Categoria | Politica-Economia

Margaret Thatcher: Lady di ferro – seconda parte.

Pubblicato il 16 settembre 2013 da redazione

1983 – 1987, il secondo mandato:  la guerra ai sindacati e l’affermazione del neoliberismo

Nel giugno 1982 Margaret Thatcher aveva stupito al contempo i suoi concittadini britannici e l’opinione pubblica del mondo intero: nei 4 anni  del suo primo mandato come Primo Ministro d’Inghilterra aveva iniziato una politica di riforme economiche liberali, nemiche dell’intervento statale in economia, aumentato le tasse e alzato il costo del danaro, nonostante le critiche di molti influenti economisti.

Negli anni seguenti le cure da cavallo avrebbero sortito gli effetti sperati su una economia moribonda, ma durante il primo governo Thatcher il fallimento di migliaia di imprese, i tagli alla spesa sociale, all’edilizia popolare, ai sussidi di disoccupazione (a fronte di tre milioni di persone senza lavoro a inizio 1982) erano pesi tali da far ritenere quantomeno improbabile un nuovo successo suo e del Partito Conservatore alle imminenti elezioni politiche del 1983.

Eppure aveva sfruttato al meglio una crisi internazionale incredibile e inaspettata come quella delle Isole Falkland, ancora una volta puntando sulla sua determinazione e non esitando a combattere una guerra difficile, a migliaia di chilometri dalla homeland, con le forze armate demoralizzate dai tagli al bilancio.

Una scommessa che le guadagnò da un lato la fama di insensibile guerrafondaia, ma che dall’altro restituì ai sudditi britannici l’orgoglio del proprio passato, la fiducia  che l’Inghilterra era pronta a difendere i propri cittadini ed i propri interessi ovunque e comunque. Fu questo decisionismo che ruppe l’impasse in cui si trovava il paese, bloccato in una rete di veti e compromessi reciproci tra le parti sociali, che negli ultimi 20 anni l’avevano condannato a una lenta recessione economica e civile: inaspettatamente la sua figura solenne, la sua forza di volontà conquistarono l’elettorato, per cui le elezioni del 9 giugno 1983 sancirono il più inaspettato dei successi,almeno per l’opinione pubblica estera.

La Thatcher, forte dei sondaggi dopo la vittoria militare nel Sud Atlantico, chiese alla regina di sciogliere le camere e anticipare le elezioni di quasi un anno, come consente la legge elettorale inglese. Il Partito conservatore ottenne ben 144 seggi in più delle precedenti elezioni del 1979, triplicando il numero dei suoi rappresentanti alla Camera dei Comuni. Ma il successo che diede la maggioranza assoluta alla Thatcher e ai “Tories” era anche dovuto alla rottura dell’alleanza fra partito Laburista e partito Socialdemocratico, che se si fossero presentati uniti, avrebbero strappato la vittoria ai Conservatori… il primo segno di una forte polarizzazione e divisione nel popolo inglese.

“Four more years”.

Con questo grido, “ancora altri 4 anni”, i giovani militanti Conservatori prima si erano fatti sentire alle conventions del partito, al cui interno alcune correnti avrebbero ben volentieri messo da parte l’intransigente primo ministro, poi durante l’intensa campagna elettorale in tutto il paese. Fino alla vittoria finale.

Ora l’aspettava la vera sfida: fino ad allora il cosiddetto Thatcherismo, cioè l’insieme delle idee e degli orientamenti professati da Margaret Thatcher  che conquistarono il  partito, erano rimasti per lo più tali, cioè idee, orientamenti, propositi, nonostante le prime decise azioni in campo economico. Era giunto il momento di tradurre in progetti e azioni di governo tutti questi principi. Fino a quel momento l’Inghilterra aveva costruito un mirabile sistema di istituzioni e rapporti sociali che aveva garantito una buona stabilità interna e un welfare da cui tutte le componenti della società potevano sentirsi protetti. Ma il prezzo negli anni era stato un crescente immobilismo, la tendenza a opporsi a qualsiasi cambiamento, anche necessario, che toccasse i diritti acquisiti.

