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Taxi Teheran, un film di Jafar Panahi

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Taxi Teheran, un film di Jafar Panahi

Pubblicato il 18 ottobre 2015 by redazione

Locandina

Le restrizioni sono spesso fonte d’ispirazione per un autore poiché gli permettono di superare se stesso, ma a volte possono essere talmente soffocanti da distruggere un progetto e annientare l’anima dell’artista. Invece di perdersi di spirito e rassegnarsi, invece di lasciarsi pervadere dalla collera e dalla frustrazione, Jafar Panahi ha scritto una lettera d’amore al mondo del cinema. Il suo film è colmo d’amore per la sua arte, la sua comunità, il suo paese e il suo pubblico.

 

Sono le parole con cui il regista statunitense Darren Arofonsky, presidente della giuria del Festival di Berlino 2015, assegna l’Orso d’oro a Taxi Teheran, diretto dall’iraniano Jafar Panahi. A ritirare il premio va la piccola Hana Saeidi, sua nipote e interprete del film: il divieto di espatrio è sola una delle restrizioni che hanno colpito Panahi negli ultimi anni.

Durante la sua carriera il cineasta mette in sequenza film dal tocco neorealista, in cui affronta “temi sociali interpretati in modo poetico e artistico” che riflettono le contraddizioni più stridenti dell’Iran. È così, tra gli altri, per Il Cerchio (2000) Leone d’oro a Venezia, dedicato alla condizione delle donne in Iran, Oro rosso (2003) premiato a Cannes nella sezione Un Certain Regard e Offside, Orso d’argento a Berlino nel 2006, in cui un gruppo di tifose, travestite da uomini, decide di andare allo stadio nonostante i divieti imposti dal regime. Tre film etichettati come indistribuibili, che non possono uscire nelle sale cinematografiche iraniane. Nonostante ciò, Panahi insiste «Non mi sono mai autocensurato, non scendo a compromessi. È molto rischioso: autocensurarsi è ancora peggio di essere censurati dal governo.»

Il regista, con il suo stile narrativo in bilico tra documentario e finzione, esaspera infatti il regime, che prova a metterlo a tacere con gli arresti del 2009 e 2010. Ma è necessario ripercorrere gli eventi che conducono alle due detenzioni e alle conseguenti limitazioni per comprendere alcune delle scelte estetiche e di contenuto che da allora caratterizzano il suo cinema.

Il 12 Giugno 2009 si sono tenute le elezioni presidenziali in Iran: Mahmud Ahmadinejad è confermato Presidente della Repubblica con il 62% dei voti.

Le elezioni vengono immediatamente contestate a livello nazionale e internazionale per la loro irregolarità, causando sollevazioni popolari che durano fino all’11 Febbraio 2010. La protesta si raccoglie intorno al Movimento Verde, nato in quegli stessi giorni. Al suo interno Mehdi Carroubi, uno dei candidati alle elezioni, e il moderato Mir Houssein Mousavi (33% dei voti) vengono riconosciuti come leader. Il verde, colore usato inizialmente per la campagna elettorale di Mousavi, diventa il simbolo della speranza di quanti – come Panahi, per esempio – ritenevano truccato il procedimento elettorale e chiedevano le dimissioni di Ahmadinejad.
Il 20 Giugno durante gli scontri tra le autorità e i manifestanti viene uccisa la studentessa Neda Agha-Soltan, colpita dal proiettile di un membro della milizia armata, secondo quanto riportano BBC, CNN e Fox News. Gli ultimi istanti di vita della ragazza vengono ripresi in alcuni filmati che, grazie al web, si diffonderanno rapidamente in tutto il mondo elevando il suo nome quale grido di protesta degli oppositori.

