Categoria | Cultura

L’Asia, l’altra metà del genere umano

Pubblicato il 31 ottobre 2022 da redazione

Seconda Parte: l’India

«Se la parola è creata dall’organo vocale, se l’odore dall’organo dell’olfatto, se la visione lo è dall’organo della vista […], se l’emissione del seme lo è dall’apparato genitale, allora chi sono io?»

(Aitareya Upaniṣad, III, 11, in Raphael, Op. cit., p. 691)

 

La religione induista e gli ariani

La conoscenza divina

O bell’adolescente, prendi quest’arco, arma potente

della sacra saggezza che ha preso corpo in Om,

simbolo-suono dell’Altissimo.

Fissa dunque la freccia, affilata da una devota

e sincera adorazione, e nel tiro tieni la mente

assorta nel pensiero di Lui,

e cogli il bersaglio dell’Essere imperituro!

Cerca di conoscere Colui nel quale sono intessuti

il paradiso, la terra e il cielo, ed il mentale

con le energie della vita;

conosci l’Atman, il solo, e abbandona tutti i

vani discorsi.

Questa è la vita che conduce all’immortalità.

(preghiera indiana tratta da Mindaka-Upanisad, II, 2,3,5,

uno dei testi sacri dell’Induismo)

La regione indiana che misura circa quattro milioni e mezzo di chilometri quadrati è separata dal Turchestan cinese, dal Nepal e dal Tibet grazie alle catene montuose del Karakorum e dell’Himalaia, che con alcune loro cime si innalzano anche oltre i sei mila metri e che come complesso montuoso, denominato Grande Himalaia, tracciano una maestosa curva di duemila quattrocento chilometri, larga quasi 300.  Altre catene montuose saldano poi la Grande Himalaia, da settentrione a meridione, all’Oceano Indiano, sigillando così l’intera regione dell’India, un’immensa penisola che si insedia nell’Oceano Indiano.

Grande quindici volte l’Italia, l’India di divide in tre grandi regioni, quella himalaiana, le pianure alluvionali attraversate dai grandi fiumi del Gange e dell’Indo e infine la regione peninsulare e insulare, arida e montuosa.

La regione più interessante da cui partire per ricostruire la sede storica della civiltà indiana è la pianura compresa fra i bacini dei due fiumi, Indo e Gange (Brahamaputra), il primo dei quali sbocca nel Mar Arabico, che ad un certo punto si uniscono in un solo delta che scende fino al Golfo Persico. Questa pianura indo-gangetica, divisa da una lingua sottile di colline, si allunga per tremila duecento chilometri e costituisce lo spartiacque fra i bacini dei due fiumi.

La discesa in India degli ariani è testimoniata in un poema il Rig Veda, il principale libro di preghiera scritto in sanscrito, che contiene il racconto delle credenze e delle pratiche religiose degli ariani. In questo libro si racconta di come gli ariani penetrarono a più riprese le pianure indiane attraverso i passi montuosi del nord-ovest o dall’attuale deserto del Bulcistan, un tempo fertile, fino a raggiungere la terra dei sette fiumi, dove si insediarono dopo aver affrontato numerose guerre con gli abitanti di quei territori, uccisi, ridotti in schiavitù o sospinti verso territori meridionali meno fertili.

Gli ariani, per lo più pastori e allevatori si dividevano in diverse tribù, le più importanti delle quali erano gli Yadu, i Turvasa, i Druyu, gli Anu e i Puru, ciascuna delle quali aveva un proprio re, sia capo militare sia amministrativo, che esercitava il suo potere attraverso l’accordo e il parere di assemblee, che erano le stesse che a volte lo eleggevano. Gli ariani inizialmente non erano sedentari e vivevano su carri di legno trainati da buoi, radunandosi all’occorrenza in villaggi protetti da palizzate. La loro ricchezza era il bestiame e il baratto era la loro forma di commercio. La struttura sociale era piuttosto semplice: la famiglia, che univa figli e nipoti, era patriarcale ma la madre veniva onorata e rispettata, e poi a secondo delle funzioni svolte nella comunità si distinguevano i capi guerrieri, i sacerdoti, gli artigiani e gli agricoltori, che nell’insieme appartenevano alla razza dei conquistatori ariani, quindi c’erano i non ariani vinti e ridotti in schiavitù, che assolvevano ai compiti minori, non avevano peso nella vita politica e vivevano per conto loro in insediamenti marginali.

