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Breve Storia dell’Industria Italiana: la Breda

Pubblicato il 30 aprile 2014 da redazione

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Marchio storico industrie Breda.

Com’era grigia la mia valle….”

Parafrasando il titolo di un libro che raccontava una famosa storia industriale, quella del carbone nell’Inghilterra del 1800, anche alla storia della grande industria italiana si può pensare oggi con un occhio in parte malinconico, in parte distaccato e realistico.

Se si visitano i luoghi che, durante l’era della grande industria pesante tra la seconda metà del 1800 e la fine del 1900, sono state sede delle più importanti fabbriche del nostro paese, nulla è più come prima. Senza documentazione a cui affidarsi, senza i ricordi, per chi ha visto con i propri occhi, nulla o quasi richiama quel passato, a cui in fondo tutti dobbiamo qualcosa, se viviamo in un paese moderno e avanzato. Non che all’estero la fine di quel mondo economico non abbia coinciso con lo smantellamento di quelle realtà, ma spesso si è cercato di mantenere il più possibile una memoria, un senso di identità importanti, magari salvaguardando archivi, riutilizzando edifici, intervistando protagonisti, prima che il tempo inesorabile cancelli per sempre quelle esperienze individuali.

Non è stato, o lo è stato molto meno qui , in questo paese strano che dovrebbe essere il campione della memoria storica e invece è capace solo di vivere in un presente continuo gettando via tutto ciò che è passato. O quantomeno vivendolo quasi come un impaccio, lieto che prima o poi l’oblio se lo porti via.

Per chi, come me, ha fatto in tempo a vivere almeno una parte di quel mondo, la sua scomparsa così veloce e spesso troppo silenziosa ha portato con se una nota di malinconia e di inquietudine.

Chi ha detto che sulle ceneri di una grande industria non si possa costruire un quartiere residenziale, un parco, una università, un ospedale o che certe aree debbano essere conservate per forza quasi come oggetti sacri? Tante superfici sono state dedicate per lunghi decenni al solo scopo di produrre in serie, occupate da impianti enormi che davano si lavoro ma che hanno inciso allo stesso tempo profondamente anche sul territorio e sull’ambiente circostante, si può sperare che tornino ad essere utili, senza i duri costi del passato.

Forse io ho avuto la fortuna di vedere qualcosa di importante, ma quanto lo fosse l’ho capito solo dopo. Come tanti. Nonostante la mia città, Sesto San Giovanni, in fondo sia veramente nata grazie all’industrializzazione e quindi il senso di appartenenza, l’orgoglio di quanto si era costruito fosse da sempre molto forte, qualcosa nell’aria, che respiravi inevitabilmente, assieme all’inquinamento.

Il grigio del cemento era qualcosa che pareva soffocarti, così come il fischio delle sirene che segnava l’avvicendarsi dei turni di lavoro. Eppure, ora che non c’è più quella distesa di ciminiere e capannoni, sembra che ti manchi qualcosa.

Quale colosso industriale scegliere, tra i tanti, per ricordare quel passato, una esperienza che fosse simbolica per tutte: Acciaierie Falck, industrie elettrotecniche Ercole Marelli e Magneti Marelli, OSVA, Moto Garelli, industria bevande alcooliche Davide Campari … scelta non facile.

La scelta alla fine è stata meno logica e più sentimentale, ho scelto di parlare della “Ingegner Ernesto Breda e C.” perché in tanti nel mio quartiere ci hanno lavorato, mio padre compreso, perché per tanti ha voluto dire molto di più che un posto di lavoro che ti da il pane quotidiano, anche in molti altre città italiane dove si era espansa la sua attività.

Ma anche perché il suo nome viene ricordato anche all’estero come una delle realtà nella storia industriale mondiale.

 

Venire in treno…per costruire un treno.

Quella che diverrà nel corso di circa un secolo una industria attiva in quasi tutti i campi della lavorazione del metallo e della costruzione di macchine complesse, deve il suo nome come spesso accadeva al suo fondatore. Ernesto Breda nacque il 6 ottobre 1852 in Veneto, a Campo San Martino in provincia di Padova, da una famiglia benestante, almeno a sufficienza da permettergli di studiare e conseguire la laurea in ingegneria civile proprio nella vicina Padova.