E il primo banco di prova per la ricetta Thatcher inevitabilmente fu l’industria pesante, metallurgica e carbonifera. Paradossalmente, la Gran Bretagna era un laboratorio di ciò che sarebbe potuto succedere nelle altre nazioni in cui si era seguito il modello di  sviluppo keynesiano.

Già nel primo mandato, di scioperi nelle grandi miniere di carbone e nelle acciaierie se ne erano avuti a volontà, in un periodo in cui le Trade Unions, i primi sindacati organizzati della storia industriale, avevano assunto un potere decisionale diretto nella pianificazione economica.

Nella foto di Don Mcphee,  il minatore George Brealey prende in giro una  fila di poliziotti portando un elmetto giocattolo, simile a quello dei “Bobby” inglesi.

Uno dei tanti scontri avvenuti fra minatori e polizia britannica nello sciopero del 1984-85.

E l’uso dello sciopero era inflazionato, utilizzato i più futili motivi, come già avveniva i molte altre nazioni europee, Italia compresa. Da mezzo di rivendicazione di diritti e giustizia sociale era stato snaturato in strumento politico. Ma l’obbiettivo della Thatcher guardava anche ai grandi spazi economici in cui le imprese partecipate dallo stato avevano di fatto il quasi monopolio.

Escluse le poste, le mitiche Royal Mail, (da sempre un ente efficiente) e le ferrovie, i programmi di privatizzazione e dismissione riguardarono praticamente tutte le parti della vita economica inglese. Contemporaneamente, la sua azione di detassazione e liberalizzazione rese più facile il movimento di capitali, il mercato finanziario, creando i presupposti per la crescita della borsa di Londra quale crocevia non solo per scambi e investimenti nelle attività del Regno unito, ma di tutto il mondo. La finanza come nuovo motore dell’economia, al posto delle grandi industrie, capace di indirizzare risorse laddove vi fossero settori economici da sviluppare. Tra gli economisti, gli storici e gli studiosi di politica le opinioni  su questo punto talvolta sono divergenti.

Ian McGregor

Se da un lato nessuno dubita che l’azione di cambiamento profondo fosse necessaria, è l’atteggiamento intransigente, il rifiuto di concordare la velocità e la portata degli interventi, lo schiacciare qualsiasi avversario si opponesse sono il discrimine per comprendere l’odio profondo e duraturo che peserà non solo sul giudizio umano ma anche su quello politico. Avrebbe potuto vincere e invece volle stravincere, convinta per educazione e carattere che non ci fosse altro modo di procedere che a tutta velocità, sempre. Senza badare alle sofferenze che questo avrebbe causato. Quando all’inizio del 1984  il manager del NCB, l’ente nazionale del carbone, Ian McGregor rese pubblico il programma di chiusura di 20 miniere di carbone su 176 in attività, con la sicura perdita di oltre 20.000 posti di lavoro in regioni dove la fonte quasi unica di reddito era l’estrazione, tutti ebbero chiaro che era iniziata la sfida più importante, con cui la Thatcher si stava giocando il tutto per tutto.

Per i fatti di quegli anni Margaret Thatcher non fu la sola ad essere odiata a vita: questa scritta ingiuriosa contro Ian McGregor, manager della compagnia mineraria statale, apparve sul muro di una città mineraria inglese nel 1998, anno della sua morte.

Per i fatti di quegli anni Margaret Thatcher non fu la sola ad essere odiata a vita: questa scritta ingiuriosa contro Ian McGregor, manager della compagnia mineraria statale, apparve sul muro di una città mineraria inglese nel 1998, anno della sua morte.

Già la riforma del settore siderurgico tra il 1980 e il 1982 era costata oltre 100.000 posti di lavoro, i lavoratori del pubblico impiego avevano visto tagliare le libertà e diritti sindacali guadagnati con anni di sacrifici, con umilianti sconfitte e ridimensionamenti dei rispettivi sindacati.

