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La nuova linea metropolitana di Napoli raccoglie nel suo saliscendi il cuore pulsante della città.

Pubblicato il 26 febbraio 2014 da redazione

Napoli è la città più contraddittoria d’Italia, perché divisa inesorabilmente dallo spessore di una medaglia che ha due facce: la prima, quella sotto i riflettori, è la Napoli “che puzza di ragù, di malavita, di spaghetti, cocaina e di pizza margherita”[1], la Napoli ultima nelle classifiche di vivibilità e la Napoli della spazzatura per le strade. L’altra faccia però, oscurata dalle nefandezze, è quella del Museo di Capodimonte, con i capolavori di Caravaggio, Mattia Preti, Artemisia Gentileschi e Parmigianino, quella del Cristo velato dello sconosciuto scultore Bruno Sammartino che fece rimanere a bocca apertafinanche Antonio Canova per la maestria, e ancora patria di geni del teatro come Totò, Edoardo De Filippo e Massimo Troisi, nonché esportatrice nel modo di canzoni come “O sole mio”.

La parte magnifica della medaglia, seppure impolverata, scalfita e logorata, probabilmente non ha mai cessato di esistere, nonostante le numerose vicende del tutto negative, come la realizzazione scellerata di nuovi quartieri negli anni ’60, e di edifici di pessima qualità come le vele di Scampia che hanno dato alla città un’immagine negativa.

Napoli è stata forse una delle città in Italia che più ha portato avanti iniziative legate all’arte contemporanea negli ultimi cinquant’anni; è doveroso dire che è stata palcoscenico di una delle più interessanti realtà dell’arte moderna in Italia, la Transavanguardia[2] e anche luogo dell’apertura del primo museo di arte contemporanea all’interno di un centro storico in Italia, il Museo Madre Donnaregina progettato da Alvaro Siza.

La seconda Napoli Sotterranea della contemporaneità

Tra i progetti più interessanti che fanno di Napoli una delle poche città italiane rivolte coraggiosamente verso il futuro, c’è la metropolitana. Il progetto della linea, ancora non terminato, ma funzionante nel tratto che collega la stazione centrale a Secondigliano, prevede la creazione di stazioni sempre diverse, che andranno a raccontare la città in uno splendido matrimonio tra la cultura che ha fatto grande Napoli e l’arte contemporanea.

I più grandi architetti e artisti internazionali e locali sono stati chiamati per la progettazione di ognuna di queste stazioni; i nomi sono ben noti e potrebbero far parte di un dream team di architetti e artisti: tra i progettisti delle stazioni realizzate si annoverano i nomi di Gae Aulenti, Dominique Perrault, Oscar Tusquets e Karim Rashid[3], mentre tra quelle in fase di costruzione o di completamentotroviamo architetti come Massimiliano Fuksas, Mario Botta, Richard Rogers, Alvaro Siza, Benedetta Tagliabue e Anish Kapoor[4].

Gli artisti che hanno realizzato le opere per le stazioni sono veramente numerosi e di alto livello, pertanto se ne nomineranno solo alcuni: Michelangelo Pistoletto, Sol LeWitt, Joseph Kosuth, Jannis Kounnellis, Nicola De Maria e Mimmo Rotella.

Un “museo obbligatorio”

Ogni stazione ha un tema predominante: la stazione di piazza quattro giornate ha come tema la centralità dell’uomo nella possibilità di cambiare la storia, come successe appunto le quattro giornate di Napoli sul finire della seconda guerra mondiale; la stazione del museo archeologico nazionale ha invece il legame con la storia e con la memoria, mentre la stazione di piazza Dante il viaggio e l’arte come strumento di comunicazione e meditazione.

