibattiti, comitati organizzatori di altre iniziative autonome ecc.) erano predisposte dalla segreteria, senza però che venissero distribuiti inviti o manifesti, dato che si lavorava per così dire artigianalmente.

La gente interessata si riuniva la sera in questi locali, che erano stati conquistati, si può dire, manu militari. E si chiedeva: “che cosa c’è questa sera?”

Erano disponibili tre sale: in ognuna di esse c’era una riunione differente. E il pubblico accorso sceglieva al momento dove recarsi. Passava anche talora da una sala all’altra, quando l’argomento e gli oratori non corrispondevano alle personali aspettative.

E’ difficile per la gente d’oggi rendersi conto di un simile comportamento: che va inquadrato nel clima della Liberazione.

La situazione della Casa della cultura (quella di Milano, ma anche le altre) non costituisce un fatto isolato, ovviamente. Le sezioni dei partiti di massa, come pure vari circoli, compresi quelli parrocchiali, divennero allora, al di là delle specifiche attività politiche o religiose, centri di vita culturale.

Avevano caratteri particolari si intende: di divulgazione magari spicciola, e con riferimenti a problemi sociali di attualità contingente.

Ma rispondevano anch’essi al bisogno di uscire dall’atmosfera stagnante del regime fascista, autoritario e sospettoso verso il così detto ‘culturame’.

Non si può inoltre trascurare il rapporto esistente fra questa rinascita spirituale e tutti gli aspetti della lotta di liberazione.

La guerra partigiana e gappista aveva stabilito contatti fra individui appartenenti alle più diverse classi sociali.

In modo particolare giovani intellettuali e di ceto borghese furono incontrati, nelle formazioni combattenti, dalla gioventù del mondo operaio, dai lavoratori del braccio. Ed attraverso tali contatti, anche i più sprovveduti fra questi avevano potuto, sia pure in modo frammentario, assaggiare il gusto della cultura.

Così, arrivata la Liberazione, anche questi proletari sentirono la necessità di appropriarsi in qualche modo, e magari parzialmente, di quanto in passato era stato un privilegio di classe.

Ciò era ben visibile frequentando la Casa della cultura milanese.

A titolo di esempio citerò la mia situazione personale.

Ero reduce da una particolare esperienza, in quanto dal ’43 al ’45 avevo lavorato a Ivrea presso gli stabilimenti Olivetti.

Là mi ero occupato di problemi riguardanti la psicologia del lavoro, come anche la formazione degli apprendisti meccanici.

A Milano, poi, ero ritornato all’insegnamento universitario della psicologia, da cui il regime mi aveva allontanato.

Era una materia nuova per la maggior parte del pubblico, vissuto nell’epoca dell’ignoranza fascista.

Avevo quindi cose da dire: sia riguardanti la sfera degli aspetti tecnici e sociali del lavoro operaio in stabilimenti industriali, sia tutti i capitoli della moderna psicologia, compresi ovviamente gli argomenti che erano stati banditi dalla cecità e dalla sospettosa ignoranza del regime fascista, come dagli stessi principi dell’autarchia applicati alla cultura.

Bene: telefonavo alla segreteria di questa neonata Casa della cultura: “Sono il prof. Musatti, sai quello della psicologia.

Avete una sala libera questa sera? No. Allora domani? Va bene per domani. Ho qui alcuni amici venuti da Roma. Vorremmo parlare della psicoanalisi. Sì: psi-co-a-na-li-si. E’ una dottrina alquanto sconosciuta da noi, perché avversata dai fascisti. Può interessare. Va bene così. Quale sala ci dai? La seconda. Resta inteso”. Ci andavamo. Sulla porta della 2° sala c’era il cartellino.

In principio poca gente, perché l’argomento era ignoto, e il pubblico non sapeva di che cosa si trattasse. Poi, magari respinto dalle altre sale, qualcuno arrivava. Personalmente cominciai a diffondere qualche concetto riguardante la psicoanalisi proprio così.

Ma la stessa cosa accadeva per i più diversi argomenti.

Si formò un comitato comprendente un folto numero di personaggi: parecchi già noti, vecchi combattenti dell’antifascismo; altri ignoti o semi ignoti, usciti dalla clandestinità più o meno totale, talora reduci dalle prigioni o dalle isole; altri ancora, giovani intellettuali che si erano mimetizzati e che ora potevano presentarsi nella loro piena identità.

Molti non erano conosciuti allora dal pubblico. Lo divennero successivamente.

