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Budapest, città della Memoria e dell’Olocausto

Pubblicato il 25 gennaio 2015 da redazione

ponte

Visitando la città di Budapest ad ogni passo si intravedano le fitte pieghe del suo glorioso e al tempo stesso tormentato passato.

Molte le opere architettoniche, antiche e moderne, i monumenti e le mostre in giro per la città.

Una città tipicamente miteleuropea, i cui palazzi testimoniano le molte ingerenze straniere e i diversi caratteri, generosi o avari, degli stranieri che vi hanno dominato, dai turchi, agli austriaci e ai sovietici, che in un modo o in un altro ne hanno afflitto la dignità, lasciando in ciascuno un po’ di maliconia e al tempo stesso una certa mestizia, celati da un carattere forte, determinato e più spesso cordiale.

Sarà il grande Danubio che lambisce le due metà della città, Buda quella più antica e ricca dell’impero o Pest, quella del ghetto ebraico e delle università, oppure l’isola Margherita al centro del fiume, luogo d’incontro dall’una e all’altra sponda delle due facce di BudaPest, nei luminosi mesi primaverili ed estivi, quando per rinfrescarsi ci si va a bagnare nella Duna.

Saranno i colori dei cieli nordici, in cui l’aria resta sospesa e solida per il freddo, o ti sferza il viso appena la muove il vento.

Saranno i moltissimi giovani universitari che vi confluiscono da tutto il mondo per studiare.

Sarà la disposizione urbana, tutta allungata sul fiume, abbastanza grande, ma al tempo stesso contenuta e raccolta in sé stessa, in una atmosfera ancora umana e rassicurante, in cui le false promesse della modernità e della globalizzazione sembrano non averla particolarmente sfiorata.

Eppure si trovano spesso tentativi pionieristici, ben riusciti, di riqualificazione creativa di parti di città particolarmente devastate nei diversi momenti storici, come alcuni antichi palazzi lasciati decadere dai funzionari sovietici e ora recuperati dai giovani ungheresi e trasformati in veri e propri musei d’arte di strada, più nota ai giovani locali, come “kultúra utkája”, che cerca di frapporsi alle consuetudini e ai retaggi storici, ma senza traumi, inserendosi semplicemente negli spazi lasciati vuoti o per troppo tempo abbandonati.

Una giovane generazione, quella ungherese, che non dimentica, ma che riscatta il suo passato facendone materia e proposta creativa per il futuro.

 

L’Albero della Vita

albero Foglie Giardino

Significativo, impressionante e al tempo stesso carico di affetto e compassione, è senzaltro “l’Albero della Vita”, innalzato dalla Fondazione Emanuele per iniziativa del famoso attore americano di origine ebraica ungherese, Tony Curtis e realizzato da Imre Varga, classe 1923, il più grande artista ungherese ancora vivente.

Quest’albero metallico incarna, in un maestoso salice piangente, tutte le lacrime e il dolore che la popolazione ebraica in generale, e quella ungherese di Budapest, in particolare ha pianto e sofferto nell’Olocausto. Ogni foglia di quest’albero, cinquemila in tutto, riporta inciso il nome e cognome di ogni ebreo caduto vittima delle croci frecciate naziste nel ghetto di Budapest, oggi quartiere ebraico e cuore del centro della città.

L’imponente albero sorge appena dietro i giardini della memoria della Sinagoga Dohány, la più grande d’Europa, terza di tutto il Mondo dopo quella di New York e di Gerusalemme. Costruita tra il 1854 e il 1859, in stile moresco, insieme alle Scarpe del Danubio, il Monumento all’Olocausto che si trova lungo le rive della Duna, è una delle più importanti testimonianze a ricordo delle vittime ebraiche ungheresi: quasi 600000.

genealogia

Nel palazzo attaccato alla Sinagoga è situato il Museo Ebraico, sede dell’archivio di raccolta dell’intera genealogia ebraica e casa natia, ancora prima della Prima Guerra Mondiale del giornalista ebreo Theodor Herzl, fondatore del movimento politico sionista.

