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Himanen Pekka

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Hacker, hacktivisti e cracker: criminali o eroi?

Pubblicato il 24 aprile 2018 by redazione

Eroi fuori dagli schemi: hackers

HackersHacker, criminali informatici, gente senza scrupoli e senza etica. Quante volte i mass media hanno definito questi fantomatici individui in chiave meramente dispregiativa? Eppure, la riprova più recente della loro “utilità sociale” l’abbiamo avuta proprio con il caso Anonymous che tra il 2011 e il 2012 è diventato il difensore di diverse cause sociali: dalle Operazioni Tunisia, Egitto (che hanno portato alle dimissioni di Mubarak) e Darknet (grazie al quale vengono scovati e cancellati dagli hacktivisti centinaia di siti invisibili sui motori di ricerca, denominati hard candy, e consegnati alla polizia i nomi e i dati di accesso di 1500 pedofili) fino, nel 2012, agli attacchi a Enel (contro la costruzione di impianti idroelettrici in Guatemala e nella Patagonia cilena, che causerebbero gravi danni all’ecosistema, nonchè le pratiche adottate dai mercenari con cui sono stati cacciati i popoli della regione ixil), a Equitalia (per la tardiva riscossione delle tasse finalizzata a far maturare gli interessi moratori) e all’Agcom (per assicurare la libertà di Internet), solo per citarne alcuni.

Ebbene, da queste “operazioni” nasce la differenza tra hacker, hacktivisti e cracker.

Gli hacker nascono verso la fine degli anni ’60 e raggiungono il culmine della loro “età dell’oro” tra gli anni ’80 e ’85. Lo spirito originario dell’hacking era costituito da un’urgenza di trasparenza, la volontà di garantire una circolazione illimitata dell’informazione, l’idea del software libero e una sana diffidenza verso tutto ciò che l’Autorità vendeva come la verità, come racconta il professor Ziccardi nel suo saggio Hackers. Ed è a questa corrente che sono legati i white hat, ossia gli hacker che perseguono scopi positivi, o quantomeno informativi.

Segue una seconda fase, che potremmo definire “criminale” ed è qui che si manifesta la figura del cracker, il vero e proprio criminale informatico che sin serve della tecnologia per eludere i blocchi informatici e trarne profitto (basti pensare al recente caso di frodi informatiche e la crescente diffusione del fenomeno del phishing, con il quale si cerca di rubare l’identità di un utente, ottenendone password, informazioni sugli account e dati personali) e si radica sempre più una legislazione di tipo repressivo in tutto il mondo.

E’ tra queste due correnti che si collocano gli hacktivist, veri e propri attivisti che sostituiscono alle tradizionali forme di protesta, strumenti digitali (come il netstrike, un attacco informatico non invasivo che consiste nella moltiplicazione di connessioni contemporanee a un sito con lo scopo di rallentarne o impedirne l’attività) e realizzano operazioni di monitoraggio collaborativo molto semplici, ossia non “estraggono” le informazioni, ma le ricostruiscono ex-novo con tecnologia mobile. Quest’ultimo gruppo agisce spesso ai limiti delle due precedenti categorie: cerca di ispirarsi ai principi etici degli hacker, ma spesso si avvale di metodi poco ortodossi (come il defacciamento di siti, il mailbombing, malware e virus) per perseguire i propri fini. Proprio da quest’ultima connotazione criminogena bisogna partire per valutare l’utilità di questi comportamenti, la ratio che li muove. In una visione, se vogliamo, machiavellica: il fine giustifica i mezzi.

Ebbene, a questo fine bisogna guardare, ai principi etici che muovono questo movimento collettivo.

Himanen Pekka

Lo scrittore Himanen Pekka, autore del libro ‘Etica Hacker’

Himanen Pekka, scrittore e filosofo finlandese, sosterrà che l’etica hacker si fonda sul valore della creatività e del perseguimento della libertà: “Il denaro cessa di essere un valore di per sè e il beneficio si misura in risultati, come il valore sociale e l’accesso libero, la trasparenza e la franchezza.”

Proprio dall’elemento dei risultati e della meritocrazia, parte Pau Contreras Trillo che guarderà agli hacker come configurazioni sociali basate, appunto, sulla meritocrazia e sul concetto di conoscenza come bene comune da redistribuire. La creatività e l’eccellenza morale diventano la norma etica e la curiosità, indipendentemente dai limiti tecnologici o imposti dall’Autorità, spinge verso una continua esplorazione. Un altro elemento dell’opera degli hacker, infatti, è l’esplorazione che li porta a guardare all’Autorità e alla sua burocrazia, come “un sistema difettoso perchè incapace di assecondare l’istinto naturale di esplorazione”…”Il pensiero di base è l’indipendenza tecnica e intellettuale” (cit. Giovanni Ziccardi sempre dal saggio Hackers).

