Categoria | Politica-Economia

TTIP anche l’ONU ha dei dubbi.

Pubblicato il 11 maggio 2015 da redazione

TTIP

In vista del voto finale del Parlamento Europeo anche l’Onu fa sentire la sua voce sul trattato più controverso e impopolare della storia moderna. Alfred de Zayas, avvocato, attivista per i diritti umani e alto funzionario delle Nazioni Unite (ONU) ha chiesto una moratoria sui negoziati per il TTIP tra  l’Unione Europea e gli Stati Uniti nel timore che il sistema di composizione delle vertenze (ISDS ), ricorrendo a tribunali di arbitrariato riservati, utilizzati dalle grandi aziende, minerebbe i diritti umani prevaricando il diritto degli stati e dei cittadini.

L’avvocato, esperto indipendente dell’ONU per la promozione di un ordine internazionale democratico ed equo prosegue “Noi non vogliamo un futuro dispotico in cui le aziende e non i governi democraticamente eletti decidano. Non vogliamo un ordine internazionale simile a post-democrazia o post-legge. ” , “Le maggiori preoccupazioni sono per gli arbitrati ISDS, che costituiscono un tentativo di sottrarsi alla giurisdizione dei tribunali nazionali e ignorano l’obbligo di tutti gli Stati a garantire che tutti i casi legali siano discussi prima da tribunali indipendenti che sono pubblici, trasparenti, responsabili e impugnabili.”
Nella sua relazione lancia anche un monito a USA e Unione Europea, citando lo statuto dell’ONU sottoscritto anche dalle due parti. “In caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai Membri delle Nazioni Unite con il presente Statuto e gli obblighi da esso assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale, prevarranno gli obblighi derivanti dal presente Statuto.” Facendo indirettamente un richiamo a quanto contenuto nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dell’ONU.

Il TTIP,  acronimo di Transatlantic Trade and Investment Partnership, è l’accordo commerciale più importante per l’Unione Europea dalla sua nascita. Questo accordo riguarderà direttamente circa un miliardo di persone, tra europei e cittadini americani e indirettamente tutti i paesi con economie emergenti dell’Asia. Sui lavori dei negoziatori è stata stesa una cortina di disinformazione mediatica senza precedenti. I lunghi negoziati, iniziati nel 2013, si sono svolti prevalentemente a porte chiuse tra i pochi delegati della Commissione Europea e quelli del presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, uno dei principali sponsor dell’accordo. Quattro commissioni europee, Affari costituzionali, Ambiente, Petizioni e Giuridica hanno espresso perplessità in particolare sul metodo previsto per risolvere le controversie legate al commercio regolate dall’accordo. Ora se ne sta occupando la Commissione Commercio Internazionale che presenterà le sue conclusioni il 28 Maggio per poi essere discusso a Strasburgo nella riunione plenaria di Giugno.

Per dare una parvenza di trasparenza ai negoziati la Commissione Europea ha realizzato un sondaggio via web per chiedere ai cittadini europei la loro opinione. Dal 27 marzo 2014 e al 13 luglio 2014 sono state raccolte 150.000 risposte. A gennaio 2015 è stato rilasciato il rapporto finale che evidenzia come il 97% dei contributi proveniva dal Regno Unito, seguito da Austria, Germania, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Spagna. I restanti paesi europei rientrano in un misero 3%, tra cui l’Italia. Inoltre la stragrande maggioranza delle risposte pervenute era stata veicolata da ONG che si battono contro la firma dell’accordo.

Tutto ciò dimostra inevitabilmente come sia in atto una campagna mediatica di occultamento, soprattutto in Italia, dell’importanza che il trattato, se approvato, avrà sul futuro dei cittadini. Teniamo anche conto che la popolazione americana è di circa 350 milioni di persone/consumatori, mentre quella europea è di circa 600 milioni di persone/consumatori.

 

I punti più contestati

Accesso al mercato

Prevede la rimozione di tutti i dazi di importazione. Sono previsti due correttori che riguardano uno il prezzo dei beni che nel paese di vendita non può essere inferiore al prezzo di vendita dello stesso prodotto nel paese di produzione. Il secondo prevede che si possa derogare dal trattato nel caso che l’importazione del prodotto estero penalizzi pesantemente la produzione locale.

Dell’accordo fanno parte anche i servizi. Attenzione tutti i servizi. In tutti i settori, da quello sanitario a quello della distribuzione delle risorse idriche, all’energia etc.

Questa libertà di movimento darebbe inoltre agli investitori un grimaldello incredibile per scardinare tutte le istanze dei lavoratori. Basterebbe minacciare di spostare le aziende da una parte all’altra dell’Oceano e come conseguenza si avrebbero salari più bassi e minori tutele. Altro che artico 18.

