Categoria | Cultura

Wabi-sabi

Pubblicato il 30 novembre 2016 da redazione

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Wabi-sabi è la bellezza delle cose imperfette, impermanenti e incomplete, delle cose modeste e umili, delle cose incovenzionali.

 

L’estinzione della bellezza

L’idea immediata che suggerisce il titolo di questo libro è una campagna molto importante che fu fatta in Giappone per promuovere il tea.

L’estetica giapponese del wabi-sabi è stata per molto tempo associata alla cerimonia del tea, e questa campagna prometteva la possibilità di fare una profonda esperienza di wabi-sabi.

Hiroshi Teshigahara, l’erede, il gran maestro della Sogetsu, la scuola dell’Arte di disporre i fiori, aveva commissionato tre delle più famose e affascinanti architetture di design, costruite e concepite secondo la corrente artistica che fa capo alla Cerimonia del tea.

Dopo più di tre ore di viaggio, tra treni e bus, per andare dal mio ufficio a Tokyo, finalmente arrivo al luogo dell’evento, ai piedi della residenza estiva dell’antico impero.

Con mia costernazione trovo una cerimonia fastosa, piena di grandi e ricchi giochi, ma completamente priva della benché minima traccia di Wabi-sabi.

Un  lucido contenitore di tea, ostentatamente fatto di carta, troneggiava e profumava come un grande ombrello di plastica bianco. Vicino c’era una struttura in vetro, argento e legno che aveva tutte le prerogative di un grande edificio per uffici.

L’unica qualità wabi-sabi che si avvicinava a quelle descritte nell’annuncio, era la confusa post-moderna gratuità.

Improvvisamente mi resi conto che wabi-sabi, la più importante cultura estetica, il cuore della conoscenza della cerimonia del tea, stava diventando, o era già diventata, una specie in via d’estinzione.

Ammetto che la bellezza wabi-sabi può non piacere a tutti. Ma penso che sia nell’interesse di ognuno evitare che sparisca per sempre e per tutti.

 

Wabi-sabi_1

Entry in the fourth International Garden Photographer of the Year competiton 2010. May be reproduced only with the permission of the organisers - go to press@igpoty.com

Da non confondersi con la cultura ecologica, può essere un piacevole percorso esperienziale, soprattutto per contrastare la tendenza generale verso impressioni sensoriali generalizzate dalla realtà virtuale, in cui lettori elettronici si frappongono fra chi fa l’esperienza e l’esperienza stessa e che codifica in modo univoco.

In Giappone, comunque, a differenza dell’Europa e in misura minore in America, sono stati salvati piccoli preziosi materiali di questa cultura. Così in Giappone, preservando fino ad oggi dall’estinzione, il senso della bellezza, non semplicemente nei monumenti o in oggetti particolari, ma mantenendolo vivo in ogni forma di espressione possibile, si è salvato quel fragile ideale estetico.

Non è facile ridurre wabi-sabi a formule o slogan senza distruggerne l’essenza, cercare di salvarlo è un compito davvero arduo.

 

La bellezza ideale

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Come molti miei contemporanei, la prima cosa di wabi-sabi l’ho imparata nel lontano 1960. A quel tempo, la cultura tradizionale giapponese accennava le questioni più dure della vita con domande molto profonde. Wabi-sabi per me è un paradigma estetico basato sulla natura che ristabilisce la misura di ciò che è sano e assegna le giuste proporzioni all’arte della vita. Wabi-sabi risolse il mio dilemma artistico sul come creare cose belle senza impigliarsi nel triste e scoraggiante materialismo che, di solito, circonda l’atto creativo. Il wabi-sabi – profondo, multidimensionale, sfuggente – appare come l’antidoto perfetto a quegli stili di vita così permeati dai derivati del petrolio, della saccarina, della bellezza stereotipata commerciale, che traspare dalla tipica grossolanità della società americana. Da allora ho cominciato a credere che il wabi-sabi sia relazionato a molte delle più enfatiche correnti antiestetiche, che invariabilmente scaturiscono dalla giovane moderna anima creativa: beat, punk, grunge, o come diavolo si chiamerà la prossima.

 

Il libro del tea

La lettura più importante sul wabi-sabi (o wabi cha) rimane Il Libro del Tea, di Okakura Kakuzō, pubblicato nel 1906.

Sebbene Okakura insista su molti aspetti wabi-sabi, in realtà evita di usare il termine wabi-sabi. Probabilmente non vuole confondere i suoi lettori con parole sconosciute che in realtà non sono essenziali a comprendere la sua idea di estetica e di cultura.

Il libro era stato scritto in inglese e per un pubblico non giapponese. Okakura può anche aver evitato esplicitamente di nominare la parola wabi-sabi perché, per un giapponese intellettuale, il concetto era troppo carico di questioni spinose.

Comunque, quasi un secolo dopo il libro di Okakura, il termine wabi-sabi è trattato in modo superficiale, sia nei libri sia nelle riviste che descrivono la cerimonia del tea o di altre antiche tradizioni giapponesi.

Stranamente, le due o tre frasi che, in queste pubblicazioni, vengono usate per descrivere il termine wabi-sabi, sono quasi sempre le stesse e sono quelle che ho usato all’inizio di questo libro.

Il termine è anche usato come frase spiccia dai critici stranieri o giapponesi per deridere o squalificare quel tipo di dilettantismo lezioso praticato da alcuni devoti delle arti tradizionali giapponesi.

Forse questo è un momento culturale favorevole per andare oltre le definizioni standard, e tuffarsi un pochino dentro le profondità più complesse. Con questo spirito ho cercato nei vari resti, appanati e frammentati del wabi-sabi e ho tentato di metterli insieme secondo un sistema di senso.

Sono risalito fino ai commentari Wabi-sabi ortodossi, storici, e quelli studiati e relazionati dalle massime autorità culturali e pochi passi di più. Leggendo tra le righe, con l’intenzione di trovarvi una qualche corrispondenza con il presente, ho provato a cogliere la totalità olistica del wabi-sabi, per farne emergere il senso.

Il risultato è stato questo scarno volume, un tentativo, un primo passo personale per salvare ciò che un tempo costituiva un universo estetico completo e chiaramente riconoscibile.

 

I brani sopra riportati  sono una mia breve traduzione tratta dal primo capitolo del libro “Wabi-sabi”, di Leonard Koren.

Buona Lettura

Adriana Paolini

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