È il 30 Luglio quando un blogger e attivista per i diritti umani iraniano riporta che Panahi è stato arrestato al cimitero di Teheran, dove un gruppo di 3000 persone si era riunito per commemorare la morte di Neda Agha-Soltan. Il regista riesce a comunicare l’accaduto ad alcuni amici del mondo del cinema fuori dall’Iran e, grazie alle loro pressioni, viene rilasciato dopo 8 ore. (Il governo comunicherà che era stato arrestato per errore).

 

Il regista a Settembre vola in Canada per partecipare come presidente della giuria al Montreal World Film Festival. Qui convince i membri della giuria ad indossare le sciarpe verdi durante le cerimonie di apertura e chiusura, in segno di solidarietà verso il Movimento Verde.

Il regista a Settembre vola in Canada per partecipare come presidente della giuria al Montreal World Film Festival. Qui convince gli altri membri a indossare le sciarpe verdi durante le cerimonie di apertura e chiusura, in segno di solidarietà verso il Movimento Verde.

 

Il primo Marzo 2010 è la data del secondo arresto di Panahi, in cui viene prelevato dalla sua abitazione assieme alla moglie, alla figlia e quindici suoi amici. La maggior parte di loro verranno rilasciati nelle 48 ore successive, ma non il regista che rimane nel carcere di Evin. Questo scatena la reazione di numerosi registi, critici cinematografici e associazioni che richiedono la sua immediata scarcerazione. Anche la politica e alcune ONG per la difesa dei diritti umani si mobilitano condannando l’arresto. Il 18 Maggio Panahi in un messaggio al direttore di un centro culturale iraniano-francese di Parigi denuncia i maltrattamenti subiti in prigione, le minacce recapitate ai suoi familiari, e afferma di aver iniziato lo sciopero della fame. Sette giorni dopo viene rilasciato su cauzione, in attesa di processo.

La condanna definitiva arriva il 20 Dicembre per “montaggio e collusione con l’intento di commettere crimini contro la sicurezza nazionale del Paese e propaganda contro la Repubblica islamica”. La sentenza della corte prevede sei anni di carcere, il divieto per vent’anni di produrre o dirigere film, scrivere sceneggiature, rilasciare interviste a media iraniani o stranieri, e lasciare il Paese. La decisione viene confermata il 15 Ottobre dell’anno successivo.

Nel frattempo continua la detenzione domiciliare e cresce il rilievo internazionale della vicenda: il Parlamento europeo assegna il Premio Sakharov 2012 per la “libertà di pensiero” a Jafar Panahi e a Nasrin Sotoudeh, avvocatessa iraniana per i diritti dell’uomo (che avrà una parte appunto in Taxi Teheran). Da allora gli è concesso di muoversi più liberamente all’interno dell’Iran.

Dopo la condanna e le restrizioni, che coinvolgono il regista iraniano sia umanamente sia professionalmente, le scelte formali del suo cinema saranno inestricabilmente legate allo stato della sua libertà.

This is not a film (2011), che documenta una giornata durante i suoi arresti domiciliari in attesa del verdetto della corte d’appello, e il successivo Closed Curtain (2013), ritratto della condizione psicologica del regista tormentato dalle dure interdizioni, sono prodotti entrambi in segreto fra le mure della sua casa e di un appartamento in riva al mare. La situazione muta in parte con Taxi Teheran, girato, come i due precedenti, violando il divieto ventennale.