Un programma di lacrime e sangue, che venne ovviamente rifiutato dal NUM, il National Union of Miners, sindacato tra i più grandi ed organizzati d’Inghilterra: sul carbone si era fondato lo sviluppo della rivoluzione industriale e la fortuna dell’economia inglese, perché per decenni fu merce di scambio anche con l’estero. Quando dopo la fine della seconda guerra mondiale l’Inghilterra si trovò esausta e devastata, fu il carbone a riportare nelle casse dello stato i soldi disperatamente necessari a dar da mangiare agli inglesi.

Ad alimentare il risentimento fu anche il senso di tradimento, di ingratitudine verso i sacrifici di una vita grama e pericolosa vissuta da intere generazioni di minatori gallesi ed inglesi. Già nel 1981 la Thatcher aveva provato sull’onda dei successi contro altre organizzazioni sindacali a varare un programma di ridimensionamento delle miniere scozzesi, ma senza esito.

La Thatcher aveva imparato la lezione, aveva deciso di frenare l’azione del governo, aspettando il momento giusto per concentrare la sua offensiva su un solo obbiettivo. La posta in gioco era alta: per la politica energetica nazionale l’obbiettivo era razionalizzare i siti produttivi, concentrare gli investimenti su quelli più grandi ed efficienti, per poi attirare le industrie del petrolio, con i loro enormi capitali e farle entrare nella loro gestione. Questo avrebbe portato proventi alle casse pubbliche rendendo il paese meno dipendente dai produttori di petrolio.

Arthur Scargill

Erano gli anni della crisi petrolifera infatti, causata soprattutto dall’azione di cartello dell’OPEC, l’organizzazione dei paesi produttori di petrolio, che aveva incominciato a controllare la quantità e quindi il prezzo del greggio prodotto. Assieme a questa privatizzazione, la Thatcher spinse per un ulteriore sviluppo del settore nucleare. Sul lato della lotta politica, sconfiggere i sindacati avrebbe voluto dire piegare e mettere in crisi la stessa opposizione laburista, tra le cui fila in parlamento sedevano molti politici provenienti dal mondo sindacale, specialmente dall’unione dei sindacati di sinistra (TUC). La linea dei “Labour” da tempo era legata a doppio filo a quella dei sindacati, anche perché buona parte dei militanti e dei voti del partito oramai venivano da quella base. Un grande vantaggio e al contempo una grande debolezza, che non era sfuggito al fiuto politico del primo ministro. Infatti, in quel momento storico il nuovo leader dei laburisti in parlamento è Neil Kinnock, che appartiene a una corrente più moderata e meno vicina all’estremismo dei ceti proletari. Quando Arthur Scargill, leader del sindacato dei minatori, il 14 marzo 1984 dichiara che la maggioranza degli aderenti al sindacato hanno votato per lo sciopero generale, iniziò una battaglia da cui emerse un’Inghilterra ben diversa.

Immagine 3. il leader del NUM Arthur Scargill

Al centro della foto, Arthur Scargill, leader del sindacato dei minatori NUM, tra i lavoratori durante il grande sciopero del 1984.

51 settimane in cui i minatori presidiarono le miniere ed organizzarono la solidarietà con i colleghi che man mano aderivano allo sciopero. Le donne dei minatori costituirono dei comitati per aiutare le famiglie dei lavoratori in difficoltà e non di rado sostituirono gli uomini nelle manifestazioni di piazza contro il governo. L’11 agosto 1984 ben 30.000 donne provenienti da tutte le aree carbonifere invasero Londra per un corteo a sostegno dei loro uomini in sciopero.

Scontri con la polizia ed arresti di massa diventarono la quotidianità, fatti che le televisioni e i giornali di tutto il mondo coprivano con la stessa intensità che avevano dedicato al conflitto nelle Falkland.

La NCB e le proprietà delle miniere private reagirono con ben 710 licenziamenti in tronco, in buona parte iscritti al sindacato, con l’accusa di danneggiamento agli impianti e altre azioni penalmente rilevanti. Questa fu possibile perché la Thatcher era riuscita, dopo una lunga battaglia in parlamento e in seno al partito Conservatore stesso, a far promulgare una legge che limitava fortemente i comportamenti consentiti agli scioperanti, nonché allargò i poteri degli organi giudiziari e delle forze di polizia, già approvati dai  governi precedenti per la lotta al terrorismo dell’I.R.A. e che aveva provocato gravi critiche, anche da parte dell’opinione pubblica estera.

