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Shinzo Abe, ministro della difesa giapponese, stanzia un fondo per la ricerca nelle tecnologie militari

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Shinzo Abe, ministro della difesa giapponese, stanzia un fondo per la ricerca nelle tecnologie militari

Pubblicato il 30 settembre 2015 by redazione

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Il primo ministro giapponese Shinzo Abe passa in rivista un’unità d’onore della marina giapponese durante una celebrazione ufficiale.

La possibile riapertura alla ricerca scientifica militare e lo schieramento all’estero delle forze armate per la prima volta dopo la Seconda Guerra Mondiale animano il dibattito interno e internazionale.

La notizia che il Ministero della Difesa giapponese nei mesi scorsi ha stanziato un fondo per la ricerca di base destinata alle nuove tecnologie militari non dovrebbe avere nulla di eclatante per un Paese avanzato come quello del Sol Levante.

Tuttavia questo annuncio ha provocato una fortissima polemica nell’opinione pubblica interna che ha attirato l’attenzione internazionale.

La decisione urta apertamente con l’orientamento risolutamente pacifista del Giappone, sancito nella Costituzione del 1947 e generato dalle tragiche responsabilità della nazione nella Seconda Guerra Mondiale, conclusasi con i due bombardamenti nucleari di Hiroshima e Nagasaky.

Il bilancio iniziale per il 2015 prevede uno stanziamento di 300 milioni di Yen, pari a circa 2,5 milioni di dollari statunitensi, una briciola in confronto alle altre voci di investimento governativo: ma per la comunità scientifica nipponica questo è solo uno dei molti segnali che confermano l’intenzione del Giappone di riprendere la strada del riarmo.

I progetti di ricerca seguono le modalità operative della DARPA (Defence Advanced Research Project Agency), l’Agenzia del governo americano per i progetti di ricerca avanzata in campo militare, che la dice lunga sul modello che il Giappone ha deciso di seguire e fa presagire una escalation di tali attività negli anni a venire. Negli Stati Uniti, sono invece i settori del mondo accademico e universitario che collaborano tradizionalmente allo sviluppo delle ricerche nel settore della difesa.

Sin dal 1950 il Consiglio delle Scienze giapponese, organizzazione che riunisce moltissimi accademici, ha invece abbracciato l’orientamento pacifista del Paese, rifiutando di impegnarsi in ogni attività di ricerca che potesse avere impieghi bellici. Così, la linea seguita dal Primo Ministro Shinzo Abe mira apertamente a smuovere il Giappone, nel suo complesso, dal suo immobilismo per affrontare le crisi geopolitiche che si stanno montando nell’area del Pacifico. Dopo la fine della Guerra Fredda, il mondo non è, infatti, più bipolare diviso in blocchi contrapposti, ma multipolare e privo di equilibri.

Fino a pochi anni fa la presenza dell’ombrello protettivo delle forze armate statunitensi, presenti nel Paese sin dal 1945, aveva garantito al Giappone la protezione dalle vicine potenze ex-comuniste, la Cina e l’Unione Sovietica.

Il governo di Washington, fino a poco tempo fa fortemente contrario a che il Giappone ritornasse una potenza militare, spinge ora perché la nazione giapponese cambi opinione facendosi maggiormente carico della propria sicurezza e assumendosi un ruolo di riferimento nel quadrante sud asiatico.

Oggi gli attriti tra Tokyo e Pechino per la volontà del governo di quest’ultimo di controllare il Mar Cinese Meridionale e la minaccia dello sviluppo delle armi nucleari e dei missili balistici nordcoreani, inquietano la classe dirigente giapponese, almeno quanto la stagnazione economica in cui si dibatte ormai da dieci anni il suo Paese. Ma gli scienziati nipponici continuano apertamente a denunciare il pericolo che il potere politico e le logiche dei militari tornino a influenzare il mondo scientifico nazionale come ai tempi del colonialismo all’inizio del ‘900.

