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Effetti a lungo termine dell’uso di marijuana sul cervello

Pubblicato il 14 giugno 2015 da redazione

La letteratura esistente sugli effetti a lungo termine della marijuana sul cervello non fornisce un quadro coerente perché gli studi efettuati seguono metodologie differenti. Per superare queste problematiche metodologiche è stato preso in esame un grande gruppo di utilizzatori adulti di marijuana di età molto diverse, per identificare quali tipi di cambiamenti si siano verificati nell’arco di un’intera vita senza pregiudizi particolari come era invece stato fatto in altri studi. I risultati ottenuti suggeriscono che l’uso quotidiano di marijuana può indurre processi neuroadattativi complessi e che variano  a secondo di quando è iniziato l’uso e per quanto tempo si è protratto.

(da uno studio di Cameron Carter, University of California, Davis Center for Neuroscience, Sacramento, CA.)

 

marijuana

A partire dal 2007 il tasso d’uso di marijuana è costantemente aumentato. Tra gli effetti dei 400 principali composti chimici, quelli della marijuana sono attribuiti principalmente a δ-9-tetraidrocannabinolo (THC), che è il principale ingrediente psicoattivo della pianta di cannabis. THC si lega ai recettori dei cannabinoidi, che sono onnipresenti nel cervello. Di conseguenza, l’esposizione al THC porta a cambiamenti neurali che influenzano processi cognitivi diversi. Dal momento che questi cambiamenti si protraggono a lungo nel tempo è lecito ritenere che i cambiamenti neurali causati dalla marijuana possano influenzare l’architettura neurale. Tuttavia, fino ad oggi, questi cambiamenti cerebrali non sono stati confermati. In particolare, anche se i cambiamenti funzionali sono stati ampiamente riscontrati nelle aree cognitive sia di consumatori adulti sia di quelli adolescenti, i cambiamenti strutturali non sono stati gli stessi. Anche se alcuni hanno riportato una diminuzione del volume cerebrale di alcune regioni come l’ippocampo, la corteccia orbitofrontale, amigdala e nello striato, altri invece, come alcuni consumatori cronici, hanno riportato aumenti di amigdala, nucleo accumbens e volumi cerebellari. Tuttavia, altri consumatori cronici di marijuana hanno riportato differenti variazioni di volumi di sostanza grigia o bianca, globali o regionali. Tutte queste incongruenze potrebbero essere attribuibili a differenti metodologie nello studio dei campioni, come per esempio i diversi valori di riferimento usati per stabilire la gravità di uso di marijuana, l’età, il sesso, la concomitanza d’uso di altre sostanze, la presenza di disturbi psichici o più semplicemente le modalità di studio e le regioni del cervello esaminate.

 

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Poiché il THC si lega a cannabinoidi 1 (CB1) del cervello, i cambiamenti morfologici causati dall’uso di marijuana interessano le zone dei recettori CB1 che si trovano nella corteccia orbitofrontale, cingolo anteriore, striato, amigdala, insula, ippocampo e cervelletto. Recettori CB1 sono ampiamente distribuiti nella neocorteccia e meno nel romboencefalo e nel midollo spinale. In un recente studio di Battistella, per esempio,  si è osservata una maggior riduzione del volume cerebrale nella corteccia temporale mediale, polo temporale, giro paraippocampale, insula e corteccia orbitofrontale (OFC) di consumatori abituali di marijuana rispetto ad altri per lo più occasionali. Tuttavia, non è ancora stato dimostrato che queste riduzioni di volume del cervello causino, o meno, dei cambiamenti nell’organizzazione e nelle funzionalità del cervello. Quello che è stato, invece, dimostrato è come la struttura cerebrale sia in relazione alla connettività. Per esempio, Van den Heuvel e Greicius hanno dimostrato le forti connessioni strutturali che esistono fra gli indici della sostanza bianca e la forza connettiva funzionale all’interno della rete, per quanto attiene alle modalità di default. Allo stesso modo, altri ricercatori hanno tracciato modelli di relazione di struttura fra la materia grigia e la connettività, che rispecchiano le reti intrinseche implicate. Pertanto i dati raccolti, per i soggetti che fanno un uso abituale di marijuana, suggeriscono una relazione diretta fra connettività strutturale e funzionale, e probabili cambiamenti di connettività là dove si osservano alterazioni del volume del cervello.

