Categoria | Cultura

Alda Merini

Pubblicato il 24 gennaio 2016 da redazione

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Se si provasse a descrivere con un disegno la vita, si riuscirebbe a darle un’immagine ferma? Ne verrebbe fuori un quadro astratto da interpretare o una regolata realtà rappresentata fedelmente? Il nostro tempo corre tra schemi che spesso si ripetono uguali e la frenesia di azioni e progetti sembra il nuovo dio del mondo. L’imperativo è universale: corri, agisci, realizza, fa’. Poi un giorno cambia qualcosa. Per qualcuno, non per tutti, ma per molti. Allora si rallenta. Ci si accorge che oltre la giostra che ci travolge facendoci ballare lo stomaco esiste un mare di silenzio. Una distesa di lentezza, in cui i corpi che la abitano sono spesso fermi – nella più felice delle ipotesi – altre volte isolati, rinchiusi, prigionieri. Vite come le altre, che sono tenute lontane dal mondo, perché la smania che le anima non è quella dell’azione, ma quella dei pensieri.

 

Alda Merini, l’altra verità.
Alda Merini è nata a Milano, il 21 Marzo. Primo giorno di primavera. Come le primule che si affacciano timidamente alla bella stagione, le è bastato un solo germoglio per capire di essere quello che era. Un fiore, che non può scrivere di fiori, perché sono troppo uguali a lei ed una scrittrice, perché la fragilità di piccolo bocciolo di primavera aveva radici che nessuno poteva vedere e che dovevano in qualche maniera trovare il giusto spazio per esprimersi. La forza delle parole nacque con lei; a diciannove anni già pubblicava i suoi testi e la sua ispirazione si accompagnava sempre più di frequente ad un’ombra leggera, che travolgeva i suoi passi, calandoli in un mondo onirico e spaventoso, che la portò fino all’isolamento.
Cosa conosciamo di quello che tocca la mente umana, quando prende una strada diversa sciogliendo i lacci che tengono chiuso un cancello di regole e ragioni? Alda si confrontò con queste domande sin da ragazza. Fu seguita da specialisti e trascorse molto tempo nel limbo di un ospedale psichiatrico, per curarsi da qualcosa che la portava via dalla ragione. Probabilmente l’intera sua vita ha sempre oscillato tra il brutto e il buono della sensazione di diversità. Essere lontani dal mondo, perché si è talmente immersi in esso da sconvolgerne le coordinate. Vivere troppo. Sentire troppo. Pensare troppo. Basta un avverbio, a volte, per essere considerati differenti, o peggio, malati. La Merini però continuava a scrivere e, in qualche modo, si riposava dal senso di oppressione da giudizi e da diagnosi, concedendosi il tempo per riflettere su se stessa e la propria esistenza, che, attraverso parole schiette, assumeva una sfumatura giusta, grazie alla quale l’anatroccolo grigio dell’alienazione scopriva un profilo di cigno, capace di regalarle l’identità di poeta.

 

Una vita, più bella della poesia
I problemi di salute e le cure che Alda Merini dovette affrontare non furono mai, tuttavia, più forti della sua passione per la vita e per la scrittura. La poetessa si racconta come una donna che non ha mai fatto un passo indietro di fronte ai sentimenti e alla loro intricata esasperazione. Alda passa a pieno attraverso il bosco fitto delle esperienze che hanno costellato la sua esistenza, senza difendersi, ma lasciandosi completare da esse. Crede nella forza delle relazioni umane e nella mirabolante potenza sottile del sogno, che riesce a colorare il vento, spargendo granelli di luce dove meno ci si aspetti di trovarli. Interrogarsi, farsi domande, lasciarsi incuriosire dalle cose, appassionarsi. Ecco l’istinto con cui Alda esprime se stessa nei propri versi. Le parole sono piccoli semi, che daranno vita a piante forti ed eterne, radicate in un terreno di saggezza e profondità.

La sua poesia parla essenzialmente di vita. Vita vera, ma incapace di essere confinata negli schemi rigidi della realtà sensoriale. La Merini pone se stessa come schermo tra i lettori e ciò che descrive, filtrando le emozioni di cui racconta attraverso la dolce inquietudine del proprio spirito e la sensibilità del proprio sentire.
L’amore diventa il centro, una furia quasi divina, che assimila l’umano al sacro, all’eterno e, in quanto tale, è pericolosa e affascinante.

 

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A volte Dio
uccide gli amanti
perché non vuole
essere superato
in amore.

 

Si percepisce il profumo del proibito; un senso di rispetto e timore reverenziale verso qualcosa che riempie l’esistenza senza trovare un perno stabile o un appiglio di ragionevolezza. I versi di Alda Merini sembrano dirci che amare non è amare, se non lo si fa senza misura. Correre il rischio di superare il limite, di diventare superbi e tracotanti è qualcosa attraverso cui bisogna passare per concedersi il lusso di un sentimento così totalizzante. Il confine tra pace e guerra non esiste più, non c’è uno spazio di lievità ed uno di pesantezza, uno di gioia e uno di dolore. Emozionarsi è accettare di salire sul treno della vita, cadendo in abissi oscuri per poi risalire verso le stelle.

 

Se dovessi inventarmi il sogno
del mio amore per te
penserei a un saluto
di baci focosi
alla veduta di un orizzonte spaccato
e a un cane
che si lecca le ferite
sotto il tavolo.
Non vedo niente però
nel nostro amore
che sia l’assoluto di un abbraccio gioioso.