Paradossalmente, nel paese che si era fatto patria dei diritti individuali e delle libertà di espressione, la polizia e la magistratura furono in grado di entrare nelle sedi sindacali, così come nelle case dei minatori, sequestrare fondi e materiali dei sindacati ed arrestare i militanti sulla base di generiche accuse di appoggio a movimenti violenti o intralcio alla circolazione.  Difatti, una delle armi più efficaci del sindacato erano i picchetti volanti, che attraversavano il paese per andare ad impedire a lavoratori crumiri  di entrare nelle miniere oppure ai carichi  già pronti per la consegna di esser trasportati a destinazione. Tra l’altro i minatori poterono contare sulla solidarietà dei sindacati dei ferrovieri e dei marittimi, che impedirono non solo l’esportazione del carbone, ma anche l’approvvigionamento dall’estero, tanto che, paradosso dei paradossi, il governo inglese trattò la fornitura di carbone oltre la cortina di ferro col generale Jaruzelskj, all’epoca presidente della Polonia filosovietica.

La “battaglia di Orgreave”

Il comportamento autoritario ed illiberale del governo inglese fu duramente stigmatizzato a livello internazionale. Tra le reazioni più vivaci vi furono quelle proprio del sindacato metalmeccanico polacco Solidarnosc, che in quel momento lottava duramente per la libertà di espressione contro il governo comunista e che era stato costretto alla clandestinità. La scarsità di carbone tra l’altro vanificò l’appoggio del sindacato elettrico al governo, in quanto ancora buona parte delle centrali dipendeva ancora dal carbone. E i lavoratori delle acciaierie, con la scusa della scarsità di carbone per gli altiforni, si presero la loro rivincita, incrociando le braccia anch’essi, contro l’opinione dei loro stessi dirigenti sindacali. Ma gli scontri causarono due vittime fra i lavoratori: l’ala moderata del partito laburista di Kinnock colse l’occasione per defilarsi dall’appoggio al sindacato, condannando genericamente tutte le azioni violente, dimenticandosi che le vittime erano proprio lavoratori e che in buona parte gli attacchi erano portati dalla polizia, che aveva il mandato di usare la forza, ogni volta che lo ritenesse necessario per l’interesse nazionale. Questa spaccatura nella linea dei Labour alla fine costò la sconfitta al sindacato, perché venne meno l’opposizione in sede parlamentare ai provvedimenti liberticidi voluti dalla Thatcher. Tra fatti più gravi, il 18 giugno 1984 gli scontri nella città di Orgreave videro l’intervento dei reparti a cavallo che caricarono indiscriminatamente la folla di 5.000 tra operai e attivisti, che manifestavano pacificamente. Un’azione orribile che provocò centinaia di feriti da entrambe le parti, per cui gli scontri passarono alla storia come “battaglia di Orgreave”. Negli anni seguenti, ben 39 operai fecero causa al ministero degli interni, vinsero e furono risarciti per le violenze subite.

La battaglia di Orgreave.

Nell’immagine più famosa e rappresentativa della “Battaglia di Orgreave”, l’attivista Leslie Boulton viene colpita di sorpresa da un poliziotto a cavallo.

Il 3 marzo del 1985 il congresso straordinario del NUM votò la fine dello sciopero, seppur con soli 98 voti a favore contro 91, senza che fosse stato sottoscritto alcun accordo con la controparte. Gli scioperi proseguirono spontaneamente per alcune settimane ancora, per chiedere il ritiro delle denunce, il rilascio e il reintegro al lavoro dei minatori arrestati e licenziati per il solo fatto di aver scioperato o di avere la tessera del sindacato. La Lady di Ferro aveva vinto, ma a quale prezzo.

La società ne usciva a pezzi: polarizzata fortemente tra sostenitori e avversari del governo, la pace sociale costruita con pazienza nei decenni precedenti era saltata, intere aree del paese erano in rapido declino, mentre moltissime famiglie erano ridotte sul lastrico senza averne avuto alcuna colpa diretta.