 

Norme,  barriere e limitazioni non tariffarie
L’obiettivo dell’accordo è eliminare tutte le norme che limitino la libera circolazione delle merci. Ad esempio la Mercedes non dovrà più produrre una versione delle sue automobili per il mercato americano, che ha dei requisiti di sicurezza diversi da quelli europei. La tendenza sarà di avere un unico modello per i due mercati. Questo ovviamente vale anche per i servizi e per la finanza. Le barriere sono state da sempre utilizzate dagli stati per agevolare la produzione interna. Limitando ad esempio l’importazione dagli Stati Uniti di pneumatici permetteva all’industria nazionale di prosperare. Oppure si ricorreva a barriere tecniche. Europa e Usa hanno due tipi diversi di tabelle di standardizzazione, e a volte non sono compatibili. Il trattato prevede la progressiva rimozione di tutte queste norme e limitazioni non tariffarie.

In America sarebbe la fine anche del “Buy American act”, una legge federale del 1933 che obbliga il governo americano ad acquistare acciaio e beni affini solo se prodotti in USA.

La Comunità Europea nega la possibilità che queste regole possano incidere anche sui divieti esistenti per l’importazione di cibi transgenici (OGM) o trattati con sostanze da noi vietate. Chi potrà impedire di vendere in Europa carni piene di ormoni o polli allevato con antibiotici e decontaminati con candeggina diluita. Polli che crescono più in fretta e che quindi costeranno meno di quelli locali.

In generale è l’approccio al mercato che è diverso. In Europa un prodotto, che sia un alimento, un farmaco o un prodotto chimico non può essere commercializzato se non esiste evidenza scientifica testata che sia sicuro. Se esiste il dubbio si impone il divieto. In USA i test sono meno severi e si  interviene solo se in seguito ci sono evidenze scientifiche che delineano un rischio per la salute. Ad esempio negli Stati Uniti la catena alimentare McDonalds’s ha annunciato che entro due anni non utilizzerà più polli allevati con antibiotici utilizzati anche per uso umano.

 

TTIP_2

ISDS 

Cardine dell’intero trattato è l’adozione di ISDS (Investor to State Dispute Settlement). Un sistema di arbitrato internazionale che permetterà agli investitori esteri di scavalcare le leggi vigenti nel paese in cui vendere le merci, citando sia le aziende che gli stati stessi.

 

 

ISDS (Investor to State Dispute Settlement)

Cardine dell’intero trattato è l’adozione di ISDS. Un sistema di arbitrato internazionale che permetterà agli investitori esteri di scavalcare le leggi vigenti nel paese in cui vendere le merci, citando sia le aziende che gli stati stessi.

In pratica tre avvocati nominati dall’investitore e tre nominati dal paese citato nominerebbero tre giudici per risolvere le controversie commerciali. Ad esempio per superare provvedimenti cautelativi varati dai governi USA o UE. Professionisti che potranno oggi essere avvocati d’azienda, avvocati di una parte e domani dell’altra e poi anche giudici di ambedue, con buona pace dell’imparzialità del giudizio. Il giudizio emesso dai tre giudici sarebbe definitivo e inappellabile. Oltretutto il sistema dell’arbitrato è un sistema molto costoso che metterà i piccoli produttori locali in condizione di inferiorità rispetto alle multinazionali. Produttori locali e nazionali che potranno riferirsi solo alle corti convenzionali, mentre l’investitore estero potrà rivolgersi sia alle corti tradizionali che all’arbitrato internazionale. Ad oggi ci sono stati più di 600 casi e la maggior parte si sono conclusi a favore delle imprese.

L’esempio più citato sui media è quello della compagnia svedese Vattenfall, che gestisce alcuni impianti nucleari in Germania, che ha citato in giudizio lo stato tedesco per 4,7 mld di euro in seguito alla sua decisione, dopo il disastro di Fukushima , di abbandonare il nucleare nei prossimi anni.

Ma anche Philip Morris, il colosso del tabacco USA, nel 2011 fece causa all’Australia, che aveva emanato una legge per togliere i marchi dai pacchetti di sigarette , convalidata dalla Corte Suprema Australiana, tutti uguali con una piccola scritta sotto il pacchetto con il nome del produttore e le usuali immagini di tumori orripilanti. La Philip Morris trasferì tutte le attività di commercio verso l’Australia alla Philip Morris Asia ad Hong Kong, acquistandone il 100%. Poiché esisteva un trattato tra Hong Kong e Australia potè intentare una causa per la perdita di quella che definì una sua “proprietà intellettuale”.

Dovrebbe far riflettere le nostre forze sociali il caso della francese Veolia, che si occupa dello smaltimento dei rifiuti ad Alessandria d’Egitto e che ha fatto causa allo stato egiziano per aver alzato i parametri del salario minimo dei lavoratori, e quindi anche dei suoi, mettendo a rischio i guadagni futuri del gruppo transalpino.

Ultimo esempio tragico. Durante la crisi dell’Argentina il governo emanò un decreto che congelava i costi delle tariffe dell’acqua e dell’energia per dare respiro alla popolazione stremata. La multinazionale che gestiva i servizi l’ha citata in giudizio e ha ottenuto un risarcimento di più di un miliardo di dollari

Secondo Public Citizen’s Global Trade Watch, un potente gruppo di consumatori e avvocati americano che si oppone duramente all’accordo, “TAFTA (nr. in USA è chiamato così il TTIP) esporrebbe l’UE ad una potenziale ondata di cause investitore-Stato da parte di qualsiasi delle oltre 19.000 aziende con sede negli USA  che possiedono più di 53.000 filiali nell’UE. Circa nove su dieci di queste aziende sarebbero avvantaggiate dal TAFTA per lanciare cause investitore-Stato contro i governi europei.”