Il programma ImPACT

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Tabella rappresentativa degli investimenti in ricerca scientifica degli Stati, per punti percentuali di Prodotto Interno Lordo nel primo decennio degli anni 2000 (fonte UNESCO).

Al cuore della durissima contrapposizione scatenatasi in seno all’opinione pubblica giapponese c’è un progetto quinquennale da 550 miliardi di Yen, più di 4 miliardi e mezzo di dollari al cambio attuale, lanciato dal Consiglio delle Scienze, della Tecnologia e dello Sviluppo, organo governativo proprio presieduto dall’attivissimo premier Shinzo Abe.

Il Consiglio ha selezionato e finanziato 12 programmi di ricerca contrassegnati da una forte ambizione e da un alto rischio di insuccesso che, se portati a compimento, promettono fenomenali risvolti nell’economia produttiva, in attesa da tempo di un rilancio per riguadagnare il primato mondiale nelle tecnologie innovative.

Ciascun progetto ha un responsabile, che coordina l’attività dei team di ricerca coinvolti, per lo più a livello universitario.

L’acronimo ImPACT (ovvero Impulsing Paradigm Change through disruptive Technologies) descrive perfettamente la filosofia del programma: indurre un cambio concettuale profondo attraverso lo sviluppo di tecnologie dal potenziale innovativo dirompente.

E in effetti, alcune delle ricerche sostenute dal Consiglio sono realmente affascinanti: tra i progetti finanziati, Satoshi Tadokoro della Tohoku University gestisce un budget di ben 3 miliardi e mezzo di Yen per la sua ricerca su tecnologie robotiche, di impiego sia aereo sia terrestre, per realizzare automi da usare in caso di esplosioni o di incidenti o calamità naturali o in ambienti ad alte temperature.

Reiko Fujita invece sta dirigendo la ricerca sul trattamento e il riciclo dei rifiuti altamente radioattivi, inducendo trasmutazioni a livello di struttura atomica per stabilizzare il livello di energia dei radionuclidi o trasformare elementi con decadenza radioattiva di lunga durata in isotopi di vita breve.

Lo spettro dell’incidente dei reattori della centrale nucleare di Fukushima è sicuramente uno dei temi più angosciosi per gli scienziati, alla ricerca ancora oggi di soluzioni per i giganteschi problemi ingeneratisi dalla fusione dell’Uranio nei reattori.

Allo stesso modo Yoshiyuki Sankai e il suo team dell’Università di Tsukuba sono impegnati nella realizzazione di un esoscheletro reattivo, una sorta di involucro che una volta indossato, sia capace di tradurre gli impulsi del sistema nervoso della persona in movimenti veri e propri.

Un apparato del genere permetterebbe un salto incredibile perché permetterebbe la cura e l’autonomia delle vittime che hanno contratto malattie nervose o ustioni, permettendo anche ai sanitari di movimentare i pazienti con un grado di sicurezza, delicatezza e precisione inimmaginabili fino ad oggi.

Le critiche più forti verso il programma ImPACT sono rivolte a sottolineare l’atteggiamento ipocrita del Governo giapponese nel sostenere che si tratti ancora di ricerca a puro contenuto scientifico civile.

In realtà, sia la struttura dei team, sia l’orientamento della ricerca sono ispirati alla pratica della DARPA statunitense, che da sempre sviluppa ricerche dual use, ovvero che possano produrre risultati applicabili sia in campo civile che in quello militare.

Fonti del ministero della Difesa hanno dovuto ammettere, seppure in maniera ufficiosa, che il dipartimento segue con interesse i risultati raggiunti dagli ambiziosi ricercatori.

Infatti il programma di ricerca finanziato direttamente dal Ministero della Difesa con il suo budget di 300 milioni di Yen è realmente insignificante, rispetto a quelli portati avanti dal consiglio dei ministri (come l’ImPACT) o dai singoli ministeri, ma almeno ha il pregio di ammettere sin dall’inizio che è rivolto a sviluppare conoscenze appunto dual use.

