Categoria | Politica-Economia

L’Arabia Saudita corre verso il solare

Pubblicato il 29 luglio 2015 da redazione

pannelli solari
Il destino di uno dei più grandi produttori di combustibili fossili ora può dipendere dai suoi prossimi investimenti nelle energie rinnovabili.

Rince Turki bin SAUD BIN Mohammad Al Saud appartiene alla famiglia che governa l’Arabia Saudita. Il principe sta aiutando l’Arabia Saudita, a fare quello che potrebbe essere uno dei più grandi investimenti del mondo in energia solare.

Vicino Riyadh, il governo si sta preparando a costruire in una fabbrica i pannelli solari su scala industriale. Sulla costa del Golfo Persico, un altro stabilimento sta per iniziare la produzione di grandi quantità di silicio policristallino, un materiale utilizzato per fare le celle solari. E il prossimo anno, le due aziende statali che controllano il settore energia Saudi, la società elettrica saudita, principale produttrice del regno e Aramco, la più grande compagnia petrolifera del mondo, faranno partire congiuntamente circa 10 progetti solari in tutto il paese.

 

I sauditi bruciano circa un quarto del petrolio che producono per il loro consumo interno che di recente è aumentato del 7% l’anno, quasi tre volte il tasso di crescita della popolazione.

 

Turki dirige due realtà saudite che stanno fortemente spingendo sul solare: la Città King Abdulaziz per la Scienza e la Tecnologia, un’agenzia di ricerca e sviluppo nazionale con sede a Riyadh, e Taqnia di proprietà statale, società che ha fatto diversi investimenti nelle energie rinnovabili e che ora sta cercando di fare di più.

“Abbiamo un chiaro interesse per l’energia solare” ha detto Turki e “che si espanderà presto in modo esponenziale in tutto il regno.”

Il governo saudita vende benzina ai suoi consumatori a circa 50 centesimi al gallone e l’energia elettrica, a un minimo di 1 centesimo al kilowatt-ora, una frazione dei prezzi più bassi negli Stati Uniti, così le strade pullulano di macchine costose e nelle case i condizionatori sono tenuti  a temperature così basse che ci vogliono le calze di lana.

L’urbanizzazione poi procede spedita e se a Riyadh fino al 1960, risiedevano solo 155.000 abitanti oggi se ne contano più di 5 milioni.

L’Arabia Saudita produce gran parte della sua energia elettrica con il petrolio, anche se in realtà la maggior parte delle sue centrali elettriche sono assolutamente inefficienti, come lo sono i suoi condizionatori d’aria, che consumano il 70% dell’elettricità del regno. E nonstante gli abitanti complessivi sauditi siano solo 30 milioni, l’Arabia Saudita è il sesto più grande consumatore mondiale di petrolio.

Ma ora i governanti dicono che le cose devono cambiare, perché se il consumo interno continua ad essere così smodato dal 2038 potrebbe non esserci più alcun petrolio da esportare, questo è quanto emerge da un rapporto completato a  dicembre 2011 dalla think tank britannica Chatham House.

Una vera catastrofe economica per l’Arabia Saudita, ma anche politica perché il  “patto sociale del governo”, che prevede che la famiglia reale fornisca a tutti i cittadini che pagano tasse sul reddito personale, ampi servizi sociali, finanziati con le esportazioni di petrolio, potrebbe non essere più garantito. Il consumo interno senza controllo, potrebbe anche limitare la capacità della nazione di moderare i prezzi mondiali del petrolio attraverso un’altalena di riserve di petrolio maggiori da estrarre per soddisfare i picchi di domanda globale. Se il governo saudita vuole mantenere la sua stabilità politica interna e non perdere la sua supremazia mondiale deve trovare un modo per consumare di meno, così ha deciso di incrementare il Solare

Osservando la mappa dei livelli di concentrazione di radiazione solare del mondo, si osserva che le zone più soleggiate, quelle di colore rosso intenso, sono proprio quelle del regno saudita, che ha anche vaste distese di deserto aperto, assolutamente perfetto per impiantare sterminate fila di pannelli solari.

Negli ultimi anni i prezzi dell’energia solare sono scesi di circa l’80%, a causa di un rapido aumento del numero di fabbriche cinesi che sfornare pannelli solari a basso costo, inoltre la tecnologia solare, grazie ai grandi investitori è diventata ormai molto efficiente, così l’Arabia Saudita ha annunciato di voler costruire, entro il 2032, 41 gigawatt di capacità solare, che la incoronerà quale massimo leader mondiale, primato oggi detenuto dalla Germania.

L’obiettivo, però, non è solo quello di installare pannelli solari in tutta L’Arabia Saudita, ma anche di esportarli. Tra i principali potenziali partner ci sarebbero gli Stati Uniti.

Ma questo piano faraonico non è privo di alcune difficoltà, in particolare le tempeste di polvere e quelle di sabbia che consumano rapidamente la quantità di energia elettrica che un pannello solare produce e, più importante, la tendenza dei consumatori sauditi a non diminuire il consumo di petrolio.