Ernesto seguì inizialmente le orme del padre, impegnato in politica, ma ben presto se ne distaccò per impegnarsi nel campo per cui aveva studiato: andò a collaborare nella Società veneta fondata dal cugino Vincenzo Stefano e impegnata proprio nel campo dei lavori di grande ingegneria. Per conto di Vincenzo, Ernesto viene mandato dal cugino più volte in viaggi – studio in giro l’Europa a partire dal 1882, per poter saggiare il livello di sviluppo nella tecnologia ferroviaria raggiunto in altri paesi come Germania, Olanda, Francia e Danimarca: proprio in quell’anno sarebbe stato completato il traforo ferroviario del San Gottardo.

All’occhio attento di Ernesto non sfuggono le grandi differenze tecnologiche e finanziarie che dividono le nostre linee ferrate da quelle degli altri paesi europei.

La relazione tecnica che fece al suo rientro in Italia fu letta con attenzione dal cugino, interessato ad espandere la sua impresa nel ramo del trasporto ferroviario, ma anche dal ministro dei lavori pubblici del Regno, Baccarini.

Al di là delle scarse fortune della Veneta nel mercato ferroviario, che la portarono a concentrarsi più sui lavori edili e sui grandi appalti pubblici, Ernesto Breda si puntò su questo campo quando decise di mettersi in proprio, rilevando a Milano una piccola società inizialmente a capitale svizzero, la Elvetica, fondata nel 1846, che opera proprio nel campo delle lavorazioni meccaniche ferroviarie.

L'Ingegner Ernesto Breda, in una cartolina autografa di fine '800.

L’Ing. Ernesto Breda. Cartolina autografa di fine ‘800.

Nel 1884 la società, passata di mano più volte, è ancora una modesta fonderia in ghisa con una officina con alcune pialle limatrici, specializzata nella costruzione e riparazione di caldaie a vapore per le motrici. Le maestranze sono molto specializzate e su di esse Breda farà conto per iniziare la sua attività. Ma una crisi finanziaria che colpisce i mercati quell’anno la mette di fatto in bancarotta: 156 su 600 lavoratori erano stati già licenziati e le cose stavano peggiorando.

Grazie alla partecipazione nel capitale della Società Veneta Costruzioni del cugino Vincenzo Stefano e di alcuni altri investitori, rileva la Elvetica dall’Ingegner Cerimedo e registra alla Camera di Commercio, Agricoltura e Industria di Milano la “Ernesto Breda Società in accomandita semplice”, con atto n. 88006 del 6 novembre 1886. Il capitale versato è notevole per l’epoca, 1 milione e 200 mila lire.

Si trasferì immediatamente a Milano nella zona Porta Nuova dove avevano sede le sue officine e iniziò ad investire nella sua nuova società, comprando moderne macchine da lavorazione direttamente negli Stati Uniti.

Nonostante i dazi doganali pesassero sui ricavi delle vendite all’estero e una tassazione interna su servizi e beni durevoli del 1887 decurtasse di molto i margini di guadagno, Breda riuscì a far sopravvivere la società.

Continuò a acquisire collaboratori tecnici con conoscenza nel settore e sfruttò una normativa protezionistica del 1885 che obbligava le società esercenti le linee ferroviarie ad acquistare almeno il 5% del proprio materiale rotabile da fabbriche nazionali.

Conscio che lo sviluppo della rete ferroviaria interna, per quanto strategico, non gli avrebbe garantito gli introiti che gli erano necessari, entrò anche in un altro campo degli appalti pubblici, all’epoca in forte espansione: incominciò ad acquisire torni e personale specializzato in munizioni ed armi pesanti, entrando nel mondo degli appalti del Regio Esercito.

Ernesto Breda credeva nella flessibilità delle produzioni secondo quello che il mercato richiedesse, nella diversificazione delle conoscenze delle attività da parte dei propri tecnici. Nel 1899 mandò in viaggio di formazione ingegneri e tecnici dipendenti negli Stati Uniti, facendo visitare loro le più grandi realtà industriali americane dell’epoca. Dalle loro relazioni fece elaborare e pubblicare un testo tecnico “le locomotive americane e europee: osservazioni e confronti” che divenne un riferimento in campo accademico e industriale.