Non si trattava soltanto di milanesi, ma pure di persone che a Milano arrivavano da fuori, magari specificamente per partecipare alle riunioni, alle conferenze, ai dibattiti e ai seminari, che si tenevano nella Casa della cultura.

Scorrendo un elenco pubblicato allora, trovo molti personaggi divenuti illustri, e tanti cari amici.

Alcuni si sono perduti in seguito, quando l’atmosfera della unità, in nome dell’antifascismo e della riconquistata libertà, si ruppe e nacquero le diffidenze e gli scismi.

La maggior parte di loro oggi, dopo quarant’anni, non c’è più.

Leggendo i loro nomi ora li ricordo.

C’erano figure prestigiose nel campo della politica, dell’arte, della letteratura ed anche della vita economica.

Davano tono e lustro all’attività della Casa della cultura, anche se non potevano partecipare attivamente al quotidiano lavoro, per impegni di più vasta portata.

Come: Parri, Gavazzeni, Manzù, Quasimodo, Malipiero, Mattioli, Rogers, Solmi. Pur essendo fortemente impegnati nell’attività politica, parteciparono attivamente altri: Antonio Banfi sopra tutto, Sereni, Mazzali, Morandi, Lombardi, Venanzi, Pajetta. Come pure erano presenti altri personaggi di rilievo in campo culturale: Valentino Bompiani, Remo Cantoni, Umberto Carpi, Chabod, De Grada, Wittgens.

Non erano soltanto studiosi legati agli ideali laici. C’erano anche persone di diverso orientamento che negli anni successivi sono state talora indotte a prendere le proprie distanze dalle posizioni di quella che veniva detta la ‘sinistra impegnata’.

Ricordo: Carlo Bo, Mario Borsa, Merzagora, Bontadini e l’avvocato Majno.

Milano era stata nell’ultimo periodo di guerra la capitale del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia. Ed essa continuava, anche dopo la Liberazione, ad essere un polo di coagulazione dell’antifascismo, pur nel suo aspetto culturale.

Vento del nord, si diceva allora. Anche dalla Casa della cultura di via Filodrammatici giungeva e si diffondeva quel vento.

L’attuale Manifesto per una formazione umanistica

La formazione da tempo non è più circoscritta alla sola fase iniziale della vita e per un numero sempre maggiore di persone è un’esperienza significativa che, con modalità e obiettivi diversi, attraversa l’intera esistenza. Essa coinvolge sempre di più anche nuovi target: donne, adulti immigrati, cittadini di seconda generazione, coloro che fuoriescono dal circuito formativo, gli over quaranta ecc.
Alla pervasività della formazione degli adulti non sempre corrisponde un’adeguata attenzione nella progettazione, nell’operatività e nella scelta delle modalità di erogazione.
Noi invece riteniamo che la formazione degli adulti debba:
1. recuperare le sue origini e la sua ispirazione umanistica. Al centro della sua proposta vi deve essere la crescita complessiva della persona per metterla in grado di far fronte e di rispondere, in modo sempre più autonomo, riflessivamente consapevole, critico e competente alle nuove sfide della “società della conoscenza”.
2. far emergere, valorizzare, mettere alla prova e capitalizzare il ricco bagaglio di risorse, abilità ed esperienze di ciascun adulto per favorire una loro possibile rivisitazione e riutilizzabilità.
3. proporsi l’arricchimento globale e il maggiore consolidamento dell’individuo adulto, stimolandone le attitudini all’(auto)riflessività, creatività, capacità di lavorare sulle proprie emozioni. Ogni momento formativo costituisce un tassello che arricchisce il percorso lavorativo e la vita personale di una persona e stimola uno stretto intreccio tra identità professionale e personale, tra vita vissuta e formazione.
4. potenziare le competenze culturali e professionali delle persone e costruire abilità e strumenti per orientarsi più agevolmente in un mondo in rapida e tumultuosa trasformazione, che richiede disponibilità a continue discontinuità nella vita privata e professionale.
5. sostenere gli individui adulti dando loro strumenti critici anche per mettere in discussione l’obbligo alla flessibilità nella vita privata e professionale.
6. prendere le distanze dagli assiomi della cultura del mercato che sospingono verso una proposta formativa standardizzata e tecnicistica con deprivazione di possibili orientamenti educativi e critici
7. evitare il ricorso spregiudicato alla logica dell’intrattenimento in base alla quale questioni complesse vengono considerate e affrontate secondo orientamenti rischiosamente riduttivi se non banalizzanti, agitando forti emozioni e rincorrendo facili seduzioni e illusorie soluzioni.
8. ritematizzare il problema della vita adulta esposta oggi a forme coattive di fragilità, vulnerabilità e flessibilità, con l’obiettivo di contribuire alla costruzione di una personale visione critica della realtà che eviti la subalternità a bisogni e desideri eterodiretti.
9. recuperare una matrice narrativo-autoriflessiva, anche autobiografica, per rimettere al centro il soggetto adulto che apprende e si forma: un adulto competente in grado di costruire sapere su di sé e sulla propria identità e storia professionale (di lavoratore in azienda, di professionista della cura, di educatore, di insegnante, ecc.).
10. interrogarsi sulle premesse epistemologiche, sugli orientamenti di senso, sulle opzioni metodologiche e quindi sulla identità della formazione degli adulti. Essa ha profondi significati educativi ed esistenziali: è una scienza pedagogicamente connotata, dentro una matrice umanistica, oggi offuscata da derive di vario tipo, tra cui quelle da “intrattenimento” o da eccessi di tecnicismi, che segnano tanta parte della vita pubblica e privata contemporanea.