Le ragioni dello storico pacifismo giapponese post Seconda Guerra Mondiale e le preoccupazioni attuali dei militari Giappone.

La Cina è diventata non solo una nuova potenza economica, ma anche militare. Nonostante le assicurazioni alla comunità internazionale, il budget della difesa è, infatti, cresciuto del 170% fra il 2003 e il 2013.

Le tensioni con il Giappone per il controllo delle strategiche isole Senkaku nel Mar Cinese Meridionale e l’imposizone unilaterale da parte di Pechino di una zona aerea di identificazione obbligatoria su tutta quell’area non hanno fatto che aumentare gli attriti fra i due vicini asiatici; l’armatissima (e affamatissima) Corea del Nord continua ad accrescere le sue minacce verso il Giappone e l’arsenale nucleare di cui pare, quasi sicuro, si stia dotando preoccupa ulteriormente i giapponesi; la recente uccisione in Siria da parte dell’ISIS di due cittadini nipponici ha anche evidenziato che esiste una minaccia islamista radicale verso il Giappone che contribuisce ad aprire un altro fronte nella questione sicurezza del Paese; nemmeno i rapporti con la Corea del Sud o con Taiwan sono però esenti da vecchie ruggini, mai del tutto superate, legate ai crimini di guerra giapponesi…ce n’è quindi più che abbastanza!

La difficoltà a decidere quale ruolo debba avere la nazione va ricercato nel profondo valore culturale giapponese che contrappone l’aspetto formale a quello sostanziale. In Giappone, infatti, l’articolo 9 della Costituzione non solo rifiuta la guerra come strumento di rapporti fra gli Stati, ma vieta apertamente che il Giappone abbia delle forze armate tout court.

Capitolo II, articolo 9 della Costituzione giapponese.

Costituzione del Giappone, 1947

CAPITOLO II . LA RINUNZIA ALLA GUERRA.

Art. 9.

Aspirando sinceramente a una pace internazionale fondata sulla giustizia e sull’ordine, il popolo giapponese rinunzia per sempre alla guerra, quale diritto sovrano della Nazione, e alla minaccia o all’uso della forza, quale mezzo per risolvere le controversie internazionali.

Per conseguire l’obbiettivo proclamato nel comma precedente, non saranno mantenute forze di terra, del mare e dell’aria, e nemmeno altri mezzi bellici. Il diritto di belligeranza dello Stato non sarà riconosciuto.

Con la guerra di Corea la ricostituzione della capacità delle forze armate fu ottenuta, nel 1950, attraverso un trucco dialettico: la marina, l’esercito e l’areonautica furono definiti come forze di autodifesa.

Se al Ministero della difesa quindi verrà in qualche modo consentito di partecipare alla definizione dei programmi di investimento, usando qualche definizione di comodo o qualche eufemismo tecnico, i ricercatori potranno essere teoricamente influenzabili dalle esigenze dell’estabilishment militare o peggio, subire delle limitazioni nella divulgazione delle proprie scoperte con la scusa di tutelare l’interesse primario della difesa del Paese.

Questo porterebbe a minare proprio il raggiungimento dello scopo principale del programma ImPACT, cioè il rilancio del know-how tecnologico – scientifico del Giappone, voluto fortemente dal governo Abe, con la prevista creazione di 5 milioni di nuovi posti di lavoro e la frenata dell’effetto deflattivo che sta corrodendo l’economia reale giapponese.

Non c’è alcun dubbio che quando il governo concepì il programma, la motivazione principale fosse di tipo economico, ma le priorità del mondo politico la stanno indubbiamente cambiando.

Intanto la movimentazione del mondo scientifico per sensibilizzare l’opinione pubblica anche internazionale, sul possibile arruolamento degli scienziati giapponesi, cresce.