Dal libro del Rig Veda emergono diverse divinità, personificazioni della natura e dei fenomeni naturali, che occupavano una sorta di struttura gerarchica, come Varuna che era il dio forte e giusto che viveva nell’alto cielo, Indra il dio della guerra che stava nelle zone celesti più basse, Rudra che era la divinità più terrificante o Agni che era una divinità terrestre. Varuna, Indra e Rudra possono essere considerate le divinità che precedono Brahma, Siva e Visnù, la Trimurti dell’induismo successivo. Il Rig Veda, o Veda degli Inni, è una delle quattro raccolte più antiche dei Veda, gli altri sono Yajur Veda o Veda delle formule di sacrificio, il Sama Veda o Veda delle melodie destinate ai cantori e corredato di notazioni musicali, e l’Athar Veda o Veda delle poesie. Veda è un termine il cui significato è sapere, conoscenza sacra, e di cui il Rig Veda è la raccolta più antica e importante, redatta in sanscrito arcaico, che alcuni studiosi accostano all’iranico antico dell’Avesta (le scritture canoniche dello zoroastrismo) o anche alla lingua originaria indoeuropea. L’età dei Veda risale a prima del XVI secolo a.C. e può essere considerata la prima mitologia storica dei popoli indoeuropei. In particolare all’epoca in cui veniva scritto il Rig Veda gli indiani occupavano l’odierno Pangiab, infatti i Gange è menzionato solo due volte e il leone, abitante dei territori aperti e desertici, è menzionato molto più spesso della tigre, abitante delle fitte foreste a sud e a est.

Con l’aumento della popolazione gli ariani si spostarono dal Pangiab al Kuru, la regione intorno all’attuale Dehli dove si intensificò l’agricoltura che sostituì la pastorizia. Era il periodo dei poemi cavallereschi. Il primo poema, il Mahabharata, venne redatto dalla casta sacerdotale e tratta di una saga di battaglie titaniche affrontate fra il 1000 e il 900 a.C. dalla famiglia reale dei Bharata per la loro ascesa, e dell’educazione dei suoi membri, mentre il secondo poema, il Ramayana, canta le prove di Rama e il suo trionfo finale.

Oltre alle numerose divinità descritte nel Rig Veda, gli ariani credevano nell’Rta, la legge cosmica che governa tutte le cose compresi gli dei.

Si tratta di una civiltà agricola la cui ricchezza consisteva sostanzialmente nelle terre coltivate, il denaro era poco conosciuto, i sentimenti prevalenti erano il coraggio, la vendetta, la generosità e la durezza. L’induismo, o brahamanesimo, era l’unica religione, la più antica delle religioni di cui si abbia ancora conoscenza nel mondo e che costituisce anche una disciplina morale, rimasta pressoché intatta nonostante duemila anni di storia e che è ancora oggi viva per milioni di persone, una religione non codificata ed estranea all’idea di chiesa, non monoteista ma neppure politeista. Si tratta del culto delle forze della natura, forze che non sono altro che i diversi nomi di un’unica azione divina e che parla di reincarnazione, rinascita, trasmigrazione. L’elemento prevalente della religiosità contenuta nei Veda è l’importanza attribuita al sacrificio, le offerte fatte agli dei che impegnano questi ultimi a proteggere e aiutare coloro che le fanno, ma il sacrificio non è inteso solo a determinare il destino individuale , ma di tutto l’universo. Si tratta di un atto che assicura la conservazione e l’assetto sia dell’ordine umano sia del cosmo, fatto da tutti e valido per tutti.

Nella leggenda del primo uomo, il purusha o prajapati (nomi che significano, come adamo, primo uomo) gli dei si accaniscono su di lui e lo fanno a pezzi e così da lui hanno origine i diversi esseri. Il sacrificio così si propone di ricostruire l’essere primordiale riconducendo i vari esseri separati e lontani alla grande primitiva unità. Prajapati significa anche annata e le sue articolazioni sono le congiunture del giorno e della notte, la luna piena e la luna nuova, l’inizio delle stagioni. L’anno non poteva avere inizio perché le sue articolazioni erano separate, ma gli dei che avevano ricevuto offerte guarirono l’articolazione dei due crepuscoli, unirono le lune l’una all’altra e saldarono fra di loro le stagioni. Saldate le articolazioni prajapati può prendere il cibo che gli è stato offerto – latte e acqua calda (agnihota) per i crepuscoli, riso e orzo (darsapunamasaisti) per unire le lune  e ancora riso e orzo (caturmasiani) per saldare le stagioni. Sapendo questo colui che inizia il digiuno al momento della luna piena guarisce le articolazioni di prajapati e questi allora lo favorisce.

Il sacrificio dunque determina la natura e chi lo compie ha in mano le chiavi del destino dell’uomo, e in particolare la casta dei brahmani, che stabiliscono la loro egemonia quando gli indiani occupano per intero la valle del Gange. In quel periodo si consolida infatti un regime di caste destinato a salvaguardare la purezza del sangue ariano e a difendere i privilegi della casta sacerdotale.