L’obiettivo di questo studio è stato quello di delineare le alterazioni morfologico-cerebrali e le potenziali successive alterazioni di connettività, che seguono a un uso cronico di marijuana. Per affrontare le incongruenze esistenti nella letteratura precedente, che possono dipendere dalle diverse metodologie applicate, in questo studio sono state usate tre diverse tecniche di risonanza magnetica, che hanno permesso di studiare un vasto campione di consumatori abituali di cannabis, caratterizzati da un’ampia gamma di individui di età e sesso differenti. Dato che la letteratura esistente, in base ad un uso protratto di marijuana, documentava una riduzione morfometrica, ci si aspettava una forte riduzione di sostanza grigia nelle aree THC associata a cambiamenti della connettività cerebrale e dei comportamenti.

 

Metodi

I partecipanti.

Il totale dei partecipanti era costituito da 110 individui, reclutati attraverso volantini e media pubblicitari nella zona metropolitana di Albuquerque, Nuovo Messico. I partecipanti parlavano l’inglese come lingua principale; non erano affetti da patologie psicotiche, non mostravano lesioni cerebrali traumatiche o disordini neurologici. Tra gli utilizzatori di marijuana (cannabis) erano stati inclusi anche quelli che negli ultimi 6 mesi ne facevano un uso regolare (almeno di quattro volte alla settimana), confermato dalla presenza di THC-COOH nelle urine. Per il campione di riferimento di non utilizzatori, l’esame basale delle urine era negativo. La Tabella 1 riassume le informazioni demografiche, i dati comportamentali e il numero totale di partecipanti.

 

Tabella 1

Tabella 1.

 

Risonanze magnetiche MRI.

Per studiare i cambiamenti del cervello tra i consumatori di cannabis e campioni di riferimento, sono state utilizzate diverse tecniche di risonanza magnetica: una immagine T1 in alta risoluzione è servita a misurare il volume della materia grigia, un’altra risonanza magnetica funzionale è servita a valutare la connettività funzionale del cervello in stato di riposo e una terza scansione è servita a valutare la connettività strutturale tra le diverse regioni del cervello attraverso tratti di materia bianca.

 

Misure comportamentali.

I comportamenti relativi al consumo di marijuana sono stati catalogati secondo il metodo Marijuana Problem Survey (MPS). L’MPS è un insieme di 19 quesiti che serve a valutare le conseguenze psicologiche, sociali, professionali, legali e negative dovute all’uso di marijuana negli ultimi 90 giorni (come per esempio problemi in famiglia, mancanza di lavoro o perdita del posto di lavoro, malessere da astinenza da marijuana). Ogni problema è valutato da 0 (“nessun problema”) a 2 (“problema grave”) e il numero di fattori classificati come 1 o 2 contribuisce a creare un indice del numero totale di problemi (range = 0-19) . I consumatori di marijuana che cercano un trattamento riportano una media di 9-10 problemi.

 

Analisi Statistica.

Per valutare le conseguenze provocate da un uso abituale di marijuana sulla cognizione, il volume della materia grigia, la connettività funzionale e le misure di connettività strutturali è stato applicato un modello statistico lineare. Il modello prevedeva due gruppi, i consumatori di marijuana abituali e quelli del campione di riferimento. Eseguiti due test, si  valutava come i gruppi cambiavano rispetto ai valori precedenti, ipotizzando che il gruppo cannabis avrebbe mostrato alterazioni nel volume della materia grigia, della connettività funzionale e della connettività strutturale. Infine, testati i modelli di regressione parametrici, si esaminava il rapporto tra il volume della materia grigia, la connettività funzionale, l’integrità della sostanza bianca e i valori neurocognitivi del gruppo cannabis e per garantire la migliore aderenza possibile alla regressione parametrica, veniva applicato il criterio di informazione (AIC), Akaike.

 

Risultati

Caratteristiche del campione.

Tutte le immagini RM sono state ispezionate visivamente. Di 110 partecipanti, tre partecipanti del campione di riferimento non hanno completato il protocollo di connettività della risonanza magnetica funzionale. Nove partecipanti (sette nel gruppo di riferimento, due in quello cannabis) non hanno prodotto le pinze nel tratto minore con la tecnica automatizzata. Nessun dei partecipante con criteri oscillanti fra > 3 mm e > 3° stato escluso. Non c’era alcuna differenza significativa di età o di sesso tra i gruppi. Tuttavia, il QI dei consumatori di marijuana era significativamente inferiore rispetto al campione di riferimento (P <0,05). La Tabella 1 riassume i dati demografici dei partecipanti.

