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Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, alias Pablo Neruda

Pubblicato il 27 febbraio 2017 da redazione

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Una goccia è sufficiente. Una sola goccia che scende lenta, portata dalla pioggia e che forse, correndo per la sua strada, troverà una guancia qualunque su cui posarsi e riposare un po’. Il caso funziona così, come il temporale. Gocce. Miriadi di gocce che precipitano all’impazzata su tante giacche e su tanti ombrelli. Quando il percorso è inverso, però, da uno sguardo al cielo, allora non è caso, ma è emozione. Lacrime?

Non si può dire con esattezza. E’ certo che nessuno ha ancora capito che colori usare per riprodurre la luce di due occhi che si scoprono innamorati a mezzogiorno.

 

Pablo Neruda, parole, politica e vita.

Allende

 

Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto scelse lo pseudonimo di Pablo Neruda per onorare Jan Neruda, un autore che gli faceva salire la luce negli occhi. Era molto giovane quando iniziò ad appassionarsi di libri e di parole, avvicinandosi alla letteratura un passo alla volta. Era osteggiato dal padre in questa inclinazione totalizzante, tanto da scegliere, nel 1920, di firmarsi con un altro nome, in modo da poter pubblicare i propri scritti senza che la propria famiglia potesse venirlo a sapere. Ebbe come maestra e mentore Gabriela Mistral, premio Nobel per la letteratura nel 1954, che, accorgendosi del talento del giovane Ricardo, decise di incoraggiarlo a portare avanti la propria passione clandestinamente. La poesia, dunque, si insinuò nella sua vita attraverso un nome nuovo, che più veniva pronunciato, più dava all’uomo la consapevolezza della propria vera identità. Scrivere, scrivere naturalmente, come se non se ne potesse fare a meno, come fosse respirare, anche quando il fiato viene meno e la vita pare negare anche una piccola boccata d’aria.

Le condizioni economiche erano molto difficili e Ricardo, ormai Pablo, dovette accettare un incarico ben lontano dai propri desideri di scrittore. Diventando console onorario in Birmania diede avvio alla propria carriera diplomatica, che lo impegnò attivamente anche sul piano politico e su quello della solidarietà civile. Abbracciò il comunismo e contrastò fortemente il regime di Francisco Franco durante la guerra civile spagnola, schierandosi al fronte repubblicano. Dopo il 1938 e l’elezione di Pedro Aguirre Cerda come presidente del Cile, l’impegno di Neruda andò intensificandosi. Nel 1945 ottenne la nomina di senatore indipendente delle province cilene di Antofagata e Tarapacà, nel deserto dell’Atacama. In seguito gli venne chiesto di occuparsi della campagna elettorale di Gabriel Gonzàlez Videla, candidato presidente, ma, a fronte di una repressione violenta con cui, nel 1947, Videla reagì allo sciopero dei minatori della regione di Bìo-Bìo, che vennero imprigionati e deportati a Pisagua, in campi di concentramento, Neruda manifestò pubblicamente la disapprovazione verso il politico. Il 6 Gennaio 1948, infatti, il poeta recitò al senato cileno un discorso di accusa “Yo acuso”, in cui lesse i nomi dei minatori imprigionati. Ciò comportò un ordine di arresto contro Neruda e la dichiarazione dell’illegalità del Partito Comunista. Pablo, costretto all’esilio, si rifugiò in Argentina, dove rimase tre anni, prima di procurarsi i documenti per poter partire e affrontare vari viaggi in diverse parti del mondo. Nel 1952, Neruda abitò a Capri per qualche tempo e questo periodo di permanenza del poeta in Italia fu oggetto del film di Michael Radford, Il postino, tratta dal romanzo Il postino di Neruda di Antonio Skarmeta.

 

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Mentre in Cile si era candidato alla presidenza Salvador Allende, socialista, fu richiesto a Pablo di rientrare in patria per continuare la sua attività politica. Nel 1970 Neruda fu indicato come candidato alla presidenza della Repubblica cilena, ma si ritirò dalle elezioni per favorire Allende, aiutandolo a diventare il primo presidente socialista dell’America Latina con elezione democratica. Divenne allora ambasciatore del Cile, ma sopraggiunsero dei problemi di salute che gli impedirono di portare avanti l’incarico.

Il 21 Ottobre 1971 ottenne il Premio Nobel per la letteratura e due anni dopo morì, non prima di aver sofferto il colpo di stato con cui Augusto Pinochet salì al potere.

 

La poesia costituisce il poeta come la farina il pane.

