Categoria | Politica-Economia

Microcredito ai rifugiati

Pubblicato il 27 ottobre 2014 da redazione

campo UNHCR

Il microfinanziamento nasce negli anni ’50, quando governi e donatori cominciano a prestare denaro a coltivatori e fattori per la gestione della propria attività, al fine di aumentarne la produttività e i guadagni. A partire dagli anni ’80, il modello si estende a un target diverso, con la Grameen Bank, in Bangladesh (http://www.massacritica.eu/muhammad-yunus-e-microcredito-un-modello-forse-in-crisi/3942/ e http://www.massacritica.eu/noi-creiamo-quello-che-vogliamo/3724/) e con la Self-employed Women’s Association, in India: le utenti sono donne di piccoli villaggi rurali, delle quali vengono finanziate piccole attività imprenditoriali, per lo più artigianali.

Il progetto funziona e via via comincia ad espandersi a macchia d’olio, determinando la nascita di diverse istituzioni, nazionali e sovranazionali, specializzate nel microfinanziamento (le MFI), al punto che le Nazioni Unite definiscono il 2005 “l’anno del microcredito”, riconoscendo il successo del microfinanziamento nella riduzione della povertà, nel rafforzamento del ruolo della donna e nello sviluppo umano e sociale.

 

UNHCR e finanziamenti Pro-Poor: recuperare la propria dignità

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Negli anni ’90, anche la UNHCR (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati) rafforza il suo coinvolgimento nelle operazioni di microcredito. In un primo momento solo nelle Americhe e nei Balcani, in seguito, dal 2000 (e in particolare nel 2008), vengono incrementate del 70% le iniziative di sviluppo di propri mezzi di sostentamento.

La ragione del rafforzamento di questi progetti risiede nella presa di consapevolezza da parte della UNHCR che il protrarsi di situazioni “temporanee” porta i rifugiati a vivere in uno stato di limbo, poiché da un lato impossibilitati ad accedere a situazioni durevoli e definitive, dall’altro vincolati a vivere unicamente per mezzo di assistenza esterna. Gli interventi di microfinanziamento vengono concepiti, pertanto, come un supporto all’autosostentamento di rifugiati, returnees e IDPs.

Nella Guida all’autosostentamento della UNHCR, il microfinanziamento viene definito come: “fornire servizi finanziari in modo sostenibile a piccoli imprenditori o altri individui con redditi bassi, i quali non abbiano accesso a servizi finanziari commerciali”.

Con questa definizione l’UNHCR, mette in luce anche l’approccio pro-poor dell’agenzia (quello tipico delle organizzazioni non governative), incentrato più sulla quantità di clienti cui rivolgersi, che non sulla qualità (e quindi sulla solvibilità di questi).

 

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Per questo, un approccio estremamente rischioso da un punto di vista finanziario, sotto diversi profili:
– in zone di conflitto, il più delle volte le economie sono instabili e i governi deboli;
– gli istituti di microfinanziamento locali sono spesso poco organizzati o non sufficientemente qualificati dal punto di vista della gestione imprenditoriale;
– circostanze indipendenti dal cliente (epidemie, disastri naturali, etc.), possono rendere la restituzione del debito estremamente onerosa;
– il carattere di temporaneità dello status di rifugiato si riflette anche nella mobilità del rifugiato e quindi nel rischio che questi possa ripartire verso il suo Paese d’origine senza ripagare il debito;
– in una cultura dei servizi gratuiti, come quella che si crea nei campi profughi, vi è il rischio di sfruttamento del sistema;
– spesso, proprio perché non viene individuato un target di riferimento in base all’imprenditorialità del cliente (come accade, ad esempio, nella Grameen Bank), vi è il rischio di una cattiva gestione del finanziamento e della conseguente infruttuosità dell’attività economica;
– senza contare che i rifugiati sono spesso isolati dalla popolazione ospitante e il più delle volte confinati ad operare nell’area destinatagli o all’interno del campo (il che incide negativamente sull’avviamento dell’attività imprenditoriale).

