Categoria | Politica-Economia

Giorgio Galli spiega come 500 multinazionali decidano per tutti.

Pubblicato il 09 giugno 2015 da redazione

Giorgio Galli.

All’alba del terzo millennio la forbice delle disuguaglianze fra ricchi e poveri sta aumentando e molti dei diritti conquistati negli ultimi cento anni, tra i quali la Democrazia Partecipata e la Rappresentanza Politica, sembrano essere entrati in una crisi irreversibile che preannuncia l’inizio di una nuova era, non solo storica, ma anche politica e i cui attori superano, per dimensioni geografiche, economiche e giuridiche quelle dei secoli scorsi, senza norme chiare che ne regolino e limitino l’azione.

La rivoluzione francese aveva affermato con grande forza i concetti di Uguaglianza, Fratellanza e Libertà, ma ora la Francia è solo uno fra i tanti Paesi del mondo. Chi avrà più la forza di affermare e difendere quegli stessi principi a livello mondiale? Chi sarà in grado di definirne i perimetri generali  e trasferirli nelle realtà locali? Lo abbiamo chiesto a Giorgio Galli, uno dei più importanti politologi italiani.

 

Adriana Paolini Qual è il rapporto fra gli italiani e la storia e in particolare con quella moderna?

Giorgio Galli Secondo me un pessimo rapporto. Gli italiani sanno molto poco di storia e forse non dico ancor meno, ma certamente non di più di quella moderna. Questo è il frutto di un rapporto che è maturato negli ultimi decenni. La legge Gelmini prevede che nelle scuole elementari si parta dal Big Bang per arrivare ai Romani. Quindi i giovani italiani di questa generazione apprendono la storia moderna solo a partire dalla scuola media. Gli altri italiani, e l’opinione pubblica in generale, un certo interesse per la storia ce l’hanno, ma molto approssimativo. Gli ultimi anni hanno poi visto una notevole decadenza culturale e questa ha senz’altro investito anche il campo storico. La mia esperienza di docente, sia quella per molti anni a Milano sia l’ultima terminata poco tempo fa al Campus Universitario dell’Università di Genova, proprio in materie storiche, mi ha persuaso che la conoscenza media della storia è abbastanza scarsa e la nuova impostazione scolastica rischia di peggiorarla ulteriormente, relegando la Storia a materia secondaria. Anche le problematiche più discusse, quelle dal Big Bang al Plestocene, sono situazioni di cui sappiamo pochissimo, mentre quelle di cui sappiamo di più e che ci riguardano direttamente, come la storia contemporanea, vengono insegnate più tardi, dando maggior rilievo a impostazioni discutibili piuttosto che a quel poco che possiamo sapere con una certa certezza.

 

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Di Pietro, Mani Pulite.

Adriana Paolini Mani pulite è forse stato il momento in cui in Italia si è rotto il patto sociale ed è finito il rapporto di fiducia fra i Cittadini e la Politica, con la P maiuscola. Da allora è iniziato il declino della capacità di quest’ultima di sapere interpretare,  dare soluzioni  e impulso all’evoluzione della società italiana. Pensa che questa incapacità dipenda dalla qualità dei protagonisti  o dalla difficoltà del momento storico globale?

Giorgio Galli Se parliamo del mondo intero il discorso si fa molto complesso. Il mondo attuale è caratterizzato da una forte egemonia, non soltanto economica, ma anche politico culturale delle multinazionali. 500 multinazionali e i loro consigli di amministrazione prendono le decisioni importanti per oggi e per domani per l’intero pianeta. Quindi il contesto internazionale limita fortemente la capacità della democrazia rappresentativa, là dove c’è, tenendo presente che gran parte di queste multinazionali sono ancora prevalentemente nelle società occidentali, negli Stati Uniti e in Europa. Certamente ci sono molte multinazionali anche in paesi non retti a democrazia, come Cina e Russia. Il contesto generale è questo, situazione della quale in Italia non si parla, se non in modo molto generico, solo per dire che esistono. In queste multinazionali, per una tendenza che è in atto dall’inizio del secolo scorso, e che si è accentuata fino alla crisi del 2007, le attività prevalenti e i profitti che ne derivano, sono sul piano non produttivo, ma finanziario. Questa è un’ulteriore caratteristica di fondo che le contraddistingue: qui si spostano migliaia di miliardi di euro e di dollari con poche operazioni digitali e da queste operazioni, delle quali non sanno nulla i cittadini, e quasi nulla neppure gli azionisti di quelle stesse società, perché tutte le decisioni vengono prese solo al vertice, derivano fortune colossali, più di quelle che possono derivare dalla produzione di automobili o anche da cibi transgenici. Quindi questo è un mondo che sta subendo una trasformazione profondissima. Passare da questo a Mani Pulite il salto è molto lungo.