Il tasso di disoccupazione toccò nei bacini carboniferi e metallurgici il 13%, mentre il rialzo dei tassi di interesse e delle imposte continuava a rendere impossibile al sistema creditizio di aiutare chi era in difficoltà, magari mettendosi in proprio… l’esatto contrario delle intenzioni del governo Thatcher di stimolare la libera impresa e l’iniziativa privata. Il costo per l’economia fu di quasi 4 miliardi di sterline, il doppio del costo della guerra nelle Falkland, soldi vitali per i conti pubblici in asfissia.

Secondo i sondaggi, anche all’interno dello schieramento Conservatore erano in molti a pensare che la Thatcher avesse esagerato e che fosse ora che togliesse il disturbo: solo il 34% dell’elettorato si dichiarava disposto a votare di nuovo per un governo diretto da lei, a poco meno di un anno dalle elezioni trionfali del 1983.

La chiesa protestante criticò il pugno di ferro del governo: tra la costernazione dei conservatori, il Vescovo di Durham chiese attenzione per le condizioni in cui vivevano gli operai e le loro famiglie dopo la repressione. E la stessa famiglia reale, con cui i rapporti non furono mai idilliaci, espresse malcelato imbarazzo per l’azione del governo. Imbarazzo che rimase praticamente ignorato dal primo ministro, nonostante affermazioni di circostanza… Anzi il principe Filippo, consorte della Regina Elisabetta, la definiva con disprezzo la figlia del droghiere, senza badare all’etichetta di corte. Ma Margaret Thatcher insistette nel  sostenere la sua linea in ogni discorso parlamentare, in ogni intervista, in ogni comizio politico, affermando che si stavano piantando i semi della ricchezza futura del paese: bisognava sopportare i sacrifici e attendere che crescessero, entro il decennio l’Inghilterra avrebbe invertito la rotta del declino e ripreso a crescere…

Tra i “semi della ripresa economica” però lei stessa aveva finito per mischiare quelli dell’odio e ne ebbe modo drammaticamente di capirlo la sera del 12 ottobre del 1984, mentre alloggiava al Grand Hotel di Brighton, assieme a molti altri esponenti e militanti del suo partito, per intervenire al congresso nazionale dei Conservatori.

Poco più di tre settimane prima un uomo dell’I.R.A., Patrick Magee, aveva alloggiato sotto falso nome nella stanza sopra a quella che avrebbe utilizzato la Thatcher assieme al marito Denis. Nei servizi igienici della stanza 629 aveva piazzato un ordigno a tempo, che esplose alle 2.54 del mattino del 12 ottobre. Miracolosamente la Thatcher e il marito  restarono illesi nonostante il crollo del soffitto, protetti forse dalla massiccia struttura vittoriana dell’albergo. Nessun membro del governo venne colpito, ma 5 persone, 3 funzionari del partito e le mogli di altri due morirono, sette persone subirono menomazioni permanenti, altri 34 feriti furono portati in ospedale. Alle 9.30 del giorno dopo, benché scossa e dopo aver visitato i ricoverati, presenziò alla riunione di apertura  del congresso, commemorando le vittime e attaccando pesantemente il terrorismo dell’I.R.A. Ma l’organizzazione di lotta irlandese aveva dato prova di elevata capacità di intelligence e di una abilità nelle armi da non sottovalutare.

Ronald Reagan

L’offensiva degli anni successivi avrebbe provato quanto temibile fosse la loro forza.  Se la primo ministro poté contare sulla solidarietà interna e internazionale risalendo negli indici di gradimento, soprattutto per il suo coraggio dopo l’attentato, coloro che stavano vivendo la tragedia di essere abbandonati dallo stato, i lavoratori licenziati delle grandi industrie e delle miniere reagirono in ben altro modo. Qualcuno sui media più vicini ai “lefties” si augurò che l’I.R.A. la volta successiva non sbagliasse mira. Molti comici  fecero gag sarcastiche sull’attentato, musicisti scrissero canzoni che esplicitamente inneggiavano alla sua morte, come Morissey, leader del popolare gruppo The Smiths, la cui casa venne perquisita dall’antiterrorismo dopo alcune sue dichiarazioni e che in seguito appunto scrisse la canzone “Margaret on the guillotine”, Margaret sulla ghigliottina.

