Categoria | Scienza e Tecnologia

Prove d’ingestione di plastica negli animali degli abissi

Pubblicato il 12 dicembre 2016 da redazione

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Paguroidea.

Una ricerca finanziata dal progetto CACH del CER ha confermato le prime prove che gli animali degli abissi ingeriscono microplastiche in tutti gli oceani del mondo. Le microplastiche in questione sono microsfere, spesso usate nei prodotti per l’igiene personale e per la pulizia della casa.

 

Sulla nave di ricerca “James Cook”

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Adesso i ricercatori delle università di Bristol e Oxford, a bordo della nave di ricerca “James Cook”, che setacciano l’Atlantico e l’Oceano Indiano, hanno trovato tracce di microsfere in esemplari di paguroidea, galatheidae e oloturoidei, a profondità tra i 300 m e i 1 800 m. Per ora sono stati studiati 9 organismi e in 6 di questi sono state rinvenute microplastiche. È la prima volta che si riscontra l’ingestione di microplastiche in organismi di queste profondità.

Le microplastiche sono solitamente particelle poco meno inferiori di 5 mm di lunghezza e includono le microfibre usate nei cosmetici (come dentifricio e schiume per i prodotti da bagno e igene personale). Tra le microplastiche scoperte negli organismi degli abissi si sono rinvenuti poliestere, polipropilene, viscosa, nylon e acrilico. Le microsfere hanno le stesse dimensioni della “schiuma marina”, il materiale organico che “piove” dagli strati più elevati delle colonne d’acqua dell’oceano e di cui si nutrono molti degli organismi che vivono a quelle profondità.

Laura Robinson, della Facoltà di Scienze Naturali di Bristol, ha commentato: “Questi risultati ci ricordano che l’inquinamento causato dalla plastica ha ormai raggiunto i confini della Terra.”

“L’obiettivo principale della spedizione di ricerca era raccogliere microplastiche dai sedimenti degli abissi e ne sono state trovate in grande quantità,” ha riferito Michelle Taylor, dell’Università di Oxford. “Dato che gli animali interagiscono con questi sedimenti, nel senso che ci vivono o se ne nutrono, abbiamo deciso di esaminarli per vedere se c’erano prove di ingestione. L’aspetto più allarmante è che queste microplastiche sono state trovate negli abissi degli oceani e non nelle zone costiere e quindi a migliaia di chilometri dalle potenziali fonti di inquinamento provenienti dalla terra.”

 

Zero contaminazioni

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Per raccogliere gli organismi è stato usato un veicolo sottomarino telecomandato (remotely operated vehicle, ROV). Si è scelto questo metodo per ridurre possibili contaminazioni da eventuali sedimenti circostanti. L’uso di un ROV ha anche garantito al team di ricerca di conoscere l’esatta posizione degli habitat degli organismi. Sono stati dissezionati stomaco, bocca, tutte le cavità interne e gli organi respiratori (branchie e cavità di ventilazione) di 9 organismi ed esaminati con un microscopio binoculare per verificare l’eventuale ingestione o assorbimento di microplastiche. Le microfibre sono state analizzate e classificate con un microscopio a luce polarizzata.

Il team di ricerca comprendeva anche il Dipartimento di Scienze del Museo di Storia Naturale di Londra e dell’Università dello Staffordshire, i quali hanno garantito che i risultati sono validi e privi di potenziali contaminazioni.

“La validità degli attuali metodi forensi per l’analisi delle fibre è provata e testata e deve poter affrontare l’esame minuzioso dei tribunali,” ha detto Claire Gwinnett dell’Università dello Staffordshire. “Queste tecniche sono state usate in questa ricerca per ridurre e monitorare la contaminazione e quindi garantire che le microplastiche rilevate fossero state ingerite e non provenissero dal laboratorio o da altri agenti contaminanti esterni.”

 

http://www.nature.com/articles/srep33997

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