 

MRI misurazioni.

Il confronto Voxelwise delle immagini T1 ad alta risoluzione ha mostrato un significativo volume più basso della materia grigia nei consumatori di marijuana, nella parte centrale orbitofrontale (coordinate MNI: [+26 +54 -8]; tscore = 3.37) e di sinistra gyri orbitofrontale superiore (coordinate MNI: [-16 +58 -10]; t score = 3.19) [P <0.01 (FWE corretto) e ≥ 15.936 mm3, come mostrato nella Figura 1. Il contrasto, marijuana> controllo d’inversione, non ha dato alcun voxel significativo.

A seguito delle alterazioni strutturali osservate nella regione orbitofrontale, si è poi stabilita la connettività funzionale della rete orbitofrontale. I componenti di questa rete sono costituiti da circonvoluzioni orbitofrontali bilaterali e temporali bilaterali. La Figura 2, mostra le mappe di connettività media funzionale della rete orbitofrontale per i gruppi di cannabis e i campioni di riferimento. Le mappe evidenziano differenze qualitative tra i gruppi e in particolare quello di cannabis aveva una connettività funzionale più elevata. La Figura 2 mostra che, quantitativamente, nei consumatori di marijuana la connettività di tutte le quattro aree (OFC bilaterale e lobo temporale bilaterale) era significativamente più elevata rispetto a quella del campione di riferimento.

 

Figura 1

Figura 1. Il confronto tra il volume della materia grigia nei consumatori di marijuana rispetto a quelli del campione di riferimento, dimostra una significativa riduzione del volume della materia grigia nella zona bilaterale orbitofrontale gyri (atlante AAL). Il lato destro della immagine rappresenta l’emisfero destro in proiezione assiale.

 

Figura 2

Figura 2.

 

Figura 3

Figura 3.

 

Tabella 2

Tabella 2.

 

Tabella 3

Tabella 3.

 

Figura 4

Figura 4.

 

Tabella 4

Tabella 4.

 

Conclusioni

A differenza della letteratura sugli studi degli animali, se l’esposizione alla marijuana porti, o meno, a cambiamenti a lungo termine nella struttura del cervello umano è ancora ambigua. Per far fronte a questo quesito, sono stati valutati i cambiamenti strutturali riscontrati nel cervello, a seguito di un uso abituale di marijuana, di un ampio gruppo di consumatori, ben caratterizzati per età e sesso e confrontati con quello di un campione di riferimento di non utilizzatori. I risultati dimostrano che i consumatori abituali di marijuana hanno volumi di materia grigia OFC decisamente più bassi di quelli riscontrati nei non utilizzatori. Gli effetti neurotossici di cannabis sono stati ampiamente riportati dalla letteratura degli studi su animali. Sulla base della letteratura degli animali, sui potenziali meccanismi che possono portare a riduzioni OFC a causa della neurotossicità da cannabis, si includono la perdita neuronale, i cambiamenti nella dimensione delle cellule, o anche una riduzione della densità CB1. Tuttavia è possibile, che queste anomalie OFC possano riflettere fisiopatologie preesistenti, relative alla vulnerabilità ad abuso di marijuana e di dipendenza.

Per determinare i potenziali effetti, a valle, della riduzione del volume OFC, si è valutato l’OFC funzionale (fcMRI) e la connettività strutturale (DTI). Le analisi della connettività funzionale hanno rivelato una maggiore connettività nella rete OFC per i consumatori di marijuana rispetto a quelli del campione di riferimento, che è concorde con gli studi esistenti sugli stati a riposo e quelli di attività. Questo aumento della connettività funzionale degli utenti può suggerire un meccanismo di compensazione per cui un maggior impegno della rete viene compensato da una maggior OFC. Tomasi ha illustrato come una maggiore connettività funzionale necessiti di un consumo di glucosio superiore (~70% del consumo di energia del cervello) e come, di conseguenza, gli hub di connettività debbano impegnarsi a livello funzionale di più, per essere efficienti. Nel loro rapporto, un’elevata efficienza di glucosio per l’OFC viene ricavata dal rapporto fra la forza di integrazione funzionale (basata sul rsfMRI e il numero di connessioni di nodi della rete) e il metabolismo del glucosio cerebrale. Nel loro insieme, poiché l’OFC è un hub di rete, si è osservato un aumento funzionale della connettività OFC concomitante a riduzioni di sostanza grigia OFC, che suggeriscono fenomeni adattativi neuronali.