 

Cosa importa se c’è un po’ da soffrire? L’inquietudine e il dolore sono nascosti in ogni cosa, anche in quella più dolce. Vale la pena provare – dice Alda – farsi trascinare. Poi a volte tentare non è solo un gioco, perché all’orizzonte, oltre la collina dell’ansia e del tormento, sorge una velocissima alba, che, anche se solo per un istante, diventa quasi felicità.

 

L’inutile prigione.
Distruggere tutto, però, resta possibile. Far fronte al controllo degli altri sulla propria vita crea rabbia, sgomento, paura, disillusione. Ed è così che vediamo Alda Merini, attraverso il racconto soffocato e doloroso della sua esperienza in ospedale psichiatrico.

 

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(…) laggiù, nel manicomio
facile era traslare
toccare il paradiso,
Lo facevi con la mente affocata
con le mani molli di sudore
col pene alzato nell’aria
come una sconcezza per Dio.
Laggiù nel manicomio
dove le urla venivano attutite
da sanguinari cuscini
laggiù tu vedevi Iddio
non so, tra le traslucide idee
della tua grande follia.
Iddio ti compariva
e il tuo corpo andava in briciole
delle briciole bionde e odorose
che scendevano a devastare
sciami di rondini improvvise.

 

Attraverso immaginazioni lontane di eternità, la forza resta e non muore mai, ma fatica ad alimentarsi, se attorniata da panorami di sconforto e pena. La dignità vacilla? Forse è quello che l’isolamento vuole indurre in chi lo subisce. Scrivere aiuta Alda, però, a ricordarsi il proprio nome e il proprio scopo.

 

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Io ero un uccello
dal bianco ventre gentile,
qualcuno mi ha tagliato la gola
per riderci sopra,
non so.
Io ero un albatro grande
e volteggiavo sui mari.
Qualcuno ha fermato il mio viaggio,
senza nessuna carità di suono.
Ma anche distesa per terra
io canto ora per te
le mie canzoni d’amore.

 

La poetessa conosce il proprio potere. Ha una voce. Una voce che parla e grida di contesti lasciati ai margini della vita, in cui abitano persone che pur avendo una voce, non sanno di poterla usare. Le parole della Merini esprimono il tenace viaggio verso una consapevolezza di sé e delle proprie difficoltà, come a cantare al mondo che l’essenziale è sapere chi si è, conoscersi a fondo, accettandosi con i propri problemi, manie, angosce, disturbi, fobie. Bisogna parlare di ciò che si vive e dare un volto e un nome a ciò che si prova. Convivere col dolore è la chiave per la sopravvivenza. Bene e male fanno parte dello stesso colore, non si può pensare di tenere l’uno e scacciare l’altro; sarebbe questa la vera follia.
Alti e bassi, sconforto e speranza, amore e paura, le emozioni camminano a braccetto e riempiono i giorni, anche nei momenti più tetri. Così anche nei luoghi dove tutto sembra perso c’è sempre spazio per un ultimo racconto, prima di andare a dormire.

 

Ai tempi dell’inutile prigione
io amai un compagno
un poveraccio senza santità.
E così da questo amore infelice
sei nata tu
fiore del mio pensiero.
Nessuno in manicomio ha mai dato un bacio
se non al muro che lo opprimeva
e questo vuol dire che la santità
è di tutti, come di tutti è l’amore.

 

La poesia della sincerità e l’onesta dell’imperfezione
Siamo umani e imperfetti. Bisogna imparare a pensare all’imperfezione della nostra natura sorridendo, senza cercare un perché o un chissà. E’ il gioco di vivere e la pedina è solo una. O si inizia o non si inizia, spetta a noi scegliere. Abbiamo qualche tiro di dadi a disposizione e due o tre bonus, per concederci una pausa e fuggire lontano con la fantasia, ma se si inizia la partita è meglio giocare senza aver paura di perdere, accettando il rischio che succeda qualcosa che ci costringa a stare fermi un giro.
Alda Merini esprime la sensibile forza di una donna che non rifiuta la propria debolezza, non scappa dal reale e non si vergogna dell’inquietudine e della paura che prova. Si concede però il beneficio del desiderio, senza preoccuparsi del realizzabile o del possibile e vagheggia al limite del misticismo, cercando ogni tanto il riposo dall’affanno in un gioco di astrazione e sublimazione di ciò che prova. La sua grazia di donna e di artista si tramuta dunque in poesie calde ed evocative, che parlano al nostro intimo, senza indugiare troppo nella nostra parte giudicante e razionale. Le parole sono ponderate e accorte, espressione purissima di uno spirito riflessivo e critico. Ne risulta una poesia onesta, sincera, che si propone di strappare i veli dell’apparenza per dare valore a quello che è vero, anche se doloroso o difficile. La poetessa parla del presente, di un’emozione in corsa, del momento che è già fuggito quando diventa parola. Scrivere sempre, immortalare momenti fino alla fine, rendendoli immobili, anche se sono scappati in un battito di ciglia, questo è il compito dei poeti: congelare l’eternità racchiusa in un frammento velocissimo, prima che sfugga per sempre, irrimediabilmente.

 

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Alda Merini conservò il potere di giocare con le parole fino alla sua morte, avvenuta a Milano, nel 2009. Le sue opere rimangono a parlarci di quanto sia bello essere onestamente imperfetti e capaci di vestirci della nostra fragilità con la semplicità con cui si indossa un vestito un po’ eccentrico, ma che ci fa riconoscere quando ci guardiamo allo specchio. Un messaggio sussurrato resta più forte degli altri, leggendo le poesie della Merini: il coraggio di lasciarsi attraversare dalla vita. Solo questo conta ricordarsi, in fondo. Vivere finchè si può, come si può. Adesso.

di Mariaelena Micali

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