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Volontariato intelligente: gap year illuminando la Tanzania

Pubblicato il 01 dicembre 2013 da redazione

African Solar Rise Team.

African Solar Rise Team.

Andare in qualche posto esotico a fare del volontariato va di moda ultimamente, in particolare, ma non solo, nei Paesi anglosassoni: è il cosiddetto “gap year”, cioè un anno di pausa dagli studi, che si fa dopo la fine della scuola, o in alcuni casi dopo la laurea. Chi va torna sempre con storie interessanti e foto spettacolari, magari aggiungendo di aver trovato se stesso. Sicuramente come esperienze di vita – da un punto di vista prettamente personale, cioè – questi viaggi sono tra le cose più belle che si possano fare. Ma cosa si va a fare, effettivamente? E soprattutto, qual è l’impatto di queste iniziative? Voglio esaminare la questione come introduzione alla mia personale esperienza, cominciata da poco e che durerà per altri 5 mesi.

Voluntourism. Partire all’avventura per salvare il mondo!

Un recente articolo del Guardian (www.theguardian.com/world/2013/feb/13/beware-voluntourists-doing-good) ha dato inizio a un dibattito riguardo al “voluntourism”, termine coniato appositamente per indicare programmi in cui il volontariato si mischia alla vacanza e per i quali si può arrivare a pagare migliaia di euro/dollari/sterline per soggiorni relativamente brevi, di uno o due mesi. Si possono trovare svariate testimonianze in rete che individuano i problemi principali legati a questi giovani che partono all’avventura per salvare il mondo (linkografia in fondo all’articolo):

  1. Poca o nessuna conoscenza delle culture e comunità con cui si viene a contatto, che si traduce spesso in una visione superficiale dell’Occidentale benevolente che aiuta la popolazione bisognosa dei paesi in via di sviluppo. Questa dimensione è oltremodo accentuata in viaggi corti in cui semplicemente non c’è il tempo di stabilire un contatto vero con gente e usanze diverse. A parte l’implicito riconoscimento di una superiorità culturale dell’Occidente, in questi casi l’esperienza di volontariato sembra strutturata più per appagare i bisogni emotivi o spirituali (in ogni caso egoistici) del volontario che per fornire un vero aiuto alla comunità che lo accoglie.
  2. Spesso il lavoro svolto dai volontari si può dividere in due categorie: lavoro che richiede conoscenze e abilità particolari, ad esempio l’insegnamento della lingua inglese; lavoro (come quello manuale) che non richiede abilità particolari. Nel secondo caso è chiaro che potrebbe essere svolto da gente locale, che potrebbe così guadagnare soldi. Invece arriva un gruppo di 20 volontari dagli Stati Uniti e lo fa gratis. Il primo caso è più delicato: se si tratta di assistenza medica o di attività politica (attivismo, lobbying…) il contributo di volontari esperti è sicuramente più che benvenuto. Ma quando si parla di mandare una banda di ventenni ad insegnare l’inglese, viene il dubbio che ancora una volta il viaggio sia organizzato più per loro che per i loro futuri studenti.
  3. L’arrivo di volontari di solito è accompagnato dall’arrivo di soldi. Si instaura quindi una dinamica di mercato per il quale le attività più richieste dai volontari vengono offerte con più insistenza, il che non è sempre un bene. Basta guardare il caso degli orfanotrofi. Per aiutare davvero un bambino kenyano che ha perso i genitori e vive in condizioni di igiene e salute minime, la cosa migliore sicuramente non è andarlo a trovare, formarci un rapporto affettivo per poi troncare i contatti dopo un mese, aggiungendo un altro trauma a una vita che definire non facile è un offensivo eufemismo. Se poi tutto ciò incoraggia addirittura la creazione di orfanotrofi in cui tenere i bambini, senza pensare troppo alle condizioni in cui vivranno, o a possibilità alternative, viene il dubbio che l’impatto sia addirittura nocivo.

In molti casi si farebbe meglio ad andare in vacanza nel posto piuttosto che a fare volontariato, specialmente se si parla di quei tipici casi di compagnie che si fanno pagare somme notevoli per offrire l’esperienza di volontariato. In fondo le comunità che si vuole aiutare hanno bisogno di soldi. Meglio allora andare in vacanza nel posto prescelto e spendere i propri soldi lì, facendo girare l’economia del paese, piuttosto che regalare denaro ad organizzazioni che tutto sono tranne che umanitarie.