 

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Il Golpe invisibile.

 

Il mio ultimo libro, uscito poco più di un mese fa, Il Golpe Invisibile (Kaos edizioni), colloca Mani Pulite in un contesto molto preciso. Mani Pulite è una fase di un processo storico cominciato attorno agli anni Settanta, e che continua tuttora, che investe due particolari ceti sociali. Una borghesia finanziario-speculativa, perfettamente consonante col peggioramento della situazione italiana, che passa da capitalismo produttivo a capitalismo finanziario. Una borghesia finanziario-speculativa, quella italiana, ancor meno produttiva della media delle multinazionali internazionali, prevalentemente speculative, ma che conservano ancora forti investimenti propriamente produttivi. La variante italiana, in questa situazione mondiale, e il suo carattere prettamente speculativo, dominante nel panorama nazionale, affiancata da una minore borghesia, burocratico parassitaria, hanno determinato come conseguenza che il nostro prodotto interno lordo non cresce ormai da più di vent’anni. Esattamente più o meno da Mani Pulite.

Mani Pulite è stata una fase nella quale una parte della società ha tentato di bloccare, o almeno di rallentare, questa tendenza senza però riuscirvi. Credo che abbia fallito, per una responsabilità del ceto politico. La Magistratura ha svolto un ruolo surrogatorio, procedendo per vie giudiziarie e affrontando un problema essenzialmente politico ed economico, qualche volta anche con un eccesso di protagonismo e una certa sbrigatività di comportamenti, ma questo è l’aspetto minore. Il problema di fondo non può infatti essere risolto per via giudiziaria ed è abbastanza singolare che quasi trent’anni dopo Mani Pulite, siamo ancora lì con le leggi anti corruzione, con il falso in bilancio, con ritocchi marginali di una situazione di fondo molto grave, che si svolge ogni giorno sotto i nostri occhi. Mani Pulite ha tentato, soprattutto attraverso i magistrati, di frenare questa tendenza, senza riuscirvi, appunto perché non è una situazione che possa essere corretta sul piano giuridico.

 

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Movimento 15M, Puerta del Sol, 2011.

 

Adriana Paolini Negli ultimi vent’anni i partiti si sono trasformati in strutture più leggere, sacrificando però molta della partecipazione popolare e più spesso scadendo in una spregiudicata autoreferenzialità. Questa riduzione degli spazi di elaborazione e di discussione hanno creato nei cittadini l’idea della politica come di una casta e più spesso di partiti su misura di un leader unico, più o meno capace. Sembra anche che la gestione della cosa pubblica sia diventata un’attività fine a se stessa, da parte di un apparato pubblico che si occupa solo di amministrare, senza visione futura, ma solo nel breve. Tendenza questa che sembra riguardare, oltre l’Italia, anche più in generale un po’ tutto il mondo occidentale. É questa la nuova configurazione dei  partiti moderni, senza più un soggetto politico, un’idea di società da costruire e per cui battersi, attraverso una sana frizione democratica tra parti sociali portatrici di interessi diversi?

Giorgio Galli Sì, questa è una tendenza generale. Un importante politologo, il britannico Colin Crouch nel 2003, nel suo libro Postdemocrazia, dice che un certo tipo di democrazia basata sui partiti è ormai al tramonto e che il problema della politica sembra cerchi di riempire un vuoto. Questa tendenza in generale è stata analizzata con molta accuratezza ed è stata il soggetto di una lunga riflessione di molti sociologi e politologi nel mondo. In Italia siamo nella stessa situazione, accentuata dal fatto che ci sono quei ceti che si sono impadroniti di alcuni vecchi partiti e di alcune vecchie organizzazioni legate anche alla cultura della sinistra. Pensiamo a cosa sono diventate le coop che erano una forte espressione della cultura della sinistra italiana. Quindi è una tendenza generale, aggravata per l’Italia.