 

Nasser Qahtani è un petroliere in tutto e per tutto.

Ha trascorso circa 15 anni di lavoro presso un impianto di trasformazione di petrolio Aramco. Ha conseguito un master presso la Texas A & M University. Come vice Governatore Degli Affari  che regolano la produzione di Energia Elettrica dell’Arabia Saudita, trascorre gran parte del suo tempo a cercare di modernizzare il sistema energetico del Paese.

Nel mese di ottobre, la Banca Mondiale ha stimato che l’Arabia Saudita spende oltre il 10% del PIL per sovvenzioni che vadano in quella direzione, arrivando a circa 80 miliardi di dollari l’anno, più di un terzo del bilancio del regno. “Secondo me, questo è un numero che non è più  sostenibile” ha detto Nasser.

 

Riyadh.

 

I leader sauditi calibrano attentamente il prezzo di esportazione globale: abbastanza alto per riempire le casse saudite, ma abbastanza basso per evitare di sollevare pericolose competizioni. Per anni, gli analisti hanno discusso quanto petrolio vi sia ancora in Arabia Saudita. I funzionari sauditi sostengono che nell’immediato non ci siano criticità da affrontare, ma solo la necessità di tenere sotto controllo i concorrenti. Se il prezzo del petrolio dovesse scendere troppo, quello a loro disposizione per l’esportazione non sarebbe sufficiente a respingere tali minacce.

Lo scorso anno, il governo ha stabilito i requisiti di efficienza energetica per i condizionatori d’aria, imposto standard di risparmio di carburante per tutte le auto del Paese, e cominciato a richiedere il cappotto termico per tutti i nuovi edifici e sta ora definendo requisiti più efficienti per le nuove centrali elettriche che andranno a sostituire quelle vecchie. Nel mese di marzo, l’Arabia Saudita ha firmato un protocollo d’intesa con la Corea del Sud per la costruzione dei primi due reattori nucleari del regno, ai quali forse ne seguiranno altri.

Anche il fabbisogno di acqua dolce, più di mezzo milione di litri al giorno, viene soddisfatto da uno stabilimento dove, per produrre il calore che serve a far bollire l’acqua e il vapore necessario a fa girare le turbine dell’impianto che serve a produrre energia elettrica, si brucia olio. E nel deserto l’acqua dolce non è proprio disponibile nelle quantità necessarie, quindi viene ricavata da quella di mare. Perciò accanto alla centrale elettrica troneggia l’ impianto di dissalazione, un labirinto di serbatoi, tubi, filtri, pompe che copre un’area due volte più grande di un campo di calcio. L’acqua salata viene aspirata dal Mar Rosso e contiene circa 40.000 parti per milione di sale. Con il tempo che impiega a uscire dall’altra estremità del labirinto di tubi, in cui viene filtrata e miscelata con altre sostanze chimiche, il suo contenuto di sale scende a 25 parti per milione. Un vero miracolo tecnologico che però consuma altra elettricità che principalmente proviene ancora dal petrolio.

 

Non più sostenibile bruciare tanto petrolio solo per il proprio uso interno.

Il regno saudita ha iniziato a sperimentare l’energia solare nel 1970. Nel 1979, lo stesso anno in cui i disordini in Medio Oriente hanno scatenato una crisi petrolifera globale e il presidente Jimmy Carter aveva fatto allestire pannelli solari su tutto il tetto della Casa Bianca, gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita avevano fatto partire congiuntamente una stazione solare sperimentale a circa 30 miglia a nord ovest di Riyadh, in un piccolo villaggio chiamato AlUyaynah, in cui all’epoca mancava l’elettricità.

Il lavoro in quel sito languiva, fino a quando nel 2010  la City King Abdulaziz per la Scienza e la Tecnologia, l’agenzia di ricerca che gestisce la stazione, decide di costruire una piccola catena di montaggio sperimentale per la produzione di pannelli solari. Un anno dopo, la capacità della linea di produzione è più che quadruplicata. Si prevede, nei prossimi mesi, di espandere l’impianto ulteriormente, questa volta di otto volte.

I funzionari sauditi vogliono aggiungere anche un altro stabilimento in un’altra zona del Regno, più grande anche di quello cinese.

L’obiettivo è quello di installare pannelli solari in tutta l’Arabia Saudita, ma anche di esportarne in tutto il mondo per creare alta  tecnologia e posti di lavoro per la maggior parte delle giovani generazioni del regno. Due terzi dei sauditi hanno, infatti, meno di 30 anni.

I funzionari vogliono anche finanziare  impianti solari di altri paesi, per incrementare il mercato dei pannelli solari “Made in Arabia Saudita”.

Tra i paesi più papabili vi sono gli Stati Uniti, dove le banche saudite potrebbero favorire prestiti a buon mercato per lo sviluppo di aziende locali. Ma la fabbrica di Al-Uyaynah chiarisce meglio verso dove il Paese sta andando. L’attrezzatura proviene per lo più dall’Europa e le barrette di silicio che compongono un pannello solare vengono prodotte a Taiwan.