Norikazu Kameyama, studioso di scienze agricole presso l’Università delle Isole Ryukyu a Okinawa ha pubblicato un appello sul web a cui hanno già aderito oltre 1000 accademici, tra professori e ricercatori.

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La spesa per R&S in alcuni paesi dell’Ocse, Cina e Israele, 1981-2005, fonte OCSE, inserita in “2007 statistica sulla ricerca e l’innovazione” del CNR.

Come farà la politica a convincere la scienza?

C’è una leva importante che il governo può utilizzare per convincere gli scienziati a collaborare: investire di nuovo nella ricerca pura, come negli anni passati quando l’economia giapponese era una locomotiva in corsa.

L’investimento in ricerca e sviluppo è, infatti, cresciuto dal 2,4% (del Prodotto Interno Lordo) al 3,3% del 2011, fino a un attuale 3,6% del PIL, nonostante l’economia giapponese sia al momento immobile.

Tuttavia, la crisi economica ha portato lo Stato a tagliare o riorganizzare molte voci di spesa, compresa la ricerca. Così a partire dal 2005 molte Università hanno visto scendere i propri budget annuali in maniera consistente. In questi ultimi anni, l’80% della spesa per la ricerca di fatto è stato sostenuto dalle imprese, permettendo al Giappone di restare comunque fra i primi dieci paesi al mondo per la ricerca. Ma il fatto che le aziende debbano produrre profitto a breve-medio termine, ha irrigidito l’immaginazione e la libertà di azione degli scienziati che lavorano per il capitale privato. Nonostante il numero di operatori della ricerca sia cresciuto del 15%, fra il 1998 e il 2007, la mancanza di fondi pubblici per la ricerca pura ha abbassato la qualità e la quantità dei risultati, come si evince dalla diminuzione delle pubblicazioni scientifiche del Paese, scese dall’8% al 6% tra il 2004 e il 2008. A perderci non è stata solo la ricerca pura, la più rischiosa e sul lungo periodo la più remunerativa, ma soprattutto si è incagliata la dinamica economica generale del Paese. Inoltre è sceso il turn over e la classe ricercatrice, sfiduciata e invecchiata, ha diminuito anche i contatti con le comunità scientifiche all’estero e le trasferte in altri Paesi, proprio quando la globalizzazione e la competizione totale richiederebbero una maggiore mobilità e collaborazione fra gli scienziati.

I nuovi fondi destinati alle ricerche in campo militare, o utilizzabili nel ramo della difesa, come il progetto ImPACT, potrebbero quindi sicuramente rappresentare una tentazione importante per la comunità scientifica nipponica.

Cambio di passo

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Consegnata da pochi mesi, la portaerei Izumo è la prima grande unità di questo tipo a entrare in servizio nella marina giapponese dalla Seconda Guerra mondiale. Per dribblare i divieti costituzionali a possedere armamento offensivo, è stata definita cacciatorpediniere portaelicotteri, ma è evidente che una unità di tali dimensioni è destinata a essere equipaggiata con velivoli di ultima generazione come l’F35 Lightning II.

Il Giappone era già inserito sin dai tempi della Guerra Fredda in un partnerariato tra Australia, Nuova Zelanda, Singapore, Taiwan, Corea del Sud e altri stati dell’area del Pacifico, simile a quello esistente tra i Paesi appartenenti alla NATO. Recentemente i rapporti politico-militari con i Paesi occidentali si sono approfonditi proprio attraverso una più stretta collaborazione con l’organizzazione NATO, tanto da far presagire a alcuni osservatori internazionali una probabile espansione dell’influenza dell’Alleanza Nord Atlantica nell’area del Pacifico, o quantomeno la creazione di una moderna alleanza militare Indo-Pacifica sul modello di questa.