Detto ciò, una critica totale del mondo del volontariato sarebbe profondamente ingiusta. Chiunque abbia cercato lavoro nel settore umanitario sa che è estremamente difficile. Ed è giusto così: ci vuole esperienza, conoscenza di culture e lingue diverse, capacità di adattamento a situazioni difficili, iniziativa. Insomma tutte quelle cose che i volontari alle prime armi non possono avere, ma che attraverso una prima esperienza possono acquisire. È importante però che queste esperienze siano scelte con cura, informandosi sulle organizzazioni di accoglienza, sui loro progetti, e cercando di evitare agenzie che richiedono ingenti somme di denaro per una “vacanza umanitaria”. Aggiungo che è indubbio che chi va a fare volontariato è armato di ottime intenzioni e voglia di fare del bene, ci sono svariati esempi che mostrano come in molti casi i volontari siano di grande aiuto, anche indispensabili (www.theguardian.com/environment/2013/jun/30/should-i-look-into-voluntourism).

Molto dipende dall’organizzazione incaricata del viaggio. Tenere a mente i punti citati sopra può aiutare a fare una scelta che sia benefica sia per il volontario sia per la comunità di destinazione.

foto da Alejandro

African Solar Rise

Con impegno e un po’ di fortuna si può trovare il progetto adatto. Come molti miei coetanei, ho deciso durante l’ultimo anno di studi di programmare qualcosa di diverso per l’anno successivo, senza lanciarmi immediatamente in una carriera o nel mondo accademico. Ho cercato a lungo, partecipando a incontri e conferenze, passando ore su internet, soltanto per rimanere deluso dai prezzi richiesti per un esperienza, anche molto breve, di volontariato. Poi è arrivata la giusta coincidenza – o meglio, i miei sforzi hanno dato i loro frutti (le coincidenze non esistono). Ho ottenuto il contatto del fondatore di una ONG, e dopo qualche mese e svariate email e conversazioni su Skype siamo arrivati ad un accordo. Da inizio Novembre sono in Tanzania, e resterò qui fino a fine Aprile, per lavorare con African Solar Rise.

African Solar Rise (ASR) viene fondata nel 2010 da alcuni studenti tedeschi, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo economico di comunità rurali in Tanzania, con particolare enfasi sulla sostenibilità, sia economica sia ambientale. Per raggiungere questo scopo, l’idea è di formare la popolazione locale nella gestione d’impresa e di fornire il capitale e il supporto necessari per la creazione di aziende nel settore delle energie rinnovabili. Per capire l’importanza di questa missione è bene dare un’introduzione della situazione economica e sociale della Tanzania.

Colonia tedesca prima, poi inglese (dopo la Grande Guerra), il Tanganyika diventa indipendente grazie agli sforzi del Presidente Julius Nyerere, nel 1961. L’unione con l’isola di Zanzibar avviene 3 anni dopo: nasce la Repubblica Unita di Tanzania. Oggi la nazione conta circa 45 milioni di abitanti ed è uno degli Stati più poveri al mondo: nel 2007 il 65,7% della popolazione viveva con meno di 2 dollari al giorno. È tuttavia una nazione molto pacifica, in cui la pace interna regna da prima dell’indipendenza, nonostante una quantità inverosimile di tribù diverse (si trovano numeri contrastanti, ma sicuramente ce ne sono più di 200). Anche senza l’ostacolo di conflitti interni la crescita economica non è stata veloce, per vari motivi. Il clima e la conformazione del territorio rendono coltivabile soltanto il 4% dell’area totale; in un economia in cui l’agricoltura contribuisce per il 25% del PIL e impiega l’80% della forza lavoro, questo limite diventa importante. A ciò si aggiunge un’amministrazione inefficiente delle risorse naturali, specialmente di minerali e oro, e un debito pubblico elevato che ostacola lo sviluppo dell’infrastruttura del Paese.

kerosene lamps

Uno dei problemi più diffusi per i Tanzaniani è la mancanza di elettricità. La rete elettrica nazionale, amministrata dalla TANESCO, società di proprietà dello stato, fornisce elettricità ad un misero 14% della popolazione. Cioè, ci sono circa 39 milioni di persone che non hanno accesso alla rete elettrica e la maggior parte di queste si trova nelle campagne. Per avere luce dopo il calare del sole, la gente è costretta a bruciare cherosene. Questa pratica è non solo dannosa per la salute e per l’ambiente; è anche molto costosa. In media una famiglia tanzaniana spende un quarto dei guadagni di una settimana in cherosene (www.bbc.co.uk/news/business-18262217).