Pubblica anche una tabella con i numeri delle multinazionali americane presenti in Europa:

Number of U.S. Corporations in EU Countries &
EU Corporations in the U.S.

Austria 907
Belgium 1,543
Bulgaria 258
Croatia 194
Cyprus 130
Czech Republic 939
Denmark 918
Estonia 130
Finland 821
France 7,478
Germany 7,269
Greece 720
Hungary 627
Ireland 1,271
Italy 4,240
Latvia 122
Lithuania 151
Luxembourg 224
Malta 65
Netherlands 2,530
Poland 1,614
Portugal 947
Romania 514
Slovakia 316
Slovenia 133
Spain 3,968
Sweden 2,091
United Kingdom 12,927
United States 27,124

Ma non è che solo le multinazionali estere sono ciniche, anche quelle europee non scherzano, continua Public Citizen’s Global Trade Watch:

“TAFTA farebbe all’incirca quadruplicare il rischio negli Stati Uniti di cause investitore-Stato contro le politiche degli Stati Uniti. TAFTA autorizzerebbe più di 5.000 società dell’Unione Europea, che possiedono più di 27.000 società controllate statunitensi, ad avviare cause investitore-Stato contro il governo degli Stati Uniti. “

 

Perché il TTIP allora?
Chi si oppone alla ratifica del TTIP non si batte contro “l’imperialismo americano” tantè vero, come abbiamo visto, che anche oltre oceano la protesta è molto forte.

Da una parte e dall’altra dell’oceano quasi tutte le organizzazioni di piccoli industriali, agricoltori e commercianti sono allarmate dall’enorme potere espansionistico che verrebbe concesso alle multinazionali, le vere beneficiarie dell’accordo.

Davanti allo strapotere delle multinazionali i piccoli produttori potranno solo optare per la chiusura o dovranno necessariamente abbassare i prezzi andando ad incidere principalmente sui tagli all’occupazione.

Questo è successo in Messico che dopo aver firmato l’accordo di libero scambio NAFTA (Messico, USA, Canada), pensando ad un futuro radioso di esportazioni verso gli USA, ha visto sparire il suo settore della piccola-media industria oltre a quello agricolo con i contadini che lasciano le campagne al ritmo di 6 milioni l’anno. Con immense devastazioni del territorio e il ritorno del latifondismo sia interno che delle multinazionali.

Pensate ora ai nostri referendum contro il nucleare e alla privatizzazione dell’acqua. Credete veramente che le multinazionali non li vedano come un limite al proprio business.

Come potrà legiferare un parlamento, “sovrano” nel suo paese, facendo leggi a tutela dei suoi cittadini sapendo che ad ogni sua decisione ci sarà un’esercito di avvocati pronti a far decollare il debito pubblico chiedendo risarcimenti miliardari per mancati guadagni.

Joseph Stiglitz, americano, professore della Columbia University, Presidente dei consiglieri economici nell’amministrazione Clinton e premio Nobel  ha dichiarato:

” Penso che l’accordo di scambio che gli Stati Uniti stanno chiedendo all’Europa sia un pessimo accordo, e fareste bene a non firmarlo. … In realtà non riguarda la protezione degli investitori nel modo in cui ho descritto, è invece un modo per assicurarsi che loro possano scavalcare le norme ambientali, norme sanitarie e cose del genere .… Con l’accordo che firmerete, o meglio, che gli Stati Uniti vogliono che voi firmiate, rinuncerete al diritto di proteggere i vostri cittadini.”

Nei giorni scorsi il nostro premier Matteo Renzi ha dichiarato: “non chiudere l’accordo commerciale con gli USA sarebbe autogol” e ha sollecitato l’Europa a smettere di “esitare”e “balbettare”.

Ovviamente ha tralasciato di illustrare i motivi di tale euforia, forse pensa di vincere un domani le primarie delle multinazionali, o forse semplicemente non ci stavano nei 140 caratteri dell’hastag #TTIPchefigata#

 di Marco Pavesi

 

Linkografia

Il premio Nobel per l’economia (2001) Joseph Stiglitz, ospite del Parlamento italiano il 24 settembre 2014, parla del TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership). Davide Colombini.

https://www.youtube.com/watch?v=HsIO5YCuqmU

http://www.citizen.org/TAFTA-investment-map

http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2015/march/tradoc_153310.pdf

http://www.theguardian.com/global/2015/may/04/ttip-united-nations-human-right-secret-courts-multinationals

http://www.unric.org/it/images/Secret_negotiations_on_trade_treaties.pdf

Lascia un commento

Advertise Here

Foto da Flickr

Guarda tutte le foto

Advertise Here

LINK