 

 

Rig Veda

Ṛgveda. Manoscritto in devanāgarī, XIX secolo. Dopo una benedizione (“śrīgaṇéśāyanamaḥ, Aum”), la prima riga apre con il primo verso del primo inno del Ṛgveda (1.1.1): Agniṃ iḷe puraḥ-hitaṃ yajñasya devaṃ ṛtvijaṃ (Ad Agni rivolgo la mia preghiera, al sacerdote domestico, al divino officiante del sacrificio).

Buddha e il buddhismo

Buddha_2

Statua di Gautama Buddha con dharmachakra, mudrā e padmasana. La testa è circondata dall’aureola (sans. prabhā), un prestito della cultura greco battriana come la protuberanza cranica (sans. uṣṇīṣa). Nel registro in basso i pañcavaggiyā, la ruota del dharma e i cerbiatti, che identificano la predicazione del primo sutra a Sarnath. Epoca Gupta, museo di Sarnath.

 

Intorno al VI secolo a.C. si assiste a un profondo rinnovamento del pensiero indiano che vedrà il formarsi spontaneo di diverse scuole di pensiero in polemica fra loro e che culminerà con il buddhismo. Tra le più importanti scuole di transizione vi sono quelle del samkya e del giainismo.

Samkya

Secondo questa scuola esiste una materia primitiva ed eterna, chiamata prakriti, composta da tre elementi, come tre fili che intrecciati formano un cordone. Questi elementi sono sattva, il principio luminoso della purezza e della bontà; rajas, il principio attivo, l’amore, il desiderio, la ricerca della felicità terrestre;  tamas, l’ignoranza che genera il male e il dolore.  Nella condizione ideale i tre fili si neutralizzano e si equilibrano, mentre dall’azione individuale (il karma) nascono squilibrio e confusione.

Accanto alla materia primitiva, il prakriti, vi è il purusha, il mondo di anime immateriali. Dopo che il karma ha dilaniato prakriti, l’uomo si compone di tre parti: un corpo grossolano che si disfa alla sua morte, un corpo sottile e invisibile che partecipa all’eternità della materia e attraversa le successive reincarnazioni, un corpo immateriale, il purusha, che pure subisce migrazioni successive ma che sfugge all’azione del karma.

Scopo dell’uomo è di sottrarsi al mondo materiale che è quello della sofferenza e instabilità, che è possibile quando il corpo sottile ritorna alla natura/materia primitiva/prakriti e anche purusha si è riuscito a separare dall’elemento materiale. Quando l’uomo capisce che purusha di deve liberare da prakriti, allora ritorna all’equilibrio ed è finalmente libero.

La dottrina Samkya indica quindi la via della liberazione e della salvezza ed è un’ortodossia brahmanica elaborata dai sacerdoti.

Giainismo

Si tratta di una dottrina eterodossa, nata cioè fuori dall’ambiente sacerdotale, ma in quello della casta dei guerrieri e ancora oggi fra le più diffuse in India, che si occupa della liberazione della persona.

Per gli effetti negativi del Karma, dell’azione, si è travolti dal ciclo infernale delle reincarnazioni successive. Senza l’intervento dell’individuo tutto si svolgerebbe con più armonia e sicurezza; il karma, l’azione, è paragonabile agli acidi urici che disturbano e paralizzano le nostre articolazioni. Per frenare la forza del Karma si deve quindi resistere alla tentazione di agire. L’ahimsa o non violenza, elaborata dai guerrieri giainisti, è la pratica della rinuncia a ogni tentazione di uccidere o di nuocere al prossimo.

Il termine giainismo, italianizzato dal sanscrito, indica la dottrina dei jaina, i seguaci del jina, che significa vincitore, l’appellativo con cui viene chiamato il maestro della religione giainista. La tradizione dice che i maestri che si sono susseguiti nel tempo sono stati ventiquattro, a partire dal primo e suo fondatore Vardhamana, soprannominato Mahavira/grande uomo, nobile csatrya/della casta dei guerrieri e contemporaneo del Buddha, che abbandonata la famiglia e dopo undici anni da mendicante, raggiunse l’illuminazione e la trasmise in seguito ai suoi discepoli.