L’alternativa più promettente è l’energia solare. Le ONG attive nel settore sono parecchie, perché i benefici associati all’uso di pannelli solari sono enormi. Prima di tutto è una soluzione implementabile su scala variabile, da prodotti piccoli e portatili fino a sistemi solari per un’intera abitazione. In secondo luogo è energia rinnovabile, che spreca e inquina pochissimo. Rispetto al cherosene poi, l’uso di pannelli solari è una soluzione a lungo termine che si può ottenere investendo somme moderate e che non presenta grandi difficoltà per quanto riguarda l’installazione.

L’attività di African Solar Rise (ASR ) è incentrata sulla distribuzione di prodotti a energia solare. Si tratta in termini generali di una batteria che si ricarica usando un pannello solare e viene usata per alimentare lampade e per ricaricare le batterie di cellulari e radio. Quest’ultimo punto potrebbe sembrare superfluo a chi non conosce il posto: ci sono negozi, negozietti e chioschi di elettronica dappertutto, qui tutti hanno un cellulare. Data la mancanza di elettricità, per ricaricare i telefoni chi abita in centri rurali deve affidarsi ai servizi di qualcuno che ha accesso alla rete nazionale o ad un sistema alternativo per ricaricare il telefono. Questa è un’altra causa di spesa di tempo e denaro: per ché non è raro che per arrivare ai centri di ricarica sia necessario viaggiare per chilometri (molto spesso a piedi), dovendo poi pagare e aspettare che il telefono sia carico.

African Solar Rise_capanna

Sviluppare imprese ed emancipare imprenditori locali

La cosa che mi ha colpito di più di ASR è il modo in cui l’obiettivo di portare l’elettricità ai Tanzaniani viene perseguito. Non si tratta di beneficenza, anzi. Una delle lezioni che l’organizazzione ha imparato più in fretta è che un prodotto sconosciuto non va regalato, altrimenti perde valore agli occhi degli utenti. L’approccio è quello di sviluppare l’economia, di dare i mezzi a individui capaci di prendere in mano la propria vita e creare un futuro migliore per sé stessi così come per la propria comunità. Operiamo quindi attraverso imprenditori locali, che vengono selezionati in base alle potenzialità espresse. La formazione tecnica e imprenditoriale è un elemento fondamentale del programma. Gli imprenditori devono essere capaci di pubblicizzare e vendere il prodotto, ma anche di installarlo, spiegarne il funzionamento, fare del trouble-shooting a un livello di base. Una volta pronti, gli imprenditori ricevono un carico di prodotti iniziale a credito, da ripagare una volta che l’attività ha preso piede.

La strada non è senza difficoltà.  Uno dei problemi più ardui da superare è quello della mancanza di liquidità. I prezzi offerti da ASR sono bassi, l’organizzazione è non-profit, anche se si sostiene con i margini delle vendite in modo da essere parzialmente sostenibile e non dipendere totalmente dalle donazioni. Tuttavia le famiglie che hanno bisogno di prodotti a energia solare tendono a non risparmiare, più per motivi culturali che di bisogno. Qui se qualcuno si trova ad affrontare difficoltà economiche può sempre contare sull’aiuto della famiglia (spesso estesa). Diventa quindi molto difficile accumulare abbastanza capitale per comprare un sistema solare. Per questo motivo abbiamo iniziato, in tempi relativamente recenti, una collaborazion con istituti di micro-finanza. Questi hanno il vantaggio di possedere già una base consolidata di clienti. Noi gli forniamo i prodotti a prezzi all’ingrosso; loro li rivendono attraverso un prestito all’utente. In questo modo anche i sistemi più costosi (che sono di solito i più richiesti) possono essere acquistati.

Il lavoro di African Solar Rise è importante proprio perché segue quel vecchio detto (Cinese, a quanto pare): dai a un uomo un pesce e mangerà per un giorno; insegnagli a pescare e mangerà per tutta la vita. Uno sviluppo sostenibile è possibile.

Questo è il primo di una serie di articoli sull’argomento, che usciranno nei prossimi numeri di Massacritica. Seguite la serie per sapere di più sulla Tanzania e sulle difficoltà e i successi di African Solar Rise.

di Alejandro Torrado

 

Linkografia:

Volontourism

http://www.cntraveler.com/ecotourism/2013/02/volunteer-vacations-rewards-risks

http://www.huffingtonpost.com/leila-de-bruyne/volunteer-africa-program_b_1676091.html

http://developmentinaction.wordpress.com/2013/10/11/volontourism-the-dangers/

http://www.ethicaltraveler.org/2011/01/do-voluntourists-help-or-harm/

African Solar Rise

https://www.african-solar-rise.org/en/index.php

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