Pier Luigi Amietta, Franco Bochicchio, Renata Borgato, Ferruccio Capelli, Micaela Castiglioni, Andrea Ceriani, Duccio Demetrio, Elena Marescotti, Salvatore Natoli, Gianpiero Quaglino, Maura Striano, Pino Varchetta

Le domande
1. Quale senso ha oggi la formazione degli adulti? Che compiti le possono essere affidati?
2. Alcuni di noi ritengono importante che alla formazione degli adulti debbano essere affidati compiti di sviluppo complessivo della persona in senso umanistico e non solo funzioni strumentali. Condividi questa impostazione?
3. Se la risposta è affermativa, quali metodologie e quali tecniche possono essere utilizzate in coerenza con tale obiettivo?

La Scuola di cultura politica 2013 – 2014
Per il quarto anno consecutivo la Casa della Cultura e la Fondazione Feltrinelli propongono un percorso di formazione politica che si snoda da ottobre a maggio. Si tratta di una scelta assai impegnativa. Essa nasce dalla convinzione che la ricostruzione e la diffusione della cultura politica devono tornare ad essere una priorità.

Il programma della “Scuola” quest’anno si concentra sui gravi problemi del nostro paese. Esso si propone di offrire ai corsisti gli strumenti culturali per capire le radici della crisi italiana e per delineare le ragioni e le modalità di un possibile e realistico cambiamento.

Il programma 2013 – 2014 si suddivide in due parti. La prima parte, da ottobre a gennaio, indaga la “sindrome del declino” che sembra avere avvinghiato il nostro paese. La seconda parte, da febbraio a maggio, si propone di mettere a fuoco “le ragioni del cambiamento”, ovvero di delineare il percorso “per una crescita compatibile con l’ambiente, la società e la cultura”.

La prima e la seconda parte sono articolate in quattro moduli ciascuna, per complessivi otto moduli che impegnano otto fine settimana: trentadue lezioni o tavole rotonde con studiosi di grande prestigio cui fanno seguito discussioni in plenaria e gruppi di studio.

di Ferruccio Capelli – direttore della Casa della Cultura di Milano

 

Il programma della Scuola di Cultura Politica 2013 – 2014

1° modulo: “La crisi della Prima Repubblica”

16/19/20 ottobre

Mercoledì -16 ottobre

ore 18.00: Inaugurazione dell’anno 2013-14 – Cittadini per il bene comune

Salvatore Settis

Sabato 19 ottobre

ore 10.00: L’Italia sperduta. La sindrome del declino e le chiavi per uscirne

Carlo Donolo

Sabato 19 ottobre

ore 14.30: La Repubblica italiana e la sua lunga crisi politica

Piero Craveri

Domenica 20 ottobre

ore 10.00: Il difficile mutamento sociale

Enzo Mingione

2° modulo: “Tra crisi istituzionale e decrescita infelice”

15/16/17 novembre

Venerdì – 15 novembre

ore 18.00: Difficoltà delle istituzioni a fronte dei compiti della Repubblica

Enzo Balboni

Sabato – 16 novembre

ore 10.00: I tratti distintivi del capitalismo italiano

Marcello De Cecco

Sabato – 16 novembre

ore 14.30: Questione meridionale e pregiudizio antimeridionale

Antonino De Francesco

Domenica – 17 novembre

ore 10.00: Privatizzazioni e finanza. Perché è fallito il modello liberista italiano?