Fu questa intuizione a garantire lo sviluppo della società fino ad essere uno dei primi gruppi industriali italiani. Nel 1888 la società cambiò tipologia e nome divenendo “Società Anonima Ernesto Breda per costruzioni meccaniche” per azioni, durata iniziale trentennale e campi di azione dichiarata dalle costruzioni ferroviarie, per tramvie e filovie fino al materiale di artiglieria terrestre e navale. Il capitale era arrivato a 8 milioni di lire.

Nel 1891 riuscì ad ottenere una commessa di 20 locomotive da lunga percorrenza dalla Romania e fu un evento epocale, perché interrompeva di fatto il monopolio dei costruttori Inglesi e tedeschi nel mercato internazionale. Breda seppe costruire la fortuna delle sue realizzazioni, curando progettazione e realizzazione delle sue locomotive e dei suoi vagoni secondo i massimi standard della concorrenza internazionale.

Nonostante sul campo interno avesse potuto attaccarsi facilmente alle “maniglie “ politiche che aveva in famiglia (il cugino Vincenzo Stefano era stato senatore del regno, per quanto avesse dato le dimissioni da deputato nel 1879) preferì costruirsi man mano le sue conoscenze sul campo, da solo, con i suoi meriti.

 

1900 – 1918: la Breda diventa una realtà affermata

Nel 1895 gli stabilimenti in via Bordoni a Milano coprivano un’area di 35.617 metri quadri registrati, di cui ben 24.730 coperti, arrivati nel 1900 rispettivamente a 45.000 e a 35.000. Il personale, per lo più specializzato, dai circa 400 tra operai e tecnici del 1884 era arrivato a circa 1.200 dipendenti, seppure con molte fluttuazioni dovute ai momenti produttivi e finanziari, per arrivare ad attestarsi nel 1904 a circa 4.000 occupati.

Breda aveva impiegato gli anni tra il 1887 e il 1899 ad affermare la propria impresa nel mercato ferroviario, ma come aveva previsto i numeri non erano mai stati notevoli. Nel 1898 la Società Strade ferrate del Mediterraneo ordinò ben 131 locomotive a vapore.

Tuttavia fu il progetto di nazionalizzazione delle ferrovie del 1904 che finalmente garantì alla Breda le commesse necessarie. Il piano di acquisizione delle Regie ferrovie nel triennio 1905-1908 fu d ben 1.050 locomotori di tutti i tipi, 120 dei quali furono ordinati alla Breda.

Nonostante questo, le commesse di armamenti e mezzi ferroviari non avrebbe assicurato gli utili necessari, per cui Ernesto Breda pianificò l’ingresso anche nel campo delle macchine agricole.

Al momento in cui la società Breda incominciava a guardare verso la periferia, lo stabilimento di Milano contava ben 20 sezioni produttive, tra Breda ferroviaria e armamenti.

Nel 1900 Breda aveva chiesto al Comune di Milano di poter acquisire buona parte dell’allora periferica via Bordoni per ampliare le sue linee di produzione, ma la proposta aveva causato divisioni e polemiche in seno al consiglio comunale.

Tanto che Breda aveva iniziato a comprare terreni tra il 1900 e il 1903 verso Niguarda e Sesto San Giovanni, all’epoca praticamente ancora immerse nella campagna. Quelle aree erano vicine a Milano, avevano buon approvvigionamento d’acqua e erano di basso costo, elementi fondamentali. Altre grandi imprese si erano orientate ad investire su Sesto e Ernesto Breda era sempre attento a e cosa facessero gli altri industriali.

Nel 1904 già la Breda stava già facendo costruire i nuovi capannoni e stabilimenti a Sesto e vi stava contemporaneamente trasferendo le sue attività produttive: a Milano al momento sarebbero rimaste la fonderia e la costruzione delle locomotive, a Niguarda trattori e macchine agricole, a Sesto San Giovanni la parte più grande della produzione con gli armamenti, le munizioni, la costruzione di carri merce e passeggeri, la riparazione e revisione di locomotive.