Per questo, nel 2000 la UNHCR e l’ILO cominciarono a cooperare con programmi di formazione degli operatori, guidelines in continuo aggiornamento e dal 2002 la redazione congiunta di una serie di manuali interni (Introduction to Microfinance in Conflict-Affected Communities; Guidelines on Initiating, Developing, Implementing and Evaluating Microfinance Programmes; Handbook for Self-Reliance).

Un approccio, quindi, che dovrà essere valutato da un punto di vista “umanitario”, dove il microfinanziamento è finalizzato ad avere un impatto sociale, diretto all’assistenza delle categorie più vulnerabili, e che richiede un continuo flusso di risorse dall’esterno, diverso da altri approcci più commerciali, dove l’obiettivo principale sono l’autosufficienza dell’operazione e l’indipendenza da fonti esterne.

Eppure, nonostante alcuni insuccessi, il progetto ha dimostrato di funzionare

 

Come funziona? 

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I progetti di microfinanziamento della UNHCR nascono da una collaborazione dell’Agenzia con l’Organizzazione Mondiale del Lavoro (ILO) al Social Finance Programme (SFP). Come riportato nella Guida Pratica per gli operatori, gli obiettivi del programma sono: “aumentare la capacità di coloro che prendono decisioni politiche, partner sociali, organizzazioni del settore privato e istituti finanziari, nello sviluppo e rafforzamento di politiche e attività volte ad aumentare l’accesso agli strumenti finanziari, in un’ottica di giustizia sociale”.

Lo scopo della UNHCR  è, quindi, quello di creare soluzioni durevoli per i rifugiati, sottolineando come i rifugiati che sviluppano interazioni socio-economiche abbiano più possibilità di diventare autosufficienti e di ricostruire le proprie società in modo sostenibile una volta integrati, ricollocati in un terzo Paese o ricollocati nel proprio Paese d’origine. La caratteristica principale, nonché il principio guida del programma è che questo debba essere a lungo termine, perché ne possa essere garantita la sostenibilità, e che vada inserito in una più ampia strategia di supporto all’auto-sostentamento di queste comunità, che pur avendo come modello la prassi internazionale, si adatti alle realtà locali. Gli obiettivi dei programmi di auto-sostentamento, in cui il microfinanziamento va ad incastonarsi, sono: la fornitura, la protezione e la promozione di mezzi di sussistenza da parte dell’Agenzia. A questo punto, ogni progetto deve adattarsi al contesto sociale in cui viene sviluppato:

– ogni intervento deve rispondere alle esigenze del singolo utente, proprio perché la popolazione dei rifugiati non costituisce mai un gruppo omogeneo;

– la UNHCR deve sostenere fortemente ogni progetto, in modo da renderne effettiva l’operatività sul territorio (garantendo quindi il diritto al lavoro, i servizi essenziali per la gestione dell’attività, gli eventuali permessi);

– la UNHCR ha un ruolo essenziale nella selezione dei partner finanziari;

– essendo generalmente un progetto a lungo termine, l’Agenzia deve costantemente adattare la strategia ai continui cambiamenti locali.

In particolare, per quanto riguarda il microfinanziamento, questo può essere di due tipi: a breve termine, dando direttamente supporto finanziario all’utente con una sovvenzione in denaro, e a medio o lungo termine, dove i progetti di microcredito sono diretti, invece, ad agevolare e promuovere l’accesso a servizi offerti dagli istituti finanziari (libretti di risparmio, credito bancario, transazioni, micro-assicurazioni).