 

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I risultati di una maggiore connettività funzionale nella rete OFC, per i consumatori di marijuana abituali, sono stati ricavati da una maggiore connettività strutturale FA, mielinizzazione e/o assoni intatti. Sulla base delle misurazioni RD e AD, sembra che la diversa FA tra i gruppi sia stata generata dal basso RD, che suggerisce una maggiore mielinizzazione nei consumatori di marijuana. Anche le proprietà antinfiammatorie dei costituenti della cannabis, come il cannabidiolo (CBD) porterebbero a un maggiore FA. Infine, è anche possibile che gli effetti della cannabis (cioè, CBD) possano essere utili per regolare l’attività mitocondriale della materia bianca, in termini di processi antiossidanti, e anche per modulare i processi che proteggono i neuroni a livello molecolare. Nel complesso, se questi effetti sono infatti causa di effetti neurotossici da cannabis, la relazione inversa tra struttura OFC e la connettività suggerisce che la materia grigia OFC (vs sostanza bianca) è più vulnerabile agli effetti del THC. Tuttavia se i cannabinoidi endogeni svolgono un ruolo importante nella potatura sinaptica, l’introduzione di cannabinoidi esogeni come THC potrebbero interferire con questo sistema competendo per i recettori e, di conseguenza, inibendo la potatura sinaptica specifica nelle zone recettore arricchiti come il OFC. In altre parole, qualsiasi traiettoria evolutiva premorbosa può essere modificata mediante esposizione alla cannabis, e conseguente accelerarazione OFC della maturazione mielinica. Tuttavia, anche se la maggior parte della letteratura degli studi sugli animali e sull’uomo illustri il down-regulation dei recettori CB1 a seguito di THC, riconosciamo che sono necessari altri studi per affrontare la causalità di queste anomalie neurali.

In ogni caso i risultati delle correlazioni negative tra gli indici di connettività e le misure di uso di marijuana suggeriscono un effetto deleterio cumulativo di marijuana sulla connettività OFC. C’è un rapporto tra connettività funzionale e l’inizio del consumo che suggerisce che una maggiore connettività funzionale è associata a un’insorgenza più precoce nell’uso iniziale, mentre l’uso abituale di marijuana mostra una connettività strutturale inferiore (cioè, FA). Questa dissociazione dimostra la complessità degli effetti della marijuana sul cervello, in particolare sull’interazione di marijuana con periodi dello sviluppo neurologico, suggerendo che il volume OFC inferiore precede l’inizio del consumo di marijuana e che una maggiore connettività funzionale si osserva all’inizio del consumo e che poi si dissipa con l’uso cronico, per una probabile formazione di ponteggi neurali. Questo modello globale di risposta neurale alla marijuana è di particolare importanza in termini di trattamento. Gli studi futuri dovrebbero concentrarsi sulle sfumature di queste interazioni complesse.

Fino ad oggi, il trattamento e la prognosi dei disturbi da uso di cannabis è stata ostacolata da una fisiopatologia sottostante inconcludente. In questo studio si è quindi scoperto che l’esposizione cronica alla marijuana riduce il volume OFC della materia grigia, la connettività strutturale e funzionale aumenta e porta ad alterazioni neuronali che vengono modulati per età di inizio e durata di utilizzo. Tutto sommato, questi risultati suggeriscono che un uso abituale di marijuana comporta complessi processi neuroadattativi. Saranno necessari futuri studi per determinare se questi cambiamenti rientrino alla normalità dopo un’astinenza prolungata. La letteratura esistente dimostra che le alterazioni cognitive e dei recettori CB1, nei consumatori abituali di marijuana potrebbero tornare a valori normali, con fenomeni neuroadattativi che insorgono dopo lunghi periodi di astinenza. Tuttavia questo studio non affronta se le alterazioni strutturali osservate siano permanenti o reversibili e occorrerebbe un’ulteriore indagine per capire in che direzione vadano questi effetti.

riduzione italiana dello studio a cura di Adriana Paolini

 

http://carterlab.ucdavis.edu/front/index.php

http://neuroscience.ucdavis.edu/

http://www.pnas.org/content/111/47/16913.full

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