La società inglese era sull’orlo di un collasso nervoso. Dal lato della politica internazionale, l’amicizia personale con il presidente statunitense Ronald Reagan, che condivideva la stessa ricetta di liberismo ed individualismo, portò la Thatcher a stringere ancora di più l’alleanza tradizionale con l’ex colonia americana. In molti casi approvò le decisioni americane, militarmente rafforzò ancora di più il ruolo inglese nella NATO. Nel 1986 concesse l’uso delle basi inglesi ai bombardieri statunitensi F 111 che bombardarono il territorio libico durante gli eventi successivi alla crisi del Golfo della Sirte.

Immagine 5. Margaret Thatcher e Ronald Reagan a Camp David.

Margaret Thatcher a passeggio con il presidente U.S.A. Ronald Reagan nella residenza presidenziale americana di Camp David.

Se anche il settore militare non fu estraneo ai tagli di bilancio,anzi fu uno dei più colpiti, cercò di indirizzare e razionalizzare la spesa per svecchiare l’apparato militare. In particolare spinse per un ampliamento della forza strategica nucleare, specialmente la flotta di sottomarini a propulsione atomica, convinta che nella sfida al moloch sovietico la Gran Bretagna dovesse avere un ruolo effettivo, anche con la sua forza di deterrenza nucleare. E approvò lo schieramento da parte americana proprio in quegli anni dei cosiddetti “euromissili”, cioè delle armi nucleari tattiche (missili Pershing e Cruise) in Germania, Italia e Turchia, che provocò alcune delle più grandi proteste pacifiste del dopoguerra.

Nella lotta al terrorismo internazionale, sia quello di matrice ideologica che quello crescente di ispirazione religiosa nel mondo islamico, mostrò sempre la stessa totale intransigenza. Ma questo non le impedì di avere gli occhi ben aperti sulle opportunità che si offrivano: sin dall’inizio fu sostenitrice della Perestrojka, la  stagione di riforme dello stato russo e della glasnost, l’apertura al dialogo internazionale promossa dal nuovo presidente dell’URSS Mikhail Gorbachev, eletto nel 1985.

Immagine 6. Margaret Thatcher assieme al leader sovietico Mikhail Gorbachev

La Thathcher assieme al presidente dell’URSS Mikhail Gorbachev durante un summit internazionale. La Lady di ferro seppe intuire il cambiamento che il nuovo corso sovietico voleva portare e strinse rapporti stretti con la nuova leadership russa.

Margaret Thatcher svolse con convinzione una funzione di avvicinamento tra U.S.A. e U.R.S.S. sia per promuovere i trattati di limitazione alle armi nucleari che per aprire la collaborazione economica col mondo comunista. Definì Gorbachev come “uno con cui si possono fare buoni affari”, guadagnandosi ancora una volta il sarcasmo dei suoi oppositori che videro in questo un retaggio insuperabile delle sue origini, figlia di un droghiere di provincia. Ma quando Reagan e Gorbachev si incontrarono nell’ottobre 1986 nello storico vertice di Reykjavik in Islanda, sebbene non fosse presente, la Thatcher, dai commentatori politici di tutto il mondo le venne  riconosciuto il merito di averlo favorito col suo lavoro diplomatico. Ma rimase sempre ferocemente anticomunista: nelle trattative col presidente socialista francese Francois Mitterrand, sulla costruzione dell’”Eurotunnel” sotto  il Canale della Manica, tenne un atteggiamento irremovibile, chiedendo che fossero i privati a finanziare al 100% l’opera. Alla fine la Francia dovette piegarsi alle pretese inglesi.