«Dopo This is not a film e Closed curtain, sentivo di aver bisogno di far uscire a tutti i costi la mia videocamera dal confinamento delle mura di casa. […] Se avessi posizionato la mia videocamera in una qualunque strada avrei immediatamente messo in pericolo la troupe e il film sarebbe stato interrotto» – racconta Panahi. «Un giorno, sconfortato, ho preso un taxi per tornare a casa. […] Ed ecco scoccare una scintilla: visto che i miei primi film erano tutti ambientati nella città, a quel punto avrei potuto cercare di fare entrare la città nel mio taxi. […] Ho capito che non avrei potuto fare un documentario senza mettere in pericolo i passeggeri. Il mio film avrebbe dovuto prendere la forma di una docu-fiction. Ho scritto una sceneggiatura e in seguito mi sono messo a riflettere su come portarla sullo schermo. […] Alla fine ho optato per la videocamera Black Magic che si tiene con una mano e si può facilmente nascondere in una scatola di fazzoletti di carta in modo da non attirare l’attenzione. Questo espediente mi dava la possibilità di preservare tutta la dimensione documentaristica dell’azione che si svolgeva al di fuori della vettura, senza tuttavia mai rivelare le riprese in atto e dunque salvaguardando la sicurezza della troupe che disponeva di poco spazio destinato invece per lo più alle tre videocamere: dovevo quindi gestire completamente da solo l’inquadratura, il suono, la recitazione degli attori e al tempo stesso anche la mia interpretazione e la guida del veicolo!»

Grazie a queste intuizioni e a questi accorgimenti Panahi può fingersi tassista e iniziare il suo viaggio per le strade di Teheran con a bordo i passeggeri-attori che via via si susseguono.

Personaggi interessanti e curiosi che nell’insieme cooperano per dipingere la tela della cultura e della società iraniana. Troviamo un borseggiatore paradossalmente a favore delle pene capitali – “devi impiccarne un paio per dare l’esempio agli altri” – che suscita l’indignazione di una maestra d’asilo sul sedile posteriore. Un uomo gravemente ferito da portare di fretta all’ospedale che, sentendosi vicino alla morte, chiede di essere ripreso per fare testamento e assicurarsi che alla moglie non venga tolta l’abitazione. “Omid noleggio film”, uno dei personaggi più emblematici, che vende dvd proibiti in Iran (quelli di Woody Allen, ad esempio), da interpretare, come metafora rovesciata del film.

 

Panahi e Omid

[…] La mia è una attività che svolge un ruolo culturale molto preciso. Sono film che in Iran non possono uscire. Come farebbero i nostri studenti a vedere film stranieri? Come farebbe suo figlio? E anche lei, come farebbe?!

Quelli che salgono sul taxi sono tutti attori non professionisti collegati in vario modo alla vita del regista e alcuni, come Omid, la sua nipotina Hana e Nasrin Sotoudeh interpretano loro stessi. L’avvocatessa, infatti, si riferisce ad uno dei casi che sta davvero seguendo – che ricorda da vicino la trama di Offside – e discute dei meccanismi di censura e intimidazione con i quali il regime teocratico cerca di ridurre i dissidenti al silenzio, realtà che entrambi conoscono bene.

 

Nasrin Sotoudeh

[…] Sai, Jafar, loro trovano tutti i modi per farci sapere che ci controllano sempre, per farci sentire che ci stanno addosso. Usano tattiche così ovvie. La prima cosa che fanno è trasformarti in un nemico. Sei un agente del Mossad, della CIA, dei Servizi Segreti inglesi… Poi aggiungono a questo una bella accusa di comportamento immorale. Trasformano la tua vita in un inferno.

Ma è con il personaggio di Hana che il film tocca il suo punto più profondo e diviene una riflessione sul cinema stesso. Innescando un vivace gioco di specchi tra realtà, vita privata e finzione, la nipotina chiede allo zio consigli per un cortometraggio che deve girare per la scuola. Subito si fermano sulla questione dei film “indistribuibili”, lo zio mostra – finge – di non sapere di cosa si tratti, sarà allora lei a spiegarglielo: “Bisogna per forza rispettare alcune regole. Comincio: assoluto rispetto del velo e della decenza islamica, nessun contatto fra uomo e donna, non dev’esserci sordido realismo, non dev’esserci violenza, non bisogna mai usare la cravatta per i personaggi positivi, non usare i nomi iraniani per i personaggi positivi, è meglio preferire sempre i nomi dei profeti. […] Non affrontare questioni che riguardino politica o economia. […] …essere sempre pronti ad usare il nostro buon senso, quando c’è anche soltanto una cosina che da l’idea di non andare nel film che facciamo, dobbiamo essere noi stessi i primi a censurarla.”