In questo senso il premier Abe, sicuro che il Giappone debba essere in grado di sostenere la propria posizione nell’area e garantire la sicurezza del suo territorio nazionale, ha intrapreso una campagna di riforme, appoggiato da una forte maggioranza parlamentare.

Lo scorso 16 luglio è stata approvata nella Camera Bassa del Parlamento una legge di riforma del sistema di autodifesa, che rivede l’interpretazione dell’articolo 9 della Costituzione, grazie alla quale il Giappone è ora più libero di impegnare le proprie forze armate in missioni all’estero, nel caso in cui gli venga chiesto di assistere un Paese alleato, anche se sono stati al contempo introdotti meccanismi che limitano al minimo indispensabile le unità militari di Tokyo nell’uso della forza bellica.

Per quanto Shinzo Abe abbia rassicurato che l’azione del governo giapponese resterà incentrata sul diritto internazionale e sul ruolo centrale dell’ONU nelle relazioni tra i Paesi, la preoccupazione si è diffusa nell’opinione pubblica del Paese.

Nella commissione parlamentare che doveva rivedere il testo di legge la tensione è arrivata al massimo, tanto che i parlamentari della maggioranza e dei partiti di opposizione sono arrivati alle vie di fatto durante il dibattito, un fatto molto imbarazzante per i giapponesi.

All’inizio di Settembre è arrivata anche l’approvazione della Camera Alta, provocando una sorta di shock culturale e morale nella nazione.

Questa legge in fondo è il prologo di un ben più ambizioso obiettivo del premier Abe e del partito Liberal Democratico che lo sostiene, cioè la riforma dell’articolo 9 della Costituzione, mediante un referendum costituzionale, che dovrebbe svolgersi nel 2017.

Questo cambio epocale viene guardato con cautela anche da fuori confine. Shinzo Abe è esponente di una corrente conservatrice e nazionalista, le cui posizioni revansciste non smettono di preoccupare l’opinione pubblica internazionale, come per esempio, il suo tentativo di rimuovere dai libri di testo delle scuole superiori i riferimenti a eventi quali l’assedio della città di Nanchino, durante la seconda guerra sino-giapponese. Nel Dicembre 1937 dopo la caduta della città le truppe dell’esercito imperiale nipponico si resero responsabili di massacri, torture e stupri di massa orribili, che provocarono oltre 300mila morti tra la popolazione civile.

Il premier Abe ha assicurato che il Giappone non tornerà mai al suo passato nazionalista e colonialista, ma è anche vero che le giovani generazioni, che non hanno vissuto quel momento storico, non debbano sentirsi sempre in colpa per le azioni delle generazioni precedenti e abbiano il diritto a non chiedere sempre scusa per colpe non loro e possano tornare ai valori del passato di coraggio e lealtà che hanno da sempre dominato la storia del Giappone, prima del secondo conflitto mondiale che lo ha visto, come tanti altri popoli, finire nella spirale degli orrori della guerra. Infatti, il popolo giapponese vive culturalmente diviso tra un orgoglioso attaccamento alle sue più antiche tradizioni e una grande curiosità per le altre culture a cui si è aperto solo negli ultimi due secoli e i fatti dell’ultima guerra.

Una situazione di contraddizione e di stallo da cui non è facile sganciarsi se non con strappi profondi e questo può essere, in effetti un momento opportuno per cambiare il futuro del Paese e al contempo dell’intera area del Pacifico. Il loro successo dipenderà da quanto il Giappone sarà in grado di dimostrare la sua maturità e stabilità, senza farsi attrarre da un estremismo nazionalista.

di Davide Migliore

Linkografia

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http://www.limesonline.com/badili-non-fucili-il-giappone-ritrova-il-suo-esercito/30145

http://discutiamodelgiappone.myblog.it/2008/09/28/la-marina-giapponese-oggi/

https://theconversation.com/infographic-how-much-does-the-world-spend-on-science-14069science-14069

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