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Le Megalopoli della Terra, un vero esempio di condivisione e sostenibilità.

Pubblicato il 07 gennaio 2020 by redazione

Per la prima volta nella storia dell’umanità assistiamo oggi ad una forte concentrazione di individui in grandi città. La tendenza al diffondersi dell’aggregazione urbana, iniziata già ai tempi degli antichi imperi egizi, greci e romani, nel corso del tempo è dilagata inesorabile in tutto il globo fino a raggiungere numeri incredibili ed inimmaginabili. Nel solo secolo scorso si è passati da 250 milioni complessivi di cittadini urbani a quasi 3 miliardi e si prevede che entro il 2050, su una popolazione mondiale ipotizzata di 9 miliardi di persone, gli abitanti urbani diverranno 6 miliardi. Le conseguenze di questa nuova realtà amplificano e circoscrivono meglio le necessità umane delle diverse classi sociali e al tempo stesso offrono maggiori opportunità. L’acqua, poca o tanta è distribuita a tutti, le condizioni igeniche e le cure sanitarie sono contenute in standard minimi garantiti, e sebbene i grandi centri urbani subiscano maggiormente le eventuali concentrazioni di fattori inquinanti, paradossalmente sono quelle che ne producono di meno, grazie agli spazi residenziali decisamente più compatti di quelli delle comunità decentrate o agricole. Anche i veicoli destinati al trasporto di persone sono in numero inferiore, grazie ai mezzi pubblici o alla semplice vicinanza dei luoghi da raggiungere. E la ricerca di soluzioni ambientali, più vantaggiose per il pianeta, sono più facilmente delineabili e sperimentabili nelle grandi megalopoli, dove possono nel tempo essere migliorate, e costituire al tempo stesso nuovi modelli di stili di vita per l’intera umanità. Se a questo si aggiunge il potenziale di comunicazione fornito dal mondo virtuale della rete, che amplifica in tempo reale lo scambo di idee, proposte e progetti, se può tornare a sperare nel rapido sviluppo  di un progetto di vita comune e sostenibile.

Nel corso dei prossimi numeri cercheremo di andare a scoprire, una per una, le grandi megalopoli esistenti, le loro criticità e cosa stanno facendo per affrontarle.

Delhi, tra le città più popolate del mondo

La città di Delhi, che fino all’inizio del 900 contava solo mezzo milione di abitanti, oggi ne raggiunge quasi 15 milioni, diventando così una tra le più grandi megalopoli del mondo. Situata a nord dell’India, nel cuore della pianura del Gange, lungo le rive del fiume Yamuna, Delhi si estende su un’area di circa 1500 km², occupata al 50% dalla zona urbana della città e per il restante da quella agricola. Il territorio è suddiviso in 9 distretti, ripartiti a loro volta in 3 zone secondo questo schema:

1. Delhi Centro con Darya Ganj, Pahar Ganj, Karol Bagh;

2. Delhi Est con Gandhi Nagar, Preet Vihar, Vivek Vihar (con l’enclave di Vasundhara);

3. Nuova Delhi con Connaught Place, Parliament Street, Chanakya Puri;

4. Delhi Nord con Sadar Bazar, Kotwali, Civil Line;

5. Delhi Sud con Kalkaji, Defence Colony, Hauz Khas;

6. Delhi Nord Est con Seelampur, Shahdara, Seema Puri

7. Delhi Sud Ovest con Vasant Vihar, Vasant Kunj, Najafgarh

8. Delhi Nord Ovest con Saraswati Vihar, Narela, Model Town

9. Delhi Ovest con Patel Nagar, Rajouri Garden, Punjabi Bagh

L’area urbana è percorsa da oltre 6 milioni di veicoli, compresi i trasporti pubblici di superficie e le auto rickshaw a gas, e quella extraurbana da almeno 12 milioni a cui si aggiungono, linee ferroviarie suburbane, una rete metropolitana molto articolata che entro il 2020 dovrebbe superare quella londinese, con una estensione prevista di oltre 400 km e l’Indira Gandhi International Airport, per i voli interni e per quelli internazionali, uno tra gli aeroporti più trafficati del mondo, destinato a raggiungere una capienza di oltre 100 milioni di passeggeri annui.  A causa del forte inquinamento dell’aria tutti i veicoli destinati al trasporto pubblico sono alimentati rigorosamente a gas.