Mitterrand in seguito scrisse nelle sue memorie che la Thathcher aveva il sorriso di Marylin Monroe, ma gli occhi di Caligola…

Il 1986 vide il governo Thatcher ancora impegnato nelle privatizzazioni delle grandi compagnie pubbliche, ma l’avvenimento più eclatante fu senz’altro l’emanazione del cosiddetto “Big Bang Act”. Già a marzo era stata eliminato il divieto di proprietà da parte di società finanziarie esterne delle società di brokering, ovvero che si occupano di compravendita di titoli e obbligazioni per conto terzi, così come il divieto per i singoli agenti di cambio di essere dipendenti da tali società e di agire contemporaneamente come liberi professionisti.

Londra lancia Wall Street

I report delle autorità governative avevano stigmatizzato non solo la stagnazione del mercato azionario, ma anche accertato la possibilità di accordi di cartello contro la libera concorrenza. Ma ciò a cui mirava l’azione del governo Thathcher era più ambizioso: fare di Londra uno dei mercati più attivi per  gli investimenti internazionali. Già allora sia le società che volevano diversificare il loro portafogli azionario (specie i gruppi assicurativi), sia singoli grossi investitori stranieri assicuravano la presenza di grandi capitali “off shore”, ovvero che si muovevano sulla borsa londinese per aggirare le leggi degli stati di appartenenza sui movimenti finanziari e le tasse sui profitti. Una parte importante era costituita anche da buoni del tesoro di nazioni dell’area europea. Una massa di potenziali investitori da intercettare.

L’idea era di lanciare Londra, una borsa tutto sommato piccola rispetto al volume di affari di New York o di Tokyo, ma i cui operatori avevano una grande competenza professionale.

Molto importante fu la parte della legge destinata a proteggere gli investitori da potenziali raggiri, che nella prima metà degli anni 80 causavano perdite per circa 1000.000 sterline l’anno agli investitori. Portare le difese dei clienti della borsa su livelli paragonabili a quelli applicati a Wall Street era inevitabile.

Il Financial Services Act mirava a creare un mix fra libertà di scambio e investimento assieme a una credibile protezione per gli investitori dai reati finanziari. Il 27ottobre di quell’anno lo stock exchange chiuse euforicamente la miglior giornata nella sua secolare storia, il Big Bang della borsa. La riforma fece del mercato finanziario la nuova industria trainante del Regno Unito dopo il tramonto dell’impero e dell’industria pesante e a giudicare da quanto ancora oggi ricava l’Inghilterra dal mercato finanziario, in questo è riuscita in pieno. Tra le critiche che sono state mosse allo sviluppo dell’industria finanziaria vi è ancora oggi il fatto che la borsa di Londra è un paradiso fiscale che permette a molti capitali di sfuggire alle regolamentazioni degli stati in cui sono stati generati. Inoltre l’opacità sulla provenienza di titoli o somme di danaro da paesi instabili, preda di dittature o il riciclaggio di proventi di attività illecite.

Nel tempo la legislazione voluta dalla Thatcher è divenuta un baluardo per il segreto finanziario. Ancora oggi Londra non può fare assolutamente a meno di questo mercato, specie durante la crisi economica attuale, per cui è improbabile che assisteremo a modifiche della legislazione finanziaria a breve. Un noto commentatore televisivo amaramente ha sottolineato che con questa legislazione, così come con tutta la sua politica neoliberista la Lady “voleva riformare il paese sull’esempio di rigore morale e laboriosità che aveva imparato dal padre, ma lo aveva ridotto a terreno d’azione per maneggioni  e affaristi senza troppi scrupoli”.

Il riferimento per nulla velato era a Mark, figlio maggiore della Thatcher, uomo d’affari trasferitosi in Sud Africa, dove fu processato e condannato a 4 anni di carcere per alcuni scandali finanziari e il coinvolgimento anche in un tentativo di colpo di stato in Guinea Equatoriale. Alcuni di quegli scandali causarono grave imbarazzo e problemi politici anche al primo ministro, poiché Mark approfittò apertamente della posizione della madre per tentare lucrosi affari. In ogni caso, quelle misure non hanno evitato che manager senza scrupoli immettessero prodotti finanziari insicuri o muovessero capitali con una disinvoltura che ha minato il sistema, fino al crollo delle borse di qualche anno or sono.