 

Political Party 'Podemos' March In Madrid

Occupy Wall Street

Movimento 15 M

 

Adriana Paolini Il successo di molti movimenti come Occupy Wall Street, Indignados (noto anche come Movimento 15-M), Podemos e il Movimento 5 Stelle, stanno, via via, imponendosi sia in termini di numero di aderenti sia di partecipazione ai diversi momenti di protesta, proprio come risposta al vuoto partecipativo lasciato dalla politica.

L’obiettivo del movimento Movimento 15-M nasceva proprio per promuovere una democrazia più partecipativa all’insegna dello slogan: Noi non siamo marionette nelle mani di politici e banchieri, ispirato alle proteste della Primavera Araba.

Questi movimenti hanno un futuro o rischiano, in maniera nostalgica, di ricalcare le orme dell’utopia social-democratica del secolo scorso, in un mondo globale troppo grande oramai per l’esercizio della Democrazia? Nel libro di Tony Judt, Guasto è il mondo, l’autore invita i giovani a ritornare a fare politica, anche Hessel chiede ai giovani di impegnarsi nell’attività politica, di tornare a pensare a una social democrazia, una società che guardi al bene comune e non in maniera egoista e individualista soltanto al profitto.

Giorgio Galli Io sto scrivendo un altro libro, con un’idea molta precisa: la democrazia si salva se il diritto di elezione a suffragio universale viene esteso ai consigli di amministrazione delle multinazionali. La partecipazione della democrazia è un’idea nata da Hobbes, Montesquieu, e molti altri, che sostenevano che i cittadini devono controllare il potere là dove questo viene esercitato. Oggi il potere importante non viene più esercitato dai parlamenti nazionali, neanche probabilmente dal parlamento degli Stati Uniti, nella misura in cui viene esercitato nei consigli di amministrazione delle Multinazionali. Allora la democrazia o arriva a quel livello o è destinata ad essere puramente formale. Quindi questi movimenti hanno un avvenire se affrontano questo problema, altrimenti rischiano di percorrere lo stesso cammino e di incorrere nelle stesse illusioni della social democrazia dell’Ottocento e del Novecento. Il punto di arrivo è quello: eleggere le persone che detengono il potere là dove il potere viene esercitato. O questi movimenti vanno in questa direzione o finiranno per percorrere vecchie strade che non risolveranno i problemi.

 

Adriana Paolini La fine della Repubblica di Weimar e il successivo avvento del Nazismo, furono determinati da alcuni fattori che si riscontrano anche nell’attuale società italiana: economia in crisi, alti livelli di disoccupazione, sfiducia nella politica e nel futuro, rifiuto di influenze estere nelle proprie scelte economiche, paura di contaminazioni da popolazioni migranti e decadenza dei legami sociali. In un Paese come il nostro, in cui la coscienza politica non è più così diffusa, e in cui una rivoluzione popolare non c’è veramente mai stata, non pensa che si possa arrivare ad auspicare, di nuovo, l’intervento dell’Uomo Forte?