I possibili benefici dell’operazione sono diversi: non solo il più ovvio, ossia l’aumento del reddito famigliare e l’autosostentamento economico, ma anche risorse di credito per aiutare i rifugiati a pianificare ed espandere la propria attività economica. Inoltre, l’accesso a prodotti finanziari diversificati aiuterebbe anche i rifugiati classificati come più rischiosi (in termini di solvibilità), a sviluppare una miglior gestione delle proprie entrate. Non solo! Il progetto sortirebbe notevoli benefici anche in un’ottica di integrazione con le comunità locali, poiché i rifugiati diventerebbero parti attive nell’economia nazionale, si svilupperebbero diverse opportunità di lavoro, aumenterebbero i finanziamenti ai servizi sociali, si rafforzerebbe il ruolo sociale della donna, migliorerebbero le capacità di management dei rifugiati, verrebbe promossa la tutela della dignità di ogni uomo.

 

Il ciclo del microfinanziamento

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Il ciclo si compone di cinque fasi e persegue essenzialmente due obiettivi: selezionare il giusto target di clienti e selezionare gli istituiti di microcredito adatti.

1. La prima fase di Assessment serve a valutare le opportunità che il mercato in esame offre e quindi accertare se esistano le condizioni per il microfinanziamento. Le condizioni essenziali che andranno accertate saranno: una politica relativamente stabile (principi di legge basilari e un sistema giudiziario funzionante), un’economia basata sulla circolazione materiale del denaro, una società relativamente stabile (con una prognosi di stabilità dai 12 ai 18 mesi), richieste di accesso al microfinanziamento, l’esistenza di istituti di microfinanziamento (MFI). In aggiunta, sarebbe importante che i programmi non fossero affiancati da organizzazioni umanitarie, specialmente quelle conosciute dalla popolazione, poiché verrebbe a crearsi una confusione generale tra l’aiuto e l’assistenza allo sviluppo. Il target dei clienti sono i rifugiati, che generalmente non differiscono molto dalla clientela standard dei programmi di microfinanziamento. Addirittura, spesso i rifugiati possono avere qualche competenza professionale in più, ad esempio per la professione che esercitavano nel proprio Paese d’origine.  Inoltre, l’approccio della UNHCR è stato spesso criticato dall’industria del microcredito, poiché mentre da un lato questa tende a orientarsi solo verso gli economically active poor, ossia i poveri che possiedono le qualità “imprenditoriali” per trasformare il prestito ricevuto, la UNCHR si concentra sui “più vulnerabili”.

2. La seconda fase riguarda il Project design, ossia le tipologie di intervento che la UNHCR può mettere a punto per aiutare ad ampliare l’accesso ai servizi finanziari. L’intervento può essere di due tipi:

– indiretto: dove la UNHCR supporta il settore attraverso un impegno di advocacy o networking;

– diretto: applicato specialmente nei mercati meno stabili (per esempio, zone di conflitto), in cui potrebbero esserci istituti che seppur preparati, mancano di capitale o esperti necessari per allargare il target della loro clientela.  Prevede il supporto finanziario agli istituti di microcredito e può avvenire in tre soluzioni: contribuendo direttamente sul capitale, migliorando le capacità dell’istituto o entrambi.

Denominatore comune a entrambe le modalità, dovrebbe essere un solido istituto locale di microcredito, interessato al progetto e con le capacità di procurare servizi finanziari alla clientela. Inoltre, il progetto dovrebbe seguire gli standard tecnici mondiali, come definiti nel Minimum Standards for Economy Recovery After Crisis (SEEP 2010).

3. La terza fase consiste nella selezione della Fund Management Agency. Con questa, la UNHCR andrà a firmare un accordo, di trasferimento della proprietà dei fondi, in caso di finanziamento diretto, oppure un accordo con la fissazione degli obiettivi e dei principi guida, in caso di finanziamento indiretto.

4. e 5. La terza e quarta fase, infine, consistono rispettivamente nel Performance Monitoring, per cui l’istituto/ partner dovrà costantemente tenere aggiornata la UNHCR sull’andamento del programma con report finanziari e sociali, nonché sulle tappe progressivamente raggiunte; e nell’Evaluation and Audits, ossia un’analisi complessiva dell’incidenza del progetto.

 di Giulia Pavesi

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