Sordido realismo. Un punto che Hana elenca, ma non riesce a capire del tutto e su cui tornerà verso la fine del film “Dobbiamo far vedere la realtà solo la realtà. Poi però ha detto che se la realtà è troppo brutta complicata o disdicevole, non bisogna assolutamente farla vedere. Come faccio!?” E conclude con una domanda che fa da chiosa al film e mette in mostra l’assurdo di una caratteristica che accomuna tutti i regimi:

Sono realtà che hanno creato loro, ma che non vogliono che vengano viste? È strano.

Sistematicamente disobbediente, il regista si impegna a violare questo pacchetto di divieti e prescrizioni, non senza accenni di autocompiacimento (percepibile anche dalle continue autocitazioni). Il risultato è un film che sfida la censura e trova nuovi spazi per mettere in scena lo stato della libertà d’espressione del cinema iraniano. Ma, come Aronofsky suggerisce, il messaggio non si esaurisce nella denuncia: Panahi non rinuncia alla riflessione estetica e a un utilizzo brillante degli strumenti tecnici. Un montaggio minimale (tre videocamere principali) e lunghi piano-sequenza sono elementi che contribuiscono a creare l’effetto realtà.

Il film si chiude, senza credits, con questa frase firmata dal regista: «Il Ministero della Cultura e dell’Orientamento Islamico convalida i titoli di testa e di coda dei film “divulgabili”. Con mio grande rammarico, questo film non ha titoli. Esprimo la mia gratitudine a tutti coloro che mi hanno sostenuto. Senza la loro preziosa collaborazione, questo film non sarebbe mai venuto al mondo.»

Panahi e Hana

Combattiva e ottimista, nel film come nella vita, Nasrin Sotoudehs cende dal taxi lasciando una rosa rossa in onore del cinema “perché sulla gente del cinema ci si può sempre contare.”

 

di Federico Fantelli

 

Linkografia:

http://www.taxiteheran.it/film/wp-content/uploads/2015/07/pressbook-final.pdf

http://sensesofcinema.com/2001/jafar-panahi/panahi_interview/

http://www.theguardian.com/world/2010/may/23/jailed-jafar-panahi-release-hopes

http://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/esteri/iran-3/risultati-iran/risultati-iran.html?refresh_ce

http://www.treccani.it/enciclopedia/onda-verde/

http://edition.cnn.com/2009/WORLD/meast/06/21/iran.woman.twitter/

http://news.bbc.co.uk/2/hi/8113552.stm

http://www.foxnews.com/story/2009/06/22/neda-soltan-young-woman-hailed-as-martyr-in-iran-becomes-face-protests.html

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2009/07/Iran_Teheran_scontri_Panahi.shtml?uuid=5ae51cd0-7d07-11de-a42d-4e11837ae145&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1

http://www.filmdetail.com/2010/12/21/jafar-pahani-imprisoned-in-iran/

http://www.repubblica.it/esteri/2010/03/02/news/arrestato_regista_iraniano-2476201/

http://laregledujeu.org/2010/05/18/1564/the-message-from-jafar-panahi/

http://www.theguardian.com/film/2010/may/25/jafar-pahani-released-iran-prison

http://www.repubblica.it/esteri/2010/12/20/news/panahi_condannato-10431553/

http://www.hrw.org/news/2010/03/12/iran-indict-or-free-filmmakers

http://www.europarl.europa.eu/news/en/news-room/content/20120921FCS52015/html/Sakharov-Prize-for-Freedom-of-Thought-2012

http://www.taxiteheran.it/film/wp-content/uploads/2015/07/pressbook-final.pdf

http://www.taxiteheran.it/film/wp-content/uploads/2015/07/pressbook-final.pdf

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