Giorgio Galli Sì, questa possibilità in senso lato esiste, ma io credo che le condizioni che hanno permesso nella Repubblica di Weimar l’affermazione di un movimento come quello nazionalsocialista, abbiano specifiche che non penso possano ripetersi in quella forma. Nel vertice nazionalsocialista, per esempio, erano presenti tendenze esoteriche, sfociate poi nel razzismo, e modi di vedere che non sono riproducibili nell’Italia di oggi e nelle società contemporanee. Quindi un movimento di quel tipo è molto difficile. Pur tuttavia questa tendenza c’è e l’abbiamo continuamente vista. Cito spesso, quello che ritengo il più grande scienziato politico dello scorso secolo, scomparso da qualche anno, l’americano Robert Doll. Questi sostiene che la democrazia o diventa più partecipata, e in questo è un po’ generico, io sono più preciso e dico che bisogna votare per le sedie dove veramente siede il potere, oppure dice Doll, la democrazia può subire un’involuzione e diventare molto oligarchica, anche se manterrà gli aspetti della democrazia formale. Per questo non si può pensare a un sistema autoritario, e certamente non a un personaggio come Hitler, senza libertà di stampa e senza libertà di parola. Doll diceva appunto che se non si allarga la partecipazione avremo una democrazia che manterrà i suoi aspetti formali, elezioni periodiche relativamente libere, ma sempre più influenzate da una stampa mediatica che è nelle mani degli stessi che gestiscono il potere economico. Quindi ci sarà un regime sostanzialmente di Élite, ma che non priverà i cittadini di tutto ciò di cui sono stati privati dopo la Repubblica di Weimar. Quanto all’uomo forte, una sorta di imitazione, in questo contesto, l’Italia la offre. Abbiamo avuto per vent’anni un personaggio dello spettacolo. Per anni ho scritto inutilmente che gli italiani non hanno mai votato per Berlusconi. Berlusconi ha avuto mediamente il voto di un italiano su sei. Invece, ho sempre sentito dire che gli italiani votano per Berlusconi. No, solo una minoranza di italiani votava Berlusconi, ma il sistema era tale che attorno a quest’uomo si organizzava tutto il sistema politico. Dopodiché abbiamo avuto per una breve stagione un mediocre accademico come Mario Monti, presentato come il salvatore della patria, durato sei-otto mesi e adesso di nuovo abbiamo un personaggio che ha delle caratteristiche più brillanti, e senza dubbio un certo talento politico, come Matteo Renzi, ma è di nuovo questa idea dell’uomo forte, non così cattivo come Hitler e nemmeno come Mussolini, che era visto come meno brutale del suo collega tedesco, ma certamente c’è l’idea di qualcuno che grazie ai suoi talenti e al consenso che raccoglie possa risolvere i problemi.

 

Adriana Paolini Si tratta quindi di uno scarico di responsabilità. Non c’è la cultura e neppure la forza di prendere in mano il proprio destino, ma la ricerca di qualcuno che se la prenda per tutti.

Giorgio Galli In Italia abbiamo avuto alcuni problemi specifici. Un partito comunista che ha espresso una cultura e un tipo di classe dirigente, che dopo essersi irrigidita per decenni nello stalinismo e nel post stalinismo, di fronte al crollo di tutto un sistema culturale, ha abbracciato un mediocre liberismo senza prospettive. Quindi in Italia abbiamo un elemento di ulteriore gravità di questa situazione, perché la partecipazione che c’era era molto condizionata dalla rigidità del messaggio trasmesso.

 

Yalta

Da sinistra Churchill, Roosevelt e Stalin alla Conferenza di Jalta.

 

Adriana Paolini Dalla fine della Guerra Fredda, l’Italia ha visto declinare, fino quasi ad esaurire, il proprio ruolo di influenza e mediazione nell’area mediterranea. Alla luce dei nuovi e drammatici conflitti mediorientali, come può l’Italia riacquistare quel ruolo che per storia e posizione geografica le è sempre stato congeniale e non finire a fare semplicemente il “guardiano” dei confini europei?

Giorgio Galli Intanto il primo problema da affrontare è quello della Nato, che è una tipica istituzione da Guerra Fredda, a egemonia americana, che non corrisponde più alla situazione attuale. La soluzione migliore sarebbe che l’Italia contribuisse a un processo di costruzione europea, del modello dell’Europa di Carlo Magno. È inutile pensare che ci si possa a lungo occupare dei problemi specifici di polacchi, estoni o bulgari. Se questo punto di riferimento manca, perché adesso non c’è un’Europa soggetto politico, ma solo una moneta unica, il ruolo che l’Italia può acquistare è quello di una maggiore sensibilità per i propri interessi nazionali. Sarebbe meglio poterli convogliare verso l’Europa, ma se è tanto difficile e tanto lungo il percorso, forse sarebbe meglio cominciare a pensare un po’ ai nostri confini. Accantonare la Nato e cercare di trovare, per quanto possibile, soluzioni europee e se non è possibile, fare almeno una politica estera che in qualche misura rispecchi gli interessi nazionali. Abbiamo visto gli ultimi episodi di questi giorni in cui Paesi come la Francia, che ha avuto flussi migratori maggiori dei nostri a causa della dissoluzione del suo impero, nonostante le speranze di De Gaulle, che per un modesto problema come l’assegnazione delle quote si sta scontrando con i forti egoismi nazionali. Allora, forse, se la situazione reale è questa, al di là dei sogni di un’Europa unita, dobbiamo probabilmente avere una classe politica in grado di tutelare efficacemente gli interessi nazionali.