Parlando di Neruda, Federico Garcia Lorca diceva che i suoi versi più che con l’inchiostro, sembrassero scritti con il sangue. Sangue che scorre sulla terra che si ama, quando la si vede oppressa o calpestata o che sgorga a fiotti dalle ferite di un dolore che nel petto fatica a rimarginarsi. Traspare così, da versi liberi, parole semplici e scenari ricchi di naturalezza, una passione carnale che profuma di sudore e vino, di lacrime lasciate asciugare su occhi addormentati e della pesantezza di un risveglio che può essere amaro o dolce a seconda del calore che si nega o si concede in un abbraccio. La parola diventa la fibra di un pensiero che ha bisogno di diventare verità. Il poeta ci apre una finestra sull’importanza del coraggio di essere chi si è, senza pentimenti o rimpianti. Appassionarsi è il segreto per non avere paura. Senza scrivere un poeta muore, così come senza aspirazioni o ideali muore la vita.

La passione di Neruda si colora, dunque, attraverso le sue parole, con la potenza di un sentimento antico, che, nei i suoi versi, corre lontano dal piccolo altarino di perfezione in cui è stato incastonato, per riempirsi di nuove sfumature inaspettate. I sentimenti sono descritti con vividezza, sanno di terra e sono così crudi da disarmare. Ogni verso parla di un’emozione che scuote i pensieri, raccontando, con un lessico puro e privo di arzigogoli, la nudità bellissima della fatica. La fatica di andare contro ciò che si teme o si odia, la fatica di partire, di tornare e quella, meravigliosa, che deriva dalla passione che lega una vita ad un’altra vita. Il lavoro di vivere è faticoso, ma la stanchezza di aver vissuto viene a consolarci a sera, ricordandoci la dolcezza di sentire testa, cuore e muscoli indolenziti a furia di correre, di pensare e di amare.

 

Neruda e l’amore, che non è solo amore.

Si dice che sia banale o scontato parlare d’amore, eppure tutti lo fanno. Certi fingono che sia autunno, per contare le foglie cadute e il peso ridicolo delle delusioni di incontri finiti più o meno male. Altri sognano l’illusione di un’eternità luccicante. Poi ci sono quelli che prendono un foglio di carta e si mettono a scrivere poesie. Associare poesia ad amore è un po’ come parlare di fragole e champagne, di violini e rose. Sembra fin troppo facile precipitare nel clichè del poeta melanconico che scrive al lume di una abat-jour, di notte, con le finestre spalancate ad un vento d’estate che fa volare le tende e rovesciare le boccette di profumo.

Chi legge Neruda, però, non vede un uomo alienato, ma un essere umano carico di consapevolezza, che parla d’amore perchè non può fare a meno di tingere con questo sentimento il tormento che lo muove nel rincorrere la propria passione per la vita.

 

È proibito

piangere senza imparare,

svegliarti la mattina senza sapere che fare avere paura dei tuoi ricordi.

È proibito non sorridere ai problemi, non lottare per quello in cui credi

e desistere, per paura.

Non cercare di trasformare i tuoi sogni in realta’. È proibito non dimostrare il tuo amore,

fare pagare agli altri i tuoi malumori. È proibito abbandonare i tuoi amici,

non cercare di comprendere coloro che ti stanno accanto e chiamarli solo quando ne hai bisogno.

È proibito non essere te stesso davanti alla gente, fingere davanti alle persone che non ti interessano, essere gentile solo con chi si ricorda di te, dimenticare tutti coloro che ti amano.

È proibito non fare le cose per te stesso,

avere paura della vita e dei suoi compromessi,

non vivere ogni giorno come se fosse il tuo ultimo respiro. È proibito sentire la mancanza di qualcuno senza gioire, dimenticare i suoi occhi e le sue risate

solo perche’ le vostre strade hanno smesso di abbracciarsi.

Dimenticare il passato e farlo scontare al presente. È proibito non cercare di comprendere le persone, pensare che le loro vite valgono meno della tua, non credere che ciascuno tiene il proprio cammino nelle proprie mani.

È proibito non creare la tua storia,

non avere neanche un momento per la gente che ha bisogno di te, non comprendere che cio’ che la vita ti dona,

allo stesso modo te lo puo’ togliere.

È proibito non cercare la tua felicita’,

non vivere la tua vita pensando positivo, non pensare che possiamo solo migliorare, non sentire che, senza di te,

questo mondo non sarebbe lo stesso.

non sentire che, senza di te, questo mondo non sarebbe lo stesso.

