Categoria | Politica-Economia

La Lombardia è la quinta regione italiana per numero di beni confiscati alla mafia

Pubblicato il 03 gennaio 2012 da redazione

Un sit-in spontaneo davanti al Palazzo di Giustizia di Milano: questo è quanto ha fatto un gruppo di giovani liceali il 24 novembre scorso, reagendo alla possibilità che il processo per l’omicidio di Lea Garofalo, la testimone di giustizia che nel novembre del 2009 venne rapita, uccisa e sciolta nell’acido, ripartisse da zero, dal momento che il Presidente della Corte Filippo Grisolia era stato nominato Capo di Gabinetto del nuovo ministro della Giustizia Paola Severino.

La richiesta della difesa è stata accolta e l’eventualità dell’azzeramento del processo si è pertanto concretizzata; Denise Cosco, la figlia diciannovenne di Lea, dovrà dunque trovare il coraggio di testimoniare di nuovo contro suo padre, imputato nel processo.

Storie di ‘ndranghetisti  in trasferta nella Calabria del Nord, la Lombardia; storie di mafia che si infiltra nel nostro territorio, nella nostra economia, nella nostra vita.

Come la storia del centro sportivo di via Iseo ad Affori, bruciato in pieno giorno: un gesto intimidatorio nei confronti dell’amministrazione comunale che ne aveva assunto il controllo sottraendolo ai gestori precedenti per sospetto di infiltrazioni mafiose.

O come la storia di un processo, quello seguito all’operazione Crimine Infinito, che ha portato lo scorso novembre alla condanna di 110 persone per associazione mafiosa.

Di questa e altre storie è patria la Lombardia, una regione in cui un comune come Desio è stato sciolto per mafia un anno fa.

Eppure sia a livello nazionale che a livello locale si respira anche aria pulita, l’aria di chi rinuncia all’apatica indifferenza e sceglie la via dell’impegno civile informando, denunciando, facendo attività anti-racket e anti-usura  e promuovendo campi di studio e di lavoro sui terreni confiscati alla mafia.

Queste sono alcune delle attività compiute da Libera, l’organizzazione fondata da don Luigi Ciotti il 25 marzo 1995 che attualmente è composta da oltre 1600 tra associazioni e cooperative e alla quale hanno aderito circa 4500 scuole.

Tra le ultime iniziative organizzate c’è la giornata del 5 novembre, in cui sono state aperte le porte di numerosi beni confiscati alla mafia a Milano e in provincia.

Gli ultimi dati pervenuti sono sconcertanti: la Lombardia è la quinta regione italiana per numero di beni confiscati alla mafia; eppure questi beni possono tornare a vivere grazie ad una legge, la 109/96, sul riutilizzo per finalità sociali di tali beni.

Questa legge è stata promulgata in seguito ad una raccolta di firme promossa da Libera e ha il suo ispiratore in Pio La Torre, sindacalista e dirigente siciliano del Pci ucciso per mano mafiosa il 30 aprile 1982, che aveva proposto una norma per la confisca dei beni ai mafiosi.

Il presidio di Libera di Sesto San Giovanni ha scelto come slogan di quella giornata una frase tratta dall’L’idiota di Dostoevskij: “legge che muti la brutalità in bellezza”; perché la mafia in fondo è questo, è prepotenza, è arroganza, mentre la bellezza non è un ideale astratto di perfezione, ma la si può scoprire in un bene gestito dalla mafia per riciclare denaro sporco che viene restituito alla cittadinanza, la si può scorgere nel  non lasciare solo un imprenditore che sceglie di non appaltare ai mafiosi nonostante le minacce, nel non abbandonare un commerciante che sceglie di non pagare il pizzo, la si può quasi toccare nell’ambiente tutelato dal deturpante smaltimento illecito dei rifiuti.

Don Ciotti nei suoi discorsi ama usare una parola, corresponsabilità, che ci aiuta a capire che siamo tutti chiamati in causa nella sfida per costruire una società più equa, dove non vinca la sopraffazione, perché in assenza di giustizia è impossibile immaginare un futuro migliore.

Egli invita inoltre a non dire io, ma noi, a non parlare solo in prima persona singolare: quel noi è una speranza, è un soggetto collettivo.

Sarebbe facile se si potesse affermare che una volta caduto il re è caduta anche la monarchia, sarebbe bello se una volta arrestato un boss del calibro di Michele Zagaria si potesse dire distrutto il potere dei Casalesi, ma non è così. Per far cadere la monarchia c’è bisogno di una rivoluzione culturale che nessuno può compiere da solo, ma che è possibile credendo nel noi.

di Amina Cervellera

1 Comments For This Post

  1. bruno Says:

    E’ proprio cosi’, uniti possiamo vincere, possiamo spezzare i tentacoli di questa piovra che soffoca il paese, coadiuvata e foraggiata da politici che fanno dell’interesse personale il loro unico obiettivo.
    Siamo come le carte da gioco, una si puo’stracciare facilmente ma un mazzo no.La speranza e’ nei giovani come Amina.

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