Sempre nello stesso anno, la società aveva completato l’espansione sui nuovi siti produttivi e nel 1905 arrivò la nomina a Cavaliere del Lavoro da parte del Re Vittorio Emanuele III. Nel 1907 il capitale versato ammontava a ben 14 milioni di Lire, mentre nel 1908 la Breda festeggiò la millesima locomotiva prodotta: la FS 685.600, incredibilmente sopravvissuta al tempo e a ben due conflitti mondiali, oggi è conservata al Museo della Scienza e della Tecnica ‘Leonardo Da Vinci’ di Milano. La Breda quell’anno segnò anche l’esportazione di ben 137 macchine verso paesi esteri come la Danimarca, cliente tradizionale delle imprese tedesche e inglesi.

La superficie occupata dalle fabbriche era di 456mila metri quadri, 95mila al coperto, una cifra enorme. Aveva 4.500 dipendenti tra operai e tecnici di ogni livello, 1.400 macchine utensili.

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La locomotiva per treni direttissimi FS 685.600 fu commissionata dalle neonate Ferrovie dello Stato dopo la nazionalizzazione del trasporto ferroviario e venne consegnata nel 1908. Fu la millesima locomotiva a vapore costruita. Fortunosamente sopravvissuta al tempo e agli eventi della storia, è visibile oggi a Milano, custodita al Museo della Scienza e della Tecnica.

Sempre in quegli anni Ernesto Breda matura la convinzione che sia il moment per riforme anche sociali importanti. Ben inteso, Ernesto Breda, per formazione culturale e appartenenza sociale non è certo incline ai movimenti operai e socialisti che si ritrovano nelle Camere del Lavoro e che promuovono manifestazioni, spesso represse dalla polizia del Regno senza troppo guardare al sottile.

Ma ricorda bene quel che ha visto all’estero: contrattualizzazione dei rapporti di lavoro, scuola, sanità, forme di previdenza non più demandate alle sole società di mutuo soccorso create dai lavoratori, bensì pensate e sostenute dallo Stato stesso, mentre in Italia la classe dirigente era ancora completamente sorda alle istanze di maggior equità che le masse lavoratrici incominciavano a pretendere.

In parte è nell’intento di razionalizzare le fasi del lavoro, evitando che operai e tecnici ben preparati si allontanino facilmente dalla fabbrica, che Breda ritiene opportuno remunerare meglio il lavoro.

Inoltre, anticipando di dieci anni la Legge sul lavoro, nel 1908 introduce per i suoi lavoratori una settimana di ferie pagate. Successivamente sarà il primo imprenditore a fare costruire case per i dipendenti delle proprie fabbriche, per poter abbattere i costi degli alloggi e vivere più vicino ai luoghi di lavoro.

L’Italia era un paese depresso, che non aveva ancora saputo ripianare i costi dell’unità, ma anzi si aggravavano sempre più le differenze economiche e sociali fra le classi e fra le regioni.

Imprese come la Breda significavano una speranza per grandi masse contadine che migravano verso le città e il miraggio di una vita migliore, senza partire per viaggi incerti e mete sconosciute. Per la stragrande maggioranza dei diseredati l’unica via era stata fino a quel momento l’emigrazione sul continente americano, Stati Uniti e Canada nel nord, Brasile e Argentina nel sud. Lo sviluppo dell’occupazione interna industriale poteva essere l’unico freno possibile all’emorragia di braccia di quegli anni. Nelle menti è ancora vivo il ricordo del sanguinoso maggio 1898, in cui il generale Bava Beccaris aveva sparato con i cannoni sulla folla che protestava per la fame e gli alti prezzi del pane.

Ma anche dal punto di vista finanziario e direttivo Ernesto Breda fu un uomo dotato di una visione altrettanto lungimirante: man mano che la sua società aumentava fatturato, dimensioni e valore, cercò di non essere sempre in prima fila, accontentando anche gli altri azionisti.