Il Manifesto hacker, scritto da Loyd Blankenship recita: “Noi esploriamo…e ci chiamate criminali… cerchiamo la verità che vorreste negarci, e ci chiamate criminali. Noi esistiamo, senza colore di pelle, nazionalità, credi religiosi, e ci chiamate criminali. Noi non ci tradiamo l’un l’altro (cosa che voi non credo potreste mai capire)… e ci chiamate complici, rete di criminali. Ma sopratutto, noi cerchiamo conoscenza… ed è per questo, diciamoci la verità, che ci chiamate criminali.”…”Noi crediamo fermamente, come una fede, che la verità non possa essere oggetto di restrizioni legali. Se mettete fuorilegge la verità, allora saranno i fuorilegge ad avere la verità. E noi, infatti, siamo criminali.”…”Io sono un Hacker, e questo è il mio manifesto. Potete anche fermare me, ma non potete fermarci tutti… dopo tutto, siamo tutti uguali, no?”.

Poche frasi in grado di rendere meglio di qualsiasi altra costruzione filosofica il vero spirito hacker.

Ed è proprio partendo da qui che affronteremo i casi più eclatanti degli ultimi anni di hactivism, le vicende giudiziarie che li hanno accompagnati e i benefici che la nostra società, seppur inconsciamente, ha avuto da questi fuorilegge o eroi moderni!

di Giulia Pavesi

 

http://www.phrack.org/issues.html?issue=7&id=3&mode=txt

HACKER MANIFESTO by The Mentor


Ne è stato arrestato un’ altro oggi, è su tutti i giornali: “Ragazzo arrestato per crimine informatico”, “Hacker arrestato dopo essersi infiltrato in una banca”…

Dannati ragazzini. Sono tutti uguali.

Ma avete mai, con la vostra psicologia da due soldi e il vostro Tecno-cervello da anni 50, guardato dietro agli occhi dell’Hacker? Non vi siete mai chiesti cosa abbia fatto nascere la sua passione?
Quale forza lo abbia creato, cosa può averlo forgiato?

Io sono un Hacker, entrate nel mio mondo…

Il mio è un mondo che inizia con la scuola… Sono più sveglio di molti altri ragazzi, quello che ci insegnano mi annoia…

Dannato sottosviluppato. Sono tutti uguali.

Io sono alle Junior School, o alle High School.
Ho ascoltato gli insegnanti spiegare per quindici volte come ridurre una frazione, l’ho capito.
“No, Ms. Smith, io non mostro il mio lavoro. E’ tutto nella mia testa…”

Dannato bambino. Probabilmente lo ha copiato. Sono tutti uguali.

Ho fatto una scoperta oggi. Ho trovato un computer. Aspetta un momento, questo è incredibile!
Fa esattamente quello che voglio. Se commetto un errore, è perchè io ho sbagliato, non perchè io non gli piaccio… O perchè si senta minacciato da me… O perchè pensi che io sia un coglione… O perchè non gli piace insegnare e vorrebbe essere da un’altra parte…

Dannato bambino. Tutto quello che fa è giocare. Sono tutti uguali.

Poi è successa una cosa… una porta si è aperta su un mondo… correndo attraverso le linee telefoniche come l’eroina nelle vene di un tossicomane, un impulso elettronico è stato spedito, un rifugio dagli incompetenti di ogni giorno è stato trovato, una tastiera è stata scoperta. “Questo è il luogo a cui appartengo…”

Io conosco tutti qui… non ci siamo mai incontrati, non abbiamo mai parlato faccia a faccia , non ho mai ascoltato le loro voci… però conosco tutti.
Dannato bambino.
Si è allacciato nuovamente alla linea telefonica.

Sono tutti uguali.

Ci potete scommettere il culo che siamo tutti uguali… noi siamo stati nutriti con cibo da bambini alla scuola mentre bravamamo una bistecca… i pezzi di cibo che ci avete dato erano già stati masticati e senza sapore. Noi siamo stati dominati da sadici e ignoranti, dagli indifferenti.

I pochi che avevano qualcosa da insegnarci trovavano in noi volenterosi allievi, ma queste persone sono come goccie d’acqua nel deserto. Ora è questo il nostro mondo… il mondo dell’elettrone e dello switch, la bellezza del baud.

Noi facciamo uso di un servizio già esistente che non costerebbe nulla se non fosse controllato da approfittatori ingordi, e voi ci chiamate criminali.

Noi esploriamo… e ci chiamate criminali. Noi cerchiamo conoscenza… e ci chiamate criminali. Noi esistiamo senza colore di pelle, nazionalità, credi religiosi e ci chiamate criminali. Voi costruite bombe atomiche, finanziate guerre, uccidete, ingannate e mentite e cercate di farci credere che lo fate per il nostro bene, e poi siamo noi i criminali.