A gennaio di quest’anno, dopo aver trascorso diversi anni a Parigi, come capo di tutta la produzione solare del gigante petrolifero francese, Marc Vermeersch, scienziato belga, e fisico dei materiali, è approdato in Arabia Saudita. Vermeersch ha constatato che il denaro speso per la creazione del laboratorio solare dell’università non è stato investito saggiamente. Il laboratorio, comprende una mezza dozzina di stampanti, tra cui una altamente specializzata del valore di circa 1 milione di dollari, che si usa per stampare tutti i rivestimenti delle superfici, un importante processo nella ricerca di nuove tecnologie per la costruzione dei pannelli solari del futuro. L’Arabia Saudita vuole far decollare l’energia solare al più presto e Vermeersch e i suoi colleghi stanno, infatti, riconfigurando il laboratorio concentrandosi maggiormente sulla ricerca a breve termine, un lavoro che si spera pagherà nei prossimi anni.

 

Georg Eitelhuber.

 

L’università saudita ospita un’incubatore per start-up tecnologiche, tra cui un’azienda la cui mission è quella di mantenere puliti i pannelli solari nel deserto. Il fondatore di questa società è Georg Eitelhuber, un ingegnere meccanico nato in Australia arrivato all’università nel 2009, anno della sua inaugurazione, a insegnare fisica in un liceo del campus. Alla fine del 2010, Eitelhuber partecipava a una cerimonia presso l’università dove un gruppo di importanti manager si erano riuniti per battezzare i pannelli solari sperimentali. Ma una tempesta di polvere vi aveva soffiato dentro. Incredulo, Eitelhuber aveva chiesto perché i pannelli solari non fossero tenuti puliti. Così fu subito chiaro qual’era il primo grande problema che la nuova industria saudita avrebbe dovuto risolvere.

Con il finanziamento dell’università, lui e alcuni colleghi progettarono un sistema di pulizia privo di acqua. Cinque anni dopo, la sua azienda realizzava il primo prototipo, una lunga asta metallica in fase avanzata, con una serie di pennelli di setola in linea, che ora alcuni produttori di pannelli solari stanno testando. Eitelhuber prevede di avviare l’installazione del dispositivo sugli interi campi di pannelli solari l’anno prossimo.

Le imprese private, intanto, sono in attesa che il governo offra loro una lista di contratti che permetta all’energia solare di competere con l’energia elettrica a gasolio.

Tra le più grandi imprese che aspettano dietro le quinte vi è  la ACWA International Power, che ha sede a Riyadh e che possiede e gestisce le centrali elettriche e di desalinizzazione in Medio Oriente, Africa e Sud-Est asiatico. Negli ultimi anni, ACWA Power ha firmato contratti per la produzione di energia solare in diversi paesi in cui il prezzo dell’energia elettrica convenzionale è superiore a quello in Arabia Saudita.

 

Il principe Turki bin Saud bin Mohammad Al Saud sta aiutando il regno ad andare verso l’energia solare.

All’inizio di quest’anno, è stato deciso di costruire un parco solare a Dubai. Il prezzo a cui ACWA ha accettato di vendere energia elettrica ricavata da quella solare è stato di 5,84 centesimi di dollaro al kilowatt/ora, prezzo che ha fatto girare la testa agli osservatori solari di tutto il mondo.

Paddy Padmanathan, presidente e CEO di ACWA, ha affermato che la società farà importanti profitti nell’arco di 25 anni: “Improvvisamente, le energie rinnovabili stanno diventando la proposta energetica più competitiva”.

Taqnia, una società di proprietà dello Stato, sta portando a termine un contratto per fornire energia solare a 5 centesimi di dollaro per kilowatt/ora, il prezzo in questo momento più economico del mondo.

ACWA  non ha ancora messo a punto progetti solari in Arabia Saudita. Ma il principe Turki dice che Taqnia, la società statale che presiede, sta per concludere un accordo per fornire energia solare alla Società saudita per l’Energia Elettrica a 5 centesimi di dollaro per kilowatt/ora, anche inferiore al prezzo che ACWA ha recentemente deciso di concedere a Dubai. “È il più economico del mondo, che io sappia”, ha detto Turki.

Questo accordo può essere un segno allettante di quanto succederà in futuro, ma della costruzione dei 41 gigawatt di capacità solare, annunciati tre anni, per il momento non se ne vede neppure il barlume.

Resta il fatto che la sfida energetica che l’Arabia Saudita ha inttrappreso è la più estrema fra quelle partite nel resto del mondo. E se i leader del regno saudita hanno trovato il coraggio politico di partire con determinazione, tutte le altre nazioni, potrebbero prenderli a modello, per cercare di rendersi sempre meno dipendenti dal petrolio.

di Adriana Paolini

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