Francesco Denozza

3° modulo: “Sistema bloccato e politica in affanno”

13/14/15 dicembre

Venerdì – 13 dicembre

ore 18.00: La transizione culturale

Loredana Sciolla

Sabato – 14 dicembre

ore 10.30: I partiti italiani: potere senza legittimità

Piero Ignazi

Sabato – 14 dicembre

ore 14.30: Quando e perché si è fermata la crescita?

Franco Amatori

Domenica – 15 dicembre

ore 10.00: Alle radici dell’antipolitica. Partito e antipartito

Salvatore Lupo

4° modulo: “Le ambiguità della modernizzazione italiana”

17/18/19 gennaio

Venerdì – 17 gennaio

ore 18.00: La cultura degli italiani

Tullio De Mauro *

Sabato – 18 gennaio

ore 10.00: La magistratura italiana, i suoi rapporti con il potere politico, la sua azione contro i poteri criminali

Armando Spataro

Sabato – 18 gennaio

ore 14.30: Tendenze elettorali tra astensionismo, mobilità e improvvisi radicalismi

Ilvio Diamanti

Domenica – 19 gennaio

ore 10.00: L’ambigua modernizzazione dei media

Carlo Freccero, Giorgio Grossi

5° modulo: “Nuove idee guida”

14/15/16 febbraio

Venerdì – 14 febbraio

ore 18.00: La nuova narrazione: il diritto di avere diritti

Stefano Rodotà

Sabato – 15 febbraio

ore 10.00: Dopo la crisi dei partiti. Nuovi corpi intermedi

Fabrizio Barca

Sabato – 15 febbraio

ore 14.30: Soggettività e protagonismo femminile

Tavola rotonda con Carmen Leccardi, Sveva

Magaraggia, Arianna Mainardi, Cristina Morini,

Daniela Pietta

Domenica – 16 febbraio

ore 10.00: Nuove forme di partecipazione

Tavola rotonda con Francesca Forno, Alice Mattoni,

Daniela Selloni e Simone Tosi

6° modulo: “Tracce di un nuovo modello di sviluppo”

14/15/16 marzo

Venerdì – 14 marzo

ore 18.00: La nostra bussola: l’idea di giustizia e l’eguale rispetto

Elisabetta Galeotti

Sabato – 15 marzo

ore 10.00: Scienza e umanesimo. I presupposti di una nuova cultura

Telmo Pievani

Sabato – 15 marzo

ore 14.30: Quale modello di capitalismo per l’Italia? Imprese, governance e democrazia industriale

Lorenzo Sacconi, Roberto Tamborini

Domenica – 16 marzo

ore 10.00: “Il lavoro si crea, non si cerca”

Giovanni Petrini, Stefano Micelli** e Zoe Romano

7° modulo: “Una nuova crescita”

11/12/13 aprile

Venerdì – 11 aprile

ore 18.00: Manifattura italiana e nuova rivoluzione industriale

Giuseppe Berta

Sabato – 12 aprile

ore 10.00: Innovazione e capitale sociale in Italia

Sergio Chiamparino

Sabato – 12 aprile

ore 14.30: La pubblica amministrazione tra vincoli e opportunità per la crescita

Valeria Termini

Domenica – 13 aprile

ore 10.00: Da tutto il mondo per un nuovo tessuto economico e sociale italiano

Tavola rotonda con Sumaya Abdel Qader, Reas Syed, Mary Wen, Seble Woldeghiorghis

8° modulo: “Scelte ineludibili”

16/17/18 maggio

Venerdì – 16 maggio

ore 18.00: Primo: riformare la pubblica amministrazione

Bruno Dente

Sabato – 17 maggio

ore 10.00: Si può fermare il consumo selvaggio del territorio?

Edoardo Salzano

Sabato – 17 maggio

ore 14.30: Valorizzare il patrimonio culturale e ambientale

Philippe Daverio**

Domenica – 18 maggio

ore 10.00: Innovare il nostro welfare

Ota De Leonardis, Maurizio Ferrera

E’ previsto un ampio spazio per la discussione e per i gruppi di lavoro.

 

Contatti

La Casa della Cultura – Via Borgogna, 3 – 20122 Milano

telefono: 02.795567 / fax 02.76008247
e-mail: segreteria@casadellacultura.it
orario segreteria: dalle 9.30 alle 13.00; dalle 15 alle 20.00.

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