 

Altiero Spinelli

 

Adriana Paolini Anche il ruolo dell’Italia come propulsore e ideatore dell’idea originaria di Europa Unita e motore economico della stessa in effetti è tramontato. Il nostro Paese sembra sempre più visto, dai partner europei più potenti, come terra di conquista e sfruttamento, valida solo per reclutare cervelli in fuga e manodopera specializzata a basso prezzo, secondo una tendenza che non accenna a invertirsi.

Giorgio Galli In effetti i nuovi grattacieli di Milano di Porta Garibaldi sono stati comperati dagli arabi, la Pirelli è diventata cinese, la Fiat è degli Stati Uniti. Abbiamo evidentemente bisogno, al di là del problema delle multinazionali, di un ceto politico che pensi almeno a tutelare il patrimonio nazionale. Lavorando con Altiero Spinelli, che riteneva di poter costruire l’Europa andando a Bruxelles, ho visto la sua enorme difficoltà quando si rese conto che non era poi così scontata. Quindi credo che il minimo che si debba fare sia almeno quello di tutelare il più possibile gli interessi del nostro Paese.

 

Tipiche immagini di profilo Twitter usate dai sostenitori ISIS. Sono variazioni della bandiera utilizzata da ISIS, immagini del fondatore di Qaeda, Osama Bin Laden, e membri e leader di spicco dell’ISIS, tra cui "jihadista John" e “Abu Bakr al Baghdadi”.

Variazioni della bandiera utilizzata da ISIS, immagini del fondatore di Qaeda, Osama Bin Laden e leader di spicco dell’ISIS, tra cui “jihadista John” e “Abu Bakr al Baghdadi”.

 

Adriana Paolini La capacità mediatica dell’Isis e la crudezza del suo agire ha portato nelle nostre case la convinzione che una guerra di religione sarà inevitabile in un futuro non molto lontano.

Papa Francesco ha parlato poi di Terza Guerra Mondiale combattuta a Pezzi. Lo stesso Papa, tra le righe, ha chiesto ai potenti della terra di prendere posizione affinché i cristiani, vittime di queste guerre, non vengano lasciati da soli. É d’accordo con il Papa? E, se sì, come pensa evolverà questo conflitto?

Giorgio Galli L’Isis è un problema complicato e forse bisognerebbe conoscere bene la storia dell’Islam, meglio di quanto la conosca io. Pur tuttavia ci sono alcuni aspetti che già sorprendono. Quelli che attualmente ci vengono presentati come i leader dell’Isis sono stati praticamente tutti arrestati dagli americani, nell’una o nell’altra fase del conflitto mediorientale e poi rilasciati. E già questo, qualche problema lo suscita. Certo rispetto alla tendenza di chi ritiene di combattere una guerra di religione, le parole di Papa Francesco sembrano molto sensate ed equilibrate. Se, infatti, il Papa, che è il massimo rappresentante di una delle religioni più diffuse, con circa due miliardi di fedeli, anche se i dati demografici, soprattutto le elaborazioni degli Stati Uniti, parlano di un Islam che sta già diventando la prima religione del pianeta, riesce a vedere il pericolo e chiede di impegnarsi per evitare guerre di religione, che già in certe aree costano ai cristiani sofferenze molto elevate, non si capisce perché altri personaggi politici, non religiosi, pensino di combattere quasi per davvero una guerra di religione. Il problema da capire meglio sarebbe invece quello del risveglio islamico, che cominciò con i giovani turchi, per lo più ufficiali illuministi, spesso di formazione occidentale massonica, che all’inizio del secolo scorso abolirono il califfato. Oggi, invece, a distanza di un secolo ne viene riproposto un’altro, da parte di un gruppo di modesti personaggi, tutti usciti dalla prigionia statunitense.

 

Italia negli anni 50, Milano Via Orefici.

 

Adriana Paolini Professor Galli, lei ha 87 anni. Ha vissuto pienamente un secolo di storia, a volte fortunato altre più sfortunato. E dalle questioni fin qui affrontate è chiaro che il nostro mondo, in questo momento, qualche difficoltà la sta affrontando. Se dovesse dare un messaggio di speranza ai giovani, che in molti hanno lasciato o stanno lasciando l’Italia, cosa direbbe loro?