Si, io sono un criminale.
Il mio crimine è la mia curiosità.
Il mio crimine è quello che i giurati pensano e sanno non quello che guardano. Il mio crimine è quello di scovare qualche vostro segreto, qualcosa che non vi farà mai dimenticare il mio nome.

Io sono un Hacker e questo è il mio manifesto.
Potete anche fermare me, ma non potete fermarci tutti…
Dopo tutto, “Siamo tutti uguali”.

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Smart City o tirannie digitali: il nostro futuro secondo Carlo Ratti

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Smart City o tirannie digitali: il nostro futuro secondo Carlo Ratti

Pubblicato il 02 maggio 2012 by redazione

carlo ratti

Il 18 Aprile scorso si è tenuto l’incontro di Meet the Media Guru con Carlo Ratti, ingegnere e architetto di eccellenza, conosciuto a livello mondiale per i suoi progetti di miglioramento della vita metropolitana, nonchè insegnante del MIT e direttore del Senseable City Laboratory.

Ratti ha introdotto la conferenza parlando degli effetti della tecnologia sul nostro modo di vivere. Le città sono piene di sensori e di strati digitali, e grazie alla tecnologia l’ambiente sta iniziando a comunicare con noi. Ce lo dimostrano alcuni progetti realizzati dalla sua associazione: uno di questi è la Source Map, ovvero un chip che, installato su un qualsiasi oggetto di scarto ci permette di scoprire che percorso compie, perchè noi sappiamo sempre da dove proviene un oggetto che acquistiamo, ma non abbiamo nessuna informazione su dove esso venga portato una volta che noi decidiamo di sbarazzarcene.

Un altro progetto riguarda la ricezione di informazioni e immagini dal mondo attraverso un dispositivo installato su un portatile che permette di avere informazioni sulle abitudini delle persone; un caso curioso è stato quando uno di questi computer è stato rubato e grazie al dispositivo installato nel programma della fotocamera è stato possibile risalire ai delinquenti che, ignari di questa tecnologia, scattavano fotografie con la webcam.

Grazie alle fotografie e alla loro diffusione in rete, magari su siti come Flicker si possono quindi fare ricerche, per capire le abitudini o le esigenze della popolazione e agire quindi di conseguenza. La Senseable City Laboratory con i suoi studi ha dimostrato che grazie alla rete si può costruire una mappa di dove vengono scattate più fotografie in un determinato luogo, analizzare la vita notturna di Barcellona e scoprire, grazie alle immagini, i posti migliori per festeggiare, o ancora, in base ai colori presenti nelle fotografie, capire quali sono le zone a rischio siccità in Spagna. Questi sono solo alcuni esempi di come una città possa diventare vivente, come possa comunicarci tutto ciò che avviene attorno a noi: consumo di energia, eventi speciali, dove trovare un taxi quando piove o vedere anche i flussi globali di arrivi e partenze aeree.

Molte città stanno aprendo le loro porte alle nuove tecnologie e opportunità delle smart city, prima fra tutte Singapore.

In Francia è nata l’idea di studiare un’applicazione che permetta di capire quanto tempo ci vuole ad attraversare la città con i vari mezzi di trasporto e calcolare anche la quantità di anidride carbonica consumata. Oggi è possibile creare App per Smartphone che possano calcolare queste cose senza bisogno di fornire dati, infatti molti moderni cellulari sono dotati di sensori che permettono di assimilare nozioni dall’esterno: un nuovo modo, quindi, di vivere la città.

Si può portare la tecnologia anche nelle abitazioni: la Senseable City Laboratory ha ideato, tra i suoi vari progetti, una struttura di proiettori che permetta di vedere la tv in ogni angolo della casa.

Recentemente sono stati ideati anche elettrodomestici muniti di chip che ci permettono di controllarli tramite cellulare, consentendoci anche di avere tutte le funzioni necessarie senza bisogno dover leggere manuali di istruzioni, avendo modo di comunicare con i sensori per capire quando il loro lavoro è finito. E’ possibile anche avere informazioni, come ad esempio ricette per cucinare, facendo cosi diventare la preparazione dei pasti un gioco, grazie all’interazione col touchscreen degli smartphone.

Ma esistono tecnologie per rendere la città più sensibile? Più fruibile dagli stessi cittadini? La risposta è sì, ed è un progetto che arriva da Copenaghen: la Copenaghen Wheel.