 

Le scarpe della memoria raffiorano dalla Duna

Scarpe della memoria

il ghetto

Lungo quaranta metri di banchina del Danubio, sul lato Pest della città, 60 paia di scarpe in bronzo, ormai di color nero fumo, ricordano i morti della Shoa e le Croci Frecciate, la milizia che collaborava con i nazisti, che fra il 1944 e il 1954, deportarono e assassinarono migliaia di ebrei ungheresi.

Dopo averli imprigionati nelle loro case del ghetto, li lasciarono morire di fame e di freddo o li deportarono nei campi di concentramento più vicini. Niente fosse comuni per quegli ebrei, solo molte torture e violenze e alla fine l’ultimo atto: trascinati sul Danubio, e lì derubati delle scarpe, simbolo della loro dignità, uccisi a fucilate e dati in pasto al fiume, tutti, donne, anziani, bambini, nessuno escluso.

Nel 2005 lo scultore Pauer Gyula per ricordare questo momento ha voluto ridare voce alle vittime con delle semplici  e composte scarpe di bronzo, il cui silenzio si confonde ora con i mormorii della Duna.

 

Papa Roncalli

Roncalli

Nella Sinagoga non mancano due testimonianze italiane, quella di Papa Roncalli e di Giorgio Perlasca.

A Papa Roncalli è dedicata una lapide, all’ingresso del museo, dietro l’Albero della vita nella quale la comunità ebraica di Budapest ringrazia Giovanni XXIII, il Papa buono di Sotto il Monte, per le molte opere compiute per salvare dalle deportazioni migliaia di ebrei, sia attraverso aiuti economici sia in altri modi più strettamente formali.

Durante la II Guerra Mondiale si adoperò, infatti, per salvare il maggior numero di ebrei possibile. Disponibile e prodigo verso tutti i rappresentanti della comunità ebraica, che  spesso si rivolgevano a lui con molte richieste di aiuto, soprattutto per Chaim Barlas in Turchia, Roncalli intervenne anche per salvare gli ebrei di Slovacchia e Bulgaria, esortando i loro capi di stato a impedirne la deportazione e lo sterminio.

Utilizzò tra l’altro la posta diplomatica per inviare la documentazione di immigrazione al cardinale Angelo Rotta a Budapest, che alla fine fu riconosciuto Giusto tra le Nazioni per aver salvato la vita di molti ebrei ungheresi.

Più tardi, tra il 1958 e il 1963 avviò anche l’importante dialogo interreligioso tra cattolici ed ebrei che, nella sua enciclica Nostra Aetate, affermava che la Chiesa “deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque” e soppresse dalla preghiera del Venerdì Santo il commento offensivo contro gli ebrei:“perfidi giudei”.

 

Giorgio Perlasca

Giorgio Perlasca 1989

Perlasca era, invece, un semplice commerciante italiano incaricato, durante la seconda guerra mondiale, di provvedere ai rifornimenti alimentari, sopratutto di carne, per l’esercito italiano. La sua attività si concentrava per lo più in Ungheria, tanto che fra il 1942 e il 1945 risiedeva a Budapest. Perlasca, fu soprannominato il “Wallenberg italiano“, e passò alla storia per aver salvato la vita di migliaia di ebrei ungheresi. Sul suo coraggio è stata scritta la trama di un film per la televisione italiana nel 2002, intitolato appunto Perlasca, protagonista Luca Zingaretti, girato nei luoghi originali di Budapest, e che allora venne seguito da più di 11 milioni di telespettatori.

Stella

“Vorrei che i giovani si interessassero a questa mia storia unicamente per pensare, oltre quello che è successo, a quello che potrebbe succedere e sapere opporsi, se del caso, a violenze del genere!”  (Giorgio Perlasca – 1990.)