Burocrazia e corruzione

La città offre tutti gli aspetti e le spigolosità di una grande megalopoli e costituisce uno tra i più importanti osservatori di flussi migratori provenienti dalle zone agricole più povere del nord del paese, che lasciano le loro comunità rurali per la drammatica scarsità di acqua che pregiudica i raccolti e mina in modo irreversibile la sopravvivenza di interi clan familiari, spingendo gli individui più giovani verso le grandi città vicine alla ricerca di nuove fonti di sostentamento. Così Delhi continua a crescere e ad ammassare moltitudini di poveri, spesso costretti a vivere in strada o negli slum, piccolissimi rioni urbani, simili a bidonville, in cui vivono ammassati come sardine decine di migliaia di persone, come quello di Calcutta in cui su uno spazio appena tre volte più grande di un campo sportivo si accalcano più di 70000 abitanti. La città, come molte altre è annualmente attraversata, tra luglio e agosto, dai monsoni con forti esondazioni del fiume Yamuna e notevoli disagi e rischi per i quartieri più poveri della città. Anche l’escursione termica, passando da 0 °C, d’inverno, a quasi 50 °C in estate e una percentuale di umidità che arriva tranquillamente al 100%, rende la sopravvivenza molto difficile. L’altissima densità umana odierna ha però radici antiche che risalgono ai lontani imperi medioevali. Fra i più recenti quello di Moghul, di cui ne fù la capitale per oltre due secoli, e alla fine dei quali nel 1911, dopo varie traversie, passò sotto il dominio dei coloni inglesi. Solo nel 1947, quando l’India ottenne l’indipendenza dal dominio britannico divenendo una repubblica, la città venne eletta capitale del paese, sede dell’attuale governo e parlamento indiano. Per gestire la città e i servizi l’amministrazione si avvale di più di 620.000 dipendenti pubblici e 219.000 provenienti dal privato. L’apparato burocratico che ne scaturisce è tra i più corrotti del mondo e per ogni pratica, dalla più semplice alla più complessa il tarriffario extra da pagare è estremamente variegato e calibrato sulla capacità di spesa di ogni singolo interessato. Si paga per qualsiasi cosa e ogni questione è sostanzialmente gestita e arbitrata in maniera indiscriminata. A questo si aggiunge poi una forte repressione che impedisce alle classi più deboli di migliorare la loro condizione, in molti casi di semischiavitù, come nel 1984 quando durante alcuni disordini vennero uccisi 3000 sikh. Ciònonostante Delhi costituisce insieme a Bombay una delle due piazze commerciali più importanti dell’Asia, caratterizzata da un forte trend di crescita occupazionale in costante miglioramento, favorito anche dagli investimenti di società multinazionali che investono sia nel settore dei servizi, sia in quello manifatturiero, contando sulla disponibilità di risorse produttive competenti, a basso costo e con una buona conoscenza della lingua inglese. E nonostante la povertà sia molto diffusa, la struttura urbana offre indubbiamente più benefici di quelli che si potrebbero ottenere in un vilaggio o in una fattoria periferica. Permette alle donne di uscire da un destino di nascita già segnato lasciandole concorrere a un maggior sviluppo delle loro capacità e abilità, offre ai bambini un reale percorso di alfabetizzazione e istruzione e permette a grandi moltitudini di diseredati di rivendicare il loro diritto alla vita.

di Adriana Paolini

leggi anche: La città della gioia di Dominique Lapierre

… ” Trecentomila naufraghi della città del miraggio vivevano come le nostre due famiglie. Gli altri si ammucchiavano nell’intrico delle catapecchie dei suoi tremila Slum. Uno slum non era esattemente una bidonville, semmai una specie di miserabile città operaia abitata unicamente da profughi delle zone rurali. Vi si trovavano riunite tutte le premesse per portare gli ex contadini alla degradazione: sottoccupazione e disoccupazione croniche, salari terribilmente bassi, lavoro inevitabile dei bambini, risparmio impossibile, indebitamento insanabile, beni privati dati in pegno e definitivamente perduti a più o meno breve scadenza; scorte alimentari inesistenti e necessità di acquistare quantità piccolissime: 10 centesimi di sale, 25 centesimi di legna, un fiammifero, un cucchiaio di zucchero; mancanza assoluta di intimità: una sola stanza per dieci dodici persone. Ciò nonostante il miracolo dei ghetti lager era l’accumulo dei fattori catastrofici che vi si trovava, equilibrato da altri fattori che permettevano ai loro abitanti non solo di rimanere pienamente uomini, ma altresì di superarsi e diventare uomini-modello-di-umanità. Nelle bidonville si praticavano l’amore e l’aiuto reciproco, la spartizione con chi era più povero, la tolleranza verso ogni fede o casta, il rispetto per il forestiero, la giusta carità per i mendicanti, gli infermi, i lebbrosi e perfino i pazzi. I deboli venivano aiutati invece di essere annientati, gli orfani immediatamente adottati dai vicini, i vecchi presi a carico e venerati dai figli”.