Nonostante tutte queste luci ed ombre (non ultimi gli scandali finanziari che avevano coinvolto alcuni esponenti conservatori accusati di aver utilizzato a vantaggio personale notizie di cui erano a conoscenza per la loro posizione politica), la scadenza elettorale del 1987 si avvicinava e nei sondaggi la Lady di Ferro era inaspettatamente in crescita, facendo prevedere un testa a testa con i Laburisti di Neil Kinnock…

di Davide Migliore

 

Linkografia  e bibliografia

“La politica economica di Margaret Thatcher”, Cosimo Magazzino, Franco Angeli Editore, Milano  2010.

http://it.wikipedia.org/wiki/Margaret_Thatcher

http://en.wikipedia.org/wiki/Margaret_Thatcher

La biografia su Wikipedia di Margaret Thatcher (pagine in lingua italiana e inglese)

http://www.bbc.co.uk/history/people/margaret_thatcher

pagina della della televisone pubblica inglese British Broadcasting Company (BBC)  con i collegamenti ai servizi dedicati alla Thatcher

http://www.bbc.co.uk/history/british/modern/thatcherism_01.shtml

discussione sul “Thatcherismo”, come venne chiamato l’orientamento politico ed economico perseguito dal primo ministro Thatcher e dal Partito Conservatore durante gli anni ’80 (Dennis Kavanagh, Liverpool University and Nottingham University Professor for BBC History Notebooks)

http://www.margaretthatcher.org/essential/

sito della “Margaret Thatcher Foundation” con pubblicazioni, discorsi e carriera politica della “Lady di ferro”.

http://cronologia.leonardo.it/storia/tabello/tabe1504b.htm

Biografia ed analisi politica di Margaret Thatcher, Giacomo Franciosi – alternanza storica di Labour e Tories alla guida del paese, Luca Molinari.

http://www.internazionale.it/portfolio/margaret-thatcher-1925-2013/

Rivista “Internazionale” , immagini della vita della Iron Lady.

http://www.ilpost.it/2013/04/08/margaret-thatcher/

Una vita da Margaret Thatcher.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/10/01/brixton-calma-dopo-incendio.html

1985 le rivolte di Brixton 1981 – 1985.

http://www.lettera43.it/politica/l-europa-e-l-eredita-politica-margaret-thatcher_4367590656.htm

Finanza e deregulation, i cavalli di battaglia della Thatcher.

http://it.wikipedia.org/wiki/Sciopero_dei_minatori_britannici_del_1984-1985

Gli scioperi epocali dei minatori del 1984-85.

http://en.wikipedia.org/wiki/Battle_of_Orgreave

I famosi scontri di Orgreave del 18 giugno 1984.

http://www.advertiser.ie/galway/article/22773

Arthur Scargill, il carismatico leader del sindacato dei minatori durante lo sciopero generale del 1984/85

http://www.ecn.org/reds/mondo/europa/granbretagna/GB0104scioperominatori.html

Articoli e saggi sul grande sciopero del 1984.

http://www.corriere.it/esteri/13_aprile_08/margaret-thatcher-e-la-questione-irlandese-bobby-sands_85efcc54-a04e-11e2-b85a-0540f7c490c5.shtml

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/10/14/cinque-le-vittime-di-brighton-perfetta-la.html

http://en.wikipedia.org/wiki/Brighton_hotel_bombing

L’attentato dell’I.R.A. a Brighton dell’ottobre 1984.

http://www.multinationalmonitor.org/hyper/issues/1986/12/brown.html

La riforma del mercato azionario di Londra del 1986.

http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&frm=1&source=web&cd=3&ved=0CEEQFjAC&url=http%3A%2F%2Fricerca.repubblica.it%2Frepubblica%2Farchivio%2Frepubblica%2F1987%2F01%2F09%2Fla-febbre-elettorale-agita-inghilterra-thatcher.html&ei=XUozUpeSAoOI4gSM4YBg&usg=AFQjCNEtPLQdMkPn3WoC9l3t16i9MyjWcQ&sig2=qMJ7vw61UzyLjBYxBKsrwA

http://it.wikipedia.org/wiki/Elezioni_generali_britanniche_del_1987

Le elezioni del 1987: la Tathcher verso il terzo mandato.

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