Categoria | Politica-Economia

1° Maggio la Festa dei Lavoratori

Pubblicato il 30 aprile 2016 da redazione

Primo_maggio_Italia _1950

1° maggio, Italia, 1950.

 

https://www.youtube.com/watch?v=j8abirtakZo

“Inno del Primo Maggio” di Pietro Gori

Vieni o Maggio t’aspettan le genti
ti salutano i liberi cuori
dolce Pasqua del lavoratori
vieni e splendi alla gloria del sol

Squilli un inno di alate speranze
al gran verde che il frutto matura
e la vasta ideal fioritura
in cui freme il lucente avvenir

Disertate falangi di schiavi
dai cantieri da l’arse officine
via dai campi su da le marine
tregua tregua all’eterno sudor

Innalziamo le mani incallite
e sian fascio di forze fecondo
noi vogliamo redimere il mondo
dal tiranni de l’ozio e de l’or

Giovinezza dolori ideali
primavere dal fascino arcano
verde maggio del genere umano
date ai petti il coraggio e la fé

Date fiori ai ribelli caduti
collo squardo rivolto all’aurora
al gagliardo che lotta e lavora
al veggente poeta che muor.

 

L’Inno fu scritto da Pietro Gori sulla base della melodia del Va’ pensiero, il coro del Nabucco di Giuseppe Verdi, nel 1892, nel carcere milanese di San Vittore. Pietro vi era stato rinchiuso preventivamente perché si avvicinava il primo maggio e in Sicilia i lavoratori cominciavano a prendere coscienza politica radunandosi nei Fasci e gli agitatori anarchici dovevano essere messi in condizione di non nuocere all’ordine pubblico… Negli Stati Uniti, dove Gori sarebbe stato qualche anno più tardi, il Primo Maggio nasceva per ricordare i cinque anarchici impiccati a Chicago, in seguito allo sciopero e alle manifestazioni organizzate per ottenere la giornata lavorativa di otto ore.

 

Concerto primo maggio_ Roma_2007

Concerto del 1° maggio, Roma, 2007.

 

Nonostante i grandi progressi dell’Occidente, sia in campo economico che sociale, il lavoro rimane destinato ad essere subordinato, dipendente da qualcuno, in netta antitesi con il valore più profondo di democrazia moderna. Per questo motivo, anche se le classi sociali sono profondamente cambiate, il lavoro rimane il cardine irrinunciabile di una società civile e democratica.

Il lavoro è punto di partenza e condizione imprescindibile per essere riconosciuti socialmente e potervi partecipare fattivamente. Eppure questa visione liberista del lavoro, quale mero guadagno economico, svalorizza chi lo compie sia moralmente sia socialmente. Senza questo passaggio anche la politica perde le sue radici e la stessa società si riduce a un mero agglomerato di interessi e di individualità concorrenti.

Questa necessità gli uni degli altri deve invece rinascere, crescere e raffozzarsi fino a ricostruire, sebbene contro corrente, la rete sociale che accompagnò nel dopoguerra tutte le parti sociali, tese alla ricostruzione.

Oggi il problema comune da affrontare e per il quale fare massacritica sono il “mondo”, dominato da un liberismo anarchico che ha consentito alle multinazionali di sottomettere il mercato e ai nuovi manager, votati solo al profitto, di arricchirsi indefinitamente.

La sfida è mastodontica e il coraggio necessario ad affrontarla pure. È necessario, quindi, fare associazione, discutere, capire, pensare e poi agire insieme. E anche se contro corrente, opporsi al dilagante individualismo, cercare di far emergere da ciascuno di noi quei valori di solidarietà autentici che permisero, in un impeto comune, di vincere le grandi battaglie del passato per i diritti.

In tutti questi anni di crisi, in cui l’economia non cresce, o cresce poco, che senso ha parlare di ripartizione della ricchezza crescente a favore dei lavoratori? Piuttosto che della realizzazione dello stato sociale o di come andare incontro ai bisogni dei lavoratori? Temi importanti, ma se non affiancati da nuove prospettive, assolutamente insufficienti, per non dire anacronistici.

Bisogna allargare la visione e affrontare le grandi questioni, quelle che stanno condizionando il mondo del lavoro verso quello che è stato chiamato da alcuni economisti, il punto di convergenza, quello in cui il lavoro potrà essere comprato sul mercato globale allo stesso prezzo. Il traguardo di quel punto sta piegando i Paesi più ricchi ad abbassare il costo del lavoro e sta favorendo, invece, quelli emergenti ad alzarlo, fino a quando i due estremi si toccheranno.

Nel mentre, i lavoratori dei Paesi più ricchi diventano più poveri e perdono i loro diritti, e per dismissione di questi la società decresce in democrazia, così come gli stati perdono in sovranità, sempre più asservita ai bisogni e agli interessi delle multinazionali.

L’unico capitale che allora ogni Paese potrà da adesso in poi vantare sarà solo quello umano. Non sto parlando, però, di un capitale quantitativo, ma qualitativo, misurabile in conoscenze, saperi, qualificazione, istruzione, formazione, ricerca, avanguardia tecnologica… insomma tutto ciò che serve ad attrarre investimenti economici convenienti.

“Pensate un mercato di domanda e offerta grande come tutto il mondo. Un po’ inquietante vero?”

Ebbene, noi cosa possiamo fare per attrarre questi investimenti? Come minimo non rimandare più la questione della formazione, che penso dovrebbe stare nei primi punti dell’agenda politica di un paese.  Non ci vuole un genio per capire che se rimani indietro, e ancora indietro e poi più indietro, alla fine sei fuori!

Per capire quali strumenti e metodiche adottare, per non finire fuori, non dobbiamo guardare molto lontano:  di realtà positive in europa ne esistono diverse.

In Francia, per esempio, se perdi il lavoro entri in un percorso di riqualificazione e rilancio a spese dello Stato, che passa dalla formazione e aggiornamento della professione, fino al matching domanda/offera di lavoro, oltre a una serie di servizi di supporto, un compenso economico mensile di solidarietà, e la garanzia che sarai accompagnato fino al momento della stipula di un nuovo contratto di lavoro. Anche l’età non rappresenta un problema. Sono pochi i cinquantenni a spasso, perché hanno molta esperienza.

In Italia, invece, parecchi sono quelli rimasti sospesi nel limbo, perché troppo vecchi per lavorare, ma allo stesso tempo troppo giovani per andare in pensione. E i giovani? Se ne vanno e, forse, non ritornano più.

Adriana Paolini

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Festa_del_lavoro

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