guarda anche …

http://www.mherrera.org

http://www.urbanrail.net/as/delh/delhi.htm

http://www.prb.org/Articles/2007/delhi.aspx

http://news.bbc.co.uk/2/hi/south_asia/4389563.stm

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Smart City o tirannie digitali: il nostro futuro secondo Carlo Ratti

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Smart City o tirannie digitali: il nostro futuro secondo Carlo Ratti

Pubblicato il 02 maggio 2012 by redazione

carlo ratti

Il 18 Aprile scorso si è tenuto l’incontro di Meet the Media Guru con Carlo Ratti, ingegnere e architetto di eccellenza, conosciuto a livello mondiale per i suoi progetti di miglioramento della vita metropolitana, nonchè insegnante del MIT e direttore del Senseable City Laboratory.

Ratti ha introdotto la conferenza parlando degli effetti della tecnologia sul nostro modo di vivere. Le città sono piene di sensori e di strati digitali, e grazie alla tecnologia l’ambiente sta iniziando a comunicare con noi. Ce lo dimostrano alcuni progetti realizzati dalla sua associazione: uno di questi è la Source Map, ovvero un chip che, installato su un qualsiasi oggetto di scarto ci permette di scoprire che percorso compie, perchè noi sappiamo sempre da dove proviene un oggetto che acquistiamo, ma non abbiamo nessuna informazione su dove esso venga portato una volta che noi decidiamo di sbarazzarcene.

Un altro progetto riguarda la ricezione di informazioni e immagini dal mondo attraverso un dispositivo installato su un portatile che permette di avere informazioni sulle abitudini delle persone; un caso curioso è stato quando uno di questi computer è stato rubato e grazie al dispositivo installato nel programma della fotocamera è stato possibile risalire ai delinquenti che, ignari di questa tecnologia, scattavano fotografie con la webcam.

Grazie alle fotografie e alla loro diffusione in rete, magari su siti come Flicker si possono quindi fare ricerche, per capire le abitudini o le esigenze della popolazione e agire quindi di conseguenza. La Senseable City Laboratory con i suoi studi ha dimostrato che grazie alla rete si può costruire una mappa di dove vengono scattate più fotografie in un determinato luogo, analizzare la vita notturna di Barcellona e scoprire, grazie alle immagini, i posti migliori per festeggiare, o ancora, in base ai colori presenti nelle fotografie, capire quali sono le zone a rischio siccità in Spagna. Questi sono solo alcuni esempi di come una città possa diventare vivente, come possa comunicarci tutto ciò che avviene attorno a noi: consumo di energia, eventi speciali, dove trovare un taxi quando piove o vedere anche i flussi globali di arrivi e partenze aeree.

Molte città stanno aprendo le loro porte alle nuove tecnologie e opportunità delle smart city, prima fra tutte Singapore.

In Francia è nata l’idea di studiare un’applicazione che permetta di capire quanto tempo ci vuole ad attraversare la città con i vari mezzi di trasporto e calcolare anche la quantità di anidride carbonica consumata. Oggi è possibile creare App per Smartphone che possano calcolare queste cose senza bisogno di fornire dati, infatti molti moderni cellulari sono dotati di sensori che permettono di assimilare nozioni dall’esterno: un nuovo modo, quindi, di vivere la città.

Si può portare la tecnologia anche nelle abitazioni: la Senseable City Laboratory ha ideato, tra i suoi vari progetti, una struttura di proiettori che permetta di vedere la tv in ogni angolo della casa.

Recentemente sono stati ideati anche elettrodomestici muniti di chip che ci permettono di controllarli tramite cellulare, consentendoci anche di avere tutte le funzioni necessarie senza bisogno dover leggere manuali di istruzioni, avendo modo di comunicare con i sensori per capire quando il loro lavoro è finito. E’ possibile anche avere informazioni, come ad esempio ricette per cucinare, facendo cosi diventare la preparazione dei pasti un gioco, grazie all’interazione col touchscreen degli smartphone.

Ma esistono tecnologie per rendere la città più sensibile? Più fruibile dagli stessi cittadini? La risposta è sì, ed è un progetto che arriva da Copenaghen: la Copenaghen Wheel.

Si tratta di una bicicletta che si ricarica con le frenate, e che, collegata all’iphone, si mette in contatto con tutta la città, per vedere i livelli di inquinamento, i percorsi consigliati, e perfino per dare un programma fitness personale. Tramite i social network inoltre, è possibile condividere le proprie informazioni, in modo che altri utenti possano usufruirne, per aiutare insieme a migliorare la città.

