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Terremoti: la tettonica delle placche e la forza della Natura

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Terremoti: la tettonica delle placche e la forza della Natura

Pubblicato il 20 luglio 2012 by redazione

Convergenza tra placche continentali.

Convergenza tra placche continentali.

A metà del 2012 e in particolar modo dopo gli accadimenti di maggio in Emilia, la fotografia scattata dalla Protezione Civile italiana restituisce l’immagine di un Belpaese in cui aumentano le zone a classificazione sismica alta e in generale, la classificazione della sismicità nella penisola resta medio-alta.

La tettonica delle placche

In larga parte, gli eventi sismici terrestri sono determinati dai movimenti relativi di placche, cioè pezzi di crosta terrestre sui quali galleggiano i continenti e gli oceani e che, nei loro spostamenti millenari, hanno portato all’attuale configurazione delle terre emerse. Questi movimenti sono in continuo divenire, secondo un ciclo mantenuto acceso dall’energia generata dal nucleo terrestre e dagli strati del pianeta che si trovano al di sotto della superficie. Il modello che descrive il moto dei continenti è la tettonica delle placche. Ed è da qui che bisogna partire per capire cosa c’è dietro un evento sismico e dove questo potrebbe manifestarsi più spesso e con maggiore intensità. Le placche o zolle possono essere di diversa natura (oceaniche, continentali o miste) e la divergenza o la convergenza fra esse può determinare rispettivamente uno stiramento oppure un inspessimento della crosta, a seconda del tipo di placche che giungono a contatto. Per esempio, quando due zolle oceaniche divergono, lo spazio lasciato libero viene colmato da materiale fuso, proveniente dalla zona sottostante la crosta terrestre (astenosfera). Il magma, solidificandosi, forma nuova crosta in quelle che possono essere considerate delle “culle” per i nuovi fondali oceanici: le dorsali, tra le quali si ricorda quella atlantica. Quando invece convergono in una zolla oceanica, più pesante e una continentale, la prima tende a sprofondare sotto la seconda, creando una fossa. Questa configurazione porta alla formazione di una catena di vulcani attivi in superficie, come nel caso della Cordigliera delle Ande. I sistemi montuosi più importanti, come l’Himalaya, sono generati invece dallo scontro tra due placche di tipo continentale. In particolare, le Alpi sono nate proprio grazie all’opposizione tra la zolla eurasiatica e quella africana: quest’ultima penetra nella prima seguendo una faglia principale che si snoda lungo gli Appennini e si ricongiunge poi alla catena alpina. Perciò, la costante presenza di terremoti sul suolo nazionale è dovuta principalmente al fatto che l’Italia, da un punto di vista tettonico, è una “zona di confine”.

Le dinamiche di un sisma

Un modello che ben rappresenta il comportamento delle rocce sottoposte a stress è il modello elastico: lo sforzo sempre crescente produce una deformazione elastica e un accumulo di energia fino a un punto limite, in cui, proprio come in un metallo sottoposto a trazione, si ha la rottura e la conseguente liberazione di energia; quest’ultima viene dissipata in larga parte in una scossa principale, ma qualora vi dovesse essere energia residua, si crea un ciclo sismico (o sciame), caratterizzato da scosse di minore entità volte a ristabilire l’equilibrio energetico. Il punto in profondità in cui avviene la frattura è detto ipocentro, e la sua proiezione lungo la verticale sulla superficie terrestre costituisce l’epicentro del sisma: è questo il punto che risente maggiormente della scossa. Dall’ipocentro, il sisma si propaga attraverso onde d’urto, le quali possono essere sia longitudinali, cioè di dilatazione o di compressione, sia trasversali o di taglio, che producono oscillazioni perpendicolari alla direzione di avanzamento. Allontanandosi dall’ipocentro, le onde vengono smorzate e l’energia viene gradualmente dissipata.

Schema di un Terremoto.

Schema di un Terremoto.

Si può conoscere con un certo anticipo l’istante e il luogo esatto in cui si manifesterà un sisma?

La risposta è complessa e soprattutto non è univoca. La classificazione sismica annuale del territorio nazionale (in allegato il documento fornito dalla Protezione Civile aggiornato al 2012) evidenzia le zone più esposte al rischio (siamo quindi sempre nell’ambito delle probabilità) di eventi sismici, più o meno gravi. Altre teorie, abbastanza controverse e non riconosciute dalla comunità scientifica, come quelle sostenute dalla fondazione Giuliani, sostengono di poter prevedere con certezza un terremoto, studiando i livelli di radon presenti nelle rocce. Tuttavia, l’unica vera certezza è data dalla consapevolezza dell’esposizione al rischio. Gli strumenti della geologia, geofisica e vulcanologia permettono di registrare con accuratezza tutti i dati relativi a un sisma nel momento in cui esso è in atto: è possibile monitorare in continua le scosse attraverso i sismografi e le stazione di rilevazione disseminate sul territorio nazionale e stimare la potenza di un terremoto basandosi sia sull’energia liberata (scala Richter), sia sull’entità dei danni prodotti (scala Mercalli). Ma la sola previsione resta di per sé inaffidabile e l’arte da affinare resta in ogni caso la prevenzione, perché, più che mai in questo ambito, prevenire è davvero meglio che curare!

Sta al buon senso e all’esperienza dell’uomo potere e dovere evitare che un evento naturale si trasformi in tragedia, mitigarne gli effetti catastrofici realizzando costruzioni antisismiche e preparando adeguatamente la popolazione esposta, cercando di porre un argine, seppur labile, alla violenza imprevedibile della nostra Madre Terra.

 di Michele Mione

 

allegati: http://www.protezionecivile.gov.it/resources/cms/documents/class2012_02prov.pdf

fonti: http://www.ingv.it/it/

http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/homepage.wp http://it.wikipedia.org/wiki/Tettonica_delle_placche

http://www.fondazionegiuliani.it/

 

 

 

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