Tutte le opere d’arte non sono però inserite all’interno degli spazi architettonici esclusivamente come abbellimento fine a sé stesso, bensì fanno parte di un percorso espositivo ragionato che va a configurare quello che è lo spazio architettonico ipogeo (in alcuni casi, come la stazione di Salvator Rosa anche lo spazio urbano). La scelta delle opere e degli artisti delle stazioni Vanvitelli, Quattro Giornate, Salvator Rosa, Materdei, Dante e Museo è stata coordinata dal critico salernitano Achille Bonito Oliva, che ha definito questo progetto come un “museo obbligatorio”.

Piazza Dante.

Piazza Dante.

 

Piazza Dante è un nodo fondamentale nella città di Napoli, posto tra il Museo archeologico Nazionale e Piazza del Gesù, due dei luoghi più vivi e frequentati della città. Di configurazione settecentesca, è stata disegnata da Luigi Vanvitelli per Carlo II di Borbone, con un emiciclo che abbraccia la piazza, al centro della quale doveva essere posizionata la statua del re.

  Jannis Kounnellis, Senza titolo, 200. Foto propria.

Jannis Kounnellis, Senza titolo, 200. Foto propria.

 

L’intervento di riqualificazione urbana della piazza è stato affidato a Gae Aulenti, architetto e designer di fama internazionale diventata celebre per il progetto del Musée d’Orsay a Parigi.

L’intento principale è quello di creare degli accessi alla metropolitana che siano ben riconoscibili e caratterizzanti, ma che non distolgano l’attenzione dall’impianto vanvitelliano della piazza. Sono stati quindi realizzati due parallelepipedi di cristallo posizionati ai vertici di un triangolo, al cui centro è posta oggi la statua di Dante e dai quali si possono imboccare le scale mobili per accedere alla metropolitana.

Il tema del Convivio

La prima opera, che è ben visibile, si trova di fronte alla prima scala mobile ed è di Joseph Kosuth, situata sul muro scandito dalla griglia di lastre di vetro disegnata da Gae Aulenti.

Kosuth è uno dei pionieri dell’arte concettuale, famoso per opere come “una e tre sedie”, composta dall’accostamento di una sedia di legno, la sua foto e una stampa con la definizione di “sedia” estrapolata dal vocabolario.

Nel caso napoletano lavora con il neon, citando il sommo poeta Dante, a cui è intitolata la fermata, con un passo del Convivio riguardante la percezione visiva.

Il tema della soglia

Se l’opera precedente è ben evidente perché posta in un luogo di passaggio obbligatorio per chi deve prendere la metropolitana, meno visibili sono le due opere di Carlo Alfano, artista napoletano meno noto, ma non per questo autore di opere meno interessanti.

Le due grandi tele sono state realizzate dall’artista poco prima della sua morte, avvenuta nel 1990, motivo per cui sono stati progettati due spazi ad hoc per ospitarle. Entrambe caratterizzate da una forte connotazione autobiografica e da riflessioni sulla crisi interiore dell’uomo contemporaneo.

Nell’opera “Luce-grigio”, è presente un tema legato alle tematiche dantesche, cioè quello della soglia che separa vita e morte; tela ricca di riferimenti nella sua semplicità, come nel disegno del profilo del tuffatore della tomba di Paestum, è caratterizzata da una netta linea di separazione che non è altro che la ricucitura delle due tele, dalla quale poi si sviluppano le figure in penombra.

Scendendo al piano intermedio troviamo due opere di artisti di fama internazionale, quali il greco Jannis Kounnellis e Michelangelo Pistoletto, entrambi esponenti dell’arte povera.

Il tema delle scarpe

Il primo è autore di un’installazione particolarmente di impatto che occupa tutta la parete lunga del piano, che è probabilmente già entrata nell’immaginario collettivo di molti viaggiatori.

L’opera verte sul tema del viaggio, rappresentato da un gran numero di scarpe di svariate misure e forme attaccate al muro tramite delle arrugginite travi in acciaio.

Il tema delle scarpe rievoca numerosissimi riferimenti sia nelle arti figurative, sia nella letteratura.

Celeberrime sono le scarpe inesorabilmente logorate rappresentate magistralmente dall’artista olandese Vincent van Gogh.

