Categoria | Cultura

Socializziamo?

Pubblicato il 29 gennaio 2017 da redazione

palla multimedia

 

Facebook, Twitter, Youtube, Whatsapp… Se fino a poco tempo fa i “social” erano considerati faccende da ragazzi, o strumenti di promozione per addetti ai lavori, nel giro di un paio d’anni sono diventati di uso comune, complice la straordinaria diffusione degli smartphone. I voti dei figli a scuola oggi ti vengono notificati direttamente dal registro digitale, mentre il rappresentante di classe comunica con whatsapp al gruppo dei genitori l’orario delle udienze. Facebook ci aggiorna in tempo reale su cosa stanno facendo gli “amici” (con relativi commenti degli amici degli amici) mentre un tweet ci informa che il Governo ha appena nominato un nuovo ministro. C’è chi vede tutto ciò come una nuova straordinaria opportunità di condivisione senza confini e chi teme che la comunicazione digitale ci renda sempre più incapaci di vivere relazioni umane autentiche.

Ne parliamo con Adriana Paolini, giornalista ed esperta di comunicazione digitale.

 

Perché secondo lei i social media si stanno diffondendo così rapidamente? (Merito delle aziende che li promuovono o rispondono ad un bisogno reale?)

Penso che i social media stiano senz’altro cambiando il nostro modo di comunicare: sono nuovi, rapidi, efficienti, divertenti, amichevoli, ma il risvolto della medaglia è che rischiano di trasformarsi da forma a sostanza. La comunicazione è una specificità che contraddistingue ogni forma vivente e quella umana, in particolare, è ricchissima di sfumature, emozioni, pensieri, sogni e valori, che scaturiscono dall’individualità che li esprime e la trasforma, nel suo insieme, in un contenuto. La diversità di ciascuno di noi, è quindi un bene prezioso perché unico e irripetibile.

L’accelerazione dei ritmi di vita impressa dalle nuove tecnologie incide anche sulla velocità di comunicazione fra gli individui, che per sua necessità “sfronda”, attraverso questi nuovi sistemi di comunicazione, molti aspetti apparentemente irrilevanti di ciò che ogni giorno viene affidato alla rete attraverso i social media. Twitter ci obbliga ad un numero massimo di caratteri, Whatsapp a poche parole, mentre Facebook  ci vorrebbe più colorati e accattivanti. Ogni media ci impone le sue regole per essere “social standard”. Diventa, così, più difficile comunicare la parte nostrana di noi, quella che si scorge, nei gesti, espressioni del viso, degli occhi, nei silenzi, dai toni di voce, dalla postura…

E poi c’è chi vorrebbe  comunicare social , ma non vi è portato o non lo sa fare. Nel mentre il mondo parla, discute, si interfaccia questa parte dell’umanità ne resta fuori. Certo qualcuno potrebbe obiettare che anche senza i social media, non tutti avrebbero saputo comunicare al meglio. Vero, ma fino ad oggi il dono della parola e del pensiero è arrivato in dotazione alla nascita, a quasi tutta l’umanità e per molti secoli è stata il perno di intere civiltà, carica di simboli e di valori, che scaturivano non solo nel suo significato, ma anche nella forma e nel suono.

Ora c’è il rischio, che se non hai almeno un telefonino, non esisti. E devi anche saper parlare per aforismi in un POST. Il motivo? Più i pensieri sono semplici, più i sistemi di intelligenza artificiale saranno in grado di apprenderli e sommandoli insieme di ricostruire, attraverso la cosiddetta profilazione dell’utente, le caratteristiche dell’individuo che le ha espresse. E cosa se ne fa un complesso sistema di intelligenza artificiale di questo mastodontico database di profili? Ascolta il mondo, lo studia e speriamo fornisca dati utili a farlo stare meglio, anche se per far questo dovrebbe avere un cuore.

 

C’è chi teme che questi strumenti atrofizzino la nostra capacità di incontrarci realmente. (Che ne pensa?)

Certo le occasioni per approfondire e apprezzare la lentezza della riflessione, da soli o in piacevole compagnia sono sempre più scarse. Parlo di quelle che si facevano passeggiando la domenica o a tavola, la sera dopo cena, in famiglia o con pochi amici. Ma niente paura,  qualcuno ha già pensato anche a questo, proponendo piattaforme per narratori, dove pubblicare brevi novelle. Anche i più istrionici, sono stati accontentati con i blog. Insomma tanti strumenti per tutti i gusti, ma anche tanti modi per decodificare, codificare e progressivamente omologare grandi scomparti di umanità, secondo logiche standard.

