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Roald Dahl e il peso del proprio nome

Pubblicato il 29 maggio 2016 da redazione

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Ogni bambino piccolo, una volta nato, si trova inconsapevolmente addosso il peso di un nome che qualcun altro ha scelto per lui. Come si fa a dare il nome giusto alle cose? E alle persone, invece?
Scegliere le parole non è mai un lavoro da sottovalutare: tutte le parole, appena dette, sono infatti impossibili da rimangiare e, come il piccolo peso delle gocce di pioggia, o il saltello di una ranocchia da qualche parte ai lati dello stagno più sperduto, innescano impercettibili meccanismi invisibili, le cui conseguenze sul mondo potrebbero però, a lungo termine, essere imprevedibili e strabilianti. Se poi questa parola è un nome –  nome proprio di persona, di quelli da scrivere con la lettera maiuscola o con cui firmarsi, a fondo pagina – allora la responsabilità diventa seria.
Cosa può passare per la testa di un bambino che è stato chiamato con lo stesso nome di un grande esploratore della Norvegia? Voglia di viaggiare? Di esplorare? Di correre? Non necessariamente. Il nome infatti, sin da Shakespeariana memoria, conta, ma solo fino ad un certo punto. I viaggi che
intraprendiamo nella vita sono sempre originati da una scintilla diversa, un’idea, ad esempio, un sogno, una paura o una timida passione, tutte cose che di certo hanno più peso sul nostro destino di una manciata di lettere con un bel suono.

 

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Roald Dahl è quel bambino col nome da esploratore.  E’ nato in Galles, ma i suoi genitori venivano da un posto ancora più a nord, un posto dove gli inverni sono ancora più freddi e la cioccolata calda è ancora più calda. Studiò in collegio, ma negli anni si riscoprì un bambino felice, che viveva con
piacere la sua vita in famiglia, la scuola e le amicizie. Tutte le vicende che hanno formato la sua anima di scrittore di favole ci sono raccontate attraverso un’autobiografia lieta, da leggere al sole o sotto le coperte, in cui i giovani desideri di un bambino che diventa grande ci sono descritti, tra
tenero sorriso e nostalgia, da un adulto che, guardandosi indietro, riesce a sentirsi sereno.
Boy – questo il nome dell’opera – è la storia di un ragazzo, uno qualunque, che cammina per la strada e vede ciò che succede, imparando a crescere accorgendosi che ciò che siamo fa parte di noi sin dal primo giorno e che nessuna esperienza, sofferenza, impazienza o preoccupazione sia sprecata o vana, soprattutto se inciampiamo in essa quando siamo ancora troppo piccoli per capirlo.
Quel nome da esploratore, però, pur essendo solo un nome, è stato abbastanza per mettere addosso a Roald il prurito dell’avventura. Rinunciò a studiare all’università per iniziare a lavorare per una compagnia che gli permettesse di girare il mondo e viverlo a più non posso. Trascorse qualche
tempo nell’Africa Orientale Britannica e poi, come tanti, vide i propri piani sconvolti dallo scoppio della seconda guerra mondiale. Durante questo periodo decise di arruolarsi nella Royal Air Force e diventò pilota. Avrebbe  subito capito che volare, così come viaggiare (o vivere), è un’attività che si può prendere in considerazione solo accettando i rischi della caduta. Così, in una missione sul confine libico, si trovò coinvolto in un incidente aereo che lo portò a un lungo periodo di convalescenza in condizione di semi cecità.

 

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Malgrado le disavventure – che ogni buon esploratore deve sempre mettere in conto – furono proprio gli anni della guerra a rendere Roald Dahl uno scrittore.
Scelse come interlocutori i bambini – capaci  più di chiunque altro di immedesimarsi nelle fantasie di un esploratore coraggioso che ha come equipaggiamento solo fogli e penna – eppure le sue storie dipingono un mondo talmente variopinto e ricco di chiaroscuri da poter essere facilmente
apprezzate da ogni volenteroso scalatore di montagne disegnate.
Dahl sa perfettamente cosa vuole da se stesso e, attraverso le sue piccole magie di cantastorie, riesce a legare la fantasia più mirabolante alla cruda realtà di una vita quotidiana che spesso può essere difficile da sopportare o da attraversare, soprattutto se si è bambini.
L’autore crede nel suo pubblico, è pieno di fiducia nei ragazzi di tutte le età e si mette a loro pari, creando empatia con essi e trattandoli con tutta la serietà che ogni creatura merita.
Dai racconti e dai personaggi narrati da Roald Dahl, dunque, salgono in cielo una miriade di palloncini di ogni colore, attraverso cui vola alta una speranza semplice e bella, perchè del tutto priva di bugie.
Ebbene sì, bambini lettori, si nasce e si muore, si vive in un mondo in cui non tutti sono accoglienti e capaci di aiutarci o amarci quando ne abbiamo bisogno, eppure, qualsiasi cosa accada, si può sempre sperare di essere un po’ felici.
I protagonisti delle storie di Dahl sono spesso in difficoltà, emarginati, abbandonati o anche solo messi di fronte ad ostacoli difficili da superare o a realtà contingenti più grandi di loro.
Dahl parla con naturalezza di morte, di povertà, di solitudine e crudeltà, come fossero i lati oscuri di una strada ineludibile, che saranno utili soltanto ad accentuare la meraviglia che pizzicherà gli occhi, quando, un bel giorno, risorgerà una pallida luce.
Se dunque la fortuna di un orfano vessato da zie crudeli è riposta in sorprendenti magie sbocciate nel giardino, se il biglietto d’oro andrà nelle mani della persona giusta o la gentilezza di un gigante buono sarà abbastanza potente da attirare l’attenzione della regina d’Inghilterra in persona, perchè
mai non dovremmo aspettarci che quello che oggi ci spaventa non sia solo un piccolo seme da cui trarre prima o poi la nostra forza?

 

Matilde

 

La perdita dei figli, la malattia, la guerra, sono tutte esperienze dolorose che hanno segnato irreversibilmente la vita di Dahl, ma che sono servite a lasciare in lui un insegnamento impossibile da tenere per sé e tanto semplice e puro da far quasi arrossire.
E’ facile ritrovarsi nel buio dell’incertezza o della paura, ma il vero coraggio sta nella forza di non arrendersi alla voce meschina che sovviene alle orecchie facendoci credere che sia inutile sperare.
Si può essere  piccoli, soli, addirittura tremanti topolini contro un intero plotone di streghe, ma se si persevera e si ha fiducia in se stessi, non ci sono limiti alla speranza e all’immaginazione.
E se poi qualcosa andasse storto? Non sarà poi così importante.
Dahl racconta ai bambini che ciò che è  veramente giusto custodire come un tesoro preziosissimo non sia il premio in fondo al sentiero, ma il sogno che ci spinge a continuare a camminare. Sarà infatti quella stella a tenerci saldi, forti e pronti a reagire alle difficoltà, tentando, vincendo – se
siamo fortunati- o, mal che vada, almeno imparando qualcosa.

di Mariaelena Micali

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