Quando a Novembre del 1944 Sanz Briz, Console spagnolo, decide di lasciare l’Ungheria perché il governo è divenuto filonazista, Perlasca decide invece di restare e di spacciarsi per il suo sostituto, redigendosi una vera e propria nomina a diplomatico, con tanto di timbri e carta intestata.

Da quel momento Perlasca diviene di fatto il nuovo Console spagnolo e ha la possibilità di gestire migliaia di ebrei, che nasconde in ambasciata e nelle case, protette dalla diplomazia internazionale, sparse per Budapest. Nei due mesi fra la fine del 1944 e l’inizio del 1945, Perlasca rilascia migliaia di finti salvacondotti ufficializzando la cittadinanza spagnola a migliaia di ebrei e salvandoli dalle Croci Frecciate, anche quando a volte erano già pronti alla deportazione sui binari delle stazioni ferroviarie.

sono passato di qui

Impedisce anche l’incendio e lo sterminio nel ghetto di Budapest, con 60.000 ebrei ungheresi, minacciando il ministro degli interni ungherese di una finta ritorsione legale ed economica da parte della Spagna.

Si occupa anche di fare avere cibo ai rifugiati ebrei da lui alloggiati, utilizzando i fondi dell’ambasciata, i propri e, dove possibile, quelli degli stessi rifugiati, che con un sistema di autotassazione provvedono anche a quelli che non dispongono più di nulla. Grazie a Perlasca, 5.218 ebrei si salveranno dalla deportazione.

All’arrivo a Budapest dell’armata sovietica, essendo italiano e quindi fascista viene ricercato e poi arrestato. Tornato in Italia, non racconta mai, neppure alla sua famiglia quanto ha fatto in Ungheria, ma conduce la propria vita in modo appartato e modesto. Solo grazie ad alcune donne ebree ungheresi, che 40 anni dopo si mettono alla sua ricerca, nel 1987 Perlasca viene rintracciato e insignito da Israele dell’alto riconoscimento di Giusto tra le Nazioni. Anche al museo Yad Vashem, a Gerusalemme gli è stato dedicato un albero, così come nel cortile della Sinagoga a Budapest Perlasca appare scritto in una lapide dedicata ai Giusti.

Sempre a Israele gli è stata dedicata un’intera foresta in cui sono stati piantati 10.000 alberi che rappresentano le vite degli ebrei che lui ha salvato.

 

Pietre d’inciampo

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Le Pietre d’inciampo (Stolpersteine) sono un’iniziativa dell’artista tedesco Gunter Demnig che ha pensato di inglobare nell’asfalto urbano dei piccoli blocchi di pietra (10 x10 cm.), attrezzati di una piastra in ottone, davanti alle abitazioni degli ebrei vittime del nazismo, ma anche di tutti gli altri indesiderabili come omosessuali, oppositori politici, Rom, Sinti, zingari, testimoni di Geova, pentecostali, malati di mente, portatori di handicap.

Su ognuna delle piccole lapidi dorate sono incisi il nome della persona deportata, l’anno di nascita, la data e il luogo di deportazione e la data di morte.

Partita da Colonia nel 1995, l’iniziativa ha portato, fino ad oggi, all’installazione di oltre 50.000 “pietre” (l’ultima posata a Torino) sparse in tutta Europa: Germania, Austria, Ungheria, Ucraina, Cecoslovacchia, Polonia, Paesi Bassi e Italia.

Inciampando, letteralmente, in queste pietre, ogni vittima dell’Olocausto non è più solo un numero, ma diviene un ricordo vivo e presente nelle vie delle città. Ogni giorno camminando e inciampando nelle Stolpersteine ricordiamo anche come i nazisti usassero le lapidi delle tombe ebree per pavimentare i marciapiedi.

di Adriana Paolini

 

Link interessante:

http://www.olokaustos.org/geo/ungheria/

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