Giorgio Galli Bisogna fare una proposta concreta. Per quanto riguarda il mondo in cui viviamo è quello delle multinazionali e quindi bisogna sostituire al potere dei consigli di amministrazione il potere dei cittadini, avendo coscienza che questo è il problema. Se i giovani cominciano a capire qual è il problema poi capiranno come affrontarlo. Se non lo vedono e pensano che ci siano solo piccole questioni nazionali è normale che si arrangino, giustamente, come possono, cercando un futuro là dove credono che esista e che ritengano sia più probabile trovarlo, come a Londra o a Berlino, che non a Milano o a Napoli.

Per quanto riguarda l’Italia, anche qui bisogna avere un progetto preciso e non affidarsi a una rapida ripresa impossibile  che non ci sarà più secondo i vecchi modelli, ma pensare che abbiamo bisogno per l’Italia di un progetto nazionale, che salvi almeno il nostro territorio. Vado spesso in Liguria e quando piove chiudono le scuole e intere aree franano. Se invece si fa un progetto nazionale, da proporre e imporre all’Europa, si può mettere al sicuro almeno il territorio, e non continuare a perseguire l’idea keinesiana di fare delle buche per poi riempirle. Anche semplicemente rendere agibili le strutture scolastiche, che per un terzo del Paese non lo sono, sarebbe già un bel progetto, mentre invece ogni anno i sostegni economici diminuiscono. Allora, i giovani italiani possono essere incoraggiati se cominciano a vedere in che mondo vivono, che è il mondo delle multinazionali che è da controllare; in che paese vivono, che è un territorio nazionale da mettere in sicurezza: allora sì che i giovani possono partecipare a risolvere i problemi reali. Smetterla, insomma, di illudersi che con lo 0,2% di crescita economica del Pil si risolleverà il Paese e lavorare, invece, per ottenere elezioni dirette a tutti i livelli.

La speranza che si può quindi dare ai giovani è che riescano a studiare e capire bene in che mondo vivono, in che Italia sono e cercare di migliorare. Suffragio universale, dunque, per tutti i centri di potere effettivo e piano di messa in sicurezza del territorio nazionale. Altrimenti, se la prospettiva è quella di rimanere in Italia e immiserire facendo i precari o lavorare gratis per l’Expo, come se fosse una grande conquista, i nostri giovani saranno del tutto legittimati ad andare nelle grandi capitali europee a lavorare per le multinazionali, dove in effetti c’è ancora un certo spazio per la famosa meritocrazia, che in Italia funziona al contrario. Basta leggere, sempre nel mio ultimo libro Golpe Invisibile, chi si è arricchito negli ultimi anni in Italia, per rendersi conto che mentre il Paese impoveriva, interi ceti si arricchivano saccheggiando il Paese.

Anche guardando al passato a un’Italia in crescita dopo il trauma del fascismo, della sconfitta e della guerra civile, il Paese si riprese, con il famoso Pil che cresceva più del 4 e del 5%, non esasperando l’individualismo, ma con uno sforzo collettivo, anche in un periodo di forti contrasti politici. L’Italia degli anni Cinquanta Sessanta era infatti un Paese molto vivo, anche di dura polemica politica, ma nonostante questo, la visione generale del Paese era quella che si doveva andare avanti con uno sforzo collettivo e non esasperando le guerre tra poveri.

di Adriana Paolini

 

Breve Scheda Biografica di Giorgio Galli

Laureato in giurisprudenza, lungamente docente di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi di Milano, è uno dei più affermati politologi italiani.

La sua produzione di storico è orientata prevalentemente alla storia contemporanea italiana, in particolare al secondo dopoguerra. In molteplici scritti ha esplorato con acutezza e rigore scientifico temi di carattere sociologico, ponendo particolare attenzione al connubio tra storia ufficiale ed esoterismo.

I suoi lavori si caratterizzano per l’attenzione anche ad aspetti particolari sulla storia delle idee politiche, quali, ad esempio, le radici “magiche” o irrazionali che concorrono a formare l’adesione di massa a determinate ideologie politiche, soprattutto quelle di natura totalitaria.

Tiene una rubrica intitolata Le divergenze convergenti sulla rivista mensile Linus.

Ha pubblicato da poco Il golpe invisibile. [Come la borghesia finanziario-speculativa e i ceti burocratico-parassitari hanno saccheggiato l’Italia repubblicana fino a vanificare lo stato di diritto], Milano, Kaos Edizioni, 2015.

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