Quindi rivoluzione social? Sì per certi aspetti, ma a mio parere anche involuzione per altri, perché viene a mancare il vero momento social: l’incontro reale tra le persone, la vera interattività.

Certo quando mia figlia mi chiama da 1000 e più chilometri di distanza con una semplice video telefonata, anche da cellulare, in qualsiasi luogo mi trovo e da qualsiasi luogo si trova, penso “che grande invenzione il telefono”, ma quando questo succede più di 100 volte in un anno e per diversi anni, e mi sorprendo ad accontentarmi di un’immagine digitale e di una voce asincrona, o di trascurarla rimandando la conversazione ad un altro momento, l’entusiasmo cala e desidero solo poterla riabbracciare e farle una carezza.

 

A che età ha dato il cellulare ai suoi figli? I suoi figli sono su facebook?

Sono sposata da 29 anni e ho due figlie di 25 anni. Io e mio marito siamo stati tra i pionieri del multimedia italiano. Investiti da così tanta responsabilità e lavoro, ma pieni di entusiasmo per ogni nuovo progetto digitale che prendeva vita e decollava, abbiamo sempre cercato di non farci travolgere completamente, soprattutto nell’educazione dei figli che abbiamo cercato di crescere nelle mura domestiche attraverso il gioco, la musica, il canto, il disegno e la lettura di tantissime favole.  Ricordo che all’età di 5 anni, in occasione della primina desideravano condividere con gli altri compagni  alcuni cartoni animati televisivi. Nella nostra casa la televisione ha sempre trovato poco spazio, per la verità non l’abbiamo. Comunque bisognava risolvere questo problema. Così dentro un bel teatrino di legno colorato per burattini, dove si allestivano un po’ di storie, avevamo collocato un piccolo televisore e un registratore vhs  dove si guardavano i cartoni animati. Il cellulare è arrivato alla fine della scuola media, ma serviva più a noi che a loro che in realtà lo usavano solo per messaggiare. Era il periodo dei famosi emoticon e le parole si abbreviavano in +, -, cmq, nn… era molto divertente.

 

L’ambiente digitale, dice Papa Francesco, è «un luogo di incontro dove si può accarezzare o ferire, avere una discussione proficua o un linciaggio morale». Lei che scruta quotidianamente il web, quale delle due tendenze vede prevalere?

Ogni volta che si lascia un post sulla propria pagina Facebook o su quella di un altro si incorre in entrambe le situazioni. Non vedo prelevare l’una rispetto all’altra. Vedo invece crescere una sorta di pensiero di massa che si emoziona, si arrabbia, sorride o si infervorisce sempre più in modo uniforme e che più spesso punisce chi sta fuori dal coro e questo mi preoccupa.

 

I social stanno cambiando il modo di dare e ricevere informazioni. Come tutelarsi dalla notizie false o tendenziose?

Non c’è modo se non quello di impegnarsi sempre nel verificare le notizie, ricercando fonti autorevoli e quando non si è sicuri, dichiararlo. Quando poi, girando sulla rete ci si accorge che girano informazioni false, fare controinformazione autorevole potrebbe essere un modo per sottolineare che non tutto quello che gira in internet deve essere preso sul serio.

 

La condivisione digitale può aiutare quella reale, come via per superare l’emarginazione?

Apparentemente sì. Il bisogno di appartenenza , in una società sempre più individualista e competitiva, cresce al crescere dei problemi e può darsi che stare qualche ora sui social mitighi in parte la solitudine.  E’ un bisogno che esprimono in molti, indipendentemente dal grado di cultura. Penso che se ben usata, la condivisione digitale possa essere di grande aiuto. Qualche volta mi ritrovo a lavorare in biblioteca e negli ultimi anni ho visto aumentare, tra i frequentatori, il popolo degli invisibili quelli che comunemente chiamiamo clochare. Molti sono quelli che navigano su internet e hanno una loro pagina facebook attraverso la quale partecipano in modo virtuale alla vita di tutti gli altri, quelli che in condizioni “normali” non sarebbero “degni” di un solo sguardo. Molte persone alquanto timide, si sono conosciute sui social e poi sposate. Certo poi ci sono i pedofili, gli stolker, i molestatori e i terroristi. Ma quelli sono ovunque anche nella vita reale.

Io penso che l’uomo di oggi, soprattutto delle grandi metropoli abbia bisogno di più spazio reale che lo tenga maggiormente in contatto con chi è veramente, con il suo essere umano. I social sono un po’ di spazio, l’importante è ricordarsi che è solo virtuale…

Alessio Zamboni

13 Maggio 2016 – Sempre

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