 

L’amore di cui parla Neruda non è ideale, ma profondo e proprio questa dimensione lo rende raro. E’ un sentimento potente, che gonfia le vene nei polsi e si squarcia in strappi sui vestiti o in urla al vento. Terra. Acqua. Aria. Fuoco. Elementi primordiali che, riportati sul piano sentimentale, diventano palpiti di vita, che trovano nel battito angoscioso di un cuore capace di amare la forma più vera, ma anche più sporca e cruenta della nostra piccolissima umanità.

 

Non t’amo come se fossi rosa di sale, topazio o freccia di garofani che propagano il fuoco: t’amo come si amano certe cose oscure, segretamente, tra l’ombra e l’anima.

T’amo come la pianta che non fiorisce e reca dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori; grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo il concentrato aroma che ascese dalla terra.

T’amo senza sapere come, né quando, né da dove, t’amo direttamente senza problemi né orgoglio: così ti amo perché non so amare altrimenti

che così, in questo modo in cui non sono e non sei, così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,

così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.

 

Esplosioni. Canzoni a squarciagola. Neruda scrive che non è possibile amare a metà. L’essenziale è quel “Perdutamente” nascosto nel solletico dietro agli occhi o in quel piccolissimo dolore sotto la camicia. Un amore fatto di mani che stringono, pupille che scrutano, bocca che assaggia e respiro che si riempie di un profumo amaro. Non importa cosa si tocchi, cosa si morda, basta avere un desiderio qualsiasi per concedersi il beneficio di un amore viscerale. Che si ami una donna, un uomo, un paese, un ideale o se stessi, l’intensità con cui si vive un attimo di vita non cambia e riflette, in una minuscola gocciolina di luce nello sguardo, un’eternità immensa, tanto grande da fare eco.

 

(…) Due amanti felici non hanno fine né morte, nascono e muoiono più volte vivendo, hanno l’eternità della natura.

 

Non esiste dunque la paura, se ogni momento è l’ultimo. Si ride dell’abbandono, se si cessa di esistere in un solo bacio. Ora, subito, immediatamente; questo è il tempo che scandisce l’incedere di versi che sono troppo intrisi di presente per avere il tempo di incresparsi al sole del passato. E’ così che prende il volo quel magico incanto che rende reale ogni matrimonio di corpi ed anime: un leggerissimo velo da sposa, che si poggerà sul capo di ogni donna abbracciata in un giorno dopo l’altro e che abbellirà di verità ogni “ti amo” fiorito sulla bocca.

 

Se un giorno il tuo cuore si ferma,

se qualcosa smette di bruciare per le tue vene, se la voce dalla bocca ti esce senza divenire parola,

se le tue mani si scordano di volare e

s’addormentano,

Matilde, amore, lascia le tue labbra socchiuse perché quel tuo ultimo bacio deve durare con me, deve restare immobile per sempre sulla tua bocca perché così accompagni anche me nella mia morte.

Morirò baciando la tua folle bocca fredda, abbracciando il grappolo perduto del tuo corpo, e cercando la luce dei tuoi occhi serrati.

E così quando la terra riceverà il nostro abbraccio andremo confusi in una sola morte

a vivere per sempre l’eternità di un bacio

 

Le parole di Neruda ci ripetono che è bello cambiare idea, ricominciare, amare ancora e poi smettere di farlo per raggiungere qualcosa di ancora più grande, che inizia in modo diverso nella nostra vita, ma che alla fine si traduce sempre nello stesso meraviglioso spiraglio di avvenire che trova spazio in noi quando scoviamo una passione nuova per cui perdere il sonno.

 

 

Perché è nostro dovere vivere, finchè non siamo morti.

L’amore allora non sarà più solo quello delle cartoline o delle canzoni alla radio, non sarà più soltanto condividere il nostro con un altro passo che ci accompagni all’unisono, per un pezzetto. Amare sarà sinonimo di vita ed espressione della bellezza di sapere chi si è e chi si vuole essere o diventare. Parlare d’amore sarà allora parlare di impegno, di lotta, di entusiasmo per ciò che si fa, di tenacia e di abbandono totale negli incontri che la vita ci offre. La prima passione che Pablo Neruda canta nei suoi versi è quella che ognuno vive da sé, riflettendo sui propri desideri e lavorando per far sì che tali progetti trovino forma. Dai versi del poeta emerge che sperimentare l’amore per la propria persona, per le proprie idee e per la propria realizzazione sia un cammino obbligato per evitare che le contingenze della vita siano tanto potenti da annullare la nostra voglia di andare avanti. E quando ci capiterà di trovare il coraggio di tuffarci nella vita, la forza sarà sempre da ricercare in quella piccola goccia di luce, dal nostro sguardo al cielo, che se tenuta viva, come una fiammella, potrebbe diventare addirittura l’anticamera della felicità.

 

di Mariaelena Micali

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