Si tratta di una bicicletta che si ricarica con le frenate, e che, collegata all’iphone, si mette in contatto con tutta la città, per vedere i livelli di inquinamento, i percorsi consigliati, e perfino per dare un programma fitness personale. Tramite i social network inoltre, è possibile condividere le proprie informazioni, in modo che altri utenti possano usufruirne, per aiutare insieme a migliorare la città.

Ratti conclude dicendo che fino a pochi decenni fa si pensava che la conoscenza fosse l’incasellare e l’archiviare qualsiasi cosa, mentre oggi pian piano tutte le barriere artificiali stanno scomparendo, e che le idee oggi non nascono più dal colpo di genio di una singola persona, bensì sono il frutto dell’unione e del lavoro di più persone per un ideale comune. Come dice lo stesso Ratti

Alla fine dell’incontro sono state poste alcune domande che di seguito riportiamo.

Quanto i cittadini possono diventare protagonisti della riprogettazione della città?

Carlo Ratti. Le possibilità sono molte e ancora da esplorare. Quello che è interessante è questo: negli ultimi vent’anni siamo passati dal mondo fisico al mondo digitale. Oggi invece grazie al potere delle reti possiamo fare il contrario. Un esempio è stata la campagna di Obama, che è partita dalle reti per portare all’elezione reale del presidente.

La prossima frontiera sarà come usare tutto questo per gestire le città, e a New York e Boston ci sono già App che permettono ai cittadini di comunicare eventuali disagi. Arriveremo a città dove le nuove tecnologie permetteranno nuovi metodi di partecipazione.

Riguardo agli elettrodomestici: quanto l’industria è più avanti rispetto alla ricerca teorica in questo campo? Come si può usare la gente, attraverso sensori, per permettere a delle macchine di estrapolare informazioni rispetto alla società? Potremo vedere qualcosa, in un futuro prossimo, di applicazioni di Smart City? A che punto siamo? Il software che viene utilizzato è Processing?

Carlo Ratti. Si, noi utilizziamo Processing in quasi tutti i nostri lavori. Per quanto riguarda le città intelligenti: le nostre città stanno diventando computer all’aria aperta. Raccogliamo un gran numero di dati, le statistiche cambiano, e riceviamo un numero consistente di informazioni. Ciò è una cosa fondamentale ed anche una delle più interessanti da analizzare.

L’innovazione può partire da qualsiasi cosa, sia dall’industria che da noi, nessuna è molto più in vantaggio rispetto all’altra, si può partire da qualsiasi campo.

Come può l’Italia riuscire a competere con Singapore? Cosa si può fare per rendere le SmartCity più concrete?

Carlo Ratti. Ci sono molte iniziative in tutta Europa e anche in Italia. La cosa più importante è non occuparsi di tutto. Al giorno d’oggi ognuno cerca di creare il suo kit per SmartCity e il risultato è che tutti hanno tutto, ma oltre a non essere collegati tra loro non hanno nemmeno abbastanza soldi per permettersi sviluppi. Non serve battere Singapore, bisogna sviluppare cose nuove, non sperimentare qualcosa su cui già altri stanno investendo. Milano sta lavorando, ad esempio, sugli spazi pubblici legati a SmartCity e sul modo di lavorare. Bisogna puntare sulle caratteristiche dei nostri paesi e saperle sfruttare. In Italia non si crede più nelle istituzioni, magari con SmartCiry si può cambiare tutto ciò, per impegnarsi insieme per la città. Perchè non puntare su una forza nostra per poi magari esportarla?

Si parla di SmartCity da anni, ma perchè oggi fanno tendenza? Cos’è cambiato?

Carlo Ratti. Prima c’era un rapporto uomo-macchina, oggi la macchina non c’è più, c’è la rete distribuita nello spazio, c’è un’interazione uomo-tecnologia, quindi è proprio lo spazio a entrare in relazione con le persone, si sta cambiando il modo di pensare le città. La tendenza forse è un entusiasmo collettivo, molte città si stanno impegnando, ma è comunque una cosa molto profonda e destinata a rimanere per molto tempo.

Tutta questa tecnologia non rischia di creare problemi di sicurezza? Il fatto che gruppi come Anonymous siano riusciti a oscurare il sito della casa Bianca o della CIA non rischia di preoccupare tutta questa tecnologia nel quotidiano?

Carlo Ratti. Non riguarda solo la city, ma il mondo che stiamo costruendo. Quando usavamo solo sistemi digitali, come i computer, trovavamo i virus, che per quanti danni facessero non erano pericolosi a livello reale. Quando invece ciò succede in cose fisiche, ad esempio un auto che scambia l’acceleratore col freno, diventa già un problema. Sono tutti rischi che riguardano il mondo di domani e verso i quali ci dobbiamo prevenire tenendo i sistemi più aperti possibili in modo che più occhi possano controllarli.

di Francesca Pich

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