Già nel 1888 Ernesto Breda aveva voluto essere riconfermato Consigliere Delegato, mentre presidente era stato eletto il tedesco Otto Joel, fondatore e presidente della Banca Commerciale Italiana, uno dei più eminenti banchieri dell’epoca. Questo garantiva un interesse che alla società metalmeccanica non venissero a mancare le liquidità necessarie per svolgere la propria impresa e espandersi nel mercato, un rapporto privilegiato con un istituto di credito solido e all’altezza. Nel 1904 fu la Banca Commerciale a piazzare 4 milioni di Lire in obbligazioni emesse dalla Breda per finanziare il progetto di espansione su Niguarda e Sesto.

Nel 1908 il 50% delle azioni era direttamente o indirettamente controllato dall’istituto di credito commerciale, anche se da quest’anno tale impegno cominciò a diminuire.

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Vista panoramica degli stabilimenti Breda nell’area di Sesto San Giovanni, subito dopo la prima guerra mondiale. La foto viene dalla collezione di Giovanni Giorgetti ed è tratta dal sito ‘ Early Birds of Aviation ‘, http://www.earlyaviators.com/index.htm

L’addensarsi delle nubi di guerra sul continente europeo non lasciarono indifferente Breda, che esortò i vertici della società a non farsi trovare impreparati a un evento la cui realizzazione ormai considerava certo. All’indomani dell’ingresso nella prima guerra mondiale da parte dell’Italia, il 24 maggio 1915, Breda si diede da fare per ampliare la produzione di proietti, affusti e cannoni secondo calibri e modelli richiesti dal Regio Esercito e dalla Regia Marina.

Anche l’officina di Milano venne in buona parte convertita per le enormi esigenze dei fronti di guerra, finendo per produrre proiettili e bossoli di artiglieria, obici, mortai, cannoni, siluri a fine conflitto, così come le vitali macchine utensili destinate a queste produzioni, che sul mercato internazionale erano ormai rapidamente divenute introvabili. Senza peraltro perdere la sua capacità di costruire locomotive e carri trasporto, necessari allo sforzo bellico attuale, ma anche investimento per quando il conflitto sarebbe finito.

Ernesto Breda, nonostante il colossale coinvolgimento nello sforzo bellico, evitò di imporre trasformazioni strutturali alle sue fabbriche, che avrebbero imposto costose riconversioni al termine del conflitto. Tanto che in molte commesse la Breda preferì assumere il ruolo di subcontraente, nonostante le dimensioni della sua impresa. Altri non furono così lungimiranti e nonostante i (teorici) enormi introiti della produzione di guerra, di fatto se li videro distruggere dall’inflazione postbellica, dichiarando fallimento poco dopo.

Niguarda e Sesto San Giovanni vennero radicalmente riorganizzate anch’esse, con l’introduzione di molta manodopera femminile in sostituzione di quella maschile, via via richiamata sotto le armi. Entrambi i siti produttivi divennero grandi fabbriche di proiettili di ogni calibro e funzione, tra quelli in uso nelle Forze armate.

Il problema del rifornimento dell’acciaio, risorsa primaria, fu risolto da Breda con l’acquisto di due altiforni modello Martin – Siemens ed un laminatoio. Da quel momento la società dell’ingegnere padovano fece il suo ingresso anche in campo siderurgico, colmando il gap di conoscenze in materia nel giro di pochi mesi.

Operaie intente alla costruzione di granate a frammentazione calibro 75 millimetri (come si può notare dalla scritta shrapnel 75) negli impianti di Sesto San Giovanni. La foto è del 1915.

Operaie intente alla costruzione di granate a frammentazione calibro 75 millimetri (come si può notare dalla scritta shrapnel 75) negli impianti di Sesto San Giovanni. La foto è del 1915.

 

Nel 1917-1918 la Breda fu in grado di prodursi da sola oltre 40 mila tonnellate di acciaio necessarie alla industria di guerra, acquisendo altre conoscenze e capacità spendibili nei mercati della ricostruzione postbellica.

Non contento, data la scarsità di carbone generata della devastante guerra dei sottomarini tedeschi alle navi da trasporto, Breda convinse la società ad aumentare la propria autonoma capacità di produzione dell’energia idroelettrica. Già negli anni precedenti la Breda aveva costruito alcuni piccoli impianti alle pendici del Monte Rosa, ma sotto lo sforzo bellico la Breda commissionò all’ingegner Omodeo lo sfruttamento del bacino idrico della valle del Lys.