A questo struggente realismo si contrappone il surrealismo del belga René Magritte, che in un’opera del 1935 rappresenta due stivali slacciati che nella punta si trasformano in dei piedi umani, immaginando in questo modo la scarpa a tutti gli effetti come parte anatomica del corpo umano.

Questa sintesi tra oggetto inanimato e persona è chiara negli ultimi due versi di una poesia di Rimbaud:

“Come lire tiravo gli elastici
Delle mie scarpe ferite, un piede vicino al cuore!”

(Ma Bohème)

Il tema delle scarpe si ritrova anche in una canzone poco nota di Federico Salvatore, cantautore napoletano conosciuto perlopiù per canzoni comiche riguardante gli abitanti di Napoli. Questa canzone si colloca in un punto di svolta della sua produzione, nel quale ha iniziato a scrivere canzoni impegnate, come “Scarpe”:

“Con quali scarpe del futuro io me ne andrò da questo mondo
le scarpe per saltare il muro saranno scarpe senza fondo.
Senza più firme da mostrare, senza più orme da lasciare,
senza più lacci da far nodi, senza più scarpe: a piedi nudi.”

(Federico Salvatore – Scarpe)

Vincent Van Gogh, Un paio di scarpe, 1886.

Vincent Van Gogh, Un paio di scarpe, 1886.

René Magritte, La modelle Rouge, 1935.

René Magritte, La modelle Rouge, 1935.

 

Il tema del viaggio

Ritornando però nella dimensione urbana, la discesa continua con due opere di Michelangelo Pistoletto poste di fronte alle due rampe di scale mobili. Pistoletto è un artista noto in tutto il mondo per l’utilizzo degli specchi, necessari per catturare la dimensione altra della rappresentazione: il tempo.

Le due opere sono analoghe e presentano frammenti disordinati di uno specchio sul quale è disegnato il profilo del mar mediterraneo, da cui il titolo dell’opera “intermediterraneo”. È quindi ancora ricorrente il tema del viaggio, sempre in riferimento al viaggio trascendentale effettuato da Dante.

La straordinaria capacità di Pistoletto è nel porre quest’opera in un luogo della stazione perpetuamente in movimento. In qualsiasi altro posto gli specchi avrebbero catturato comunque il passaggio delle persone; per capire la genialità della collocazione è necessario vedere l’opera quando una delle scale mobili non è funzionante (evento peraltro non rarissimo!).

Il tema dell’amore

L’ultima opera che si incontra nella discesa verso la metropolitana è di Nicola De Maria, uno dei cinque artisti della Transavanguardia.

Quest’opera, completamente diversa da quelle incontrate precedentemente, ha un titolo particolarmente lungo: “Universo senza bombe, regno dei fiori, 7 angeli rossi” (in memoria di Francesco De Maria).

De Maria tra i cinque esponenti della transavanguardia è quello più astratto, la cui opera è caratterizzata da colori particolarmente vivaci. Nell’installazione musiva della stazione di piazza Dante utilizza l’espressione dei colori primari per esprimere un’idea di viaggio con la fantasia e di arte che possa donare a tutti gli uomini un “messaggio di amore universale”.

di Fabrizio Esposito

 

Note


[1] Citazione della canzone di Federico Salvatore “Se io fossi San Gennaro”

[2] Dei cinque del gruppo della Transavanguardia, Francesco Clemente e Mimmo Paladino erano Napoletani. Nicola De Maria era della provincia di Benevento e il teorico e critico d’arte Achille Bonito Oliva era salernitano. Al di fuori del gruppo vanno citati Ernesto Tatafiore e Nino Longobardi.

[3] Rispettivamente progettisti delle stazioni di Dante e Museo, Garibaldi, Toledo, Università

[4] Rispettivamente progettisti delle stazioni di Duomo, Tribunale, Capodichino, Municipio, Centro direzionale e Monte Sant’Angelo

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