Buddha

Buddhismo

Il Buddhismo deve il suo nome e la sua fondazione al maestro Siddharta Gotamo Sakiamuni, il Buddha, che significa l’illuminato. Nato nel VI secolo a.C. a Kapilavatsu, a nord di Benares, intorno al 560 a.C. (morto intorno al 480 a.C. a Kusinara, l’odierna Kasia) era il figlio del re di quel piccolo principato. Ancora bambino resta orfano della madre e il padre per proteggere la sua serenità ed equilibrio bandisce dalla corte ogni immagine di sofferenza umana. Diventato adolescente inizia però ad uscire da palazzo e nelle prime sue uscite vede un vecchio, poi un malato, poi un cadavere e infine un monaco mendicante. Sperimenta così il dolore, ma attraverso il monaco anche la via per liberarsene. Divenuto padre interpreta la paternità come una sorta di schiavitù e decide così di farsi monaco mendicante, così poco dopo il parto della moglie Yashodara lascia nella notte il palazzo a cavallo, accompagnato da un fedele servo. Arrivato nelle profondità della foresta si spoglia dei suoi abiti regali, si veste con la scorza degli alberi e congeda il servo a cui chiede di riportare il cavallo. Buddha ha 29 anni e si appresta a iniziare la sua nuova vita.

Per sette anni vive fra asceti, digiuna, dorme su letti di spine e si rifiuta di sedersi. Ridotto uno scheletro, capisce che torturare se stesso non dà risultati, tanto quanto ne dava la vita precedente di agi e piacere, due posizioni estreme che rendono la vita indegna e vana. Cerca allora la via di mezzo, che conduce al riposo, alla scienza, al nirvana, l’eterno ciclo degli eventi, la via che permette di sfuggire alla crudele causalità dell’universo.

Conosce così le quattro sante verità del dolore universale, dell’origine di questo dolore, del suo annullamento e di come si arriva al suo annullamento.

Passa così dalla condizione di bodhisattva, l’aspirante all’illuminazione a quella di Buddha, l’illuminato, ossia colui la cui mente si è svegliata, si è aperta.

La verità non si manifesta, infatti, a chi è carico di desideri e di odio. Si nasconde allo spirito grossolano. Non può essere vista da colui al quale i desideri terrestri ottenebrano lo spirito. Così il Buddha indugia nel decidere se insegnare agli uomini come raggiungere l’illuminazione.  Alla fine però decide di iniziare la predicazione della verità, nel parco delle gazzelle di Rishipatana dove mette in moto la ruota della legge, il simbolo stesso della fede buddista. Molti i discepoli e i sovrani che si convertono. Tra i più devoti e da lui preferito è Ananda, che lo assisterà fino alla morte.

Nelle rappresentazioni del Buddha i mudra, ossi agli atteggiamenti alludono a significati religiosi. Le mani sono atteggiate in predicazione, ossia nell’atto di mettere in movimento la ruota della legge,  dharmaciakra mudra; i piedi poggiano su un fiore di loto che rappresenta la purezza; sul capo i riccioli ricadono con forza e rivolti verso destra per significare il cammino del sole e dunque della vita. In altre rappresentazioni, come la morte del Buddha, è ritratto con gli occhi chiusi, a gambe incrociate, le mani in grembo, nell’atteggiamento dhyanamudra o di contemplazione, in cui la persona è come “una luce che non vacilla in un luogo senza vento”. Tanta serenità si raggiunge comprendendo che tutto ciò che è soggetto a nascere è anche soggetto a morire. Infatti al momento della sua morte, a ottant’anni, riuniti i suoi discepoli dice loro “Or aio mi congedo da voi. Tutti gli elementi dell’essere sono transeunti. Lavorate con cura alla vostra salvezza”. Le sue spoglia mortali furono poi incenerite e principi e signori si divisero le sue ossa e innalzarono tumuli reliquari, gli stupa, per conservarle.

La grande innovazione del Buddhismo è che non aveva aspirazioni universali, non si rivolgeva alle masse, piuttosto si trattava di un esempio di perfezione valido per chiunque si fosse sentito di imitarlo. Non teneva perciò conto delle differenze di casta.

La società indiana è infatti rigidamente strutturata in caste, classi sociali chiuse, disposte secondo una gerarchia rigidissima: in alto i sacerdoti/brahmani e i guerrieri/csatrya che oggi hanno solo significato di aristocrazie chiuse, perché si può appartenere a tali caste senza essere né sacerdoti né militari, poi si sale fino agli intoccabili ai quali non è concesso neppure di stingere la mano a persone di una diversa casta. Questa suddivisione in caste impedisce la circolazione sociale e vincola parti della società ad attività mortificanti. Si tratta di una struttura razzista nata ai tempi dell’invasione ariana per mantenere le proprie posizioni individuali di privilegio e che si è mantenuta fino ad oggi.  Il buddhismo non teneva conto delle casta, anche perché era una scuola di eletti che non aspirava a regolare l’intera comunità ed è anche per questo che fu eliminato dalla società indiana.

 

Adriana Paolini

Lascia un commento

Advertise Here

Foto da Flickr

Guarda tutte le foto

Advertise Here

LINK