L’impianto entrò a pieno regime in tempi record, nel 1917.

Pure queste ricerche facevano parte della sua lungimirante visione di riconversione produttiva: nel giugno 1917 aveva avviato l’attività di un centro di ricerche scientifiche, la cui prima ed importante attività fu di sperimentare l’uso dell’elettricità nei locomotori ferroviari. Anche in questo campo difatti, la Breda sarebbe divenuta negli anni a venire una pioniera.

Ma soprattutto, data l’incapacità delle prime imprese aereonautiche di fornire i quantitativi di aeroplani richiesti, la Breda entrò nel piano produttivo nazionale aprendo una sezione aeronautica a Sesto San Giovanni. Anche in questo rivoluzionario settore la Breda volle entrare da subito.

La Breda costruì su licenza velivoli Caproni da bombardamento e motori aerei FIAT, oltre che bombe da aereo, sfornandone cento esemplari al mese. I cantieri aereonautici avrebbero utilizzato alla fin della guerra ben 1 milione e 500 mila metri quadri di terreno! Questo sarebbe stato poi il nucleo di una industria aerea autonoma nel progettare e realizzare i propri velivoli.

Il totale delle aree occupate dagli stabilimenti era crescita a 3 milioni di metri quadri e i dipendenti avevano raggiunto i diecimila. Moltissimi dei suoi prodotti varcavano i confini per essere utilizzati anche dagli stati alleati, compresi carri ferroviari e locomotori.

L’armistizio segnò anche la fine brusca di un’epoca: mentre stava ascoltando alla radio il bollettino del 6 novembre 1918 che annunciava la resa degli imperi centrali e la vittoria dell’Italia e dei suoi alleati, Ernesto Breda morì colpito da un colpo apoplettico.

Il timone della famiglia e della società ovviamente, passava al figlio Giovanni, anch’egli ingegnere.

di Davide Migliore

Linkografia e Bibliografia

http://it.wikipedia.org/wiki/Societ%C3%A0_Italiana_Ernesto_Breda_per_Costruzioni_Meccaniche

Pagina Wikipedia sulla storia della Società Breda.

 

http://fondazioneisec.it/allegati/fondi_isec/Archivio_Breda_Totale.pdf

Fondazione ISEC, depositaria dell’archivio storico Breda.

 

http://www.treccani.it/enciclopedia/ernesto-breda_(Dizionario-Biografico)/

Voce dell’enciclopedia Treccani online dedicata all’ing. Ernesto Breda, fondatore dell’omonimo grande gruppo industriale metalmeccanico.

 

http://www.imprese.san.beniculturali.it/web/imprese/protagonisti/scheda-protagonista?p_p_id=56_INSTANCE_6uZ0&articleId=22961&p_p_lifecycle=1&p_p_state=normal&groupId=18701&viewMode=normal

Biografia dell’ingegnere che fondò una delle più grandi industrie meccaniche non solo italiane,

archivi d’impresa, Ministero dei Beni, delle attività culturali e del turismo – Direzione Generale per gli Archivi.

 

http://imprese.san.beniculturali.it/web/imprese/protagonisti/scheda-protagonista?p_p_id=56_INSTANCE_6uZ0&articleId=22994&p_p_lifecycle=1&p_p_state=normal&groupId=18701&viewMode=normal

Storia e biografia di Vincenzo Stefano Breda, cugino e finanziatore delle imprese di Ernesto Breda, archivi d’impresa, Ministero dei Beni, delle attività culturali e del turismo – Direzione Generale per gli Archivi.

 

http://www.lombardiabeniculturali.it/archivi/soggetti-produttori/ente/MIDB00183F/

Scheda storica della banca Commerciale Italiana.

1 Comments For This Post

  1. Chiara Says:

    Buonasera,
    possiedo bellissime e introvabili cartoline della Breda. Chi fosse interessato mi contatti: chiara.montefusco@gmail.com.
    Grazie,
    Chiara

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