Ratti conclude dicendo che fino a pochi decenni fa si pensava che la conoscenza fosse l’incasellare e l’archiviare qualsiasi cosa, mentre oggi pian piano tutte le barriere artificiali stanno scomparendo, e che le idee oggi non nascono più dal colpo di genio di una singola persona, bensì sono il frutto dell’unione e del lavoro di più persone per un ideale comune. Come dice lo stesso Ratti

Alla fine dell’incontro sono state poste alcune domande che di seguito riportiamo.

Quanto i cittadini possono diventare protagonisti della riprogettazione della città?

Carlo Ratti. Le possibilità sono molte e ancora da esplorare. Quello che è interessante è questo: negli ultimi vent’anni siamo passati dal mondo fisico al mondo digitale. Oggi invece grazie al potere delle reti possiamo fare il contrario. Un esempio è stata la campagna di Obama, che è partita dalle reti per portare all’elezione reale del presidente.

La prossima frontiera sarà come usare tutto questo per gestire le città, e a New York e Boston ci sono già App che permettono ai cittadini di comunicare eventuali disagi. Arriveremo a città dove le nuove tecnologie permetteranno nuovi metodi di partecipazione.

Riguardo agli elettrodomestici: quanto l’industria è più avanti rispetto alla ricerca teorica in questo campo? Come si può usare la gente, attraverso sensori, per permettere a delle macchine di estrapolare informazioni rispetto alla società? Potremo vedere qualcosa, in un futuro prossimo, di applicazioni di Smart City? A che punto siamo? Il software che viene utilizzato è Processing?

Carlo Ratti. Si, noi utilizziamo Processing in quasi tutti i nostri lavori. Per quanto riguarda le città intelligenti: le nostre città stanno diventando computer all’aria aperta. Raccogliamo un gran numero di dati, le statistiche cambiano, e riceviamo un numero consistente di informazioni. Ciò è una cosa fondamentale ed anche una delle più interessanti da analizzare.

L’innovazione può partire da qualsiasi cosa, sia dall’industria che da noi, nessuna è molto più in vantaggio rispetto all’altra, si può partire da qualsiasi campo.

Come può l’Italia riuscire a competere con Singapore? Cosa si può fare per rendere le SmartCity più concrete?

Carlo Ratti. Ci sono molte iniziative in tutta Europa e anche in Italia. La cosa più importante è non occuparsi di tutto. Al giorno d’oggi ognuno cerca di creare il suo kit per SmartCity e il risultato è che tutti hanno tutto, ma oltre a non essere collegati tra loro non hanno nemmeno abbastanza soldi per permettersi sviluppi. Non serve battere Singapore, bisogna sviluppare cose nuove, non sperimentare qualcosa su cui già altri stanno investendo. Milano sta lavorando, ad esempio, sugli spazi pubblici legati a SmartCity e sul modo di lavorare. Bisogna puntare sulle caratteristiche dei nostri paesi e saperle sfruttare. In Italia non si crede più nelle istituzioni, magari con SmartCiry si può cambiare tutto ciò, per impegnarsi insieme per la città. Perchè non puntare su una forza nostra per poi magari esportarla?

Si parla di SmartCity da anni, ma perchè oggi fanno tendenza? Cos’è cambiato?

Carlo Ratti. Prima c’era un rapporto uomo-macchina, oggi la macchina non c’è più, c’è la rete distribuita nello spazio, c’è un’interazione uomo-tecnologia, quindi è proprio lo spazio a entrare in relazione con le persone, si sta cambiando il modo di pensare le città. La tendenza forse è un entusiasmo collettivo, molte città si stanno impegnando, ma è comunque una cosa molto profonda e destinata a rimanere per molto tempo.

Tutta questa tecnologia non rischia di creare problemi di sicurezza? Il fatto che gruppi come Anonymous siano riusciti a oscurare il sito della casa Bianca o della CIA non rischia di preoccupare tutta questa tecnologia nel quotidiano?

Carlo Ratti. Non riguarda solo la city, ma il mondo che stiamo costruendo. Quando usavamo solo sistemi digitali, come i computer, trovavamo i virus, che per quanti danni facessero non erano pericolosi a livello reale. Quando invece ciò succede in cose fisiche, ad esempio un auto che scambia l’acceleratore col freno, diventa già un problema. Sono tutti rischi che riguardano il mondo di domani e verso i quali ci dobbiamo prevenire tenendo i sistemi più aperti possibili in modo che più occhi possano controllarli.

di Francesca Pich

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